"Porto franco": Primo Moroni e la banda
Intervento di Rino Del Prete

Giovedì 15 giugno 2000
Presentazione del libro Le parole e la lotta armata


"Porto franco": Primo Moroni e la banda


Calusca, in dialetto milanese, significa "casa losca". Nel cuore della Milano del dopoguerra, entro il triangolo di Via Larga-Baracchini-Pantano, zona in cui pullulavano le case chiuse, il casotto di via Chiaravalle era il più ambito.
Il quartiere in cui siamo nati oggi non esiste più, essendo stato raso al suolo nei primi anni Sessanta, per far posto ai palazzi che ora si affacciano su Via Larga.
Conosciamo la compagnia dell'osteria del "Porto franco" alla fine degli anni Cinquanta. Quest'osteria era il punto d'incontro di facchini, scaricatori e ambulanti di frutta e verdura del Verziere. Altro locale di riferimento era la pasticceria Bindi, di fronte al Lirico, dove si ritrovavano tutte la compagnie teatrali e d'avanspettacolo.
Primo apparteneva a una delle tante famiglie toscane immigrate e stabilitesi in quel quartiere. Il mio incontro con lui avviene tra le macerie di largo Richini, dove passavo le mie giornate giocando agli indiani, insieme agli amici. Vedevamo passare questo personaggio col Borsalino e sempre "intappato" (era di moda andare dal sarto). L'abbiamo rincontrato nelle balere del centro. Il nostro rapporto con lui inizia quindi all'insegna della voglia di uscire dal ghetto, perché l'unica alternativa era di diventare ballerini di fila.
Il mito per noi era quello del Selvaggio di Marlon Brando: jeans, giubbottone di pelle da aviatore e motocicletta.
Le compagnie si strutturavano in bande di quartiere; la nostra banda di Via Larga vedeva la presenza di "ragazzi", dai cinquanta ai quindici anni, eguali tra loro e stretti da forti vincoli di solidarietà e di "vissuto"; i più giovani imparavano la vita in questa specie di "università di strada".
Si era sempre pronti a menar le mani; le nostre domeniche fuori porta, quando si andava a ballare, spesso diventavano pretesto per la rissa.
Con gli anni Sessanta, abbiamo cominciato a frequentare le balere, i night e i posti più alla moda (Santa Tecla, Aretusa e Taverna messicana), insieme alla compagnia di Dossena, noto ballerino di rock acrobatico, specialità in cui lo stesso Primo eccelleva.
Il ballo era la principale occasione per rompere la noia del bar e avere i primi approcci con le ragazze; chi non sapeva ballare era "tagliato fuori", mentre chi era bravo riusciva a farsi notare e così a invitare le donne e, a volte, anche a scatenare le risse dei "falchetti" (così erano chiamati i ragazzi di periferia).
Quando il complesso attaccava con one-two-three-four... noi ragazzi della banda, conoscendo a memoria il segnale, ci schieravamo in formazione: iniziava il rock, una molla per dare spettacolo e ribadire la nostra diversità rispetto alla cultura precedente. Anche chi non scendeva in pista partecipava ugualmente, ritmando con le mani la nostra provocatoria esibizione, e ribadendo così la nostra voglia di rompere gli schemi.
Dopo queste esibizioni nelle balere fuori porta non eravamo più costretti ad attraversare lo spazio vuoto che separava gli uomini dalle donne; erano queste ultime a scegliere e a invitarti, perché volevano uscire anche loro dalla cultura dell'invito, rompere gli schemi ottocenteschi dell'inchino e della domanda.
Oltre a praticare il rock e il boogie-woogie, Moroni era anche un ballerino di fila di rivista (scritturato da compagnie come quelle di Wanda Osiris, Carlo Dapporto ecc.), tanghéro (cercherà di aprire anche una scuola di tango) e ballerino classico alla Scala.
Per divertimento, intraprende la carriera dell'investigatore privato insieme con Mario Gadisco, detto il Conte (sempre della compagnia del "Porto franco").
Prima venditore di libri e poi direttore editoriale alla Fabbri e alla Vallardi, incontra Enrico Filippini e apre il "Siosì", club d'incontro, cabaret, teatro e readings, in Via San Maurilio.
In questo periodo, gira l'Italia in lungo e in largo a bordo di una Giulietta Alfa Romeo rossa. Naturalmente senza patente, documento che si rifiuterà sempre di conseguire. Durante questo periodo incontra le diversità nascenti di Onda verde, Mondo beat e quelli che daranno vita a Barbonia City e all'occupazione dell'Hotel Commercio.
Chiuso il Siosì nel 1969, dopo una parentesi di riflessione, nel '72 apre la Libreria Calusca.

Il libro che viene presentato stasera è una riflessione su di un esito di un percorso che ha visto generazioni di militanti, anonimi o conosciuti, affacciarsi da protagonisti in un periodo della storia d'Italia. È doveroso ricordare che la fase armata non fu altro che la parte finale di un movimento eterogeneo, con la partecipazione di decine di migliaia di persone, che, partito dalle lotte operaie e studentesche del '67-69, passando per le esperienze dei gruppi extraparlamentari, la loro decomposizione e il tentativo del movimento del '77 di riappropriarsi di un'autonomia politica, si scontrò frontalmente con gli apparati del PCI, del sindacato e dello Stato. Poiché non riteniamo che quest'esperienza possa essere spiegata da giudici, poliziotti e ceto politico della classe dominante, ringraziamo Primo Moroni che faticosamente mise in piedi il convegno di Zurigo per ridare la parola a chi era stato messo a tacere.