NON GIUDICARE


Nei riguardi dell'intero sistema penale, del suo stesso diritto e non soltanto delle carceri, vorremmo creare con questo spazio uno sguardo abolizionista anche in Italia, un Paese che conosce pene (effettivamente scontate) tra le più alte d'Europa, dove dal dopoguerra ad oggi sono passati tra le mura delle prigioni persino 4 milioni di persone poi risultate ufficialmente innocenti, dove ultimamente la sinistra ufficiale e girotondante ha creato la moda che chi critica l'operato della magistratura è di destra o mafioso, dove ci sono ancora prigionieri politici per i fatti degli anni Settanta nell'indifferenza o ignoranza di tutti ma con la complicità di tanti, dove si legalizza la tortura rendendo eterno l'art. 41 bis ("carcere duro"), dove l'ergastolo esiste anche se si dice comunemente il contrario. Vorremmo organizzare una cosa un po' da pazzi, insomma, come se fossimo almeno in un paese scandinavo o in Canadà: un'assoluta novità. Sì, è vero che negli anni Settanta parte del "movimento" parlò di una società senza galere. Ma era soprattutto il programma di un nuovo domani, in e per un'altra società, e non tanto una bussola nel presente. Così magari, intanto, c'era chi voleva mettere in galera i ricchi al posto dei poveri: pur di salvare la galera!, se così si può dire. Da sempre, perciò, lo spirito punitivo è stato la tragedia dei rivoluzionari e l'ignorato traditore d'ogni rivoluzione. Si comincia con la presa della Bastiglia e si finisce con Terrore e ghigliottine in funzione a pieno regime. Si comincia con la liberazione dei prigionieri di Riga e si finisce costruendo un immenso Gulag... Nell'idea di pena si riunisce un'intera civiltà, si riaccomunano coloro che si credono radicali avversari, oppressori e oppressi - questi destinati così alla sconfitta o a essere nuovi oppressori. Ecco spiegata la grande difficoltà di creare uno sguardo abolizionista; difficoltà che pone una serie di problemi che qui si possono solo sommariamente elencare e che costituiranno perciò il programma di lavoro di questo luogo d'incontro.

1. La storia. Una questione di civiltà.

Nella resistenza all'oppressione una storia e un pensiero quasi nascosti sono da ripercorrere. Bisogna risalire a un paio di millenni fa per individuare un pensiero esplicitamente fuori dalla colpa. Allora questo mondo era considerato una prigione da cui fuggire, un mondo di "Giustizia" retto dalla "Legge", integrato in un Ordine ovvero Cosmo ("Kosmos"). La libertà era al di là di questo mondo, della "Giustizia", e della stessa cappa del cielo, del "Kosmos". In quel contesto poi definito eretico, nasce un motto rivoluzionario, tanto profondo quanto poi inascoltato, e di cui pur resta l'eco persino nei vangeli canonici: non giudicare. Molti secoli dopo, con la nascita del movimento operaio, riemerge un'idea analoga nelle parole, per esempio (anche queste ben poco raccolte), di Marx sulla pena: "Quando vigeranno rapporti umani, la pena non sarà invece realmente altro che il giudizio di chi sbaglia su se stesso. Non si pretenderà di persuadere costui che una violenza esterna, esercitata da altri su di lui, sia una violenza che egli ha esercitato su se stesso. Egli troverà invece negli altri uomini i naturali redentori della pena che egli ha inflitto a se stesso, cioè il rapporto addirittura si rovescerà". Un pensiero critico abolizionista nasce in questo secondo dopoguerra nei paesi scandinavi e in Olanda, cioè là dove ha potuto riscontrare e rivelare il limite delle socialdemocrazie.

2. L'etica. Mettere in discussione se stessi.

Se abbiamo a che fare con una questione così antica, ovvero di civiltà, è chiaro che dobbiamo fare i conti con un sostrato culturale comune, con un inconscio collettivo, con una resistenza "psicologica" che necessita anzitutto di una rivoluzione culturale che cambi noi stessi per poter cambiare il mondo in meglio; che ci tolga il vizio di proiettare sugli altri le nostre fisime e contraddizioni onde reimparare a vedere la verità e a non renderci più complici più o meno inconsapevoli di ciò che dichiariamo di rifiutare. Apparentemente, infatti, basterebbe un po' di buon senso, un vago senso umanitario appena riformista, o anche solo un certo cinico realismo per accorgersi che il sistema penale è un disastro, un costo che non solo impoverisce economicamente e umanamente la società, ma che addirittura fabbrica ciò che dichiara di combattere: il crimine. Eppure quel che giunge a coronamento di sé nel sistema penale, rivelandosi subito come crisi, paradosso, contraddizione, nasce prima, prima del capitalismo e della stessa grande differenza tra ricchi e poveri; ne costituisce semmai la base - vogliamo qui azzardare - e oggi dispiega tutto il suo significato minaccioso per l'intera umanità.

3. La pratica.

a) La non-collaborazione. Perciò si tratta di rendersi inutili a quel che altrimenti appare necessario, inevitabile, realistico... L'abolizionismo, prima ancora che come una rivendicazione, si pone come sperimentazione e non-collaborazione. Rispetto al sistema penale, siamo tutti potenzialmente colpevoli o innocenti in modo puramente casuale. Denunciarsi, farsi ostaggi di sorti altrui dovrebbero diventare un giorno pratiche diffuse... La non-collaborazione è una critica pratica della servitù volontaria, una radicale messa in discussione delle zone grige su cui si regge il dominio che nel sistema penale trova il suo più significativo altare: quello su cui si compiono i sacrifici umani. Il suo scopo è quello di rendere manifesto ciò che è occulto. Ma essendo anche una strategia che tende a superare la distinzione tra mezzi e fini, tra l'oggi e il domani, la non-collaborazione solleva un importante argomento di riflessione. b) Violenza e non-violenza. La violenza per la liberazione costituisce una fase distruttiva (il mezzo, l'oggi), separata da quella costruttiva (il fine, il domani). Sotto questo profilo risulta politicamente fragile, moderata... Ma, contrapponendosi a questa distruttività, un falso dibattito ha finora spesso presentato in Europa la non-violenza come il "semplice" contrario della violenza, ovvero come una soluzione moderata opposta a quella estrema, costruttiva senza esser distruttiva. L'abolizionismo pone obbiettivamente il superamento di questa falsa visione sulla quale hanno sempre giocato gli ipocriti che perciò, non a caso, hanno sempre delegato la violenza al sistema penale. Come si vede, il sito sarà soprattutto una sede di dibattito teorico volto a cambiare l'immaginario dominato dai mille risvolti legati all'idea di pena, idea ormai arcaicamente barbara ma ancora centrale e in pieno rilancio ora che dallo Stato "sociale" si sta andando verso un vero e proprio "Stato penale". Il sito è perciò inevitabilmente aperto a opinioni diverse che cercherà di far conoscere insieme alle diverse realtà ed esperienze da cui nascono.

APM - milano, febbraio 2004



informativa privacy