DENTRO, FUORI, AI BORDI DEL CARCERE
a fianco di Alfredo, contro l'ergastolo e il 41bis

Domenica 26 Marzo, ore 15
CAM Stadera - Via Palmieri 20




Il carcere è il luogo dell’esclusione. Le prigioni sono piene zeppe di persone che, dopo essere state escluse da una società insofferente verso bisogni e povertà, dietro quei muri sono ora private di diritti elementari quali la salute, le relazioni, gli affetti, lo spazio.

“Non dirmi degli archi parlami delle tue galere”, scrisse tanti anni fa il filosofo Voltaire. E, ancora oggi, il carcere rispecchia la società “esterna” e le sue regole: tant’è che il numero dei detenuti è cresciuto, in Italia, con l’introduzione del reato di clandestinità (Bossi-Fini 2002) e con la penalizzazione dell’uso personale delle sostanze stupefacenti (Fini-Giovanardi 2006). La scelta di rispondere in modo repressivo a un fenomeno sociale più o meno problematico, delegandone ai tribunali la soluzione, ha fatto aumentare di molto la popolazione detenuta e, di conseguenza, l’affollamento e le sofferenze per i reclusi. “Xe pèso el tacòn del buso” (è peggio la toppa del buco), si dice in Veneto.

Inoltre, alla crescita del numero di persone detenute si somma un numero ancor più crescente di persone soggette a misure penali “alternative” (affidamento ai servizi, domiciliari, semilibertà), in una sorta di proliferazione che investe l’intera società. E le varie sfaccettature del carcere rispecchiano, nel modo più sincero e inclemente, l’aumento degli esclusi dal mercato del lavoro e da qualsiasi forma di tutela, effetto della crisi e delle trasformazioni socio-economiche in atto.
Mentre la povertà sociale cresce giorno dopo giorno, mentre la divisione delle ricchezze del Pianeta è ineguale e iniqua come mai prima, la teoria e la pratica dell’esclusione fanno sempre più da collante per tenere insieme la baracca. In un contesto del genere, come stupirsi che l’accesso a forme di detenzione e controllo sia in continua crescita?

Viceversa, tralasciare i contesti sociali e i loro effetti permette una lettura del “crimine” come frutto di soggettività “sbagliate”, da correggere e rieducare. Il “criminale” è figlio di un’attitudine, non di una storia. Una improbabile (ma diffusa) teoria “pedagogica”, secondo cui attraverso pene, umiliazioni e sofferenze sarebbe possibile correggere le “storture” interiori, legittima il modello dell’esclusione carceraria e lo rende compatibile con i valori di comunità che continuano a rappresentare se stesse come civili. (la stessa teoria, peraltro, è sempre più in voga nelle scuole e nei luoghi di lavoro).

Anche gli esclusi hanno da essere gerarchizzati, in una specie di trionfo della meritocrazia: “Avrai per quello che ti sei meritato”. La pena sarà perciò progressiva, in termini di durata, ma non solo, a seconda dell’asocialità della colpa. Un esempio estremo è quello dei detenuti per reati di mafia: a parità di atto commesso i collaboratori di giustizia, a un certo punto, escono dal carcere, mentre gli altri no. Qual è la ratio? è che i primi manifestano un’attitudine maggiormente “sociale”. Non è ormai più il “gesto criminale” a essere “punito” o a dover essere “espiato”, ma bensì il carattere dell’autore. Di qui la divisione dei detenuti in circuiti: i comuni, quelli in Alta Sicurezza (ce ne sono di tre tipi) e, infine, quelli veramente “irrecuperabili”, al 41bis e/o all’ergastolo ostativo. Per questi ultimi l’esclusione è definitiva e totale. Agli uni viene impedita qualsiasi forma di relazione con l’esterno, agli altri viene tolta definitivamente la speranza di libertà.

Il 20 ottobre 2022 un singolo detenuto, Alfredo Cospito, inizia una battaglia contro l’inumanità dei regimi più “duri” perché, come lui stesso dice: “non è vita in 41bis”. Che si dessero problemi di civiltà in relazione a questi sistemi di detenzione nei salotti buoni si sapeva da tempo, e le Corti dei diritti, interrogate, si erano già espresse. Ma per gli esclusi di diritto e di fatto c’è poco da sprecar parole, quindi nulla sarebbe mutato. Alfredo Cospito, dall’interno del regime del 41bis, ha fatto l’unica cosa che poteva fare per opporsi al trattamento al quale era, insieme con molti altri, costretto. Non potendo mandare fuori parole o gesti, ha scelto il silenzio e la sospensione. Ha smesso di mangiare. La sua azione è stata una inazione.

Oggi, a più di 150 giorni dall’inizio del suo sciopero della fame, si può dire che il muro del silenzio sia ormai stato rotto. Della realtà e del senso dell’istituzione carceraria si è ricominciato a parlare. Una battaglia Alfredo l’ha già vinta.

Con la nostra iniziativa vogliamo contribuire alla discussione presentando alcune posizioni e testimonianze importanti per capire il funzionamento e il senso del sistema carcerario, perché:

COM’È IL CARCERE,
COSÌ È LA SOCIETÀ!


Domenica 26 Marzo ore 15
CAM Stadera - Via Palmieri 20

Tram 3
Milano

parteciperanno:

Maria Teresa Pintus - Avvocato Foro di Sassari
Charlie Barnao - Università degli Studi "Magna Græcia" di Catanzaro: Il 41bis è tortura
Elton Kalika - Università di Padova: Carceri speciali, 41bis e diritto penale del nemico
Associazione Antigone


L'incontro sarà trasmesso in streaming sul canale LOST

MATERIALI

testi di convocazione:
testo lungo
testo scorciato

contributi per un convegno a Napoli previsto per il 2020 e non fatto causa COVID:
Differenziazione, il regime di 41bis
Diritto penale del nemico e questione meridionale
Qualche interrogativo per il convegno napoletano



altri materiali:
Piattaforma Morire di Pena
Ospedale San Paolo, polo di riferimento per la medicina penitenziaria
Tutta colpa di Alfredo?
Sezione abolizionista dell'Archivio Primo Moroni (2004)
Circolare del DAP 2 ottobre 2017: Organizzazione del circuito detentivo speciale previsto dall'art. 41bis O.P.

milano 19 marzo 2023

il gruppo di lavoro dell'Archivio

contatti: archiviomoroni@inventati.org, cox18@inventati.or