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Milano mondo



Nei mesi scorsi il monopattino di Milano ha concluso rovinosamente la sua corsa verso il progresso, ch’era stata annunciata come irresistibile. Secondo noi, da qui si parte, e da qui non si torna indietro. Altri, al contrario, vorrebbero approfittare del clima emergenziale per rimettere subito sui vecchi binari il treno deragliato, dandogli una riverniciata e cambiandogli nome: si chiamerebbe “Smart City”.(1)

Questi gli ingredienti di base della trasformazione subìta dalla città negli ultimi quarant’anni:
- Una speculazione edilizia che, passo dopo passo, è riuscita a eliminare ogni residuo vincolo urbanistico, fino a rivoltare come un guanto il tessuto storico di Milano.
- Un consumo di suolo che fa segnare alla Lombardia il primato fra tutte le regioni italiane, con valori quasi doppi rispetto alla media nazionale(2), e che si rispecchia in cielo, dove ristagna stabilmente una spessa cappa di smog.
- La privatizzazione progressiva del sistema sanitario che, unita a un’iperspecializzazione tecno-terapeutica, ha fatto perdere il senso del benessere delle persone e del loro rapporto (fondamentale anche per la salute) con la società.
- Il terzetto seduttivo di massa:
“moda”, quella prêt-à-porter da comprare, originale o taroccata, e quella delle grandi firme, soltanto da sognare a occhi aperti;
“design” - con la sua arrogante impostura;
“cultura & tempo libero”, binomio unificato dall’offerta di merci culturali e d’intrattenimento banali, costose e malsane.
- L’“abbassamento” del suo popolo, ridotto a un’informe calca alla quale rifilare paccottiglie varie sulla darsena all’ora dell’aperitivo, rinominato “happy hour”. Non si è ancora riusciti a capire esattamente come, ma questo è quanto è accaduto agli abitanti di questa città. Ciò appare tanto più notevole in quanto, nonostante tutti i loro limiti e difetti, queste genti (in primo luogo gli operai, ma non solo loro) in precedenza
- erano insorte contro le truppe di Radetzky (1848),
- avevano sfidato le cannonate di Bava Beccaris e lo stato d’assedio (1898),
- per ultime in Italia avevano ceduto alle squadracce di Mussolini (1922) e poi “l’avean tacà su in piazzale Loreto” (1945),
- avevano mostrato nervi abbastanza saldi e una determinazione sufficiente per stoppare la Strage di Stato e i suoi piani (1969),
- per tutto il decennio successivo erano state capaci di mandare in cortocircuito il funzionamento dell’intera città-fabbrica.

Con una politica urbanistica nello stile reso famoso da Expo 2015, che altro non fu se non una costosa operazione di marketing urbano, “Milano vende fuffa” si è valorizzata nella dimensione del fittizio pompando il flusso globale di persone e soldi. Viaggiatori coi portafogli pieni spingevano verso l’alto il costo complessivo di una vita che diventava sempre più faticosa per tutti, e chi non ce la faceva era relegato ai margini, nelle periferie non ancora investite dalle manovre speculative, oppure espulso ancora più lontano. Così voleva l’ideologia della meritocrazia, ideologia che ovviamente valeva solo per la massa dei concorrenti, come nel film “Non si uccidono così anche i cavalli?”, non certo per la casta dei “vincenti”, “too big to fail”.

I quartieri gentrificati han perso l’anima e la sapienza, mentre avventori da un morso e via hanno bevuto (parecchio), leggiucchiato (poco e male), mosso freneticamente le dita sul tastierino e, soprattutto, consumato consumato consumato in un progressivo crescere dell’ansia urbana.

Ora il giocattolo si è rotto. Quale fosse il suo meccanismo un po’ lo sapevamo. Anche senza avere potuto “aprirlo” per osservarne l’interno, come facevano i bambini d’un tempo, avevamo comunque sperimentato la messa al bando, la trattativa nascosta nella penombra, l’uso esibito della forza, il diritto del più forte fin nelle aule dei tribunali. Immagini frammentarie, certo, ma meglio che niente.(3)

Oggi le cose si sono fatte ancora più chiare.
Abbiamo bisogno di spazio, di pratiche di autogestione, di comunità locali che si riconoscano e siano capaci di agire con intelligenza e autonomia, di costruire forme di mutuo soccorso efficaci e di difendere lo spazio vitale dalla voracità della speculazione. Ne avremo bisogno in tanti perché la ferita apertasi lo scorso febbraio non si rimarginerà né per incanto né velocemente, rischiando invece di suppurare se si pensa di usare la messa a valore del metro cubo come medicina.

Le vicende di Torchiera, Ri-make, Lambretta ed altri, come anche quelle dei due recenti e fulminei sgomberi di nuovi spazi sociali occupati, s’inscrivono in questo quadro e ci ricordano che siamo parte di un conflitto in cui è in gioco qualcosa di più della governance del capoluogo lombardo, come del resto ci mostrano eloquentemente le immagini che ci arrivano dalle strade USA. Diversi sono gli scenari che abbiamo di fronte. Per brevità ne citiamo tre:(4)

- La continuazione ancora per un po’ dello status quo neoliberale, il che equivale in tempi brevi se non brevissimi all’apertura di una nuova rottura critica del sistema sul piano economico e su quello ambientale.

- Il riallineamento delle classi dominanti sotto la direzione di uno Stato ulteriormente rafforzato nel controllo e nella sorveglianza sociale, al fine di garantire una prospettiva di crescita dell’economia.

Infine vi è uno scenario in cui i movimenti sociali sanno coniugare lotta, trasformazione sociale e iniziative dal basso riuscendo a imporre la priorità del vivente.


Ci vediamo in Piazza Castello, alle tre del pomeriggio del terzo sabato di settembre duemilaventi.



Qui eravamo, qui siamo rimasti, qui rimarremo.
Milano, 15 settembre 2020


CSOA Cox 18
Archivio Primo Moroni
Calusca City Lights

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(1) - Cfr. smartcity-paper.pdf
(2) - Cfr. il Rapporto SNPA 2020.
(3) - Le abbiamo messe qui.
(4) - Su questi temi e scenari, è da ascoltare "Non rimane che prepararci ad entrare nella storia"


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