Giu 032013
 

Le rivolte recentemente avvenute all’interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione hanno prodotto risultati di notevole entità. Sui 10 C.I.E. attivi ben 8 (Bari, Caltanisetta, Crotone, Gorizia, Milano, Modena, Roma e Torino) operano a capienza ridotta in seguito ai danneggiamenti causati alle strutture e quello di Bologna è stato chiuso per restauri. Il risultato ottenuto degli attacchi è stato una netta diminuzione degli internamenti e delle deportazioni. Secondo i dati delle autorità, nel 2012 su 16.159 richieste di internamento non è stato possibile assegnarne 9.800 per carenza di disponibilità. Le rivolte hanno quindi permesso, ufficialmente, a quasi 10.000 individui di evitare la permanenza in questi squallidi luoghi. Ma, in pratica, sono molti di più quelli che hanno tratto beneficio dalle rivolte, in quanto la mancata disponibilità di posti blocca a valle il lavoro della polizia. Niente posti nei Centri significa niente retate e minori controlli ai danni degli immigrati. Quanto avvenuto all’interno dei Centri è la più importante pagina di lotta di classe scritta recentemente in questo Paese. Gli “sbarcati” che hanno portato con sé il vento della primavera araba e i nuovi schiavi che, o accettano qualsiasi condizioni di sfruttamento o “via, fuori dalle palle”, hanno saputo tenere testa ai loro sfruttatori, mettendo fuori uso uno dei principali strumenti con cui vengono oppressi: i lager per immigrati. I deportati, senza chiedere niente a nessuno e senza avere nessuno a cui chiederlo, sono riusciti, con la lotta, ad imporre rapporti di forza più favorevoli a loro. Sono riusciti, se non a sconfiggere lo Stato, a metterlo in seria difficoltà e a farlo retrocedere, per lo meno temporaneamente, dai suoi progetti oppressivi. Hanno fatto tanto.

Come sta reagendo lo Stato di fronte alla sfida lanciata dagli esclusi? Anche se, in seguito alle rivolte ed agli incendi, gli alfieri della “società civile” hanno parlato di chiusura dei C.I.E., le linea del potere è quella di non arretrare di fronte a questo come agli altri movimenti di lotta sociale che stanno prendendo piede. L’ indicazione che gli strateghi del dominio stanno dando è di portare a termine la fase di ristrutturazione capitalista in corso tramite un utilizzo della forza pianificato nel tempo in maniera progressivamente crescente. Se questa forza risulta sproporzionata rispetto alla conflittualità sociale realmente espressa è perché è calibrata, in prospettiva anti- insurrezionale, sulle potenzialità di conflitto che la situazione può generare. Nel processo di ristrutturazione l’incarceramento di una parte della popolazione, attualmente improduttiva, è un aspetto centrale, una linea del fronte di classe appunto. Questa tendenza va contrastata ma non è certo il caso di farsi delle illusioni. Per quanto riguarda i C.I.E., il potere vuole chiare inequivocabilmente che la detenzione amministrativa dei migranti (introdotta in Italia dal 1998) è una pratica ormai consolidata che non va più messa in discussione. Per questo i dispositivi per il controllo dell’immigrazione vanno potenziati e affinati alla luce dell’esperienza maturata.

Di questo ci parla un interessante testo: il Documento Programmatico sui Centri di Identificazione ed Espulsione, pubblicato dal Ministero dell’Interno nel 2013. Il documento è frutto del lavoro di una “task-force, interna al ministero”, istituita dal Ministro Cancellieri e composta in buona parte da Prefetti. Lo scopo è quello di analizzare la situazione in cui si trovano i C.I.E. e di sviluppare proposte per migliorarne il funzionamento. Questo documento dice molte cose e altre ce le fa intuire. Ovviamente essendo un documento programmatico le indicazione contenute sono consigli ed indirizzi non ancora attuati ma più che sufficienti per farci capire che aria tira nei palazzi del potere. Tra le cose non scritte ma che si leggono tra le righe vi è il giudizio impietoso che i tecnici emettono sull’operato dell’ex ministro Maroni, la merdaccia leghista non viene mai nominata ma le conclusioni del documento rigettano il suo operato. Come sappiamo Maroni ha peggiorato le condizioni degli internati per trarne vantaggi di natura politica (aumento del periodo di detenzione fino ad un periodo massimo di 180 giorni, peggioramento delle qualità della vita all’interno dei Centri in conseguenza dell’introduzione di un sistema di appalti al ribasso, limitazione all’accesso alle strutture da parte di organismi indipendenti di controllo, ecc…). Queste misure tese a fare dell’immigrato il capro espiatorio su cui far sfogare le frustrazioni di un elettorato scontento, non potevano che diffondere la disperazione e la rabbia nei centri e, di conseguenza, produrre rivolte. L’analisi dei tecnici partendo dalla constatazione delle limitazioni e degli oneri economici che l’amministrazione deve sostenere in seguito alle rivolte propone la rimozione di tutte quelle misure demagogiche. Attenzione però, non vi è alcun intento umanitario nella loro proposta ma l’obbiettivo di razionalizzare l’istituzione. Nella loro ottica, infatti, per evitare rivolte, se da un lato si devono cancellare le misure più inutilmente brutali, dall’altro va potenziato l’aspetto repressivo delle strutture.In questo senso vanno i consigli che danno alle istituzioni.

Innanzitutto viene auspicato il rafforzamento delle misure di sicurezza, che dovrebbero rifarsi sempre più esplicitamente a quelle in uso nelle carceri. I C.I.E. sono generalmente collocati in strutture riadattate allo scopo e che non avevano precedente funzione carceraria, uno degli obbiettivi delle prossime ristrutturazioni sarà quello di aumentare le difese passive per scoraggiare le fughe. Da un punto di vista architettonico i Centri tenderanno a colmare le differenze che li distinguono dalle carceri.

Verrà introdotta la pratica della “differenziazione” degli internati. Se attualmente l’unica distinzione avviene in base al genere, in futuro verranno presi in considerazione anche l’etnia, lo status giuridico, il grado di pericolosità dimostrato.

Si prevede di creare percorsi di internamento “differenziati”. Per controllare gli internati più accondiscendenti sarà sufficiente rendere meno noiosa la detenzione, in considerazione del fatto che l’ozio forzato aumenta aggressività e malessere. Mentre per i più riottosi sono previste varie misure di contenimento: l’utilizzo di trasferimenti per i ribelli, l’introduzione di norme legislative che aggravano i reati commessi all’interno dei Centri, la creazione di “moduli idonei ad ospitare persone dall’indole non pacifica”.

L’aspetto medico viene ritenuto di cruciale importanza per la gestione dei C.I.E. È stato evidenziato come la condizione di internamento nei Centri generi sofferenza psichica e frequenti atti di autolesionismo. Questi fenomeni dovrebbero essere arginati tramite il perfezionamento di un apparato di controllo psicologico e medico permanentemente attivo all’interno delle strutture. Le strutture mediche non dovrebbero essere affidate ad esterni, né al direttore del C.I.E., ma operare sotto il diretto controllo del questore.

Importanti modifiche sono previste anche per quanto riguarda la gestione dei Centri. Va ricordato che i Centri sono gestiti da enti privati. Ciò vuol dire, ad esempio, che gli operatori della Croce Rossa Italiana, dove sono presenti, non svolgono una funzione di supporto umanitario esterno, ma sono quelli che fisicamente chiudono a chiave le celle. Attualmente solo l’utilizzo della forza è delegato all’autorità (prefetto o questore) che predispongono l’intervento della celere. Le nuove disposizioni criticano la disomogeneità vigente tra i diversi enti gestori, insistendo su l’affidamento dell’incarico ad un gestore unico nazionale. Questo dovrebbe avvalersi di operatori specializzati, addestrati dall’amministrazione penitenziaria, che verranno coadiuvati dalle forze di polizia. Sarebbe il primo grande gestore privato nel settore carcerario operante in Italia. Ricordiamo che l’apertura ai privati del settore carcerario ed il conseguente Businness penitenziario è una pratica consolidata nei paesi anglosassoni, verso la quale il precedente governo Monti ha operato le prime aperture legislative.

Preoccupati del fatto che quanto recentemente accaduto nei Centri ha destato l’interesse della classe politica, dell’opinione pubblica e degli organismi di controllo internazionale, determinando quello che definiscono una “sovraesposizione del problema”, i burocrati tentano di risolvere il problema a modo loro. Fedeli al motto “solo ciò che appare esiste” non si preoccupano certo delle sofferenze degli internati quanto del fatto che il pubblico le ignori. Perciò la pratica di distruggere le fotocamere dei cellulari, gia diffusa nei Centri., per impedire che escano immagine relative ai pestaggi ed alle inumane condizioni di detenzione, deve essere formalizzata in divieto. Perciò l’utilizzo di telefoni cellulari, consentito dalla legge Turco-Napolitano, deve essere limitato dall’arbitrio delle guardie affinché non possa favorire “ il compimento di atti di rivolta, il tentativo di evasione o contatti con l’esterno idonei a compromettere la sicurezza del centro”.

Questo è quanto ci dicono i burocrati con il loro documento, dietro il cui linguaggio tecnico si nasconde la banalità del male. La macchina dello Stato deve funzionare, le variabili umane vanno adattate alle esigenze dei numeri. Il C.I.E. non è che uno strumento per governare i rapporti di sfruttamento e per funzionare meglio deve divenire un entità separata, impenetrabile, ineludibile, sottoposta all’arbitrio e dalla discrezionalità dei sorveglianti. Il dominio sta conquistando posizioni nel campo dello scontro di classe, le posizioni che conquista le ritiene acquisite in via definitiva e solo alla parola rivoluzione è legata l’ipotesi della loro riconquista. In questo momento l’interesse, non tanto di chi scrive, ma degli sfruttati in genere è di sbarrargli il passo, frenando ovunque sia possibile la sua avanzata. Così hanno fatto migliaia di internati nei C.I.E., mettendo a segno i loro colpi. Ognuno può rendersi conto dell’importanza, in questo periodo, di mantenere aperti i varchi di comunicazione con questi lager, di continuare le forme di supporto e solidarietà che si sono finora espresse, di tessere relazioni tra i focolai di lotta che si accendono.

da Invece