« Ogni anno lo Stato spende cen­tinaia di milioni in sussidi di cas­sa malati, assegni integrativi, as­segni di prima infanzia, presta­zioni complementari, assistenza. Oltre cinquanta milioni nel 2005 solo per quest’ultima. Verrebbe da chiedersi come sia possibile che con un simile sistema ci sia chi deve ricorrere alle mense per i po­veri. Il riscontro avuto dal proget­to “con-dividere” impressiona. Certo il budget che ricevono le per­sone in assistenza è limitato, più che comprensibile che venga colta l’opportunità di arrotondare per quanto riguarda la voce “cibo”. C’è poi chi si rivolge alla solida­rietà privata piuttosto che allo Stato perché non vuole dipendere dall’ente pubblico, perché è inti­midito dalle figure istituzionali, perché teme di essere giudicato. In Svizzera si stima che la metà dei potenziali beneficiari di presta­zioni assistenziali non si faccia avanti. C’è infine una categoria di persone di cui lo Stato si occupa effettivamente in modo insuffi­ciente: quella dei clandestini, dei nem ».

All’orizzonte, allora, even­tuali “rammendi” alla Laps?

« La Legge sull’armonizzazione e il coordinamento delle prestazio­ni sociali è in vigore dal febbraio del 2003. La Laps e le leggi da essa coordinate sono già state oggetto di correzioni. In positivo e in ne­gativo. Un miglioramento consi­ste nell’introduzione di un contri­buto al costo del collocamento dei bambini in asili nido o in fami­glie diurne. Vi sono stati però an­che peggioramenti. Il parlamento ha deciso quest’anno di posticipa­re di un mese il primo versamento della prestazione attribuita (di assistenza o assegno integrativo o di prima infanzia). Le ultime riforme volute dal legislatore hanno reso la Laps più severa ».
Numerosi cittadini in diffi­coltà nemmeno sanno tutta­via della possibilità di far capo a determinati aiuti stata­li. Altri sono dissuasi nel farsi avanti dalla macchina buro­cratica. Altri rinunciano a causa dei tempi lunghi prima dell’arrivo del sostegno. La sensazione è che ci sia un “vuoto” tra il cittadino che si trova in una situazione di bi­sogno e gli sportelli e l’intero sistema Laps, che manchi in­somma una maglia alla rete.
« Il primo passo che il cittadino in difficoltà deve fare è presentar­si al proprio Comune. Il rapporto di prossimità deve aver luogo a quel livello. Nei Comuni grandi c’è un ufficio sociale, in quelli pic­coli è spesso l’agenzia Avs che for­nisce aiuto. È nei Comuni che i cit­tadini ricevono in ogni caso le informazioni più importanti per le richieste di sostegno allo Stato. Gli enti locali fissano un appun­tamento con gli sportelli Laps, nei casi più gravi accompagnano an­che. Quando si usano i soldi dei contribuenti ci vogliono regole ab­bastanza rigide, altrimenti na­scono polemiche che finiscono per delegittimare le politiche sociali stesse. Anche per le spese improv­vise, puntuali, per quelle spese che rischiano di far precipitare nella povertà chi è già in difficoltà, do­vrebbero essere i Comuni il punto di riferimento. Non molti enti lo­cali si assumono tuttavia questo compito. L’auspicio è che lo faccia­no e che siano in generale più pre­senti, magari attraverso operato­ri sociali comunali ».

Quale relazione tra le tra­sformazioni nel mondo econo­mico e lavorativo e la povertà?

« I dati sull’evoluzione della spe­sa del Cantone per l’assistenza sono eloquenti. Il 2001 è stato un “anno felice”. La congiuntura era buona. La spesa per l’assistenza limitata. Dal 2001 al 2006 gli aiuti statali sono tuttavia aumentati dell’82%. Tra il 2002 e il 2003 c’è stato un incremento vertiginoso della disoccupazione. Le spese del­l’assistenza poco dopo hanno se­guito. Il dato più preoccupante? Solo l’11% di coloro che percepi­scono prestazioni assistenziali ha un reddito da lavoro. L’89%, sep­pur in età lavorativa, non ha un’occupazione. La grande com­petitività, le nuove esigenze delle imprese, la crescente versatilità ri­chiesta non sono prive di conse­guenze.
Con una congiuntura mi­gliore? Le cose non miglioreranno istantaneamente. Ci vuole molto tempo per “far rientrare” chi è ri­masto escluso. Alla fine del 2005 le economie domestiche che riceveva­no in Ticino un assegno integrati­vo, un assegno di prima infanzia o l’assistenza erano 5’221 (2’594 solo o anche con assistenza), per un totale di 13’406 persone (4’800 solo o anche con assistenza) ».

Nuovi progetti in vista per far fronte alle crescenti situa­zioni di disagio, per non la­sciare allo sbaraglio chi non è trattenuto dalla rete Laps?

« Da uno studio condotto alcuni anni or sono è emerso che, in dodi­ci mesi, erano state riscontrate in Ticino 800 situazioni di bisogno estremo, compresa la mancanza di un tetto. La Divisione dell’azio­ne sociale aveva allora promosso incontri regionali contro l’esclu­sione, a cui erano stati invitati rappresentanti dei servizi pubbli­ci e privati, delle polizie, delle as­sociazioni, delle parrocchie. Ne sono risultati progetti di creazio­ne di centri d’accoglienza e di soli­darietà poco istituzionalizzati, che possano fungere anche da portali d’accesso ai servizi sociali, sanitari, di orientamento, di collo­camento. Alcuni si stanno realiz­zando. Nel Mendrisiotto, a Ligor­netto, a intercettare chi è nel biso­gno estremo è impegnata Casa Astra, gestita dal movimento dei Senza Voce, che ha ricevuto dal Cantone un aiuto per il 2007. A Chiasso, il Comune sta pensando a una struttura simile, orientata però verso i giovani. Anche a Mu­ralto, con la Fondazione il Gab­biano, ci si sta muovendo in que­sta direzione. A Breganzona, la Home Compagna è stata ritirata della Fondazione Sirio, che fian­cheggia l’Organizzazione socio­psichiatrica cantonale. Questi luoghi di solidarietà sono la nuo­va frontiera dell’intervento socia­le. Il servizio pubblico ha dei limi­ti, su tutti quello di seguire gli ora­ri d’ufficio. Il disagio si manifesta anche alle dieci di sera, a mezza­notte, il sabato, la domenica. Biso­gna intercettarlo, con un sistema aperto, con una formula meno istituzionale. Si deve poter offrire un pasto o un tetto se c’è la neces­sità. Questi centri non devono es­sere dei ghetti, ma luoghi aperti, anche di animazione sociale e cul­turale. A Lugano, uno spazio ideale per un’iniziativa di questo tipo potrebbe essere l’ex-Macello: una “cittadella della solidarietà” che dovrebbe nascere dalla colla­borazione fra associazioni e servi­zi sociali pubblici e privati. Vi avrebbe un posto importante an­che l’iniziativa recente “con-divi­dere” di Sos-Ticino. Ci vorrà del tempo. Ci stiamo lavorando ».

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