Il Caffé – 27.06.2021

Non si meraviglia del fatto che in Parlamento non ci sia stata la discussione generale sulla demolizione del vecchio Macello di Lugano. Ex procuratore pubblico, in prima linea con l’associazione “Uniti dal diritto” nella difesa dei diritti umani e della legalità democratica, l’avvocato Paolo Bernasconi sa come va la politica ticinese, conosce bene la disinvoltura con cui rimuove i problemi più delicati. “Ma il dibattito in Gran consiglio sarebbe stato necessario per sottolineare o ricordare, quanto meno, gli aspetti più controversi di questo caso – afferma -. Visto che nessuno dice la verità, né il municipio di Lugano, né il governo”.

Avvocato, crede che ci siano oggi le condizioni per mediare e riavviare il dialogo con il Centro sociale?
“La mediazione richiede quattro requisiti inderogabili: la verità dei fatti, il riconoscimento delle responsabilità, l’allontanamento dei responsabili, anche con le dimissioni, e infine la riparazione del danno e del torto subito. Solo a partire da queste condizioni tassative la mediazione è efficace e rende fattibile il dialogo”.

Un possibile mediatore?
“Ci sono tanti avvocati che da giovani hanno frequentato il Centro sociale autogestito, oggi professionisti affermati, che conoscono le regole dell’una e dell’altra parte per poter mediare”.

Sulla demolizione della sede del Csoa si vorrebbe anche una Commissione parlamentare d’inchiesta. È una richiesta giustificata?
“C’è già un’inchiesta della Procura, dopo di questa ci sono gli accertamenti che dovranno fare la Sezione degli enti locali e l’indagine amministrativa promessa dal municipio di Lugano. Ma anche il Consiglio di Stato dovrebbe avviare un’inchiesta interna sul comportamento della polizia e, se è il caso sanzionare, indipendentemente dalle indagini della magistratura e dalla rilevanza penale, eventuali violazioni delle regole e delle procedure amministrative. Solo alla luce dei risultati di questi procedimenti si può valutare la necessità o meno di un’inchiesta parlamentare”.

Intanto, però, per via dell’inchiesta della magistratura in corso, si blocca ogni domanda, ogni interrogativo dei media anche solo sugli aspetti politici di questa vicenda.
“Questo è un altro problema e riguarda la progressiva riduzione degli spazi per il giornalismo, per il diritto d’informazione che è garantito dalla Costituzione. Si dimentica che sono stati i media a portare alla luce gli elementi più inquietanti di quella che voi del Caffè avete definito la Politica delle ruspe. Ma c’è un altro aspetto importante da ricordare…”.

Quale?
“Il codice di procedura penale stabilisce che si può imporre il divieto di parlare delle indagini in corso solo se sussiste il pericolo di collusione e/o d’inquinamento delle prove. Senza questo pericolo e una conseguente diffida, non c’è neanche l’obbligo del segreto istruttorio”.

Ma è proprio per evitare questo rischio che i municipali luganesi sono stati interrogati contemporaneamente e da procuratori differenti.
“Certo. È non è stato un bel segnale di fiducia nei loro confronti. C’è però un’incongruenza: ai municipali è stato concesso di avere lo stesso avvocato. Il che francamente mi pare un controsenso”.

Che idea si è fatto di questo caso?
“Che era tutto pianificato e organizzato. Col settimanale leghista che ha preparato il terreno martellando ogni domenica sui ‘brozzoni’ da mandare via. È solo un’altra tappa di un processo autoritario che sta investendo il cantone”.

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