La polizia diede alla municipale un rapporto per i colleghi
R.C. su Il Caffé del 27 giugno 2021

A interrogarla lo scorso martedì è stato il procuratore capo Arturo Garzoni. Importante, parecchio importante nel suo verbale è stata la ricostruzione dei giorni immediatamente precedenti sabato 29 maggio. Cioè il giorno in cui si è deciso di sgomberare la sede degli “autogestiti”, di distruggerne il tetto e – improvvisamente, ancora non si sa come e perché – all’una e mezza di domenica 30 di abbattere l’intero stabile. L’ex Macello in viale Cassarate a Lugano. E sì, le pagine del verbale di Karin Valenzano Rossi, capo del Dicastero sicurezza e spazi urbani, sono determinanti per comprendere cosa è veramente accaduto e non è accaduto nella catena di comando e decisionale che un mese fa ha portato all’abbattimento del fabbricato. Macerie ancora fumanti di polemiche politiche e al centro di un’inchiesta penale per abuso di autorità. Oltre che per violazione della legge edilizia e di quella relativa alla protezione dell’aria e dell’acqua, per i pericoli causati dalla presenza di amianto.
Abuso di autorità. È questo il reato che sta creando uno scontro istituzionale. Tra Bellinzona, Lugano e le polizie. Quella “Cantonale” e quella “Comunale”. E per capire cosa è accaduto, tornare ai giorni precedenti il 29 di maggio… è essenziale. Non per nulla la magistratura ha acquisito agli atti verbali e rapporti sulle sedute e le decisioni del Municipio.

Karin Valenzano Rossi al procuratore Garzoni ha spiegato che mercoledì 26 maggio la polizia le ha presentato quale fosse il piano di azione per governare eventuali emergenze prima, durante e dopo la manifestazione indetta dagli “autogestiti”.
La polizia ha consegnato a Valenzano Rossi una relazione, poche cartelle siglate dal comandante, Roberto Torrente, e dal capo area operativa, Mauro Maggiulli. Nella relazione non si escludeva la possibilità di uno sgombero dello stabile. D’altra parte già dalla seconda metà di marzo gli “autogestiti” avevano ricevuto più ingiunzioni di sfratto da parte del Municipio. “Ordini” mai rispettati.
Il piano della polizia prevedeva l’operazione di sgombero nel caso in cui la manifestazione fosse degenerata. Nel caso in cui si fossero verificati degli scontri. Ma la polizia – e certamente anche i municipali – in quei giorni sapevano che gli “autogestiti” avrebbero potuto, sabato 29, occupare temporaneamente uno stabile disabitato. Il sospetto c’era e non occorreva essere grandi investigatori per decifrare alcuni volantini circolati in quei giorni.
Dunque, mercoledì 26 la polizia ha dettagliatamente spiegato alla municipale i possibili piani di intervento. E fin qui, nel racconto a verbale, tutto collima con quanto emerso immediatamente dopo i fatti. Tutto collima con il racconto di un’altra polemica scoppiata fra magistratura e polizia.
Da settimane prima era stato costituito un “gruppo di picchetto rafforzato” tra polizia giudiziaria e magistrati. Alcuni procuratori erano stati messi in allarme per quel sabato. Sarebbero dovuti intervenire se allertati dalla “giudiziaria” in caso, appunto, di scontri ma anche nell’eventualità si fosse deciso (come è effettivamente avvenuto) di procedere allo sgombero dell’ex Macello. Così era stato deciso, addirittura anche il giorno prima in un incontro fra magistratura e polizia. Sì, in caso di sgombero il gruppo avrebbe dovuto essere allertato. Figuriamoci in caso di abbattimento del tetto e, addirittura, dell’intero stabile! Karin Valenzano Rossi ha raccontato dettagliatamente al procuratore quanto la polizia le ha detto, specificando di aver riferito il tutto il giorno successivo, giovedì 27, ai colleghi municipali. E cioè: a verbale ha raccontato di aver illustrato all’esecutivo ogni particolare della relazione ricevuta dalla polizia. Ogni opzione. Ecco anche perché oggi potrebbero risultare determinanti le carte del Municipio acquisite agli atti e le testimonianze di tutti i colleghi di Valenzano Rossi. Non solo di chi sabato 29 ha autorizzato e non ha autorizzato lo sgombero e qualche ora dopo l’abbattimento del tetto. A tutt’oggi il Municipio sostiene di essersi limitato a dire sì allo sgombero (attorno alle 21.30) e un’ora dopo ad autorizzare l’abbattimento del tetto. Come e perché all’una e mezza di quella notte si sia arrivati a distruggere l’intero ex Macello… è ancora un mistero.
A verbale Karin Valenzano Rossi ha confermato ciò che sulla stampa è stato pubblicato nei giorni successivi sabato 29. Quella sera lei ha fatto da tramite fra la polizia e i colleghi municipali, primo fra tutti il sindaco, Marco Borradori. Niente di più e niente di meno, ha sostenuto. Gli unici due municipali che non hanno autorizzato nemmeno lo sgombero sono stati Roberto Badaracco e Cristina Zanini Barzaghi. Ecco perché, ha sempre sostenuto Valenzano Rossi, verso le 22 lei non li ha chiamati per chiedere un sì o un no all’abbattimento del tetto. Il loro rifiuto era scontato. E di contro lo stesso è accaduto con il municipale Lorenzo Quadri. Non è stato chiamato perché il suo sì era scontato.

Il mondo della cultura sul ruolo della politica – Sull’ex Macello non c’è solo un risvolto giudiziario

Il dibattito sul caso dell’ex funzionario del Dipartimento sanità e socialità condannato per coazione sessuale e violenza carnale in Gran Consiglio c’è stato. Quello sul Molino no. Perché? La maggioranza si è trincerata dietro il fatto che per l’ex Macello c’è un’inchiesta in corso. Ma la politica non dovrebbe anche cercare responsabilità che non sono quelle penali, capire cosa non ha funzionato? “L’impressione complessiva della vicenda, per come è stata gestita, prima, durante e dopo lascia a dir poco sconcertati – dice Fabio Merlini, direttore della sede della Svizzera italiana dell’Istituto universitario federale per la Formazione professionale -. La politica deve esprimere un giudizio su ciò che è accaduto a Lugano, che non è, e non deve essere, quello del magistrato. Invece è andata in scena una sorta di deresponsabilizzazione a più livelli, con la politica che non è stata capace di assumersi le  proprie responsabilità che sono altre rispetto a quelle che dovrà appurare la magistratura”.
Per Fabiano Alborghetti, scrittore e presidente della Casa per la letteratura, “la politica deve per forza fare un passo indietro quando c’è un’inchiesta della magistratura in corso. Certo, si potrebbe spingere per un dibattito, ma il rischio sarebbe quello di avere delle reazioni di pancia che potrebbero fare male a una parte o all’altra”. Secondo Alborghetti “la politica avrebbe dovuto fare un passo indietro prima, prima di violare un accordo con gli autogestiti. Perché i molinari potevano restare all’ex Macello fino al 2023. Se una delle parti in causa cambia le carte in tavola è difficile non abbattere anche il dialogo. Nel mondo culturale ho avvertito una certa ritrosia da parte degli operatori diciamo più istituzionali. E questo è un peccato. Perché oggi è toccato agli autogestiti, domani potrebbe toccare a noi avere a che fare con le ruspe”.
Gianni Biondillo, scrittore molto popolare, architetto e docente all’Accademia di Architettura di Mendrisio, racconta che “molti anni fa il centro sociale più conosciuto a Milano, il Leoncavallo, visse un’esperienza simile. E allora ci si accorse che bisognava fare un salto di qualità, diventare adulti e dunque trovare persone che fossero interlocutori con il Comune. Si era capito che la gestione assembleare non sempre funzionava, serviva un dialogo, perché la pace non si fa tra amici, si fa tra avversari, tra nemici”. Biondillo è convinto che i centri sociali non debbano essere un corpo estraneo nelle città “ma devono far parte della società civile. E la politica, che è una parola nobile, deve avere un ruolo centrale in questo processo”.

“Se non avranno un tetto ci saranno sempre tensioni”

Aveva consigliato al Municipio di lasciare in pace “i Molinari”. Aveva sconsigliato il pugno di ferro col Csoa, il Centro sociale autogestito. Ora, dopo che con la demolizione del vecchio Macello è scoppiato un caso politico giudiziario, alla domanda come uscirne, l’ex sindaco di Lugano Giorgio Giudici scuote la testa: “Non lo so proprio come si possa uscire da questa situazione. So solo che sino a quando gli autogestiti non avranno un nuovo tetto ci saranno sempre delle tensioni”.

Oggi si insiste sulla necessità di riprendere il dialogo, non pensa sia possibile?
“Non è facile, il tutto si è talmente ingarbugliato, le voci sono talmente discordanti che è difficile trovare una versione univoca. Da dove cominciare il dialogo? Dopo che si è enfatizzato e inasprito un problema che invece bisognava lasciar sopire,  impegnandosi a lavorare sui veri problemi della città”.
Lo scenario di quello che sarebbe successo dopo la demolizione, per lei era già evidente?

“Certo. Come è evidente che oggi Lugano è arrivata sulle pagine della stampa nazionale per una brutta storia come questa e non per essere una città che vuole crescere. Un grave danno d’immagine per tutta la regione”.
Mercoledì scorso il Parlamento ha respinto la richiesta di una discussione generale sul Macello, come giudica questa decisione?
“Anche se ci fosse stato il dibattito generale, non si sarebbe arrivati a nulla. La vera questione è che non bisognava arrivare a questo punto, a mettere in moto, chissà per quale isteria, un processo  che ha ingigantito un non problema con l’esito che abbiamo visto. Oggi assistiamo alla contrapposizione tra un fronte che ha fatto di questa vicenda un caso da cui il Municipio deve difendersi e chi ha voluto un braccio di ferro senza intuirne le conseguenze”.
Il Municipio non ne esce comunque bene, non crede?
“Non sta dando una bella immagine di sé. Si scaricano le responsabilità l’uno sull’altro e a legislatura appena iniziata ci ritroviamo con un esecutivo disunito. Non so come andrà a finire”.
Cosa rimprovera a questo esecutivo?
“Non aver capito che la politica è realismo e pragmatismo. Nel caso specifico non aver capito che il Macello non era un problema sostanziale. Che sostanziale era, invece, portare avanti la crescita della città, concretizzando quella strategia di sviluppo per poli che avevamo delineato noi”.

Secondo lei, è ammissibile, o credibile, che il Municipio abbia dato il via libera solo per la demolizione del tetto della sede del Csoa e che la polizia abbia invece fatto di testa sua buttando giù tutto?
“Boh, cosa vuole che le dica… Se c’è da smantellare solo un tetto si chiamano i carpentieri e non le ruspe”.
Lei recentemente ha rinfacciato al municipio che “quando si eredità una realtà senza consapevolezza diventa difficile gestirla”. A quale realtà si riferiva?
“Alla realtà dell’aggregazione dei Comuni da cui è nata la nuova Lugano. Al fatto che era necessario capire cosa significhi il modello aggregativo, come perfezionarlo per creare maggiore integrazione e coglierne i frutti. Alle potenzialità legate al rilancio dell’aeroporto. Allo sviluppo dei poli: universitario, culturale, sportivo-residenziale, congressuale, verde, scientifico. Noi abbiamo realizzato l’Università, il Lac, case per anziani e scuole, abbiamo lasciato un patrimonio immobiliare enorme. Loro sono riusciti a combinare un grande pasticcio con il polo di Cornaredo. Oggi ci ritroviamo al punto di dover ricostruire l’immagine della nostra città”.

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