TicinOnline – 16 ottobre 2021

Si allontana il reato di “abuso di autorità”, mentre per ora rimane l’accusa ai Molinari di “violazione di domicilio”. I bassi quantitativi di materiali pericolosi tra le macerie della sede degli autogestiti non sarebbero stati tali da creare pericoli.

LUGANO – Una sorta di tragicommedia… degli equivoci. Di malintesi. “Non ho detto proprio così…”. “Sì ma io ho capito che…”. Nell’inchiesta penale sui fatti di fine maggio all’ex Macello di Lugano – cioè l’abbattimento di quel che per anni è stata la sede degli “autogestiti”, i Molinari – molto si starebbe giocando sul detto e sul non detto, ma soprattutto sulle incomprensioni nella catena di comando che, tra sabato 29 e domenica 30 maggio scorsi, ha permesso e autorizzato la distruzione del ‘Centro sociale’ di Viale Cassarate. Il lavoro della magistratura dovrebbe comunque chiudersi entro novembre, così è previsto.

La catena di comando – Se le oggettive responsabilità della politica (a livello comunale e cantonale) e della polizia (anche in questo caso, comunale e cantonale) sono avvolte nella nebbia degli equivoci, è anche vero che sino ad ora risulta difficile individuare e provare eventuali reati penali. Dalla ‘messa in pericolo della vita altrui’ all’abuso di potere da parte delle autorità, passando dalle violazioni della legge sulla ‘protezione dell’ambiente’ e delle norme edilizie. Il Ministero pubblico indaga da giugno e, stando a quanto risulta a Tio/20Minuti, il confuso intreccio di ordini e indicazioni nella catena di comando potrebbe determinare (ma al momento l’ipotesi è prematura) un decreto di abbandono per il reato, quello politicamente più pesante, di ‘abuso di autorità’. Le comunicazioni tra gli interessati furono poco chiare. Tizio ha detto…, Caio invece ha capito… Un vera e propria tragicommedia degli equivoci, nella migliore delle ipotesi. Ma nella filiera decisionale le persone coinvolte furono diverse. Per alcune il reato potrebbe concretizzarsi, per altre no. Sebbene su tutti i protagonisti della vicenda resti l’ombra di un processo decisionale e di preparazione quantomeno carente.

L’occupazione del ‘Vanoni’ – La sera del 29 maggio dopo la manifestazione del tutto pacifica nel centro cittadino, sulla via del ritorno da Piazza Riforma gli ‘autogestiti’ si fermarono davanti allo stabile Vanoni, in via Simen. Lo occuparono. Erano da poco passate le 18.30. Fu un’azione dimostrativa, ma non del tutto inaspettata. Da giorni in alcuni ambienti si sussurrava che forse i Molinari non si sarebbero limitati ad un corteo. Forse. E la polizia, forse, era in allarme da tempo. Tanto che la magistratura aveva organizzato un ‘picchetto speciale, rafforzato’. Più di un magistrato pronto a intervenire. Ma così non avvenne. La polizia quel pomeriggio, quella sera e quella notte non allertò il ‘picchetto’. Perché? Quel che stava accadendo in via Simen non destava particolari preoccupazioni? Fatto è però che nell’inchiesta penale ancora oggi si prospettano dei decreti di accusa per ‘violazione di domicilio’ (il Vanoni) e ‘danneggiamenti’ (scritte lungo alcune vie di Lugano). Ad essere accusati sono alcuni fra i Molinari che quella sera entrarono nello stabile della Fondazione e lo occuparono per un paio di ore. Si è trattato, anzi si tratta tutt’ora di individuare chi oltrepassò il perimetro della proprietà. Ci si sta avvalendo dei filmati delle video-camere e dei droni in funzione quel pomeriggio e quella sera. Ma i riconoscimenti sono difficili.

La telefonata alla Fondazione – La polizia non allertò il ‘picchetto’ ma, al contrario, ecco cosa accadde. Tra le 19 e le 19.20, il vice presidente della Fondazione Vanoni (proprietaria dell’immobile occupato), Riccardo Caruso, informato telefonicamente dalla polizia su quanto stava accadendo, si recò al Centro di Noranco per la denuncia. Non prima però di aver chiamato il sindaco. Marco Borradori fino a quel momento era all’oscuro di quanto stava accadendo. Tutti e due si meravigliarono per la tempestività della telefonata della polizia che, di fatto, invitò Caruso a sporgere subito denuncia. La violazione di domicilio è infatti un reato a ‘querela di parte’. Detto altrimenti, dev’essere la presunta vittima a presentare denuncia.

La richiesta di sgomberare – Ciò che avvenne in quelle ore fa parte della zona d’ombra, a quanto risulta a Tio, su cui l’inchiesta sino ad oggi non è riuscita a fare pienamente luce. Tutto si accavallò e si intrecciò dopo le 19. Cioè quando la tragicommedia degli equivoci raggiunse i momenti ‘clou’. Alle 20 la capo Dicastero spazi urbani, Karin Valenzano Rossi, telefonò al sindaco e gli comunicò che secondo la polizia era il momento di sgomberare l’ex Macello. L’autorizzazione venne data e, d’altra parte, lo sgombero era da giorni tra le eventualità prospettate. Fatto è però che tra le 21.15 e le 21.45 Valenzano Rossi chiamò nuovamente Borradori e alcuni colleghi di Municipio. La polizia proponeva di demolire parzialmente l’ex Macello, cioè parte del tetto per evitare che una volta rientrati i Molinari potessero salirvi e farlo crollare. Il pericolo, secondo la polizia, era concreto. Meglio non rischiare, si concordò in quel groviglio di telefonate. Comunicazioni però, stando ai primi esiti dell’inchiesta, confuse e poco precise. Così come furono poco approfonditi, nei giorni precedenti la manifestazione, gli scenari a cui – polizia e politica – si sarebbero potuti trovare di fronte sabato 29 maggio.

Materiale pericoloso ma… – Tra gli atti e le scene della tragicommedia degli equivoci l’inchiesta penale è comunque riuscita ad individuare alcuni fatti certi. A inizio estate i rilievi disposti dal Ministero pubblico hanno accertato la presenza di materiali pericolosi tra le macerie. Ma non in quantitativi importanti. Amianto e idrocarburi policiclici aromatici. Oggi, stando ad altre analisi e approfondimenti (una perizia sarebbe appena giunta a conclusione o starebbe arrivando in magistratura) risulta che quei bassi quantitativi di materiali pericolosi tra i detriti non erano tali da mettere in pericolo la salute. Da qui la possibilità che si possa prospettare l’abbandono dei reati relativi alla ‘messa in pericolo delle persone e dell’ambiente’. Eventualità questa che potrebbe ancora di più allontanare l’accusa di ‘abuso di autorità’.

Il porto delle nebbie – L’inchiesta penale non è ancora terminata. In giugno, già alle prime battute, si parlò della possibilità di arrivare ad una conclusione in novembre. Le indiscrezioni per ora dicono della difficoltà di muoversi tra la nebbia che il pomeriggio e la sera del 29 maggio avvolse la catena di comando che ordinò lo sgombero e poi l’abbattimento dell’ex Macello. Equivoci, malintesi, confusione. Restano alcuni misteri. Forse molti, ma già all’indomani dei fatti si intuì che la ricerca della verità, fra le macerie fumanti di polemiche, sarebbe stata difficile. Ardua per gli inquirenti e complicata politicamente. E tutto ciò oggi rischia di trasformare la vicenda in un “porto delle nebbie”…, da tragicommedia degli equivoci che è stata in quei giorni di fine maggio.

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