Quello che possiamo contare oggi sulle dita delle nostre mani vuote e calpestate è il tempo che ci separa da Genova. Un tempo lungo e veloce, dilatato dallo smembramento di interi movimenti di lotta, dai tentativi di fuga dal reale, dall’isolamento e dalla repressione.

Dieci anni di macerie e un anno di isolamento.
A partire da quel tragico G8 del 2001, seguito dall’11 settembre, il ricorso alla guerra come strumento di repressione e di controllo, sul quale accumulare notevoli profitti, è stato sistematicamente accresciuto e perfezionato. Non solo abbiamo assistito all’escalation dei conflitti su scala globale, ma la guerra è entrata sempre più nelle nostre vite attraverso mutamenti di senso, nuovi capri espiatori e il divenire sociale di quella che un tempo era chiamata alienazione.
Sono stati dieci anni di guerre giuste e umanitarie, dieci anni di guerre al terrore, attraverso una governance della paura dove il termine e il concetto di “terrorista” è stato ridotto a strumento poliziesco valido per ogni occasione: dalla repressione dei fenomeni migratori, alle forme di esclusione nelle nostre città, all’occupazione militare e unilaterale di interi paesi, alla segregazione forzata dei popoli, fino agli arresti preventivi e ai processi verso chi esprime ogni forma di dissenso.
Una guerra globale che fa le sue vittime anche in Ticino, dove i premi delle casse malati salgono, i lavori precari aumentano, la qualità della scuola cala.
La guerra è divenuta così via via sempre più un processo di interiorizzazione, una guerra di conquista e di riproduzione delle forme di vita. Non soltanto espropriazione di territori, distruzione di beni e persone, ma conquista di aspirazioni, distruzione di sogni, costruzione di aspettative e bisogni, mercificazione di affetti, virtualizzazione delle relazioni umane. Guerra per produrre una nuova mistificante idea di libertà misurata dal consumo e governata dal mercato.

Va in questo senso la brutale repressione dei movimenti sociali, sempre più raffinata e sistematica, volta a isolare in prigioni di “massima sicurezza” chi ancora coltiva terre e sogni collettivi, spargendo semi di ribellione. Il particolare accanimento contro Costa, Silvia e Billy, prigionieri politici etichettati come “ecoterroristi”, rinchiusi nelle carceri della pace sociale svizzera da più di un anno, è una chiara strategia di controllo globale. Dopo 16 mesi di attesa in stretto regime di isolamento, ci si avvia al processo di Bellinzona, le cui date (dal 18 al 22 luglio) cadranno proprio nell’anniversario delle giornate di Genova.

La nostra solidarietà permane assoluta e incondizionata rispetto a tutti quelli che avvertono in modo viscerale la necessità, primaria e vitale, di agire contro questa mostruosa macchina liberticida di ingiustizia e di morte, che ogni giorno subiamo e di cui troppo spesso ci rendiamo accomodanti complici. E` proprio l’amore per ciò che é davvero giusto, mai spinto da un egoista vantaggio personale, la consapevolezza che le cose possano e debbano andare in maniera diversa e una critica radicale a questo sistema di sfruttamento e opressione, che spinge sempre più individui a reagire. Anche per questo ci stringiamo idealmente a quest* compagn*, in particolare a Billy, che è stato anche un attivista del Molino, impegnato su vari fronti, intriso da quell’ironica simpatia che lo ha reso anche un amico per molti di noi.

Il CS()A Il Molino lo ribadisce nel cammino che in 15 anni di r-esistenza ha sempre ritenuto essere la propria forza e peculiarità: un’(id)-entità meticcia e molteplice, orizzontale, in grado di far emergere differenti percorsi di lotta, fondamentalmente uniti dalla critica al sistema capitalista. Una realtà in lotta che estende il proprio sostegno a tutt* coloro che si battono per la propria autodeterminazione, dal basso e a sinistra, poco importa in quale parte del mondo. Pensiamo che l’indignazione non basti a creare un cambiamento, se non é seguita da una ribellione, che per sua natura é conflittuale. Ribellarsi per noi è continuare a germinare resistenza, costruzione dell’alternativa, conquistando libertà senza più chiederle e scegliendo giorno per giorno di rimanere umani.

E non è certo la rappresentazione mediatica che impone l’immagine del perfetto terrorista a impedire di riconoscere i veri artefici di distruzione e miseria. Ci sembra evidente che coloro che seminano terrore non sono quelli che popolano le carceri, ma quelli che siedono sulle poltrone del potere politico-economico, speculando senza vergogna sul futuro dell’umanità. L’esproprio planetario è condotto da coloro che si arricchiscono utilizzando la tecnologia per devastare e controllare, consapevoli di quanto la scienza non sia neutrale ma espressione antropologica, storico-culturale della società in cui si vive, nella quale la divisione tra sfruttati e sfruttatori rimane funzionale al sistema. Nell’attuale società dei consumi la scienza non può che essere legittimata dal paradigma della crescita infinita. La sequela di catastrofi che tutti i giorni vediamo comparire e scomparire a ritmo incalzante è nientemeno che il costituirsi di una nuova forma di rapporto sociale basato sull’alienazione e sulla irresponsabilità disumanizzata. Fukushima è la fase culminante di un destino che ci condanna ad essere irresponsabili. Per noi combattere questa deriva, difendere vite e territori come avviene in questi giorni in Val di Susa, sono esempi da diffondere e riprodurre.

Da parte nostra saremo presenti al processo di Bellinzona al fine di continuare a creare cammini, percorrere strade, attraversare spazi dove poter essere sabbia negli ingranaggi del capitale e ribadire con forza da che parte stare: da quella di chi è costretto all’interno di mura e sbarre, siano esse di un centro di detenzione per migranti, di un carcere o di un lager a cielo aperto protetto dal filo spinato!

Trasformiamo i processi alle lotte in un nuovo processo di lotta!
Fuori i/le compagn* dalle galere!
Silvia, Costa, Billy e Marco liberi subito!

CS()A IL MOLINO

Luglio 2011

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