Orari, decisioni, scelte: rileggiamo il decreto d’abbandono che per il momento assolve politica e polizia su quanto successo a Lugano la notte del 29 maggio 2021

Di Andrea Bertagni, 27 febbraio 2022 ,  La Domenica CdT

È circa mezzanotte quando il cordone di polizia attorno all’edificio della Fondazione Vanoni di via Simen a Lugano si scioglie. Mezzanotte di sabato 29 maggio. Iniziata attorno alle 18.50, l’occupazione da parte degli autogestiti dello stabile è finita. Gli autonomi non lo sanno. Ma la demolizione dell’ex Macello è già stata decisa più di due ore prima. Sono le 21.27 quando il Municipio comunica alla polizia che si può procedere alla demolizione del tetto e forse di una parete del dormitorio del centro sociale. Le 21.27. Poco più di mezz’ora dopo lo sgombero, terminato alle 20.56. Orari, decisioni, scelte. Sono tutti nel decreto d’abbandono firmato dal procuratore generale, Andrea Pagani. Che scagiona gli imputati Lorenzo Hutter, vicecomandante della polizia cantonale e Karin Valenzano Rossi, municipale di Lugano. Li scagiona dai reati di abuso di autorità, violazione intenzionale subordinatamente colposa delle regole dell’arte edilizia, infrazione alla legge federale sull’ambiente e danneggiamento. È il decreto d’abbandono che per il momento assolve politica e polizia su quanto successo la notte del 29 maggio 2021. La demolizione di una parte dell’ex Macello avvenuta per «un malinteso dovuto ad un claudicante passaggio di informazioni», scrive Pagani.

La prima demolizione
Orari, decisioni, scelte. Sono tutti lì. Messi uno in fila all’altro. Per la prima volta. Ma non è solo il racconto di quella notte. È il suo dietro le quinte. La sceneggiatura. Interpretata da chi ha mosso i fili. Ha ordinato e comunicato. Ha eseguito. L’11 marzo, il giorno della prima decisione del Municipio di Lugano di sgomberare l’ex Macello – poi annullata – viene anche creato uno Stato Maggiore composto da Ufficiali della Polizia cantonale e della Polizia comunale di Lugano. Il giorno dopo, il 12 marzo, lo Stato Maggiore pensa tra i vari scenari di demolire anche il centro sociale. Interrogato il 9 giugno, Hutter spiega a Pagani: «Per rendere effettivo lo sgombero (…) si è ipotizzata la demolizione totale dello stabile a sud del comparto, non protetto, che fungeva da dormitorio (…) lo sgombero sarebbe stato potenzialmente violento con l’ipotesi di persone ferite o addirittura decedute». Anche un altro ufficiale dello Stato Maggiore conferma. «Si è ipotizzato di procedere alla demolizione di un edificio». La Polizia si muove. Subito. Il Municipio invece si ferma.

Le versioni discordanti e il verbale
È il 6 maggio. Attorno allo stesso tavolo ci sono l’ex sindaco Marco Borradori, la municipale Valenzano Rossi e una delegazione dello_Stato Maggiore. Otto giorni dopo, il 14 maggio, il Municipio deciderà di rendere immediatamente esecutiva la decisione di sgombero. Il 6 maggio attorno a quel tavolo avviene un mistero. Lo Stato Maggiore sostiene di aver ventilato l’ipotesi della demolizione subito dopo lo sgombero. Borradori e Valenzano negano. Chi ha ragione? Pagani si limita ad annotare che esiste un verbale redatto a uso interno da un membro dello Stato Maggiore. Nel quale si legge: «La rioccupazione è un elemento da considerare e quindi la ditta dovrà essere subito presente per eliminare l’infrastruttura». Cosa che poi capiterà davvero. All’una e nove minuti di notte tra il 29 e il 30 maggio. Anche se tutti, dallo Stato Maggiore al Municipio, secondo Pagani, hanno sempre pensato di abbattere il tetto ed eventualmente una parete del dormitorio.

Sgombero solo nell’eventualità
C’è il sole sabato 29 maggio. In piazza contro la decisione di sgombero sono scese in strada migliaia di persone. Una manifestazione annunciata. Talmente annunciata che 4 giorni prima, il 26 maggio, lo Stato Maggiore scrive al Municipio. Di demolizione non si parla. La Polizia chiede: «Se si dovesse presentare l’occasione per opportunità, il Municipio è d’accordo di dare e ribadire il suo nulla osta allo sgombero forzato? Oppure (…) ritiene preferibile un non intervento della polizia per lo sgombero?». Il giorno dopo l’Esecutivo risponde: «Il Municipio concede il nulla osta allo sgombero solo per l’eventualità in cui la manifestazione degeneri, la Polizia debba intervenire e dal profilo tattico e strategico sia indicato effettuare lo sgombero».

L’occcupazione del Vanoni e la denuncia
La manifestazione parte attorno alle 15. Verso le 18 il corteo arriva in Piazza Molino Nuovo. Davanti a Pagani il 9 giugno Hutter dice: «Quando la carovana si è trovata in Piazza Molino Nuovo (…) ho detto: «se svoltano alla loro sinistra, fra un’oretta andiamo tutti a casa (…). Alle 18 l’opzione sgombero era completamente fuori dai nostri piani». Alle 18.50 i manifestanti sono già dentro lo stabile Vanoni. «Hanno raggiunto il tetto, accedendovi da un lucernario», scrive Pagani ricostruendo l’accaduto. Alle 19.45 una delegazione della Fondazione Vanoni va al posto di Polizia di Noranco per sporgere querela penale contro ignoti per violazione di domicilio e danneggiamento. Ma dieci minuti prima, alle 19.35, Hutter e un altro membro dello Stato Maggiore hanno già telefonato a Valenzano Rossi. Le chiedono se concorda sul fatto che la manifestazione è da considerarsi degenerata e se lo sgombero viene confermato». Dalle 19.39 alle 19.51 Valenzano Rossi chiama tutti i colleghi di Municipio. Primo Filippo Lombardi. Ultima Cristina Zanini Barzaghi. Alle 19.53 ha la risposta per la Polizia. Via libera. La Polizia chiama anche Borradori. Anche lui conferma. Si può fare. Alle 20.39 l’ufficiale responsabile di Polizia ha già il megafono in mano. Gli occupanti devono uscire «entro dieci minuti» altrimenti saranno impiegati «mezzi coercitivi». Quattro minuti dopo, alle 20.53, gli occupanti, una quindicina, escono. Tre minuti dopo tocca agli agenti entrare. In poco più di 15 minuti il Molino è stato sgomberato.

Il cemento e la pinza demolitrice
Potrebbe finire tutto così. E invece no. Perché sette minuti dopo aver ricevuto il via libera allo sgombero dal Municipio, quindi alle 20, Hutter chiede a un membro dello Stato Maggiore di «preallarmare un’impresa di costruzione» senza precisare «per quale genere di lavori». Alle 20 la Polizia non è ancora arrivata all’ex Macello, ci arriverà solo alle 20.39. Porterà a termine lo sgombero solo alle 20.56. Ma già un’ora prima lo Stato Maggiore si muove. Alle 20.10 un poliziotto della comunale, dopo aver sentito il membro dello Stato Maggiore incaricato alle 20 da Hutter, chiama la Divisione spazi urbani della Città. Chiede di trovare «delle maestranze esterne alla Città per un intervento di naturale edilizia che si stava ipotizzando (…) le stesse avrebbero dovuto procedere a dei piccoli lavori di muratura (…) bisognava appunto costruire dei piccoli muri e tamponare buchi e accessi (…) non mi è stata assolutamente prospettata un’opera di abbattimento/demolizione di edifici». Il funzionario comunale si dà da fare. Quattro minuti dopo è già al telefono con una grossa azienda. Alle 20.18 il funzionario riceve una risposta positiva e la comunica al poliziotto. Tra le 20.36 e le 21.07 il funzionario chiede ad altre due aziende la disponibilità, visto che la prima ditta «da sola non avrebbe avuto sufficiente forza lavoro». I minuti passano. Alle 21.15 avviene la svolta. Mancano 12 minuti al via libera del Municipio alla demolizione parziale del dormitorio del centro sociale. Che arriverà alle 21.27. Alle 21.15 gli autogestiti sono entrati nello stabile Vanoni da due ore, il Municipio ha dato il via libera allo sgombero da poco più di un’ora e il Molino è stato sgomberato da pochi minuti, Sono le 21.15. La prima impresa riceve una nuova telefonata dallo Stato Maggiore. Dall’altra parte della cornetta c’è lo stesso ufficiale incaricato alle 20 da Hutter di preallarmare un’impresa di costruzione. Il poliziotto dice all’impresa di prepararsi per intervenire nella zona dell’ex Macello di Lugano. Ma non solo. Domanda anche se ha a disposizione una pinza demolitrice.

Sono le 21.15 di sabato 29 maggio. Gli autogestiti sono entrati nello stabile Vanoni da due ore, il Municipio ha dato il via libera allo sgombero da poco più di un’ora e il Molino è stato sgomberato da pochi minuti. Sono le 21.15 quando lo Stato Maggiore chiede a una delle tre imprese di costruzione preallertate se ha una pinza demolitrice. La risposta è negativa. Ma l’impresa in questione chiama un’altra azienda. Che ce l’ha. Ma per capire se può fare il lavoro deve fare un sopralluogo. Che avviene. Alle 22.30. È a quell’ora che chi demolirà una parte dell’ex Macello e chi dovrà eseguire dei lavori di muratura si fanno un’idea. L’azienda con la pinza demolitrice «ha verificato cosa doveva essere abbattuto», annota Pagani.

Le motivazioni
Un’ora prima, alle 21.23, quindi otto minuti dopo la ricerca di una ditta con una pinza demolitrice, Hutter telefona a Valenzano e chiede l’autorizzazione a demolire il tetto ed eventualmente una parete del dormitorio del centro sociale. Dice Hutter: «La motivazione dell’abbattimento del tetto risiedeva nel fatto che da un lato si sapeva che era fatiscente e pericolante e dall’altro si era preso atto che qualche ora prima all’ex Vanoni alcuni autogestiti erano saliti proprio sul tetto di quell’immobile. Il pericolo era dunque che in caso di tentativo di rioccupazione dell’ex Macello qualcuno salisse sul tetto dello stabile F (il dormitorio, ndr.) che avrebbe potuto cedere con gravi conseguenze fisiche di coloro che vi fossero saliti. La motivazione dell’abbattimento di una parete risiedeva nel fatto che, tolto il tetto, era probabile che appunto una parete diventasse instabile con il rischio di crollare. Questo avrebbe messo in pericolo l’incolumità delle persone che fossero riuscite a rientrare sul sedime».

Qualcosa di incredibile
Passano quattro minuti. Alle 21.27, dopo aver chiamato al telefono l’ex sindaco Marco Borradori e i colleghi Filippo Lombardi e Michele Foletti, Valenzano Rossi richiama lo Stato Maggiore e dà il nulla osta a procedere. Il centro sociale è stato sgomberato da poco più di mezz’ora. Poteva finire con la demolizione parziale del dormitorio. E invece no. Perché da questo momento in poi «quel che succede ha dell’incredibile», scrive il procuratore generale nel decreto d’abbandono. Quel qualcosa che condurrà all’abbattimento totale del dormitorio senza che ci siano state responsabilità penali.

A coordinare le operazioni è un poliziotto che è nello Stato Maggiore solo da metà maggio. E per questo motivo «ha dichiarato di non sapere che l’ordine ricevuto dal suo superiore riguardava lo stabile F», precisa Pagani. Ma neanche l’ufficiale di Polizia presente all’ex Macello si rende conto di non essere in grado di dirigere le operazioni di demolizione e muratura che gli sono state ordinate. «Non ero assolutamente in grado di eseguire l’ordine datomi – spiega l’Ufficiale a Pagani – ho quindi chiesto esplicitamente che venisse sul posto qualcuno che se ne intendesse».

Il poliziotto che è nello Stato Maggiore solo da metà maggio però non sa aiutarlo. Così l’Ufficiale sul posto chiama il poliziotto dello Stato Maggiore che ha seguito la vicenda fin dal 12 marzo. Che è lo stesso che ha preallertato le imprese di costruzione. «Gli ho chiesto cosa dovevo fare (…). Di conseguenza (il collega, ndr.) mi ha mandato un messaggio WhatsApp alle 22.28. Da questo messaggio e da quanto ho capito dalle sue parole ho inteso che l’ordine era demolire lo stabile F». Diversa la versione di chi stava dall’altra parte della cornetta. «Durante la telefonata non si è assolutamente parlato di cosa occorreva precisamente abbatterre con riferimento allo stabile F. Per me era chiaro che occorreva solo demolire il tetto e almeno una parete. Non so cosa abbia capito il collega».

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