Vetrine tirate giù a colpi di mattoni, urla, auto in fiamme, ragazze e ragazzi con i volti nascosti dai passamontagna pronti alla violenza, se necessario. Da parte dei cittadini e delle cittadine, paura, tanta paura per l’imponderabilità dei dimostranti; da parte delle/i dimostranti il timore di avere perso una causa che sembra ancora una volta più lontana, ossia l’ottenimento di un centro votato all’autogestione.

Sì, stiamo parlando di un gruppo più o meno nutrito di giovani che “occupa” e a voce alta reclama quello che considera un proprio diritto. E sì, l’intervento della polizia, in forze e determinato a una repressione dura, forse da qualche parte è perfino legittimato.

Ma stavate forse pensando ai fatti di sabato notte a Lugano?

Noi non ci riferiamo di certo a quella squallida vicenda, e tantomeno ai Molinari. Pensavamo infatti agli autonomi di Zurigo che a più riprese e in epoche diverse hanno tenuto sotto scacco città, politici, e autorità. Quest’anno ricorre il 41esimo (!) anniversario dagli eventi del 1980 che resero tristemente famosa la città sulla Limmat, consegnando ai posteri la frase Züri brännt, Zurigo brucia.

Sabato notte però a Lugano non bruciava nulla, nessuno ha picchiato nessuno, non sono stati lanciati mattoni, eppure il dispiegamento delle forze di polizia ci ha ricordato nientemeno che Zurigo, se è vero (ed è vero) che i rinforzi sono stati mobilitati perfino dal lontano Canton Vaud.

Il giorno dopo, e quelli dopo ancora, quando in Ticino ci si è chiesti perché sabato 29 maggio non si sia lesinato con la repressione, e soprattutto con la distruzione fisica di quello che era un luogo simbolico, la classe politique ha tirato in ballo l’expertise degli agenti, abituati a riconoscere il potenziale violento di determinate situazioni: è proprio sulla scorta dell’esperienza di quegli agenti che si è voluti intervenire.

Una domanda: il potenziale violento (“la manifestazione è degenerata” è il mantra di questi giorni) di cui sopra era rappresentato unicamente da quei manifestanti che hanno avuto l’infausta idea di occupare l’ex Istituto Vanoni? Se così fosse, ci verrebbero i brividi a pensare a quella che sarebbe stata la risposta di Lugano se si fosse trovata confrontata con i problemi di città vere come Zurigo, Basilea o Ginevra, e non con una piccola bomboniera dove un termine come “autogestione” fa ancora paura nel 2021.

È in questi momenti che la consapevolezza di vivere in provincia si fa sensazione dolorosamente reale.

Simona Sala / Naufraghi

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