Vedo le immagini della distruzione di una parte dell’ex macello di Lugano, dell’edificio occupato dal Molino. Leggo le parole del sindaco e alcuni/e municipali, la sensazione d’ingiustizia, di rabbia, di tristezza occupano per qualche minuto la mia persona…. . Poi ricordo, perché ricordare vuol dire: “ripassare attraverso il cuore”. Ricordo le feste di primavera al parco Tassino, ricordo l’occupazione dell’edificio degli ex Molini Bernasconi, Il Maglio, le manifestazioni, la musica, i colori, le mille attività autogestite proposte, le assemblee in città, le prese di posizione difendendo sempre quella parte di società che resiste per un mondo dove entrino tutti i mondi possibili.

Il centro sociale autogestito piace a molte/i, piace per la forma in cui si prendono le decisioni (assemblea), in cui devi avere pazienza, tempo per ascoltare tutte le opinioni. Piace perché è un luogo dove in tante e tanti ci sentiamo a nostro agio. Dove abbiamo potuto confrontarci e crescere, conoscere realtà di altri Paesi. Luogo dove a volte vi sono state centinaia di proposte culturali e anche momenti di vuoto. Luogo di alti e bassi, luogo dove ci si mette in discussione. Luogo che continua ad imparare. Luogo che continuerà ad esistere perché in molte/i cerchiamo l’alternativa. Non ci conformiamo con lo standard, con le proposte commerciali o con una cultura classista. In diverse/i sosteniamo le svariate forme alternative d’espressione culturale, forme alternative di famiglia, di scuola, di vita.

Ad alcune/i non piace il Molino o non vedono la necessità di un’esperienza d’autogestione, ma capiscono che una città deve poter includere diverse realtà.
Perché una città che include, permette di sviluppare menti critiche, di crescere vedendo, sentendo le differenze e dunque di andare verso un mondo dai mille colori. Ma forse il borgo ticinese è cresciuto velocemente a livello economico, trascurando la crescita intellettuale, trascurando l’esperienza pratica. Ha trascurato l’ambiente, ha trascurato una riflessione sociale. E’ passato dal mangiare alborelle e castagne a dar da mangiare alle macchinette del casinò.
Il “nuovo” ruspante municipio, poco creativo, parla di voler il dialogo, ma qualcosa mi dev’essere sfuggito…, su quali siano le basi per un dialogo. O forse, come già scritto, il metodo punitivo patriarcale è d’attualità nella cittadina luganese. Lugano, che a suon di ruspe e in nome del progresso, in nome del potere ha spesso distrutto teatri, cinema, antiche e meravigliose costruzioni, riempiendo la città di telecamere, svuotando il centro città, chiudendo i parchi… . “addio lugano bella…”.
L’autogestione si rafforza fra le macerie dei graffiti, fra i mattoni impregnati di risa, chiacchiere e baci. Sento fino in Argentina le note delle canzoni che ci hanno fatto ballare, cantare e bere vino . Ed è così che verso alla madre terra un vino fatto di sorellanza e fratellanza, e ricordo che, come la terra è di chi la lavora, la protegge e la ama, gli spazi occupati sono di chi li mantiene vivi.

E viva è la forza di continuare, abbracciate/i, sorridendo con lo sguardo della speranza e la consapevolezza che ci stiamo guardando e che la fiamma è sempre accesa.

Perché si possono distruggere le mura, i libri, le costruzioni, ma non vi lasceremo andare oltre, non vi lasceremo prendere le nostre anime ribelli, non lasceremo spazio alla frustrazione. Festeggeremo la morte e la rinascita allo stesso tempo, danzeremo nelle piazze, esprimendo la creatività di chi non molla mai! Con lacrime di tristezza ed allegria continueremo a seminare realtà autonome!

Djamila Beretta Piccoli – Unquillo, 30.5.21

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