Le spine delle roseOgni tanto una buona novella: il Tribunale Federale ha accettato il ricorso presentato “dal venditore di rose pakistano” contro la sentenza emanata il 4 settembre 2018 dalla Corte dei reclami penali del tribunale d’appello del Cantone Ticino.

Il primo agosto 2015, a seguito del pestaggio in una stanzetta della stazione, due agenti erano stati denunciati per “lesioni gravi e semplici, omissione di soccorso, coazione, sequestro di persona, rapimento e abuso di autorità”.

La sentenza del TF di fatto sbugiarda in tutto e per tutto una lunga serie di “depistaggi”, omissioni e silenzi creata dalla catena di “comando”: gli ex procuratori pubblici John Noseda e Antonio Perugini (che in due occasioni procedevano ad archiviare il caso tra imprecisioni e mancate verifiche); il comandante della polizia comunale Torrente (reo di non aver fornito in più occasioni i dati corretti della geolocalizzazione della vettura di polizia) e il municipio di Lugano – su tutti il sindaco Borradori, autore a suo tempo di una lunga presa di posizione ufficiale a difesa dei due agenti densa di menzogne, infamità e razzismi. Oltre chiaramente ai due agenti picchiatori, già conosciuti “nell’ambiente” per comportamenti non propriamente corretti e per atteggiamenti al di sopra delle righe.

La sentenza del Tribunale Federale riapre quindi un caso ormai finito nel dimenticatoio. Un caso che testimonia, se ancora ce ne fosse bisogno, la tendenza della nostrana polizia (si annoierà visto il numero sproporzionato di agenti rispetto a un territorio ancora molto e troppo conciliante, docile e normalizzato?) ad agire con violenza, botte e minacce. Dimostrando al contempo un razzismo strutturale e ben radicato all’interno delle istituzioni. Un razzismo di Stato che si sviluppa nel costante “racial profiling” subito da tutte le persone “non bianche” (controlli, persecuzioni, minacce, violenze, discriminazioni, vessazioni) e da in generale un mancato accesso alla “giustizia”, in quanto spesso all’origine di situazioni invisibilizzate e senza nessuna possibilità di essere rese pubbliche.

Lunghi anni e un ricorso al TF hanno comunque permesso di dimostrare inspiegabili (?) gravi lacune nell’indagine. Alle “autorità” viene tra l’altro rimproverato di “non avere svolto un’inchiesta effettiva e approfondita, siccome avrebbero attribuito un peso eccessivo all’indicazione oraria del ricorrente relativa al momento dell’aggressione (ore 09.00), avrebbero trascurato il fatto che l’autovettura di servizio degli opponenti era ferma nei pressi della stazione prima delle ore 08:33:20 ed avrebbero omesso di considerare che il Comandante della polizia comunale aveva disatteso la richiesta del Ministero pubblico di eseguire gli accertamenti relativi agli spostamenti della pattuglia nel periodo temporale tra le 07.00 e le ore 12.00” (cit. Sentenza del 28 gennaio 2020 Corte di diritto penale).

Accedere ai dati completi della geolocalizzazione – se mai sarà possibile – permetterebbe quindi di stabilire con certezza se l’autovettura della polizia era effettivamente ferma nel posteggio della stazione prima delle 08:33, cosa da sempre negata dagli agenti.

Per il momento lo Stato del Cantone Ticino dovrà riversare al ricorrente i 3’000 .- avanzati per il ricorso, mentre la medesima somma dovrà essere condivisa e pagata dai due agenti imputati per far fronte alle spese giudiziarie.

Queste spine quando pungono, pungono davvero.

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