Lo rivela il sindacato Unia, che denuncia il grave rischio di esposizione all’amianto di operai e cittadinanza nell’abbattimento della sede del centro autogestito

di Francesco Bonsaver / Area del 2 giugno 2021

Alle ore 17.50 di sabato, quando il corteo del centro sociale autogestito il Molino è fermo davanti all’ex Macello, il vice comandante della polizia comunale di Lugano telefona a tre imprese edili per allertarle di attivarsi per la successiva demolizione dell’ex Macello. Lo si evince dalla documentazione alla notifica di lavoro straordinario inoltrata alla Commissione paritetica dalle tre ditte coinvolte nell’opera di demolizione.

La polizia aveva dunque deciso lo sgombero e la demolizione del Centro sociale quasi un’ora prima dell’occupazione dello stabile Vanoni. «Verso le 19 ci è stato comunicato che dei manifestanti avevano occupato lo stabile della ex fondazione Vanoni» ha affermato il sindaco Marco Borradori nella conferenza stampa del giorno dopo, spiegando come quell’occupazione fosse stata il reato grave che diede il via alla decisione di sgombero del Molino dalla sede dell’ex Macello. E la demolizione, quando fu autorizzata da parte dell’esecutivo cittadino?

Ai microfoni Rsi, sia il sindaco Borradori che la municipale Karin Valenzano Rossi, hanno affermato di esser stati informati della decisione poliziesca di demolire lo stabile solo «attorno alle ore 22» e di aver dato il loro consenso «nel giro di pochi minuti». Quattro ore dopo che la polizia lo aveva già ordinato.

Se fosse vero, la situazione è imbarazzante e porrebbe dei legittimi interrogativi sulla predominanza del potere decisionale della polizia su quello democratico, esercitato dagli eletti quali rappresentanti della volontà popolare. La Polizia avrebbe dunque deciso autonomamente, chiedendo all’esecutivo di convalidarla quattro ore dopo, ad operazione già ben avviata.

La seconda ipotesi è che Borradori e Valenzano Rossi avessero dato l’autorizzazione allo sgombero e la demolizione di parte del Macello ben prima dell’occupazione.

O siamo in uno stato di polizia o abbiamo un’autorità politica che ha mentito all’opinione pubblica. Difficile scegliere tra le due l’ipotesi quale sia la più inquietante.

Come visto nei giorni successivi, la demolizione ha fatto molto discutere l’opinione pubblica, suscitando non poca indignazione. Il mancato rispetto della procedura legale, l’assenza di una licenza edile e l’obbligatoria perizia che attesti l’assenza di sostanze pericolose (amianto in particolare) nello stabile, è stato oggetto di denuncia penale dei Verdi. Una denuncia che ha obbligato la Procura ad aprire un’inchiesta contro ignoti.

Una denuncia pubblica l’ha invece espressa oggi il sindacato Unia in una nota stampa, per «aver esposto a rischi enormi» i 23 operai edili coinvolti nell’operazione di demolizione «nel pieno disprezzo delle chiarissime disposizioni di legge» che obbligano verifica o meno della presenza di amianto.

«L’aver mandato ventitré operai, in piena notte e allo sbaraglio, ad abbattere un edificio probabilmente pieno zeppo d’amianto e ad immettere polvere killer nell’aria della città, senza accertare i pericoli e valutare i relativi rischi» scrive il sindacato «può far ritenere che il Municipio di Lugano, la Polizia e le tre imprese coinvolte abbiano agito in piena illegalità ed esposto lavoratori e cittadini a un grave pericolo per la loro salute».

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