Greetings from the bottom…

chiamata di partecipazione a una manifestazione di (r)esistenza

 

                                                                                                                                 “Before loneliness will break my heart

        Send me a postcard darling

How can I make you understand?

I wanna be a woman…”

 Send me a postcard – Shocking Blue, 1968

 

Pare che la traduzione letterale del termine swahili “djenga” sia l’imperativo “costruisci!”. In realtà, chi conosce questo popolare gioco di origine africana, sa bene come il succo della partita stia, più che altro, nella tensione che si crea attorno a un sofisticato equilibrio, tra la costruzione e la distruzione di una torre. Chi ci ha giocato sa altrettanto bene quanto il momento del crollo sia difficilmente riducibile a un semplicistico senso di sconfitta. Chi fa cadere la torre perde la partita, ma determina l’istante fatidico della stessa, spesso in una catarsi di risate e imprecazioni. Colei che distrugge è la vera protagonista del match! Soprattutto laddove la torre, di per sé fallica, verticistica, arrogante e ambiziosa, poggi ridicolmente instabile su smanie ed erezioni di crescita senza limiti o pudori.


Ecco, la città che sta in alto, quella rappresentata dal Municipio luganese e dai suoi squallidi faccendieri, quella che inonda di grandi opere inutili e dannose (tra le quali il progetto di riqualifica dell’ex Macello “Matrix”), rappresenta molto bene il tipo di torre che vorremo veder crollare. Contribuendo a smontare pazientemente pezzo dopo pezzo, mettendoci a disposizione per assestare scosse e riposizionando pazientemente i nostri mattoni. A costo di perdere la partita, ma rifiutando con determinazione ogni narrazione imposta di sconfitta. Resistendo complici dal basso.

Dal canto suo, “Marco minaccia” – il sindaco in cima alla torre -, distribuisce sorrisi e affigge editti di sgombero, scavandosi la terra sotto ai piedi. Si lamenta per gli sputi in faccia all’Israel Day, ma si pulisce senza scrupoli il sangue di Gaza dalle mani. Sorride smagliante dichiarandosi impegnato per l’emergenza climatica, ma il modello di sviluppo della sua Lugangeles è opprimente ed ecocida. Invita al dialogo e al rispetto delle regole, ma si ostina a parlare la sua lingua, ridicolizzando la giornata internazionale di lotta della donna e negando anche i diritti costituzionali di manifestazione, come successo dopo il non-corteo dell’8 marzo alla stazione di Lugano. Perché forse ce lo scordiamo, ma di intrallazzi, soldi sporchi, affarucci e speculazioni, il buon Marcolino se ne intende bene, essendo stato l’artefice del trapasso dello studio legale del padre Elio, a sua volta soprannominato “il banchiere di Saddam” (Hussein ndr.) per la gestione amministrativa poco “chiara” di soldi di “dubbia” provenienza.

Ora invece, benpensanti e paladini sovranisti alla sua corte si indignano in coro a ogni comparsa di violenza che non rientri sotto il monopolio di stato e polizia (vedasi anche la proposta di legge contro il terrorismo – contro cui è indetta una mobilitazione nazionale alla quale aderiamo proprio sabato 29 maggio – che di fatto crea una nuova impennata securitaria consegnando altri poteri alle forze dell’ordine e alla destra paraleghista) con il solo intento di negare la violenza quotidiana nei confronti di tutte le persone che non rientrano nel limitato concetto di cittadinanza di questa città-modello di governance capitalista.

Ma in ballo non c’è mai stato soltanto uno spazio urbano per l’autogestione. In ballo c’è pure l’impossibilità di abbandonare uno spazio occupato da oltre 20 anni per consegnarlo in tutta tranquillità e arrendevolezza alla loro visione di mondo, per noi impossibile da accettare. In ballo e in basso ci stanno le mille scosse telluriche dei mondi altri: determinati a scrollarsi di dosso, qui e altrove, il peso opprimente di uno stato di polizia e di una città iper-securizzata. Di gentrificazioni imposte e di cancellazione delle nostre storie. Di guerre e saccheggi, espropriazioni e razzismo, sfruttamento e patriarcato. Perché dagli ziggurat babilonesi, alle torri di raffreddamento delle centrali atomiche, arrivando a quella del Matrix, la storia verticale dell’arroganza del potere gioca stupidamente al rialzo, senza mai tenere conto né delle inevitabili cadute, né dell’impatto al suolo delle stesse. Nascondendo e mistificando dall’alto dei cieli il panorama di desolazione su cui riposano.

I riferimenti simbolici dello squallore leghista al potere sarebbero di per sé sufficienti per un assalto al cielo dalle sponde del Ceresio, ma tra chi impone la dittatura della maggioranza di una minoranza di cittadinx votanti e chi preferisce non scomodare interessi e intrallazzi (ciellini o altro…) il rischio è quello di restare schiacciatx al suolo di asfalto e cemento, in attesa che il cielo ci caschi sulla testa.

Noi preferiamo riprendere incessanti a giocare la nostra partita, smontando in alto per costruire dal basso. Sorridendo beffardi alle cartoline di Lugangeles, con i dischi di Tim Buckley e quel Greetings from L.A., sordido groviglio di strade arrugginite che si perdono indistinte all’orizzonte (sì i dischi… quelli in vinile, con le copertine fronte e retro, mica youtube in 5G!). Perché quando si sceglie un modello e lo si impone, occorre tener conto anche di tutto il pacchetto. Los Angeles rappresenta probabilmente il massimo esempio di polarizzazione sociale urbana dei tempi recenti. Se alle poche persone votanti sono piaciute tanto le palme di Beverly Hills, prima o poi arriveranno anche i riots di Inglewood. L’appropriazione culturale, soprattutto quella di bassa lega, ha un costo. Resta da capire chi pagherà il conto.

Come detto, discusso e condiviso, sull’arco di diverse assemblee pubbliche in cui gli spazi cittadini sono stati recuperati per estendere e fomentare il confronto e la parola, ricorriamo alle nostre pratiche per opporci allo sgombero: quelle dell’autodeterminazione, della liberazione e della degna rabbia.

Facciamo appello a tutti i collettivi e a tutte le individualità che condividono e si riconoscono nella pratica dell’autogestione, che hanno a cuore il CSOA Il Molino, che intendono sostenerne le lotte e che sono stufx delle menzogne e dei giochi della politica e del potere… a partecipare al corteo di sabato 29 maggio 2021. Un corteo che si vuole partecipato, comunicativo e condiviso con tutta quella costellazione di persone che hanno avuto modo di vivere e attraversare gli spazi liberati dell’ex Macello: giovani, anzianx, bambinx, migranti e gente di viaggio, artisti, militanti, ultras, lavoratrici/tori, studentesse/i, precarx,… Un corteo in cui portare con determinazione in strada le nostre esistenze, i nostri corpi, le nostre pratiche, le nostre idee. Ma soprattutto un corteo che a Piazza Riforma intenda ribadire le necessità dell’autogestione e portare direttamente in piazza le nostre precise richieste per un’eventuale apertura di dialogo sul futuro dell’area dell’ex Macello e dell’autogestione in città…

Faites vos jeux…

Il Molino non si tocca!

CONTRO IL PROGETTO MATRIX E IL LORO MONDO!

SABATO 29 MAGGIO 2021

Lugano Piazza Riforma ore 15.00

 

Auto Draft 2

 

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