Autogestione

Alla meta' degli anni '70 il palazzo era vuoto, per un buon numero di anni la casa resto' vuota, non fu fatta alcuna manutenzione e il degrado arrivo' ad uno stadio avanzato.

E' in quegli anni, precisamente nel 1976, che e' iniziata l' esperienza di autogestione.
I primi occupanti furono un collettivo del movimento di liberazione omosessuale e un gruppo di donne attive nel movimento femminista milanese; l' intento iniziale di usare alcuni spazi per le attivita' politiche e culturali di questi movimenti si e' ben presto trasformato nel progetto di rendere agibili tutti gli spazi della casa e di utilizzarli anche come abitazione e per il lavoro artigianale.

La storia della nostra esperienza e' lunga e si intreccia con tre decenni che hanno visto radicali mutamenti della geografia sociale e della fisionomia politica e culturale di Milano.
Alla meta' degli anni '70 in questo quartiere vi erano ancora abitazioni popolari botteghe artigiane e piccoli negozi:
la nostra decisione di abitare qui si inseriva in un piu' vasto movimento di lotta per il diritto alla casa e di salvaguardia della residenza popolare e dell' artigianato nel centro storico.

Il nostro progetto non era solo quello di abitare e creare laboratori artigiani:
volevamo difendere la proprieta' pubblica della casa, farne un centro di iniziative politiche e culturali, vivere in un luogo non anonimo ricco di vita e di scambi sociali; tutto cio' in un edificio di pregio storico e bisognoso di opere di risanamento.

L'autogestione si e' basata sul versamento di quote mensili (corrispondenti ad un affitto di equo canone) e su una grande mole di lavoro volontario.
I problemi da affrontare sono stati innumerevoli e non e' possibile contare le ore che abbiamo speso in lavori manuali e nelle attivita' degli organi di autogestione (l'Assemblea degli abitanti e le quattro commissioni ) che si sono occupate dei problemi tecnici e finanziari, della gestione interna e delle attivita' politiche e culturali della casa. Ci sono voluti anni, e per molto tempo abbiamo abitato in condizioni disagevoli, con continui lavori in corso, ma alla fine siamo riusciti a recuperare tutti gli spazi.

L'attivita' di manutenzione e' stata costante ed ha avuto come risultato, come ha riconosciuto lo stesso Consiglio di Zona 1 all'inizio degli anni '90, il contenimento del degrado e il miglioramento dell'edificio.
Nei primi anni e' stata frequente negli appartamenti ripristinati la convivenza di gruppi; successivamente si sono stabilizzate una ventina di nuclei (famiglie, coppie, single); sono stati inoltre bonificati e dati in uso ad artigiani e associazioni gli spazi al piano terra.
Negli anni '80 la fisionomia della casa era fortemente caratterizzata dalla presenza di tre laboratori (falegnameria, restauro mobili, scenografia) e dall' attivita' di associazioni sindacali e solidaristiche (CGIL pensionati; FLM Uniti; Lega per il diritto al lavoro di portatori di handicap), abbiamo dato vita inoltre ad attivita' culturali rivolte al quartiere, come una ludoteca.

Attualmente due dei tre laboratori hanno chiuso e sono stati sostituiti da nuove associazioni culturali che si sono aggiunte a quelle esistenti da lunga data (Galleria d'arte Facsimile e Circolo delle Donne Cicip e CiciaP).

Le associazioni di volontariato sono oggi quattro tutte di rilevanza cittadina: Punto Rosso insieme ad Attac e Greenpace, Survival International, Servizio Civile Internazionale, Donne Internazionali.
Il cortile ospita durante l' estate numerose rassegne teatrali e saggi, inoltre la casa offre la possibilita' di realizzare mostre e corsi usufruendo di due spazi interni destinati ad uso collettivo.

Riteniamo la nostra esperienza di autogestione qualificante in quanto:

  • abbiamo rispettato le caratteristiche architettoniche dell'edificio, facendoci seguire nei lavori di manutenzione dalla Facolta' di Architettura, dagli architetti di Spazio e Societa' e da studi di ingegneri. Si puo' dire che i nostri interventi leggeri e fatti in economia hanno salvaguardato fino ad oggi le caratteristiche dell' edificio piu' di quanto avrebbe fatto un'eventuale ristrutturazione pesante e snaturante

  • abbiamo difeso la proprieta' pubblica dell' edificio e della sua destinazione ad uso misto (residenza, attivita' artigianali, servizi) di fronte a ipotesi di vendita a privati e a progetti di cambiamento della destinazione d' uso che sono stati a piu' riprese avanzati dall' amministrazione comunale

  • * abbiamo creato nel quartiere un luogo vivo, frequentato, sede di molteplici iniziative sociali e culturali

  • abbiamo vissuto e abitato la casa in una logica di dialogo e sostegno reciproco aperto alle discussioni e alla risoluzione dei conflitti



  • Abbiamo sempre cercato di arrivare ad un accordo con il Comune che portasse ad una definizione legale della nostra situazione Negli anni '80 vi erano in Italia cooperative (ad es. Bologna) che praticavano la strada della autocostruzione, cioe' del risanamento di edifici degradati di proprieta' pubblica con la partecipazione degli abitanti sia a livello economico che fattivo.
    In questa prospettiva abbiamo formulato e presentato all'amministrazione comunale tre diverse proposte:
    la prima, elaborata dagli architetti di Spazio e Societa' proponeva di creare in via Morigi8 un cantiere-laboratorio per sperimentare la possibilita' di risanare una casa storica con tecniche leggere e a costi bassi grazie alla partecipazione della Scuola Edile del Comune di Milano e degli abitanti;
    le altre due basate su due progetti da noi commissionati a uno studio di architettura e ad uno di ingegneria e proponevano una nostra partecipazione finanziaria e di lavoro ai costi di risanamento, da recuperare in conto affitto.

    I tre progetti sono stati presentati in convegni cittadini a cui hanno partecipato rappresentanti di sindacati e cooperative edilizie suscitando una buona eco e addirittura nel 1992 una mozione favorevole del Consiglio di Zona 1, senza che vi siano mai state risposte da parte dell'amministrazione comunale.

    Il primo reale contatto con l'Amministrazione comunale l'abbiamo avuto nel 1995 quando vi fu il primo sopralluogo di tecnici comunali sulla casa.
    Nel 1999 il Demanio riprese in mano la situazione imponendo una soluzione apparentemente semplice:
    il pagamento di un' indennita' di occupazione per gli ultimi 5 anni e l'avvio di un progetto di ristrutturazione che comportava l'allontanamento di tutti gli abitanti e le associazioni.
    Proponeva a chi ne aveva i requisiti di iscriversi nelle liste per l'assegnazione di case popolari (ai tempi si poteva ancora fare) e prevedeva dopo la ristrutturazione, il rientro in affitto per quei pochi che avrebbero potuto pagare prezzi di mercato. Decidemmo di pagare una prima quota di indennita' per dimostrare la nostra volonta' nel trovare un accordo ma vincolammo il pagamento di una seconda quota alla firma di un protocollo d'intesa fra l'Amministrazione comunale e gli abitanti della casa. L'Amministrazione ritenne non ci fosse altro da dire.
    Il 10/11/2005 gli abitanti della casa ricevono dal Settore Demanio e Patrimonio la comunicazione dell'avvio di un procedimento amministrativo volto al rilascio forzoso dei locali siti in via Morigi 8 in quanto occupanti senza titolo.