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  1. Sanità precaria
  2. Nell'epoca della proliferazione della precarietà, anche i settori che tradizionalmente sono percepiti come regno del lavoro stabile, sicuro e garantito perché non licenziano se non in casi eccezionali stanno subendo la veloce invasione delle nuove figure precarie.

     

    Parlando della Sanità, ad esempio, è da circa un decennio che con l'avvio dell'aziendalizzazione del settore e il blocco delle assunzioni del personale non sanitario attuato ogni anno dalle leggi finanziarie sono state aperte le porte al processo di "esternalizzazione" di molte attività di servizio "tecnico". In altre parole dalla prima metà degli anni '90 ad oggi negli ospedali e nelle strutture sanitarie pubbliche del nostro paese sono stati appaltati progressivamente i servizi di biancheria, pulizia, ristorazione per degenti e dipendenti, facchinaggio, trasporto materiale, trasporto di persone tramite ambulanza, manutenzione idraulica, elettrica, edilizia a ditte e cooperative private.

     

    In questo lungo lasso di tempo i direttori generali delle diverse ASL (Aziende Sanitarie Locali) e ASO (Aziende Sanitarie Ospedaliere) hanno risparmiato con l'esternalizzazione sul costo del personale, tramite il blocco del turn over e la riduzione dei costi fissi legati al mantenimento di questi servizi all'interno dell'azienda pubblica. Questo genere di espulsione strisciante del lavoro di supporto tecnico dal pubblico al privato ha comportato la crescente precarizzazione del lavoro dentro le strutture sanitarie. Molte ditte appaltatrici sono aziende o cooperative di dubbia provenienza, che in alcuni casi ricorrono al subappalto di pezzi di servizi; tanto che il più delle volte i regimi orari, le paghe, la sicurezza (secondo la legge n.626) a cui sono costretti e ricattati i dipendenti di queste ditte sono fuori della legalità. Spesso la forma cooperativa garantisce ai padroncini reali di queste società d'appalto forme di retribuzione bassa (700-800 euro mensili) e la possibilità di congelare a casa le persone dimostratesi inutili o sgradite senza bisogno di pagarle. Nei casi in cui la forma cooperativa risulta eccezionalmente sfacciata per vere e proprie imprese dedite al lucro, le forme di assunzione e risparmio sulla mano d'opera cambiano. Si va dall'impiego di stagisti pagati dalla Regione o dalla UE per fantasiosi corsi di formazione (sulle pulizie, ad esempio) che durano circa 6 mesi, per poi rimandare tutti a casa e sostituirli con altri, per arrivare al sub-appalto di piccoli servizi come quello del servizio trasporto (nella consegna della biancheria o del ristoro per es.). In altri casi il lavoro è a tempo determinato e rinnovato di volta in volta, seguendo l'andamento e il rinnovo degli appalti.

     

    Questo quadro di degrado del lavoro è del tutto indifferente ai dirigenti imbiancati delle ASL. I capitolati d'appalto si occupano di tutto quello che riguarda il servizio, dedicando poco spazio alla parte del lavoro erogato in regime di dignità e sicurezza. E se i capitolati si perdono nella descrizione a volte paranoica del tipo di servizio preteso dall'ente pubblico, poco o nulla dedicano ai meccanismi di controllo e penalizzazione dell'impresa in appalto sul fronte del lavoro. Nel pubblico funziona così: se un problema non viene considerato nei volumi di carta, protocolli e verbali prodotti annualmente, vuol dire che non esiste. E non esiste neppure per il sindacato che subisce in silenzio questo processo di privatizzazione strisciante del servizio pubblico. Beninteso, lo subisce in cambio di soldi per i dipendenti pubblici in termini di incentivi, passaggi di fasce e categoria a livello di contratti integrativi (aziendali). Ed è un meccanismo ben accetto in primo luogo dai lavoratori stessi della Sanità, che tradizionalmente sono famosi per le poche ore di sciopero malgrado l'alto livello di sindacalizzazione e di consumo dei permessi sindacali.

     

    Ma è sul fronte degli operatori sanitari che il processo di privatizzazione strisciante della Sanità sta compiendo un giro di boa. Da circa sei sette anni nei reparti sono comparsi lavoratori in affitto "privati" che ormai coprono i turni, particolarmente nelle lungodegente e nelle medicine, laddove il lavoro di assistenza richiesto è quello di livello medio-basso rispetto ai livelli più specialistici preteso in settori di punta i pronto soccorso, le rianimazioni o le cardiochirurgie. Le direzioni sanitarie delle ASL si nascondono dietro alla foglia di fico della carenza infermieristica, ma la realtà è molto più paradossale. Da una parte c'è una Università che applicando il numero chiuso si limita a licenziare 6 mila infermieri, giusto la metà del fabbisogno annuale per sostituire il turn-over dagli ospedali. Dall'altra ci sono le direzioni sanitarie delle varie ASL che invece di incentivare l'assunzione di infermieri con paghe più alte, puntano ad appaltare le mansioni assistenziali di base all'esterno, ottenendo un risparmio minimo del 25% sul costo medio di un infermiere professionale.

     

    Questo processo virtuoso è oggi ancor più favorito dalla legge Bossi-Fini che pone limiti sui flussi migratori, ma non su quelli riguardanti gli infermieri. In questa maniera, stante l'impianto della legge, per cui se hai l'ingaggio per il lavoro puoi avere il permesso di soggiorno, molte cooperative e agenzie di assistenza sono sorte speculando sul business dell'importazione e collocazione a basso prezzo di mano d'opera assistenziale dall'Est europeo ai nostri reparti. Un business i cui margini sono presto detti. Normalmente l'ASL paga 1 ora di assistenza di un infermiere pubblico 40 euro, mentre alla cooperativa ne da solo 28 euro, cosicché quest'ultima ne lascia cadere nelle tasche del lavoratore immigrato solo 10 e. Ma oltre alla sottrazione di reddito, queste imprese sottraggono diritti. Giocando sul ricatto del permesso di soggiorno (a molti addirittura sequestrano i passaporti) costringono i lavoratori a lavorare 14-16 ore al giorno, a saltare i riposi dovuti, senza pagare di più il giorno festivo o le ore notturne o quelle straordinarie, come se ogni ora di lavoro fosse uguale all'altra. Ovviamente in questi sistemi le ferie pagate e la mutua non esistono. Ci sono cooperative (presunte cooperative) che su questo sistema hanno costruito delle fortune. Come la KCS Caregiver di Bergamo che ha appalti in tutto il centro-nord d'Italia, oppure la cooperativa "sociale" "Vita Serena", nata in Ciociaria sotto gli auspici del fascista Luca Giovannone e sponsorizzata dall'amico Storace in giro per il Lazio e poi per il resto d'Italia. La KCS Caregiver ha già subito un'inchiesta da parte della Finanza per aver fatto lavorare degli infermieri più di 16 ore giornaliere semplicemente spostandoli da un servizio all'altro, da una RSA all'altra, nella stessa giornata presso il comune di Trento. Qui a Torino, dove hanno appalti presso alcune ASL, pare usino lo stesso sistema. Invece la cooperativa di Giovannone, in appalto fino a qualche mese fa presso l'ASL 4, è passata all'onore delle cronache per aver sistemato per le buone giù dalle scale l'infermiere Abdel Belgaid che reclamava delle paghe arretrate. Ora questo lavoratore è finito paralizzato sulla sedia a rotelle, ma la cooperativa non ha certo chiuso i battenti.

     

    L'impiego di questi infermieri o oss immigrati a basso costo sta diventando una moda. Una moda che non è né di destra né di sinistra, se si pensa che il direttore generale Giulio Fornero dell'ASL 4 - da sempre vicinissimo ai DS - ne ha riempito le corsie, o se si considera che ormai l'azienda Molinette è il presidio sanitario che ha una delle più alte concentrazione di infermieri immigrati appaltati d'Italia.

     

    I lavoratori appaltati della Sanità sono dunque in crescita. In crescita come numero, in crescita come mancanza di diritti, reddito e come condizione precaria. Nessuno o pochi si occupa di loro. Anzi sono addirittura invisibili agli stessi utenti del servizio, come - soprattutto - a buona parte dei lavoratori stabili e garantiti del "pubblico". In molti casi, sono considerati una palla al piede o gente che non sa lavorare bene. Non sono infrequenti nei reparti casi di mobbing verso questi lavoratori invisibili, così come i fenomeni di intolleranza sui quali qualche piccolo sindacalista fascista ci fa addirittura un programma di lotta (vedi i sindacati neocorporativi degli infermieri).

     

    Finché su questo genere di conflitto nuovo, di tipo orizzontale, fra garantiti e non garantiti, non si farà nulla per ricomporre e aprire una battaglia di diritti e di maggior reddito, ci sarà sempre qualcuno che ci specula, qualcun altro che ci si ingrassa e qualcun altro ancora che ci risparmia sopra costruendo la propria fortuna di rinomato manager pubblico.