1.  
  1. Precariopoli pride?
  2. Tutti e tutte attingono/iamo alle lotte d'immaginario GLBT/queer, salvo poi vergognosamente "scordarci" la fonte o mettere al solito ultimo posto "quelle tematiche", "quelle rivendicazioni" ( leggi: quelle minoranze, che non possono ambire ad un piano generale del discorso e di cui in fondo non ce ne fotte molto…), quando non censurarle di brutto. E' avvenuto con la bandiera rainbow. "Fières d'etre précaires !?" è invece il contrario. E' mettere al centro quel "pride to be" di (supposta) minoranza e generalizzarlo, ovvero una politica delle soggettività ( e dovrebbe far(ci) pensare una simile stupenda operazione da parte di Act Up, storicamente e "concretamente"ancora legata a quelle visioni delle minoranze "deboli" di cui la teorica politica e la prassi lesbo/femminista-queer dovrebbe/potrebbe far piazza pulita).

     

    Ma ciò che è accaduto dentro il Mayday, in termini ancora di formulazione che attende senz'altro di essere sistematizzata, sono i "queer rigths for all genders" ( specifichiamo per chi non volesse capire: per tutti i generi, non solo quelli maschile e femminile), una fluidificazione di quelle polarità che ancora per lo più ammorbano il nostro vetero-agire sociale e politico: maschile/femminile, minoranze/corpo sociale mainstream, soggettività/moltitudine, lavoro/non lavoro, studio/lavoro, piena occupazione/disoccupazione, posto fisso/posto precario, tempo libero/tempo lavorativo, sfera privata/sfera sociale, guadagno/consumo, spazio corporeo/spazio mentale etc ( quanto poi tutto ciò sia spazio di reale condivisione del "movimento" dei precari, come e quanto i soggetti precari si identifichino in un movimento, nel qui&ora e nel poi dei futuri ma già intravisti dispositivi del mercato del lavoro, è da vedersi). Rivendicare ( ma non piuttosto testimoniare?) soggettività precaria significa in primo luogo riconoscere se stess* precari, poi riconoscersi tra precari, annihilendo quelle sensazioni di vergogna&rassegnazione nel percepirsi in una condizione e nel desiderare (nuovi) stili di vita fuori-controllo (coming out precario), contro quei meccanismi del dominante che puntano invece, tramite la parcellizzazione e relativa individualizzazione delle condizioni e delle lotte, a produrre incomunicabilità e introiezione di discriminazione e/o dello stato di cose esistente, non tanto e non solo nei corpi storici di resistenza lavorativa, ma nelle settorialità esplose ed espanse della flessibilità coatta e non protetta. Per mettere meglio a lavoro. Naturalmente è questo il vero scopo della legge 30, come del CPE, CNE e molta altra legislazione francese di lungo periodo. Un link perfettamente enunciato dai cartelli e slogan del collettivo parigino Les Pantheres Roses: dove l'istituzionalizzazione del licenziamento "senza motivo", scintilla "di principio" delle rivolte, altro non è che una estensione/generalizzazione della discriminazione lavorativa transfobica e omofoba, ancora una volta "ante-nata" per così dire dell'ipocrisia, che ora si vuole generalizzare, del "sans motif".

     

    Ma le interconnessioni diacroniche fra genere, generi, identità e lotte precarie continuano. L' "ambivalence", così chiaramente enucleata durante la preparazione di questa EuroMayDay ( precarietà imposta contro flessibilità scelta come consapevole (nuovo) stile di vita) è quella anche e prima delle identità (militanti) glbt, strette fra le sempre necessarie, di fronte a un "altro" ancora&sempre negazionista, definizioni e pratiche di soggettività e l e sclerotizzazioni identitarie che esse stesse hanno prodotto, in quasi 40 anni di lotte (contando da Stonewall in poi), per ritrovarci in mano rivendicazioni miseramente separatiste buone al massime per politiche lobbistiche ,vedi il percorso politico dei Pacs in Italia ( ma il separatismo, mi direbbe una femminista separatista, è anch'essa dentro l' "ambivalence").

     

    Stesso discorso per coloro che si ostinano a parlare di "diritti umani" per le donne e per le persone glbt. Nel far ciò, non solo si avvicinano pericolosamente ai diritti inalienabili dell'uomo (maschile universale, naturalmente!) di Santa Romana Chiesa, ma fingono di non sapere che di diritti sociali e politici, prima di tutto, si tratta. Lo avevamo capito al Forum Sociale di Firenze, dove si discuteva di soggettività glbt, guerra e neoliberismo. Lo ha ribadito quella parte del movimento glbt francese che ha votato no alla costituzione europea: no ad una costituzione-emanazione di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, che proibisce la discriminazione basata sull'orientamento sessuale e nello stesso tempo deregolarizza, privatizza, produce precarietà a tutti i livelli, il vero sostrato del razzismo e dell'esclusione. E' chiaro che di fronte all'Europa e al suo "legislazionismo" ( e a tutti i suoi campioni e campionesse in carica scaldapoltrone o aspiranti tali del movimento glbt) ci troviamo a contrastare una politica dei due tempi per così dire rovesciata: prima c'era la solita storiella dei diritti femminili e di quelli "borghesi" glbt, che sarebbero arrivati di conseguenza dopo una reale rivoluzione economico-politica della società ( vedi lo squallido rigurgito qualche settimana fa di Marco Rizzo dei Comunisti Italiani).

     

    Adesso è l'esatto contrario. La sacra alleanza catto-liberista è al suo culmine: si perfezionano i dispositivi di precarizzazione, bioimpoverimento e controllo generale delle nostre vite&corpi e si propaganda furiosamente la famiglia (ovviamente monogamica, mononucleare, eterosessuale) come rifugio e panacea. Ma sia detto chiaramente: la famiglia non è e non può essere il luogo della sicurezza sociale: come individui/individue vogliamo reddito e servizi, subito e indipendentemente da genere, nazionalità, età e prestazione lavorativa, capacità fisiche e mentali.

     

    Le nostre vite e corpi sono qui&ora a testimoniare desideri, bisogni, necessità che non siamo più disposti a negoziare. La voglia di sfuggire al Controllo, le nostre pratiche anidentitarie, il nomadismo pink da attraversatori/trici di margini, ci rende vulnerabili, ci porta all'intersecazione con "gli altri", alla sospensione del giudizio, all'affidamento contro la logica (imposta) dell'uomo/donna faber di se stess*, magari di fronte ai datori di lavoro... Vulnerabilità rivendicata, come antitesi alla volontà di possesso su cui si basa ogni soggetto forte: uomo su uomo, uomo su donna, uomo su essere vivente, uomo post/neo-coloniale su migrante, capitale su classi esplose&espanse ( e forse è necessario riconoscere ancora il capitale come soggetto forte, in questa età di sua - e nostra - disseminazione), la chiesa (ovvero il capitale) sulle soggettività individuali e collettive. Per questo abbiamo bisogno di reti, ben più e ben prima della nostra messa a lavoro ( e ce le creiamo: da webrings precari alla cassa di mutuo-aiuto, ai gas). E sia chiaro: non ragioneremo più con maschilisti, sessisti e lavoristi, che prendono il basic income come rivendicazione riformista e non vogliono capire il potenziale realmente rivoluzionario dei diritti sociali sganciati dal principio di prestazione. Il fatto è che i precari e le precarie si sentono al centro di grandi (nuove?) contraddizioni del nostro periodo: la precarietà (di vita) metropolitana e l'esodo. Il Consumo e l'essere consumat* dal mercato del lavoro. Le isole metropolitane di decrescita/de-sviluppo ( sono possibili?).

     

    I macchinari mediatici tritatutto e il nostro comunque esserci dentro. Liberi saperi autogestiti e mercificazione culturale. Immaginari eretici, fastidiosi e "contro" (contro-culturali, contra-sessuali…). Tutto questo incide la precarietà e le consapevolezze cospiranti e sporadiche ( nel senso di spore!…). E' la novità (?), da 4 anni, dell' EuroMayDay.