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3.

Nella conferenza precedente ho fatto riferimento a due forme o tipi di regolamento giudiziario, di lite, di contesa o di disputa che sono presenti nella civiltà greca. La prima forma, abbastanza arcaica, si trova in Omero. Due guerrieri si affrontavano per sapere chi aveva torto e chi aveva ragione, chi aveva violato il diritto dell'altro. Il compito di risolvere la questione era affidato a una contesa regolamentata, a una sfida tra i due guerrieri. Uno dei due lanciava la seguente sfida all'altro: «Sei disposto a giurare davanti agli dèi che non hai fatto ciò di cui io ti accuso?». In una procedura di questo tipo non c'è giudice, né sentenza, né verità, né indagine o testimonianza per sapere chi ha detto la verità. Si assegna alla lotta, alla sfida, al rischio che ognuno dei contendenti si accinge a correre, l'incarico di decidere non chi ha detto la verità, ma chi ha ragione.
La seconda forma di cui parliamo è quella che si sviluppa in "Edipo re". Per risolvere un problema che è pure in un certo senso il problema di una contesa, di una lite giudiziaria - chi ha ucciso il re Laio? - appare un personaggio nuovo rispetto al vecchio procedimento omerico: il pastore. In fondo alla sua capanna, nonostante fosse un uomo senza importanza, uno schiavo, il pastore ha visto e, dato che è in possesso di questo piccolo frammento di ricordo, dato che nel suo discorso porta la testimonianza di ciò che ha visto, può contestare e abbattere l'orgoglio del re e la presunzione del tiranno. Il testimone, l'umile testimone col solo mezzo del gioco della verità che ha visto e che enuncia, può sconfiggere da solo i più potenti. "Edipo re" è una specie di riassunto della storia del diritto greco. Molte opere di Sofocle, come "Antigone" ed "Elettra", sono una specie di ritualizzazione teatrale della storia del diritto greco. Questa drammatizzazione della storia del diritto ci presenta un riassunto di una delle grandi conquiste della democrazia ateniese: la storia del processo attraverso il quale il popolo si è impadronito del diritto di giudicare, del diritto di dire la verità, di opporre la verità ai suoi stessi signori, di giudicare coloro che lo governano. Questa grande conquista della democrazia greca, il diritto di testimoniare, di opporre la verità al potere, si è costituito nel corso di un lungo processo nato, e definitivamente instauratosi ad Atene durante il secolo quinto. Questo diritto di opporre una verità senza potere a un potere senza verità ha dato luogo a una serie di grandi forme culturali, caratteristiche della società greca.
In primo luogo, l'elaborazione di ciò che potremmo chiamare le forme razionali della prova e della dimostrazione: come produrre la verità, in quali condizioni, quali forme osservare e quali regole applicare. Queste forme sono la filosofia, i sistemi razionali, i sistemi scientifici. In secondo luogo, e in relazione con queste forme precedenti, si è sviluppata un'arte di persuadere, di convincere le persone della verità di quanto si dice, di ottenere la vittoria per la verità o, anche, per mezzo della verità. Si ha qui il problema della retorica greca. In terzo luogo, c'è lo sviluppo di un nuovo tipo di conoscenza: la conoscenza tramite testimonianza, tramite ricordo o indagine. Sapere di indagine che sarà sviluppato dagli storici come Erodoto, poco prima di Sofocle, dai naturalisti, dai botanici, dai geografi e dai viaggiatori greci e che Aristotele riassumerà e renderà enciclopedico.
C'è stata quindi in Grecia una specie di grande rivoluzione che, attraverso una serie di lotte e di contese politiche, ha avuto come risultato l'elaborazione di una forma determinata di scoperta giudiziaria, giuridica della verità. Questa costituisce la matrice, il modello a partire dal quale una serie di altri saperi - filosofici, retorici ed empirici - hanno potuto svilupparsi e caratterizzare il pensiero greco.
Curiosamente la storia della nascita dell'indagine è rimasta dimenticata e si è perduta, ed è stata ripresa sotto altre forme vari secoli dopo, nel Medioevo.
Nel Medioevo europeo si assiste a una specie di seconda nascita dell'indagine, che è stata più oscura e lenta, ma che ha ottenuto un successo ben più reale della prima. Il metodo greco d'indagine era rimasto stazionario, e non era pervenuto alla fondazione di una conoscenza razionale capace di svilupparsi indefinitamente. In compenso l'indagine che nasce nel Medioevo assumerà dimensioni straordinarie. Il suo destino sarà praticamente coestensivo al destino della cultura chiamata «europea» o «occidentale».
L'antico diritto, che regolamentava le liti tra gli individui nelle società germaniche, nel momento in cui queste entrarono in contatto con l'Impero Romano, era in un certo senso molto vicino, in alcune delle sue forme al diritto greco arcaico. Era un diritto in cui non esisteva il sistema dell'indagine, poiché le dispute tra gli individui erano regolate con il gioco della prova. L'antico diritto germanico, all'epoca in cui Tacito comincia ad analizzare questa curiosa civiltà che si estende fino alle porte dell'Impero, lo si può schematicamente tratteggiare nel seguente modo.
In primo luogo non c'è azione pubblica, cioè non c'è nessuno che - rappresentando la società, il gruppo, il potere o colui che lo detiene -, sia incaricato di muovere delle accuse contro degli individui. Perché ci fosse un processo di tipo penale era necessario che ci fosse stato un torto, o che almeno qualcuno pretendesse di aver subìto un torto o si presentasse come vittima e che questa sedicente vittima indicasse il suo avversario, potendo la vittima essere tanto la persona direttamente offesa, quanto qualcuno che apparteneva alla sua famiglia, e faceva propria la causa del parente. L'azione penale era caratterizzata sempre dall'essere una specie di duello o opposizione tra individui, tra famiglie o gruppi. Non c'era intervento di nessun rappresentante dell'autorità. Si trattava di un reclamo fatto da un individuo a un altro, un'azione che comprendeva solo l'intervento di questi due personaggi: colui che si difende e colui che accusa. Conosciamo solo due casi abbastanza curiosi nei quali c'era una specie di azione pubblica: il tradimento e l'omosessualità. In questi casi interveniva la comunità, che si considerava parte lesa e collettivamente esigeva dall'individuo la riparazione. Pertanto la prima condizione perché ci fosse azione penale nell'antico diritto germanico era l'esistenza di due personaggi e mai di tre.
La seconda condizione era che, una volta introdotta l'azione penale, quando un individuo già si era dichiarato vittima e reclamava la riparazione da un altro, la liquidazione giudiziaria doveva essere fatta come una specie di prosecuzione della lotta tra gli individui. Si sviluppa così una sorta di guerra particolare, individuale, e la procedura penale sarà solo una ritualizzazione di questa lotta tra gli individui. Il diritto germanico non oppone la guerra alla giustizia, non identifica giustizia e pace, ma, al contrario, suppone che il diritto sia una certa maniera singolare e regolata di condurre la guerra tra gli individui e di concatenare atti di violenza. Il diritto è, dunque, una maniera regolamentata di fare la guerra. Per esempio, quando qualcuno viene ucciso, uno dei suoi parenti prossimi può esercitare la pratica giudiziaria della vendetta, il che non significa in nessun modo rinunciare a uccidere qualcuno, principalmente l'assassino. Entrare nel campo del diritto significa uccidere l'assassino, ma ucciderlo secondo certe regole, certe forme. Se l'assassino ha commesso il crimine in questo o in quel modo, bisognerà ucciderlo tagliandolo a pezzi o decapitandolo e mettendo la testa su un palo di fronte all'entrata della sua casa. Questi atti ritualizzano il gesto di vendetta e lo caratterizzano come vendetta giudiziaria. Il diritto è quindi la forma rituale della guerra.
La terza condizione è che, se è vero che non c'è opposizione tra diritto e guerra, non è meno vero che è possibile giungere a un accordo, cioè interrompere queste ostilità regolamentate. L'antico diritto germanico offre sempre la possibilità di giungere a un accordo o a una transazione attraverso una serie di vendette rituali e reciproche. Si può interrompere la serie delle vendette con un patto. A un certo punto i due avversari fanno ricorso a un arbitro che, in accordo con essi e con il loro mutuo consenso, stabilisce una somma di danaro che costituisce il riscatto. Non si tratta del riscatto della colpa poiché non c'è colpa, ma solo torto e vendetta. In questa procedura del diritto germanico uno dei due avversari riscatta il diritto di avere pace, di sfuggire alla possibile vendetta del suo contendente. Egli riscatta la sua stessa vita e non il sangue che ha versato, e mette così fine alla guerra. L'interruzione della guerra rituale è il terzo atto o l'atto finale del dramma giudiziario nel vecchio diritto germanico.
Il sistema che regolamenta i conflitti e le liti nelle società germaniche di quest'epoca è, quindi, interamente governato dalla lotta e dalla transazione, è una prova di forza che può terminare con una transazione economica. Si tratta di una procedura che non permette l'intervento di un terzo individuo che si ponga tra gli altri due come l'elemento neutro alla ricerca della verità, di qualcuno che tenti di scoprire chi dei due ha detto la verità. Una procedura di indagine, una ricerca della verità non interviene mai in un sistema di questo tipo. E' questo il modo in cui si era costituito il diritto germanico prima dell'invasione dell'Impero Romano.
Non mi dilungherò sulla lunga serie di peripezie che ha fatto sì che questo diritto germanico sia entrato in rivalità, in concorrenza, a volte in complicità con il diritto romano, che regnava nei territori occupati dall'Impero Romano. Tra i secoli quinto e decimo della nostra era ci furono una serie di penetrazioni e di conflitti tra questi due sistemi di diritto. Ogni volta che sulle rovine dell'Impero Romano comincia ad abbozzarsi uno Stato e, ogni volta che una struttura statale comincia a nascere, il diritto romano, vecchio diritto di Stato, si rinvigorisce. E' così che durante i regni merovingi, e soprattutto all'epoca dell'Impero Carolingio, il diritto romano ha avuto la meglio, in un certo modo, sul diritto germanico. D'altra parte ogni volta che si dissolvono questi embrioni o abbozzi di Stati, riappare il vecchio diritto germanico. Quando l'Impero Carolingio sprofonda, nel secolo decimo, trionfa il diritto germanico e il diritto romano cade per parecchi secoli nell'oblio, per non riapparire lentamente che alla fine del dodicesimo e nel corso del tredicesimo secolo. Così il diritto feudale è essenzialmente di tipo germanico. Esso non presenta nessuno degli elementi delle procedure d'indagine, di accertamento della verità delle società greche o dell'Impero Romano.
Nel diritto feudale la lite tra due individui era regolata per mezzo del sistema della prova. Quando un individuo si presentava come latore di una rivendicazione, di una contestazione, accusando un altro di aver rubato o ucciso, la lite tra i due era risolta attraverso una serie di prove accettate sia dall'uno che dall'altro e alle quali entrambi erano sottoposti. Questo sistema era non tanto una maniera di provare la verità, quanto un modo di provare la forza, il peso o l'importanza di chi parlava.
In primo luogo c'erano delle prove sociali, prove dell'importanza sociale di un individuo. Nel vecchio diritto della Borgogna del secolo undicesimo, quando qualcuno era accusato di omicidio poteva stabilire tranquillamente la sua innocenza riunendo intorno a sé dodici testimoni che giuravano che egli non aveva commesso l'assassinio. Il giuramento, per esempio, non si fondava sul fatto che avessero visto viva la presunta vittima, o su di un alibi per il presunto assassino. Per prestare giuramento, per testimoniare che un individuo non aveva ucciso, era necessario essere parente dell'accusato. Era necessario avere con lui relazioni di parentela che garantivano non la sua innocenza, ma la sua importanza sociale. Tutto questo mostrava la solidarietà sociale che un individuo era in grado di ottenere, il suo peso, la sua influenza, l'importanza del gruppo al quale apparteneva e delle persone pronte ad appoggiarlo in una battaglia o in un conflitto. La prova dell'innocenza, la prova che non era stato commesso l'atto in questione, non era in nessun modo la testimonianza.
In secondo luogo, c'erano prove di tipo verbale. Quando un individuo era accusato di qualcosa - furto o assassinio - doveva rispondere a quest'accusa con un certo numero di formule, garantendo che non aveva commesso omicidio o furto. Poteva succedere che l'individuo riuscisse o fallisse nel pronunciare queste formule. In qualche caso si pronunciava la formula e si perdeva: non per aver detto delle falsità o perché venisse provato che si aveva mentito, ma per non aver pronunciato la formula come si doveva. Un errore di grammatica, una parola sbagliata invalidavano la formula ma non la verità di ciò che si pretendeva di provare. La conferma che a livello della prova si trattava solo di un gioco verbale è che nel caso di un minore, di una donna, o di un prete, l'accusato poteva essere sostituito da un'altra persona. Quest'altra persona che, più tardi nella storia del diritto, diventerà l'avvocato, era quella che doveva pronunciare le formule al posto dell'accusato. Se il sostituto si sbagliava nel pronunciarle, colui a nome del quale parlava perdeva il processo.
In terzo luogo c'erano le vecchie prove magico-religiose del giuramento. Si chiedeva all'accusato di prestare giuramento, e nel caso non osasse o esitasse, perdeva il processo.
Infine c'erano le famose prove corporali, fisiche, chiamate ordalie, che consistevano nel sottomettere una persona a una specie di gioco, di lotta con il suo corpo per constatare se avrebbe vinto o perduto. Per esempio, in alcune regioni del nord della Francia, durante l'Impero Carolingio, si ricorreva a una prova celebre, imposta a chi era accusato d'assassinio. L'accusato doveva camminare sulle braci, e, se due giorni dopo aveva ancora delle cicatrici, perdeva il processo. C'erano anche altre prove, come l'ordalia dell'acqua, che consisteva nel legare la mano destra al piede sinistro di una persona e gettarla nell'acqua. Se la persona non andava a fondo, perdeva il processo, poiché voleva dire che l'acqua non l'aveva ricevuta bene, e se andava a fondo lo vinceva, poiché era evidente che l'acqua non l'aveva rifiutata. Tutto questo misurarsi dell'individuo o del suo corpo con gli elementi naturali è una trasposizione simbolica della vera e propria lotta degli individui tra loro, la cui semantica andrebbe studiata. In fondo si tratta sempre di una battaglia, si tratta sempre di sapere chi è il più forte. Nel vecchio diritto germanico, il processo non è che una prosecuzione regolamentata, ritualizzata, della guerra.
Potrei fornire degli esempi più convincenti, quali le lotte tra due avversari nel corso di tutto un processo, lotte fisiche, i famosi giudizi di Dio. Quando due individui si affrontavano per la proprietà di un bene, o a causa di un assassinio, era sempre loro possibile, se erano d'accordo, lottare, obbedendo a determinate regole - durata della lotta, tipo di arma -, alla presenza di un pubblico presente solo per garantire la regolarità di ciò che accadeva. Chi aveva la meglio nella lotta vinceva anche il processo, senza che gli si desse la possibilità di dire la verità o piuttosto senza che gli si domandasse di provare la verità della sua pretesa.
Nel sistema della prova giudiziaria feudale non si tratta di cercare la verità ma piuttosto di una specie di gioco a struttura binaria. L'individuo accetta la prova o rinuncia. Se rinuncia, se non vuole affrontare la prova, perde il processo anticipatamente. Se la prova ha luogo, vince o perde, e non c'è altra possibilità. La forma binaria è la prima caratteristica della prova.
La seconda caratteristica è che la prova termina con una vittoria o con uno scacco. C'è sempre qualcuno che vince e qualcuno che perde, il più forte o il più debole, una soluzione favorevole o sfavorevole. In nessun momento compare qualcosa di simile alla sentenza, dato che questa farà la sua apparizione a partire dalla fine del secolo dodicesimo e all'inizio del tredicesimo. La sentenza consiste nell'enunciazione, fatta da un terzo, di ciò che segue: una certa persona, avendo detto la verità, ha ragione; un'altra, avendo detto una menzogna, non ha ragione. Di conseguenza nel diritto feudale la sentenza non esiste; la separazione della verità e dell'errore tra gli individui non vi svolge alcun ruolo; è ammessa semplicemente la vittoria o la sconfitta.
La terza caratteristica è che questa prova è, in un certo modo, automatica. Non è necessaria la presenza di un terzo personaggio per distinguere i due avversari. Sono l'equilibrio delle forze, il gioco, la sorte, il vigore, la resistenza fisica, l'agilità intellettuale, che s'incaricano di stabilire le differenze tra gli individui, secondo un meccanismo che si svolge automaticamente. L'autorità interviene solo per testimoniare della regolarità della procedura. Nel momento in cui si svolgono queste prove giudiziarie interviene qualcuno, che prende il nome di giudice - il sovrano politico o qualcuno designato con il mutuo consenso dei due avversari - semplicemente per comprovare che la lotta si è svolta regolarmente. Il giudice non fornisce una testimonianza sulla verità, ma solo sulla regolarità della procedura.
La quarta caratteristica è che in questo meccanismo la prova non serve a nominare, a individuare chi dice la verità, ma a stabilire che il più forte è al contempo colui che ha ragione. In una guerra o in una prova non giudiziaria, uno dei due è sempre il più forte, ma questo non prova che, allo stesso tempo, abbia ragione. La prova giudiziaria è una maniera di ritualizzare la guerra o di trasporla simbolicamente. E' un modo di conferirle certe forme derivate e teatrali in modo che il più forte sia designato, per questo motivo, come colui che ha ragione. La prova è un operatore del diritto, un trasformatore della forza in diritto, una specie di "shifter" che permette il passaggio dalla forza al diritto. La prova non ha una funzione apofantica, non ha la funzione di indicare, di manifestare o far apparire la verità. E' un operatore del diritto e non un operatore di verità o un operatore apofantico. Ecco in cosa consiste la prova nel vecchio diritto feudale.
Questo sistema di pratiche giudiziarie scompare alla fine del dodicesimo e nel corso del tredicesimo secolo. Durante tutta la seconda metà del Medioevo si assisterà alla trasformazione di queste vecchie pratiche e all'invenzione di nuove forme di giustizia, di nuove forme di pratiche e di procedure giudiziarie. Forme che sono assolutamente di capitale importanza per la storia dell'Europa e del mondo intero, nella misura in cui l'Europa ha imposto violentemente il suo giogo a tutta la superficie della terra. Quello che è stato inventato in questa rielaborazione del diritto è qualcosa che non concerne tanto i contenuti quanto le forme e le condizioni di possibilità del sapere. Nel diritto in quest'epoca è stata inventata una determinata maniera di sapere, una condizione di possibilità del sapere, il cui destino sarà di capitale importanza nel mondo occidentale. Questa modalità di sapere è l'indagine, che è apparsa per la prima volta in Grecia, e che è rimasta dissimulata per vari secoli dopo la caduta dell'Impero Romano. L'indagine, che rinasce nei secoli dodicesimo e tredicesimo è, tuttavia, di un tipo abbastanza diverso da quella di cui abbiamo visto l'esempio nell'Edipo.
Perché scompare in quest'epoca la vecchia forma giudiziaria di cui ho presentato i tratti fondamentali? Si può dire schematicamente che uno dei tratti fondamentali della società feudale dell'Europa occidentale è che la circolazione dei beni è relativamente poco garantita dal commercio. Essa è assicurata attraverso meccanismi di eredità o trasmissione testamentaria e, soprattutto, con contese belliche, militari, extragiudiziarie o giudiziarie. Uno dei mezzi più importanti per garantire la circolazione dei beni nell'Alto Medioevo era la guerra, la rapina, l'occupazione della terra, di un castello o di una città. Ci troviamo su una frontiera estremamente mobile tra il diritto e la guerra, nella misura in cui il diritto è una maniera di continuare la guerra. Per esempio, chi dispone di forze armate occupa un terreno, un bosco, una qualsiasi proprietà e in quel momento fa prevalere i suoi diritti. Inizia allora una lunga contesa alla fine della quale colui che non possiede forza armata e vuole recuperare le sue terre ottiene la partenza dell'invasore solo mediante un pagamento. Questo accordo è al limite tra il giudiziario e il bellico ed è una delle forme più frequenti di arricchimento. La circolazione, lo scambio dei beni, i fallimenti e gli arricchimenti si sono prodotti nell'alto feudalesimo, in gran parte secondo questo meccanismo.
E' interessante allora confrontare la società feudale in Europa con le società, dette «primitive» studiate oggi dagli etnologi. In queste ultime lo scambio di beni si realizza attraverso la contesa e la rivalità, che si esprimono soprattutto nella forma del prestigio, a livello delle manifestazioni e dei segni. Anche in una società feudale la circolazione dei beni avviene sotto forma di rivalità e contesa. Rivalità e contesa che non si danno più però nella forma del prestigio, ma invece in forma bellica. Nelle società dette «primitive», le ricchezze si scambiano in prestazioni di rivalità perché esse non solo sono beni, ma anche dei segni. Nelle società feudali le ricchezze vengono scambiate non solo perché sono beni e segni ma perché sono beni, segni, e armi. La ricchezza è il mezzo mediante il quale si può esercitare tanto la violenza che il diritto di vita e morte sugli altri. Guerra, lite giudiziaria e circolazione dei beni fanno parte, durante il Medioevo, di un grande processo unico e fluttuante.
C'è quindi una duplice tendenza, caratteristica della società feudale. Da una parte c'è una concentrazione delle armi in mano ai più potenti, che cercano di impedire la loro utilizzazione da parte dei meno potenti. Ottenere la vittoria su qualcuno significa privarlo delle sue armi; da qui deriva una concentrazione del potere armato che negli Stati feudali conferì forza ai più potenti e, infine, al più potente di tutti, il monarca. Dall'altra parte, e simultaneamente, c'erano le azioni e le liti giudiziarie che erano una maniera di far circolare i beni. Si capisce così perché i più forti abbiano cercato di controllare le liti giudiziarie, impedendo che si sviluppassero spontaneamente tra gli individui, e perché essi abbiano cercato di impadronirsi della circolazione giudiziaria dei beni derivanti dalle liti, il che ha implicato la concentrazione delle armi e del potere giudiziario, che si formava all'epoca, nelle mani degli stessi individui.
L'esistenza dei tre poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario, è un'idea apparentemente molto antica nel diritto costituzionale. In verità, è un'idea recente, databile approssimativamente da Montesquieu. Ma ciò che qui ci interessa è vedere come si è formato il potere giudiziario. Il potere giudiziario non esisteva nell'Alto Medioevo. La liquidazione dei contrasti avveniva tra gli individui. Si chiedeva al più potente o a colui che esercitava la sovranità non che facesse giustizia, ma che verificasse, in funzione dei suoi poteri politici, magici e religiosi, la regolarità della procedura. Non c'era un potere giudiziario autonomo e nemmeno un potere giudiziario nelle mani di chi deteneva il potere delle armi, il potere politico. Nella misura in cui la contesa giudiziaria assicurava la circolazione dei beni, il diritto di ordinare e controllare questa contesa giudiziaria è stato confiscato dai più ricchi e potenti, dato che era un mezzo per accumulare ricchezze.
L'accumulo della ricchezza e del potere delle armi e la costituzione del potere giudiziario in mano a pochi formano un unico processo che è stato in vigore nell'Alto Medioevo e ha raggiunto la sua maturità con la formazione della prima grande monarchia medioevale, verso la metà o alla fine del secolo dodicesimo. In questo momento appare una serie di fenomeni totalmente nuovi rispetto alla società feudale, all'Impero Carolingio e alle vecchie regole del diritto romano.
1. Una giustizia che non è più una contesa tra degli individui, con libera accettazione da parte loro di un certo numero di regole di liquidazione, ma che, al contrario, va a imporsi dall'alto agli individui, ai contendenti e alle parti. Gli individui d'ora in avanti non avranno il diritto di risolvere, regolarmente o irregolarmente, le loro liti; dovranno sottomettersi a un potere a loro esterno che s'impone come potere giudiziario e come potere politico.
2. Appare una figura totalmente nuova, che non ha precedenti nel diritto romano: il procuratore. Questo curioso personaggio, che appare in Europa verso il secolo dodicesimo, si presenta come rappresentante del sovrano, del re o del signore. Ogni volta che ha luogo un crimine, un delitto o una contesa tra due individui, egli si presenta come il rappresentante di un potere leso dal semplice fatto che un delitto o un crimine ha avuto luogo. Il procuratore va a raddoppiare la vittima, starà alle spalle di colui che dovrebbe presentare la denuncia, dicendo: «Se è vero che quest'uomo ha danneggiato quest'altro, io, rappresentante del sovrano, posso affermare che il sovrano, il suo potere, l'ordine che egli garantisce, la legge che egli ha stabilito, sono stati anch'essi danneggiati da questo individuo. Cosicché anch'io mi pongo contro di lui». In questo modo, il sovrano, il potere politico, vengono a raddoppiare e, a poco a poco, a sostituire la vittima. Questo fenomeno assolutamente nuovo permetterà che il potere politico si impadronisca delle procedure giudiziarie. Il procuratore, dunque, si presenta come il rappresentante del sovrano danneggiato dal torto.
3. Appare una nozione assolutamente nuova: l'infrazione. Finché la vicenda giudiziaria si svolgeva tra due individui, vittima e accusato, si trattava solo del torto che un individuo aveva causato a un altro. La questione consisteva nel sapere se c'era stato un torto e chi aveva ragione. A partire dal momento in cui il sovrano o il suo rappresentante, il procuratore, dice: «Anch'io sono stato danneggiato dal torto», risulta che il torto non è solamente un'offesa di un individuo a un altro ma anche un'offesa che un individuo reca allo Stato, al sovrano come rappresentante dello Stato, un attacco non contro l'individuo ma contro la legge stessa dello Stato. In questo modo nella nozione di crimine, la vecchia nozione di torto viene sostituita da quella di infrazione. L'infrazione non è un torto commesso da un individuo ai danni di un altro, è un'offesa o lesione di un individuo nei riguardi dell'ordine, dello Stato, della legge, della società, della sovranità, del sovrano. L'infrazione è una delle grandi invenzioni del pensiero medievale. Vediamo così come il potere statale confischi tutta la procedura giudiziaria, tutto il meccanismo di liquidazione interindividuale delle liti dell'Alto Medioevo.
4. C'è ancora un'ultima scoperta, un'ultima invenzione altrettanto diabolica di quella del procuratore e dell'infrazione: lo Stato, o meglio, il sovrano (giacché non si può parlare di Stato in quest'epoca) non è solo la parte lesa, ma anche quella che esige la riparazione. Quando un individuo perde il processo è dichiarato colpevole e deve una riparazione alla sua vittima. Ma questa riparazione non è assolutamente quella dell'antico diritto feudale o dell'antico diritto germanico; non si tratta più di riscattare la propria pace dando soddisfazione all'avversario, ora si esige dal colpevole non solo la riparazione del torto fatto a un altro individuo, ma anche la riparazione dell'offesa commessa contro il sovrano, lo Stato, la legge. E' così che appare, con il meccanismo delle multe, il grande meccanismo delle confische. Le confische dei beni che sono, per le monarchie nascenti, uno dei grandi mezzi per arricchirsi e ampliare le loro proprietà. Le monarchie occidentali sono state fondate sull'appropriazione della giustizia, che permetteva loro l'applicazione di questi meccanismi di confisca. Ecco il retroterra politico di questa trasformazione.
E' necessario ora spiegare l'istituzione della sentenza, come cioè si arrivi alla fine di un processo in cui uno dei personaggi principali è il procuratore. Se la principale vittima di un'infrazione è il re, se il procuratore è colui che per primo si appella, si capisce che la soluzione giudiziaria non può più ottenersi attraverso i meccanismi della prova. Il re o il suo rappresentante, il procuratore, non possono arrischiare le loro vite o i loro beni ogni volta che viene commesso un crimine. L'accusato e il procuratore non si affrontano su un piano di parità, come accadeva nel caso della lotta tra due individui. E' necessario trovare un nuovo meccanismo che non sia più quello della prova o della lotta tra due avversari per sapere se qualcuno è colpevole o no. Il modello bellico non può più essere applicato.
Quale modello si adotterà allora? Questo è uno dei grandi momenti della storia dell'Occidente. C'erano due modelli per risolvere il problema: in primo luogo un modello infra-giuridico.
Nel diritto feudale stesso, nell'antico diritto germanico c'era un caso in cui la collettività nella sua totalità poteva intervenire, accusare qualcuno e ottenere la sua condanna: era la flagranza di delitto, il caso in cui un individuo veniva colto sul fatto mentre commetteva il crimine. A quel punto le persone che lo avevano sorpreso avevano il diritto di portarlo davanti al sovrano o davanti al detentore del potere politico e di dire: «Noi lo abbiamo visto mentre faceva la tal cosa, e di conseguenza bisogna castigarlo o esigere da lui una riparazione». C'era così, nella sfera stessa del diritto, un modello d'intervento collettivo e di decisione autoritaria per la liquidazione di una lite di ordine giudiziario: era il caso del delitto in flagrante, quando si osservava il crimine durante la sua esecuzione. Evidentemente questo era un modello che poteva essere utilizzato solo se si sorprendeva un individuo nel momento in cui commetteva il crimine, il che non è il caso più frequente. Il problema dunque, era sapere in che condizioni poteva essere generalizzato il modello del delitto in flagrante, e utilizzarlo in questo nuovo sistema del diritto che stava nascendo, interamente governato dalla sovranità politica e dai rappresentanti del sovrano politico.
Si è preferito utilizzare un secondo modello, extra-giudiziario che, a sua volta, si suddivise in due; o per meglio dire, aveva in quell'epoca una doppia esistenza, un doppio inserimento. Si trattava del modello dell'indagine, che era esistito all'epoca dell'Impero Carolingio. Quando i rappresentanti del sovrano dovevano risolvere un problema di diritto, di potere, o una questione di imposte, costumi, di rendita fondiaria o di proprietà, si procedeva a un qualcosa di perfettamente ritualizzato e regolare: la "inquisitio", l'indagine. Il rappresentante del potere chiamava le persone che erano ritenute in grado di conoscere i costumi, il diritto o i titoli di proprietà. Egli le riuniva, faceva giurare loro di dire la verità, di dire quello che sapevano, quello che avevano visto o che sapevano per sentito dire. Poi, lasciate sole, queste persone deliberavano. Alla fine di questa delibera si chiedeva la soluzione del problema. Era un metodo di gestione amministrativa che i funzionari dell'Impero Carolingio praticavano regolarmente. E' stato ancora impiegato, dopo la dissoluzione dell'Impero, da Guglielmo il Conquistatore in Inghilterra. Nel 1096 i conquistatori normanni occupano l'Inghilterra, si impossessano dei beni degli anglosassoni ed entrano in contrasto con la popolazione autoctona, e tra di loro, per il possesso di questi beni. Guglielmo il Conquistatore, per rimettere tutto in ordine, per integrare la nuova popolazione normanna con l'antica popolazione anglosassone, promuove un'enorme indagine sullo stato delle proprietà, delle imposte, sul sistema della rendita fondiaria, eccetera. E' il famoso "Domesday Book", l'unico esempio globale che possediamo di queste indagini che erano una vecchia pratica amministrativa degli imperatori carolingi.
Questa procedura di indagine amministrativa ha alcune caratteristiche importanti.
1. Il potere politico ne è il personaggio essenziale.
2. Il potere si esercita prima di tutto facendo domande, interrogando. Il potere non conosce la verità e cerca di saperla.
3. Per determinare la verità, il potere si rivolge ai notabili, alle persone che considera in grado di sapere, data la loro situazione, età, ricchezza, notorietà, eccetera.
4. Al contrario di ciò che accade alla fine dell'"Edipo re", il re consulta i notabili senza forzarli a dire la verità mediante l'impiego della violenza, della pressione, o della tortura. Si chiede loro di riunirsi liberamente e di esprimere un parere collettivo. Si lascia loro dire collettivamente quello che ritengono sia la verità.
Abbiamo quindi un modo di stabilire la verità totalmente legato alla gestione amministrativa della prima grande forma di Stato conosciuta in Occidente. Queste procedure d'indagine sono tuttavia state dimenticate durante i secoli decimo ed undicesimo nell'Europa dell'alto feudalesimo e sarebbero state dimenticate del tutto se la Chiesa non le avesse utilizzate per la gestione dei suoi propri beni. Bisognerebbe però complicare un poco l'analisi, poiché se la Chiesa ha utilizzato nuovamente il metodo carolingio d'indagine, è stato perché essa già lo aveva praticato prima dell'Impero Carolingio, per ragioni più spirituali che amministrative.
C'era in effetti una pratica d'indagine nella chiesa altomedievale, nella chiesa merovingia e carolingia. Questo metodo si chiamava "visitatio" e consisteva nella visita che, secondo gli statuti, il vescovo doveva compiere percorrendo la sua diocesi, e che è stata ripresa in seguito dai grandi ordini monastici. Quando arrivava in un determinato luogo il vescovo istituiva prima di ogni altra cosa la "inquisitio generalis", l'inquisizione generale, interrogando tutti coloro che dovevano sapere (i notabili, i più anziani, i più sapienti, i più virtuosi) su quanto era successo durante la sua assenza; in particolare se c'erano state mancanze, crimini, eccetera. Se questa indagine dava un risultato positivo, il vescovo passava al secondo stadio, la "inquisitio specialis", inquisizione speciale, che consisteva nel cercare chi aveva fatto cosa, nel determinare chi era in verità l'autore e quale era la natura dell'atto. Infine c'era un terzo punto: la confessione del colpevole poteva interrompere l'inquisizione in qualunque stadio si trovasse, nella sua forma generale o speciale. Chi aveva commesso il crimine poteva presentarsi e proclamare pubblicamente: «Sì, è stato commesso un crimine. E' consistito in questo e io ne sono l'autore».
Questa forma spirituale, essenzialmente religiosa, dell'indagine ecclesiastica è durata per tutto il Medioevo, acquisendo anche funzioni amministrative ed economiche. Quando la Chiesa è diventata nei secoli decimo, undicesimo e dodicesimo l'unico corpo economico-politico coerente in Europa, l'inquisizione ecclesiastica è stata nello stesso tempo l'indagine spirituale sui peccati, mancanze e crimini commessi, e l'indagine amministrativa sulla maniera in cui erano amministrati i beni della Chiesa, e su come i profitti venivano raccolti, accumulati, distribuiti, eccetera. Questo modello di indagine, al contempo religioso e amministrativo, ha continuato a esistere fino al secolo dodicesimo, quando lo Stato nascente, (o piuttosto la persona del sovrano che veniva emergendo come fonte di tutto il potere), finisce per impadronirisi delle procedure giudiziarie. Queste procedure giudiziarie non possono più funzionare secondo il sistema della prova. Come farà dunque il Procuratore a stabilire se qualcuno è colpevole o meno? Il modello spirituale e amministrativo, religioso e politico - il modo di gestire, di sorvegliare e di controllare le anime - si trova nella Chiesa: l'indagine intesa come sguardo tanto sui beni e sulle ricchezze quanto sugli atti, i cuori, le intenzioni, eccetera. Questo è il modello che sarà ripreso nella procedura giudiziaria. Il procuratore del re farà esattamente quello che facevano i visitatori ecclesiastici nelle parrocchie, diocesi e comunità: cercherà di stabilire per "inquisitio", per indagine, se c'è stato crimine, quale è stato e chi lo ha commesso.
Questa è l'ipotesi che vorrei avanzare. L'indagine ha avuto una doppia origine. Un'origine amministrativa, legata al sorgere dello Stato nell'epoca carolingia, e un'origine religiosa, ecclesiastica, costantemente presente per tutto il Medioevo. Questa procedura d'indagine fu utilizzata dal procuratore del re - mentre nasceva la giustizia monarchica - per svolgere la medesima funzione del «delitto in flagrante» che prima ho menzionato. Il problema era di sapere come estendere la flagranza di reato a crimini che non rientravano nell'ambito, nel campo dell'attualità; come il procuratore poteva condurre il colpevole dinanzi a un'istanza giudiziaria che deteneva il potere, se egli non sapeva chi fosse il colpevole, dato che non c'era stata flagranza di reato. L'inchiesta diventerà il sostituto del delitto in flagrante. Se in effetti si riescono a riunire delle persone che, sotto giuramento, possono garantire che hanno visto, che sanno, che sono al corrente; se è possibile stabilire attraverso di esse che qualcosa è veramente avvenuto, si avrà indirettamente, attraverso l'indagine in base alla testimonianza delle persone che sanno, l'equivalente del delitto in flagrante. E si potrà trattare di gesti, di atti, di delitti, di crimini, che pur non rientrando nel campo della contemporaneità, è come se fossero delitti colti in flagrante. Si riesce a ottenere così una nuova maniera di prolungare l'attualità, di trasferirla da un'epoca a un'altra e offrirla allo sguardo, al sapere, come se ancora fosse presente. Questo inserimento della procedura d'indagine, che riattualizza, rende presente, sensibile, immediato, vero, ciò che è accaduto, come se noi stessi fossimo stati presenti, costituisce una scoperta capitale.
Possiamo trarre alcune conclusioni da quest'analisi:
1. Si ha l'abitudine di contrapporre la nuova procedura razionale d'indagine alle vecchie prove del diritto barbarico. Ho segnalato sopra le differenti maniere impiegate nell'Alto Medioevo per cercare di stabilire chi aveva ragione. Abbiamo l'impressione di essere di fronte a sistemi barbarici, arcaici, irrazionali. Colpisce il fatto che sia stato necessario attendere il secolo dodicesimo per giungere finalmente, attraverso la procedura d'indagine, a un sistema razionale per stabilire la verità. Tuttavia non credo che la procedura d'indagine sia semplicemente il risultato di una sorta di progresso della razionalità. Non è stato razionalizzando le procedure giudiziarie che si è arrivati alla procedura d'indagine. E' stata tutta una trasformazione politica, una nuova struttura politica, a rendere non solo possibile ma addirittura necessaria l'utilizzazione di questa procedura in campo giudiziario. L'indagine nell'Europa medioevale è soprattutto un procedimento di governo, una tecnica di amministrazione, una modalità di gestione; in altre parole, l'indagine è una determinata maniera di esercitare il potere. Ci inganneremmo se vedessimo nell'indagine il risultato naturale di una ragione che opera su se stessa, si elabora, che progredisce autonomamente, o anche se vedessimo in essa l'effetto di una conoscenza, di un soggetto di conoscenza che si va elaborando.
Nessuna storia fatta in termini di progresso della ragione, di affinamento della conoscenza, può spiegare l'acquisizione della razionalità dell'indagine. La sua apparizione è un fenomeno politico complesso. E' l'analisi delle trasformazioni politiche della società medioevale a spiegare come, perché e in che momento sia nato questo modo di stabilire la verità a partire da procedure giuridiche completamente differenti. Nessun riferimento a un soggetto di conoscenza e alla sua storia interna potrebbe dar conto di questo fenomeno. Solo l'analisi dei giochi di forza politica, delle relazioni di potere può spiegare le ragioni della nascita dell'indagine.
2. L'indagine deriva da un certo tipo di relazioni di potere, da una maniera di esercitare il potere. Essa si introduce nel diritto a partire dalla Chiesa ed è, di conseguenza, impregnata di categorie religiose. Nella concezione dell'Alto Medioevo l'essenziale era il torto, ciò che era avvenuto tra due individui: non c'era mancanza né infrazione. La mancanza, il peccato, la colpevolezza morale non avevano alcun ruolo. Il problema era sapere se c'era stata offesa, chi la aveva arrecata, e se colui che pretendeva di averla subìta era in grado di sopportare la prova che proponeva al suo avversario. Non c'è errore, colpevolezza, né rapporto con il peccato. Al contrario, a partire dal momento in cui si introduce nella pratica giudiziaria, l'indagine porta con sé l'importante nozione di infrazione. Quando un individuo fa un torto a un altro c'è sempre "a fortiori" un torto arrecato alla sovranità, alla legge, al potere. D'altra parte, date tutte le implicazioni e connotazioni religiose dell'indagine, il torto sarà considerato come una mancanza morale, quasi religiosa o con una connotazione religiosa. Abbiamo così, verso il dodicesimo secolo, una curiosa convergenza tra l'attacco alla legge e la mancanza religiosa. Ledere il sovrano e commettere un peccato sono due cose che cominciano a riunirsi, e saranno profondamente unite, nel diritto dell'età classica. Non ci siamo ancora completamente liberati da questa commistione.
3. L'indagine, che appare nel secolo dodicesimo come conseguenza di questa trasformazione nelle strutture politiche e nelle relazioni di potere, ha completamente riorganizzato (o si sono riorganizzate intorno a essa) tutte le pratiche giudiziarie del Medioevo, quelle dell'età classica, e anche quelle dell'epoca moderna. In maniera più generale quest'indagine giudiziaria si è diffusa in numerosi altri campi di pratiche - sociali, economiche -, e in molti campi del sapere. E a partire da queste indagini giudiziarie condotte dai procuratori del re che si è diffusa, a partire dal tredicesimo secolo, tutta una serie di procedure d'indagine.
Alcune erano principalmente di natura amministrativa o economica. E' così che, grazie alle indagini sullo stato della popolazione, sul livello delle ricchezze, sulla quantità di denaro e di risorse, gli agenti reali hanno assicurato, consolidato e accresciuto il potere monarchico. Così si è accumulato già alla fine del Medioevo, e nei secoli diciassettesimo e diciottesimo, tutto un sapere economico, di amministrazione economica degli Stati. A partire da qui è nata una forma di amministrazione regolare degli Stati, di trasmissione e di continuità del potere politico, sono nate scienze come l'economia politica, la statistica, eccetera.
Queste tecniche d'indagine si sono diffuse anche in campi non direttamente legati agli ambiti di esercizio del potere: campi del sapere o della conoscenza nel senso tradizionale della parola.
A partire dai secoli quattordicesimo e quindicesimo appaiono tipi di indagine che mirano a stabilire la verità a partire da un certo numero di testimonianze attentamente raccolte in campi come la geografia, l'astronomia, la conoscenza dei climi, eccetera. Appare in particolare una tecnica di viaggio - impresa politica di esercizio del potere e impresa di curiosità e di acquisizione di sapere - che alla fine ha condotto alla scoperta dell'America. Tutte le grandi indagini che hanno dominato la fine del Medioevo sono, in fondo, la fioritura e la dispersione di questa prima forma, di questa matrice che è nata nel secolo dodicesimo. Anche campi come la medicina, la botanica, la zoologia, sono, a partire dai secoli sedicesimo e diciassettesimo, irradiazioni di questo processo. Tutto il grande movimento culturale, che dopo il secolo dodicesimo comincia a preparare il Rinascimento, può essere definito in gran parte come lo sviluppo o la fioritura dell'indagine come forma generale del sapere.
Mentre l'indagine si sviluppa come forma generale del sapere, da cui nascerà il Rinascimento, la prova tende a scomparire. Non ne ritroveremo che alcuni elementi residui nella forma del la famosa tortura, ma già frammisti all'obiettivo di ottenere la confessione, prova di verifica. Si può fare tutta una storia della tortura situandola tra la procedura della prova e quella dell'indagine. La prova tende a scomparire dalla pratica giudiziaria e sparisce anche dai campi del sapere. Se ne potrebbero segnalare due esempi.
In primo luogo l'alchimia. L'alchimia è un sapere che ha come modello la prova. Non si tratta di fare un'indagine per sapere cosa accade, per sapere la verità. Si tratta essenzialmente di uno scontro tra due forze: quella dell'alchimista che cerca e quella della natura che dissimula i suoi segreti, scontro analogo a quello tra la luce e l'ombra, tra il bene e il male, tra Dio e Satana. L'alchimista conduce una sorta di lotta nella quale egli è al contempo lo spettatore - colui che vedrà il risultato del combattimento - e uno dei combattenti, dato che può vincere o perdere. Si può dire che l'alchimia è una forma chimica, naturalistica della prova. Si ha la conferma che il sapere alchemico è essenzialmente una prova per il fatto che esso non si è assolutamente trasmesso, non si è accumulato, come un risultato di indagini che avrebbero permesso di arrivare alla verità. Il sapere alchemico si è trasmesso unicamente in forma di regole, segrete o pubbliche, di procedure: ecco che cosa bisogna fare, ecco come bisogna operare, ecco che principi bisogna rispettare, quali preghiere pronunciare, quali testi leggere, quali codici devono essere presenti. L'alchimia è essenzialmente un corpus di regole giuridiche, di procedure. La scomparsa dell'alchimia, il fatto che un sapere di tipo nuovo si sia costituito completamente fuori dal suo campo, è dovuto al fatto che questo nuovo sapere ha assunto come modello la matrice dell'indagine. Tutto il sapere dell'indagine, il sapere naturalistico, botanico, mineralogico, filologico, è assolutamente estraneo al sapere alchemico, che obbedisce al modello giuridico della prova.
In secondo luogo, la crisi dell'università medioevale alla fine del Medioevo può essere analizzata anche in termini di opposizione tra l'indagine e la prova. Nell'università medioevale il sapere si manifestava, si trasmetteva e si autenticava attraverso determinati rituali, il più celebre e conosciuto dei quali era la "disputatio", la disputa. Consisteva nello scontro tra due avversari che utilizzavano l'arma verbale, i procedimenti retorici e le dimostrazioni basate essenzialmente sul richiamo all'autorità. Non si faceva appello a testimoni di verità, ma a testimoni di forza. Nella "disputatio", più erano gli autori che uno dei partecipanti poteva convocare dalla sua parte, più erano le testimonianze di autorità, di forza, di peso - e non le testimonianze di verità - che uno poteva invocare dalla sua, maggiori erano le possibilità di uscire vincitore. La "disputatio" è una forma di prova, di manifestazione e di autentificazione del sapere che obbedisce allo schema generale della prova. Il sapere medioevale, e soprattutto il sapere enciclopedico del Rinascimento, come quello di Pico della Mirandola, che si scontrerà con la forma medioevale dell'università, sarà proprio un sapere del tipo dell'indagine. Aver visto, aver letto i testi, sapere ciò che effettivamente è stato detto; conoscere tanto bene quello che è stato detto quanto la natura di ciò su cui qualcosa è stato detto, verificare quello che gli autori hanno detto mediante l'osservazione della natura; utilizzare gli autori non più come autorità ma come testimonianza, tutto ciò costituirà una delle grandi rivoluzioni nella forma di trasmissione del sapere. La scomparsa dell'alchimia e della "disputatio", o meglio, il fatto che quest'ultima sia stata riservata a forme accademiche completamente sclerotizzate, e che non abbia più presentato, a partire dal secolo sedicesimo, alcuna efficacia, alcuna attualità tra le forme di reale autentificazione del sapere: ecco alcuni dei numerosi segni del conflitto tra l'indagine e la prova, e del trionfo dell'indagine sulla prova, alla fine del Medioevo.
In conclusione potremmo dire: l'indagine non è assolutamente un contenuto, ma una forma di sapere. Forma di sapere situata alla confluenza tra un tipo di potere e certi contenuti di conoscenza. Quelli che vogliono stabilire una relazione tra ciò che è conosciuto e le forme politiche, sociali ed economiche che servono da contesto a questa conoscenza, hanno l'abitudine di stabilire questa relazione mediante l'interposizione della coscienza o del soggetto di conoscenza. A me sembra che la vera congiunzione tra i processi economico-politici e i conflitti del sapere potrebbe essere trovata in queste forme che sono al contempo modalità di esercizio del potere e modalità di acquisizione e trasmissione del sapere. L'indagine è precisamente una forma politica, una forma di gestione, di esercizio del potere che, attraverso l'istituzione giudiziaria è diventata, nella cultura occidentale, una maniera di autentificare la verità, di acquisire cose che sarebbero state considerate come vere, e di trasmetterle. L'indagine è una forma di sapere-potere. E' l'analisi di queste forme che deve condurci all'analisi più stretta delle relazioni che esistono tra i conflitti di conoscenza e le determinazioni economico-politiche

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