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Appendice 2.
I COMPAGNI DI PORTA PALAZZO (1).

Le Nuove, estate 1971.

Cari compagni,
il verdetto è stato duro, ma la cosa che più ci ha colpiti non è stato il fatto che siamo in tredici qui dentro, ma che nove di questi tredici non ne sapevano niente, erano e sono completamente innocenti, colpevoli solo di essere e di avere l'aspetto di proletari, questo a livello emotivo è la cosa che più ci ha tagliato le gambe; ma a livello politico ha un grande significato; così pure è significativo il fatto che di studenti ce ne sia uno solo. Il significato del processo, ne siamo sempre più convinti, ha una collocazione che deve essere necessariamente vista a livello nazionale, ed è per questo che non si sono colpiti i quadri, ma anzi coloro che meno avevano a che fare con noi, speravano di creare un momento di rottura tra noi e loro, ma la creatività e la capacità di capire delle masse non è stata sufficientemente valutata, qui ora sono tutti compagni, ma compagni veramente che non vedono l'ora di uscire non solo per riabbracciare la moglie e i parenti, ma per mettere in pratica gli insegnamenti che questo cesso di situazioni ha loro impartiti. Hanno individuato i loro nemici, ed anche fuori sapranno fare un buon uso della rabbia che in questi giorni hanno accumulato. Tutti abbiamo capito il significato, il perché siamo qui dentro, e siamo coscienti della nostra collocazione di classe, e per questo la galera non ci fa paura, ognuno ha i propri problemi, ma coloro che meglio hanno reagito alla situazione sono proprio loro, i proletari. “Ci sentiamo sempre più classe”. Ci sentiamo sempre più diversi dai padroni, dai borghesi, siamo sempre più coscienti che questa non è la società che ci appartiene, siamo sempre più convinti che non ci staremo mai bene, non è nostra e dobbiamo sempre più organizzarci per combatterla, anche, specialmente, voi fuori dovete trarre tutti gli insegnamenti che questa situazione ci ha insegnato, dovete portarla a tutta la classe, ai proletari e siamo sicuri che sapranno recepirla in modo corretto; i proletari, e questo lo sapevamo già ma lo abbiamo compreso solo ora, hanno una capacità recettiva enorme, e questo perché siamo classe. Dobbiamo saperci muovere a livello di fabbrica e di quartiere; è un momento politico terribilmente grave e duro, la destra sta sfoderando quasi tutte le sue armi più borghesi e istituzionali, “La Stampa” sta mentendo; ma la gente è incazzata, non gli vuole credere, dovete riuscire a screditarla completamente, a informare e a creare nuovi mezzi di informazione e di comunicazione. Bisogna darsi da fare, sia per farci uscire al più presto, sia per combattere nell'unico modo possibile l'attuale situazione politica. Ci trasferiranno presto, e questo impedirà in parte la crescita che ora matura fra noi, tutti insieme. Ma ormai è una cosa irreversibile, e usciremo fuori di qui tutti trasformati in un modo ormai irrimediabile per i padroni. Forza compagni, la lotta è dura e lo è specialmente per fuori. Avanti per il comunismo. I compagni carcerati vi salutano e naturalmente... a presto.
Per noi proletari essere in carcere o in fabbrica è la stessa cosa, milioni di proletari da quando esistono i padroni, hanno sofferto e soffrono ancora la fame, la miseria, lo sfruttamento, la galera, oggi è il nostro turno: siamo classe e solo fino a quando non riusciremo a farci giustizia da soli, sarà sempre così.

- Lettera di U. C.

Torino, 29 luglio 1971.
... I padroni credono di sottometterci con una condanna così dura, ma siamo convinti di essere nel giusto e non è che con questo tipo di repressione potranno farci cambiare idea, anzi, tutto quanto è un incentivo per continuare, per arrivare al comunismo. Certo quella notte, quella della sentenza, ha rivoluzionato la vita di tante persone, sia di quelle là fuori che di noi qua dentro. Da quella notte è nata l'evoluzione politica di tante persone da cui non ci si aspettava certo un simile comportamento. Anche tra quelli rimasti qua dentro c'erano delle persone che erano rimaste indifferenti a tutto fino al momento della condanna, ora son diventati tutti dei bravi compagni, hanno capito cosa vuol dire essere proletari e hanno preso l'impegno di darsi da fare per la lotta di classe. Oltre la repressione di cui siamo stati soggetti noi condannati, non a caso hanno condannato gli operai, dividendoci, sbattendoci in carceri lontane da casa. L'importante per noi qua dentro è di non cedere, siamo nel giusto e non ci piegheremo a nessun prezzo. Fuori tutti devono capire che cosa significa repressione, devono capire il significato classista di questa società borghese e darsi quindi da fare...

- Lettera di V. L. T.

La Spezia, agosto 1971.

... Per noi i primi giorni sono stati molto duri, un'esperienza che tutti non avevano mai subito, “all'infuori di me”. Ma io se ho avuto delle soventi esperienze di questo genere, il motivo era questo: mi ero rivoluzionato per protestare contro questa società, lo so ho sbagliato a agire in quel modo, ma ero solo. Solo oggi ho trovato il mio vero ambiente, cioè tra di voi. Quando sarò fuori continuerò a combattere ma questa volta non sarò più solo, ci sarete voi ad attendermi. Cari compagni e compagne, io sono solo un piccolo proletario, un proletario che non è ancora un vero compagno. Forse voi mi valutate già oggi un compagno e sinceramente a me tutto questo fa molto piacere perché tra poco compagno, ma compagno nel vero senso della parola, lo sarò anch'io...

- Lettera di R. V.

Pisa, estate 1971.
Qui non so se te l'ho già scritto è pieno di compagni e comunque di gente recettiva in modo straordinario. Anche se il modo di esporre le cose deve essere necessariamente diverso per la realtà che si vive. Ma io penso che bisogna dare una dimensione pratica al proprio lavoro. Organizzare non solo a parole e preparare quadri, ma darsi degli obiettivi precisi su cui organizzare la lotta. Purtroppo ce ne sono parecchi qui dentro che dovrebbero già essere usciti, ma perché hanno partecipato a rivolte, sommosse, sono ancora qui dentro e ci dovranno stare a lungo.
Alla sera, l'ora della televisione, ci riuniamo in qualche cella in quattro o cinque con dei nuovi ogni volta e discutiamo. Ora, mentre prima si poteva circolare regolarmente in tutti i piani, qui ci sono tre piani, li hanno chiusi ed entrano solo più gli appartenenti del piano stesso. Naturalmente ciò è stato giustificato per impedire disordini e che la gente si riunisse per cantare, ma non so fino a che punto ciò sia vero...

- Lettera di R. S.

Perugia, 5 novembre 1971.
Sono ormai trascorsi cinque mesi dal 29 maggio, in cui io e altri compagni commettemmo l'errore tattico di farci sorprendere dal nemico. In questi mesi di esperienza carceraria, avendo cambiato ben tre carceri (Torino, Porto Azzurro, Perugia) ho conosciuto molti sottoproletari e proletari, che nel furto, nello scippo, nella rapina, nel contrabbando, hanno trovato l'unica via d'uscita alla condanna, alla fame, alla miseria voluta dai piani capitalistici dei padroni e dello stato borghese reazionario.
Alla Fiat come alla Pirelli i padroni hanno lasciato a casa i lavoratori più combattivi, ricattandoli, nella speranza di spegnere quel focolare di lotta proletaria e di classe che da tre anni a questa parte non ha mai cessato di ardere. Quest'inverno, i padroni, con le loro sporche manovre di necessità di ristrutturare il capitale, costringono questi proletari a cercare da soli e individualmente la soluzione per mangiare, loro e i loro figli. Ma i padroni sanno che molti di questi proletari sono obbligati a rubare: non possono certamente pensare che stiano ad aspettare la morte per fame! e allora tollerano che, fino ad un certo punto, si rubi, si contrabbandi, si rapini (questo serve a loro come arma principale per la discriminazione di classe, per dire che esistono i buoni, i cattivi e i maleducati), secondo loro noi saremmo gli ultimi, perché non accettiamo le loro leggi borghesi basate sulla falsità e sulla menzogna fascista, e così agli occhi delle larghe masse, non ancora sufficientemente politicizzate, noi saremmo quelli da emarginare. Ma noi diciamo a queste carogne borghesi e fasciste, ad Agnelli, a Pirelli, a Monti, a Pesenti, a Costa, e alla Cia organizzatrice del capitale privato: che gliela faremo pagare dentro e fuori le galere.
Poi ne pescano qualcuno, fanno delle retate con trecento uomini fantoccio, comandati da ufficiali fantoccio, ma non la tirano avanti tanto perché sanno che su queste posizioni ci vivono migliaia di sottoproletari, e la repressione dura, in questo senso, significa togliere l'unica arma in mano ai diseredati e farli morire di fame. Ma prima che ciò avvenga i padroni sanno che possiamo ribellarci in altri termini, che quando non ci è più permesso di rubare possiamo, e dobbiamo, scagliarci contro le loro sporche istituzioni. Questo lo sanno perfettamente, non sono imbecilli in queste cose, i repressori lo sanno fare bene il loro mestiere, e allora si tolgono i posti di blocco, e poi la stampa, la Rai, la T.V., strillano e fanno un gran baccano dicendo che la campagna contro la criminalità è andata bene e ha dato ottimi risultati.
Reprimere è il loro mestiere, lottare contro i repressori e i loro lacchè è la nostra unica alternativa.
Opporsi ai progetti boia dei padroni, e lottare contro questa ulteriore divisione che minaccia l'unità di classe degli operai e dei contadini, lottare contro la miseria, per il diritto di vivere, vuol dire anche non permettere che i proletari e sottoproletari trovino in soluzioni individualistiche il necessario per vivere.
Mantenere l'unità di classe anche contro il fronte padronale, borghese e revisionista, e se in galera ci andremo a finire ci andremo come compagni rivoluzionari e non come ladri, contrabbandieri, e come compagni lotteremo anche dentro le galere.
Il nostro campo di battaglia non è un cerchio chiuso, con l'unità delle larghe masse armate ideologicamente del marxismo-leninismo sconfiggeremo qualsiasi nemico fantoccio che ci attacchi. E allora la lotta dei compagni carcerati la si sostiene anche lottando alla catena di montaggio, nei campi, nelle scuole, nei quartieri dei paesi e delle città oppressive.
Allora chi andrà in galera sarà un prigioniero di guerra e come tale si comporterà. Avanti per il comunismo.

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