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Bello come una prigione che brucia
Gli scogli del risentimento

«Le grandi rivoluzioni non hanno sempre avuto grandi origini, e poco importa per quali cause le passioni sono divampate, purché i fumi si elevino fino al cervello... Ora tutti i fumi sono della stessa natura; e l’odore che esce da un mucchio di letame fa una nube tanto meritoria come quella che si diffonde da una preziosa massa d’incenso.»
Jonathan Swift

Sabato 3 giugno a mezzogiorno, la pace sociale sembra regnare a Londra. Abituati a sommosse senza domani, lord e deputati si recano al Parlamento per la seduta. Gli avvenimenti della vigilia tuttavia non hanno lasciato ai fracassoni la stessa impressione di fugacità di quella lasciata ai loro nemici, i politicanti, che credono di cavarsela con una buona colica e un nuovo rafforzamento delle misure di ordine pubblico. La notte non ha spento le passioni impazienti. I febbrili conciliaboli vengono ripresi nelle taverne ingenerando grandi progetti. I tredici pover’uomini, nell’occhio del ciclone a seguito della devastazione degli antri dell’oscurantismo romano, suscitano tanta compassione come se gemessero nelle grinfie dell’Inquisizione.
Mentre i parlamentari, pressati dal trarre lezione del pericolo che hanno corso, dibattono della necessità di creare un corpo di polizia degno di questo nome, bande di pezzenti si raggruppano, si scaldano, si armano. Si sparge la voce che i tredici capri espiatori devono essere trasferiti dal posto di guardia dove hanno passato la notte verso una prigione dove saranno presentati ad un giudice.
Nell’attimo in cui escono sotto scorta dal commissariato, il loro corteo si trasforma in una lunga processione, che vede una «grande partecipazione di popolo» il quale non nasconde la sua ostilità alla loro prigionia. I soldati vengono copiosamente coperti di fango e di escrementi, arringati e ingiuriati, senza peraltro perdere la loro flemma. I prigionieri passano giusto un momento in tribunale, assediato da una folla vociante che le baionette della soldataglia faticano a contenere - giusto il tempo di sentirsi convocare per una data ulteriore e tradotti nella prigione di Newgate.
Il corteo si rimette in marcia e arriva senza intoppi a questo stabilimento, e la plebe, se non tenta di liberare i tredici, gli prodiga ogni tipo di incoraggiamento e li gratifica di una lunga ovazione, prima che le pesanti porte della prigione si chiudano dietro di loro. Verso fine pomeriggio nelle strade torna la calma. Mentre che la canaglia medita, bicchiere in mano, sul seguito da dare alla propria avventura, la calma apparente sopisce la diffidenza dei potenti. Questo stratagemma del disperdersi procurerà il vantaggio di una certa sorpresa al più prevedibile degli sviluppi.
è così che, verso le nove della sera, i disordini riprendono un po’ dappertutto sulle due rive del Tamigi, senza che nessuna disposizione sia stata presa per prevenirli. Raggiungono rapidamente una grande violenza a Moorfields, quartiere miserabile che allora ospitava un ghetto irlandese, quindi considerato cattolico. I possedimenti di un impresario irlandese di nome Malo vengono ancor più particolarmente presi di mira. Costui spadroneggia, nel quartiere di numerose officine e magazzini, impiegando più di un migliaio di suoi compatrioti in cambio di un salario ancora più misero di quello che potevano sperare i manovali locali. è dir poco che questa concorrenza è mal vista da quest’ultimi, aggiungendo un agro sapore sciovinista e corporativista al fanatismo antipapista. Ma la sommossa del giorno, di cui numerosi «ispiratori» sono negri, espatriati o atei dichiarati, e che d’altronde coinvolge più di un immigrato nato cattolico, non avrà che molto brevemente e marginalmente un carattere «etnico» e i furiosi più lucidi, per anticlericali che siano, sanno che l’ora non è quella di rivolgere le armi dei poveri contro i poveri: ciò che chiameremmo ai giorni nostri un «pogrom» non saprebbe servire che gli interessi dei nemici della rivolta.
Non c’è dubbio, per contro, che i piccoli impiegati delle forze dell’ordine - in stretto contatto con la clientela delle taverne - siano venuti a sapere che i più decisi hanno preso disposizioni per liberare i tredici «martiri», senz’altro obiettivo che la distruzione, per principio e per sistema, di tutte le prigioni. S’impone d’urgenza una diversione, che non lasci, se possibile, che dei poveri sul selciato: i tuguri dei ghetti irlandesi, lontani dai bei quartieri, a questo riguardo costituiscono dei bersagli scelti agli occhi degli sbirri - che sovente sono d’altronde personalmente in accordo teologico con gli insorti.
Noi sappiamo da fonte sicura che il lord-sindaco di Londra, il borgomastro Kennet, antico tenutario di bordelli arrivato alla rispettabilità e che ha una lunga mano sulla polizia cittadina - come peraltro su buona parte della malavita -, ha incoraggiato e coperto, con dei provocatori al suo soldo, con i suoi delatori e i suoi sbirri, la spedizione anti-irlandese di Moorfields. Questa si interrompe quando il sindaco fa informare i rivoltosi dell’arrivo imminente, ancorché tardivo, delle truppe che ha dovuto precettare per la forma.
L’assalto contro Moorfields riprende l’indomani al crepuscolo, dopo un’afosa giornata di cerchi alla testa, causando in tutto il quartiere distruzioni e umiliazioni, anche se il sangue cola appena. I luoghi di culto romano vengono sistematicamente devastati sotto la guida di elementi che sembrano obbedire a degli ordini e si applicano freddamente al loro còmpito. Si vedono persino dei poliziotti recarsi sui luoghi della sommossa per assicurarsi «che nessun onesto protestante sia stato ferito dai mascalzoni papisti».
Il papa e San Patrizio, patrono dell’Irlanda papofila, sono bruciati in effigie. I saccheggiatori fanno magro bottino, di patate e di acquavite soprattutto. Il lord-sindaco si rallegra, un po’ frettolosamente, di vedere una sollevazione popolare attenuarsi in uno dei soliti moti a ingaggio che costellano la vita londinese. Al termine della serata, annuncia ai rivoltosi: «Molto bene, signori, per una giornata. Spero che ora torniate a casa vostra». A un ufficiale della Guardia che viene per gli ordini, il vecchio prosseneta dichiara senza meno: «Ogni disordine sembra venire dal fatto che la folla si è impadronita di qualche persona e di qualche mobile che non ama e che è in vena di bruciare, e che male c’è in ciò?».
Egli ignora che altre rivolte stanno divampando nei quartieri popolari della City e di Westminster, e non cessano di propagarsi in periferia, a Spitalfields, Wapping e Southwark, là dove i papisti sono ben rari, mentre i grandi ghetti irlandesi di St. Giles-in-the-Fields e di Saffron Hill sono risparmiati dai demolitori...
In fine dei conti, sono i ricchi cattolici che sono soprattutto presi a mira dalla vendetta della canaglia. E l’emozione è padrona della strada. Il diversivo poliziesco anti-irlandese ha perso fiato e ha fallito, non certo nell’insozzare la sommossa con la penna dei cronisti umanisti, ma nel calmare la collera dei pezzenti, veramente scatenati. Dei grandi focolai illuminano la City, il saccheggio dei magazzini si generalizza; i ricchi s’avviano ad un esodo, i poveri esultano. Essi si servono e parlano a voce alta, sempre più alta. Il lunedì mattino non sarà un lunedì mattino.

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