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L'universo concentrazionario NOTE.

1. Altre due spiegazioni possibili: "Kapo" potrebbe essere l'abbreviazione di "Kaporal", o la contrazione dell'espressione "Kamerad Polizei", usata nei primi mesi a Buchenwald.

2. Ci soffermeremo più a lungo, in altra sede, sulla storia del Kommando terzo, interessantissimo sul piano sperimentale. Io ero il solo francese, tutti gli altri erano russi. Il Kommando diciottesimo, al contrario, che durò per tutto il mese di agosto, era composto in grande maggioranza da francesi, molti dei quali comunisti. Entrambi dimostrano come, con la stretta collaborazione di un Kapo, si potessero creare migliori condizioni di vita, anche all'inferno.

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NOTA BIOGRAFICA.


1. A rendere affascinante la biografia intellettuale di David Rousset contribuisce innanzitutto il contesto storico al cui interno essa si sviluppò. Gli anni tra le due guerre furono quelli della «grande trasformazione», riassuntivamente il vero impianto genetico della nostra epoca, la fine dell'Ottocento come secolo lungo, la nascita del Novecento. Fu allora, infatti, che si definirono le coordinate fondamentali (radicale trasformazione del sistema economico e monetario internazionale, con l'ascesa della potenza economica degli Usa; mutato rapporto tra stato ed economia; massificazione della partecipazione politica; subordinazione delle élite intellettuali alla «macchina» propagandistica delle comunicazioni di massa; organizzazione scientifica del lavoro) al cui interno ha operato la società di questo secolo. Più che con la consapevolezza degli effetti a lungo termine di quei fenomeni, Rousset e quelli della sua generazione si confrontarono con la loro dimensione "évènementielle", una dimensione, peraltro, altrettanto grandiosa e tragica: la crisi del '29, la vittoria del nazismo dopo quella del fascismo, l'impotenza del riformismo socialista e della democrazia, la cappa totalitaria distesasi sulla Russia staliniana, furono gli eventi che scandirono, per la sinistra, una riflessione tormentata ma densa di sfide, progetti, ricerche, sperimentazioni.
In questo senso è come se David Rousset avesse racchiuso nella sua storia personale quella del proprio secolo e della propria generazione. Nato nel 1912 a Roanne, nella Loire, in una famiglia protestante molto religiosa (da bambino imparò a leggere sulla Bibbia, ereditando dall'ambiente familiare tutto il rigorismo morale e l'indipendenza di pensiero della tradizione luterana), ebbe una iniziazione politica molto precoce, in coincidenza con il trasferimento a Parigi dove si recò a studiare filosofia alla Sorbona. Appena ventenne, il suo primo riferimento organizzativo furono i giovani socialisti, abbandonati presto, però, per seguire le seduzioni di un Trotzki (da lui incontrato personalmente nel 1933) che a quei giovani indicava con chiarezza la strada di un comunismo senza Stalin e autenticamente rivoluzionario. Il percorso di Trotzki era certamente molto accidentato; ma erano proprio le sue ambiguità "entriste", quell'ostinarsi a combattere dal «di dentro» lo stalinismo e le sue organizzazioni ad affascinare i suoi ammiratori, sfidati all'ardua prova politica e intellettuale di coniugare un tatticismo estenuato e burocratico con la prospettiva permanente di una palingenesi rivoluzionaria. Di fatto, quando Trotzki fu espulso dal partito comunista e i trotzkisti francesi si costituirono in gruppo indipendente, Rousset si sentì molto vicino a loro, ma fu lo stesso vecchio rivoluzionario a chiedergli di restare «dentro» la «Jeunesse Socialiste». Benché riluttante, accettò.
Sempre nel 1933 Rousset conobbe Susie, la futura moglie (si sposarono nel 1939), destinata a essere la sua compagna di vita e di lotta, talvolta coinvolta appieno nel lavoro letterario o politico di David, talvolta incarnandone la coscienza critica (quando, alla fine degli anni Sessanta, Rousset, nella sua peregrinazione politica, approderà nelle file dei gollisti, la disapprovazione di Susie sarà ferma ed esplicita).
Dopo il patto Laval-Stalin del 1935, i trotzkisti furono espulsi dal partito socialista; con loro Rousset (nel gennaio 1936) costituì il gruppo «Jeunesses socialistes révolutionnaires», e in giugno, il «Parti ouvrier internationaliste» (POI). All'interno di quest'ultima organizzazione, si dedicò soprattutto alle questioni dei territori d'oltremare, dando un contributo decisivo alla fondazione della Quattro Internazionale in Marocco. Tutta la sua giovinezza trascorse così all'insegna di una militanza politica totale; solo nel 1939, quando alla vigilia della guerra Daladier aveva messo fuori legge le organizzazioni di estrema sinistra, egli si decise ad accettare un lavoro regolare, facendo prima l'insegnante, poi il giornalista (fu anche corrispondente dalla Francia di «Life» e «Fortune»). Con l'inizio della guerra si impiegò al Bureau universitaire de statistique, ma gli eventi bellici lo spinsero a riprendere l'attività politica. Dopo l'appello di De Gaulle del 18 giugno 1940, entrò nelle file della Resistenza, curando la pubblicazione del «Bulletin d'information syndicale et ouvrière». Nel 1943 gli giunse la notizia dell'esistenza delle camere a gas nei campi di sterminio in Germania, ma, come accadde a molti, anche ebrei, restò incredulo e, pensando che si trattasse di pura propaganda, si rifiutò di pubblicarla sul suo giornale.
Pochi mesi dopo, una spia della Gestapo, infiltrata nel suo gruppo trotzkista, ne provocò la caduta. Il 12 ottobre 1943 Rousset fu arrestato, torturato e incarcerato a Fresnes, fino alla fine del gennaio 1944, come prigioniero politico. Poi venne trasferito nei campi di prigionia hitleriani, a Buchenwald, Porta Westphalica, Neuengamme e nelle miniere di sale di Helmstedt.
Fu un'esperienza drammatica e definitiva, come lui stesso ha avuto modo di ricordare nei suoi colloqui con Emile Copfermann, curatore della sua recente autobiografia. Se fino ad allora aveva sempre interpretato il mondo attraverso la mediazione dei libri, nel lager fu costretto a scoprire la dura realtà della condizione umana, imparando a leggere sotto la coltre dell'ideologia e della politica le nude verità legate ai problemi della vita e della morte, alla dimensione esistenziale da cui scaturiscono scelte, comportamenti, umori, valori.

2. Liberato dagli americani nel 1945, dimagrito di cinquanta chili, ammalato di tifo e sofferente di una grave congestione polmonare, riuscì comunque a essere rimpatriato immediatamente senza passare per la «quarantena». Guarì dal tifo e dalla congestione, ma scoprì che lo choc e il dimagramento gli avevano provocato delle amnesie. Ricordava di essere stato prigioniero, ma i dettagli di quell'esperienza si stemperavano in una nebbia indistinta. Una convalescenza a Saint-Jean-de-Mont, in Vandea, e le tenere cure della moglie, gli restituirono a poco a poco la salute e la memoria. Maurice Nadeau, che aveva fondato con Pierre Naville, Gilles Martinet e Charles Bettelheim la «Revue internationale», gli chiese insistentemente una testimonianza della sua esperienza nei lager. Dapprima esitante («sono già stati scritti tanti libri...»), Rousset finì per accettare, e si gettò in quel compito con tutte le sue forze. In tre settimane dettò alla moglie il testo di "L'univers concentrationnaire", che la «Revue internationale» pubblicò in tre parti nel dicembre 1945, gennaio e febbraio 1946. Lo scritto uscì poi in volume dall'editore Pavois, nel 1946, accolto da un grande successo e ottenendo il premio Renaudot. Nel 1947 vide la luce il suo secondo libro, "Les jours de notre mort", nel quale, però, attenuò sensibilmente il ruolo dei suoi ricordi personali dando molto spazio alle testimonianze di altri deportati, di varie nazionalità, per cercare di restituire, attraverso la molteplicità delle voci, la complessità della realtà vissuta.
Nel 1948, Rousset scrisse ancora un ultimo lavoro sui lager e la deportazione: "Le pitre ne rit pas". Questa volta si trattava di una raccolta di documenti nazisti (provenienti dagli archivi segreti del Terzo Reich, in possesso delle autorità americane, una copia dei quali si trova ora al Centro di documentazione ebraica di Parigi) e di stralci della deposizione di Helga Hellner al tribunale di Dachau: documenti terribili, espliciti nel loro linguaggio ufficiale, che narrano dell'orribile banalità quotidiana, della piatta burocraticità della barbarie nazista.
A questo punto Rousset era ormai ricco e famoso, amico di Breton, Mauriac, Claudel e Sartre, con il quale, in particolare, annodò stretti rapporti di collaborazione. Deluso dalla staticità ripetitiva della Quarta Internazionale, aveva infatti ripreso la sua militanza politica collaborando al quotidiano di sinistra «Franc Tireur» diretto da Georges Altmann; e fu proprio in questo ambito che avviò il suo sodalizio con Sartre. Il terreno comune era l'ostilità per la guerra e il totalitarismo, e il rifiuto della logica della guerra fredda: Rousset fondò così, con Sartre e Altmann, il Rassemblement démocratique révolutionnaire. Il movimento raccolse numerose adesioni, ma restò estremamente eterogeneo. Appena ci si chiese, alla fine del 1949, se fosse opportuno trasformarsi in partito - e quindi si pose il problema concreto delle fonti di finanziamento - emersero divergenze insanabili e l'R.D.R. si sfasciò. Era il destino di tutte le «terze vie» che allora affollarono le sinistre non comuniste.

3. Ma Rousset era già completamente assorbito da un'altra battaglia: venuto in possesso della versione russa del "Codice del lavoro correttivo dell'Urss", che documentava l'esistenza di campi di lavoro in Unione Sovietica, il 12 novembre 1949 ne pubblicò alcuni stralci sul «Figaro Littéraire». Alla denuncia fece seguire un appello per la costituzione di una commissione d'inchiesta di ex deportati di ogni tendenza politica che avrebbero dovuto recarsi in Urss per verificare la fondatezza delle informazioni. Si scatenarono polemiche vivacissime e Rousset si trovò complessivamente isolato; i comunisti francesi lo aggredirono affermando che aveva raccolto solo menzogne e calunnie; Maurice Merleau-Ponty e Sartre firmarono un lungo editoriale su «Temps Modernes» (gennaio 1950), nel quale, pur ammettendo che Rousset aveva avuto ragione a pubblicare gli estratti del "Codice", presero apertamente le distanze dalla sua campagna. Ci fu anche un processo, a causa del pamphlet di Pierre Daix, un ex deportato che accusava Rousset di falso ("J'ai cru au matin"). Rousset vinse la causa, ma questo non gli servì a recuperare credito e rispettabilità nella sinistra francese. Nel 1951 pubblicò (in collaborazione coi suoi avvocati e amici Théo Bernard e Gérard Rosenthal) "Pour la vérité sur les camps de concentration", che raccoglie le deposizioni di vari ex deportati sovietici al processo parigino.
Nel frattempo, nel 1950, la Commissione d'inchiesta internazionale auspicata da Rousset si era ormai formata, ma l'Urss le rifiutò il permesso di visitare i campi e di parlare coi detenuti. La sua attività fu così essenzialmente di denuncia e di controinformazione, attraverso una serie di «libri bianchi» dedicati alle carceri di tutto il mondo; fu pubblicato anche un bollettino che divenne un trimestrale, «Saturne», e uscì fino al 1959.
All'inizio degli anni Sessanta, Rousset riprese a fare il giornalista, collaborando a «Demain», settimanale socialista, e al «Figaro Littéraire». Per «Figaro» Rousset incontrerà Nasser al Cairo e Che Guevara a Cuba, si recherà nell'Algeria divenuta indipendente e in Brasile dopo il colpo di stato militare di Castelo Branco. Fu proprio attraverso queste esperienze di lavoro che maturò il suo interesse per la politica estera di De Gaulle e il suo tentativo di forzare l'egemonia bipolare dell'asse Usa-Urss. Ne scaturì un inopinato avvicinamento al gollismo che lo condusse a far parte del «gruppo dei 29», intellettuali di sinistra che si schierarono con De Gaulle.
Conobbe De Gaulle solo nel 1968, proprio mentre i suoi tre figli erano in prima fila nel movimento studentesco che alimentò l'irripetibile stagione del «maggio francese». Ancora una volta coerente con le impennate anticonformiste che avevano punteggiato la sua biografia, Rousset pubblicò su «Notre République», organo dei gollisti di sinistra, un articolo a favore delle lotte degli studenti. Forse a causa di questa sua posizione, e per allontanarlo dalla capitale, Pompidou gli propose di candidarsi per le elezioni di giugno a Vienne, nell'Isère. Rousset accettò e venne eletto come indipendente, restando in parlamento fino al 1973. Intanto preparava un altro libro, "La société éclatée", nel quale si interrogava sulle possibilità di costruire una nuova società socialista, in grado di imboccare una strada radicalmente diversa da quella intrapresa nell'ottobre del 1917.
Alla fine, prese le distanze anche dal gollismo, e sia nel 1978 che nel 1981 sostenne Mitterrand.
Nel 1984 cominciò a scrivere il suo ultimo libro, "Sur la guerre" (terminato nel 1987), confrontandosi con le prospettive pantoclastiche poste all'umanità dall'eventualità di una guerra nucleare. Nel 1991 è apparsa da Plon una sua autobiografia costruita attraverso una serie di interviste e di colloqui con Emile Copfermann.
Giovanni De Luna


Bibliografia:

"L'univers concentrationnaire", Paris, Edition du Pavois, 1946.

"Les jours de notre mort", Paris, Edition du Pavois, 1947.

"Le pitre ne rit pas", Paris, Edition du Pavois, 1948.

"Entretiens sur la politique" (in collaborazione con Théo Bernard e Gérard Rosenthal), Paris, Edition du Pavois, 1949.

"Pour la vérité sur les camps de concentration. Un procès antistalinien à Paris" (in collaborazione con Théo Bernard e Gérard Rosenthal), Paris, Edition du Pavois, 1951.

"Le monde concentrationnaire nazi" (in Eddy Bauer, "Histoire controverse de la deuxième guerre mondiale", tomo 7, 1967).

"La société éclatée. De l'échec de la révolution bolchevique d l'espérance socialiste d'aujourd'hui", Paris, Grasset, 1973.

"Sur la guerre. Sommes-nous en danger de guerre nucléaire?", Paris, Ramsay, 1987.

"David Rousset. Une vie dans le siècle", Colloqui con Emile Copfermann, Paris, Plon, 1991.

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