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un giorno della mia vita

PERCHE' PUBBLICARE QUESTE PAGINE

di

Sean MacBride (1).



"Risolvete, o saggi uomini, quest'enigma:

Che accadrà se il sogno si avvera?

Che accadrà se il sogno si avvera?

E se milioni di non nati dimorassero

Nella casa cui ho dato forma nel mio cuore,

La nobile casa dei miei pensieri?

Fu follia o grazia?

Non saranno gli uomini a giudicarmi:

Sarà Dio".

PADRAIG MAC PIARAIS (Patrick Pearse).





Le pagine che seguono sono un racconto di sofferenza, determinazione, angoscia, coraggio e fede. Presentano anche orribili esempi di barbarie compiuta da uomini contro altri uomini, con un realismo che ne rende difficile la lettura.

Perché allora pubblicarle? E' veramente necessario leggerle? La presente introduzione vuole essere una risposta a questi due quesiti.

Le reazioni che lo sciopero della fame, la morte di Bobby Sands e quella dei suoi compagni suscitarono furono varie e contrastanti. Per l'establishment inglese, che governa quella parte del nostro paese conosciuta come Irlanda del Nord, la morte di quei dieci uomini rappresentò una vittoria, al termine di un lungo braccio di ferro tra i «terroristi irlandesi» e l'inflessibile primo ministro Margaret Thatcher. «Abbiamo dato loro una lezione. Ora sanno che non scherziamo. Abbiamo distrutto il loro morale.»

Per l'Ira (Irish Republican Army, l'Esercito repubblicano irlandese, [N.d.T.]) e i suoi sostenitori, invece, quelle morti furono un esempio encomiabile di resistenza e coraggio; una dimostrazione, se ce ne fosse stato ancora bisogno, della determinazione dell'Ira a continuare in modo inflessibile la sua campagna di violenza, fino a che l'esercito e l'amministrazione inglese non venissero ritirati dall'Irlanda del Nord. Quelle morti rafforzarono il sostegno alla causa che l'Ira porta avanti, una causa fondata più sull'integrità ; morale e sul coraggio che non su ciò che politici e giuristi chiamano «ragione e buon senso».

Per la maggior parte della gente d'Irlanda lo sciopero della fame fu una tragedia che lacerò i cuori e le coscienze. Pur non approvando la strategia dell'Ira molti condividevano gli obiettivi che gli uomini della violenza cercavano di raggiungere.

Vi erano poi alcuni irlandesi che, per una qualche forma perversa di snobismo intellettuale, erano divenuti ostili all'idea di un'Irlanda libera e unita. Altri, per ragioni di interesse personale, si facevano ancora allettare dagli aspetti esteriori dell'influenza inglese in Irlanda. Questi ultimi erano pochi e fra di loro non vi era certo la maggioranza di coloro che avevano sostenuto il partito che era stato favorevole al Trattato del 1921, che sancì la divisione del paese. Va infatti detto, per correttezza nei confronti della base di questo partito, il Fine Gael (2), che probabilmente la maggior parte dei suoi membri ora condivide l'ideale di un'Irlanda unita e che al tempo dello sciopero della fame fu solidale con Bobby Sands. Il Fianna Fàil (3) lo fu chiaramente e così pure i sostenitori del Partito laburista, a eccezione di pochi indipendenti antinazionalisti.

Secoli di oppressione, corruzione e falsità hanno infine portato una parte della nostra gente ad assumere atteggiamenti ambivalenti, che trovano la loro più esatta formulazione nell'espressione «mentalità dello schiavo». Risulta quindi difficile riuscire a capire ciò che queste persone realmente pensano nei confronti di determinate questioni.

Per ciò che riguarda la Gran Bretagna, la maggioranza degli inglesi non è realmente interessata a quello che avviene in Irlanda. La conoscenza che essi hanno dei rapporti tra i due paesi è minima. E' stato loro insegnato a considerare gli irlandesi gente impossibile e irrazionale, anche se simpatica e piena di talento. Non potrebbero interessarsi di meno a ciò che accade in Irlanda. Dimenticano che la divisione del nostro paese è stata voluta, creata e imposta dal governo di Londra (4). Sono stati portati a credere che la presenza inglese in Irlanda del Nord sia necessaria per impedire a «quegli irlandesi impossibili di ammazzarsi gli uni con gli altri» . Considerano il ruolo del loro esercito come quello di un onesto mediatore, che cerca di mantenere la pace su quest'isola turbolenta. Ignorano (e non sono particolarmente ansiosi di conoscere) le terribili sofferenze inflitte al popolo irlandese nel corso della conquista e dell'occupazione dell'Irlanda. E quando tutto questo viene loro ricordato, obiettano che la nostra memoria storica si spinge troppo indietro e che noi dovremmo dimenticare il passato. Non sono consapevoli, o non vogliono ammettere di esserlo, della brutale repressione e delle ingiustizie di cui l'Irlanda ha sofferto fin dalla firma del Trattato del 1921. Non si rendono conto che le condizioni imposte dal loro governo al popolo irlandese, sotto la minaccia di una guerra «immediata e terribile», scatenarono in Irlanda una guerra civile che dur ò diversi anni e che impedì un qualsiasi normale sviluppo politico. Non sono coscienti del fatto che la divisione forzata dell'Irlanda ha portato, fin dal 1922, a una vera e propria situazione di continua guerra civile, sia al Nord che nella Repubblica.

La realtà è che tale divisione, compiuta dalla Gran Bretagna contro la volontà della stragrande maggioranza del nostro popolo, da più di sessant'anni sta disgregando la vita dell'intero paese. Il prezzo pagato per tutto questo è stata la morte di moltissimi irlandesi, oltre a un gran numero di inglesi. Le nostre prigioni sono sempre state piene fin quasi a scoppiare. Migliaia di uomini e donne irlandesi sono finiti nelle carceri d'Irlanda e Gran Bretagna proprio a causa di tale divisione. Fin dal 1922, sia nel Nord che nel Sud del Paese, la normale applicazione della legge è stata stravolta. Gli "Statute Books" contengono ogni possibile forma di legislazione repressiva. La normale difesa dei diritti umani e delle libertà civili da parte della legge è soggetta a così numerose deroghe da violare costantemente le più fondamentali norme di diritto internazionale.

Ancor peggio, i governi che si sono succeduti nell'Eire a partire dal 1921 sono stati posti nella condizione, del tutto insincera, di dover cercare di giustificare e difendere la divisione del paese. E' sul governo irlandese che ricade il compito di rifornire di uomini e di contribuire a mantenere in piedi un confine assurdo, che per la maggior parte del nostro popolo è inaccettabile.

Per conservare questo confine indesiderato il numero di soldati e di agenti di polizia deve essere continuamente accresciuto. Ciò fa sì che il governo irlandese, pur essendo contrario alla divisione del paese, si trovi nei confronti dei propri elettori in una posizione sempre più difficile, costretto com'è a mandare in carcere i propri giovani pur di salvaguardare il dominio inglese sulle Sei Contee del Nord.

In tale situazione le organizzazioni sovversive riescono a ottenere l'appoggio delle generazioni più giovani. Così la spirale di violenza e di repressione continua. Ciò non fa altro che indebolire l'autorità dello stato, dei tribunali e della polizia.

Le conseguenze economiche che ne derivano sono incalcolabili. E' stato detto, probabilmente a ragione, che la divisione del paese, per ciò che concerne il rafforzamento delle misure di sicurezza, le prigioni, i tribunali speciali, il risarcimento dei danni e l'aumento dell'organico di polizia ed esercito, costa al governo irlandese una somma pari al 20% del suo bilancio.

In Gran Bretagna vi sono persone responsabili, consapevoli del fatto che il loro governo ha il dovere di cercare di correggere le distorsioni della storia. Tra queste vi è un autorevole teologo anglicano, John Austin Baker (5), che fu cappellano alla Camera dei comuni inglese. Il primo dicembre 1980, al tempo degli scioperi della fame, nel corso di un sermone nell'abbazia di Westminster affermò:



"Nessun governo inglese dovrebbe dimenticare che questo grave momento, come molti altri in passato, è il risultato di una storia della quale il nostro paese è il principale responsabile. L'Inghilterra ha conquistato l'Irlanda per i propri vantaggi militari; vi ha portato dei coloni protestanti per renderla sicura dal punto di vista strategico; ha esercitato ogni forma di discriminazione nei confronti degli irlandesi e della loro religione. E quando non è stata più in grado di mantenere il controllo su tutta l'isola se n'è tenuta una parte per i discendenti degli antichi coloni: una soluzione impossibile, a causa della quale i protestanti hanno sofferto quanto chiunque altro. La nostra ingiustizia ha creato la presente situazione; e ripetendo continuamente che la manterremo fino a quando la maggioranza lo vorrà noi non permetteremo a protestanti e cattolici di progettare insieme un nuovo futuro. Questa è la radice della violenza e la ragione per la quale coloro che protestano si considerano prigionieri politici".



Dopo la divisione del paese in Irlanda del Nord la normale legislazione fu abrogata e venne instaurato un regime di stato-polizia (6). Nel timore che la minoranza nazionalista aumentasse di numero più rapidamente della popolazione filoinglese (in maggioranza di religione protestante), il governo inglese e coloro che in Irlanda del Nord lo sostenevano imposero un sistema politico e sociale fondato sulla più totale discriminazione (7). Alla base di tutto questo vi era la convinzione che, negando ai cattolici una casa e un lavoro, il loro numero non sarebbe aumentato. Non avrebbero potuto sposarsi, né trovare un'occupazione, perciò sarebbero stati costretti ad andarsene dalle Sei Contee del Nord. Con il tempo, quindi, si sarebbe avuta una diminuzione della popolazione cattolica.

Le giovani generazioni risentirono delle conseguenze di tale discriminazione. Non potevano trovare né una casa, né un impiego, perché tutte le prospettive di lavoro e di promozione sociale erano strettamente riservate ai non-cattolici. Fuori dalle fabbriche furono posti dei cartelli che dicevano: «Qui non si assumono cattolici».

Con il tempo, com'era inevitabile, questi giovani cominciarono a non sopportare più una situazione nella quale venivano trattati come cittadini di serie B. Disillusi e insoddisfatti dei partiti politici sia del Nord che del Sud essi diedero vita a un movimento pienamente legale, che chiedeva la fine di tale discriminazione e insisteva sul riconoscimento dei diritti civili e politici più fondamentali (8). Essi ricevettero il sostegno della maggioranza della popolazione nazionalista del Nord, oltre all'appoggio concreto e alla solidarietà del resto del paese. Bernadette Devlin McAliskey divenne uno dei loro leader, riuscendo a imporsi sui politici più moderati.

Il Movimento per i diritti civili si scontrò, fin dall'inizio, con la violenta repressione attuata dai soldati inglesi e dalla polizia nord-irlandese. I suoi membri vennero arrestati, incarcerati senza processo e sottoposti a continue aggressioni da parte della polizia, che interveniva alle loro manifestazioni per disperdere i partecipanti con la forza (9). Tutto questo ebbe il suo tragico epilogo nell'uccisione di tredici civili da parte dei soldati inglesi, al termine di una pacifica manifestazione svoltasi a Derry il 30 gennaio 1972, giorno oggi ricordato come "Bloody Sunday" (10).

L'oppressione esercitata dalle forze di sicurezza portò a un duplice risultato: da un lato consolidò e accrebbe il sostegno al Movimento per i diritti civili; dall'altro, spinse un sempre maggior numero di giovani verso l'Ira e lo scontro fisico.

In tale situazione l'Ira divenne il difensore della popolazione cattolica contro gli attacchi della polizia e dei soldati inglesi, i cui metodi divennero sempre più insostenibili. I prigionieri venivano torturati sistematicamente, con l'ausilio di tecniche sofisticate importate dall'Inghilterra (11). Ciò fu denunciato dal governo dell'Eire davanti alla Commissione europea per i diritti umani di Strasburgo (12). Il governo inglese si impegnò a non far più uso di tali tecniche. L'Ira tuttavia ritiene che la loro utilizzazione non sia mai cessata, ma continui ancora oggi (13).

Con l'estendersi e l'aumentare della repressione la reazione dell'Ira si fece più violenta. Ciò portò a una continua escalation di quella che oggi è divenuta una vera e propria guerra, nel corso della quale, dal 1969 al giugno 1981, hanno perso la vita 628 membri delle forze di sicurezza e altri 7496 sono rimasti feriti. Sempre in quel periodo i morti fra la popolazione civile sono stati 1496 e i feriti 16402. Negli ultimi dieci anni nelle Sei Contee del Nord 2124 persone sono state uccise e 23898 ferite (14).

Attualmente in Irlanda del Nord vi sono circa 1300 prigionieri repubblicani. Essi vengono chiamati dalle autorità inglesi terroristi o criminali, ma per la popolazione nazionalista sono prigionieri politici.

L'11 giugno 1981 vi erano nelle carceri inglesi dell'Irlanda del Nord 1244 uomini e una cinquantina di donne, tutti detenuti per quelli che il governo inglese definisce «reati di terrorismo». Va tenuto presente che neppure uno di questi prigionieri era stato sottoposto a un regolare processo, ma erano stati tutti giudicati da tribunali speciali, presieduti da un solo giudice, senza alcuna giuria. Tali tribunali, conosciuti con il nome di Diplock Courts (15), non applicano per nulla le procedure di legge che invece vengono seguite nell'ambito dei normali processi.

Dei circa 1300 prigionieri solo 328 godevano di quello che le autorità carcerarie definivano «status di prigionieri politici». Ai restanti 966 tale status era negato, in quanto erano stati tutti incarcerati nel periodo successivo a quello in cui il governo inglese aveva deciso di abolirlo (1 marzo 1976, [N.d.T.]).

Per protestare contro il mancato riconoscimento dello status politico, oltreché per le durissime condizioni carcerarie e le brutalità dei secondini, nel settembre 1976 centinaia di uomini dettero inizio a quella che fu chiamata la "blanket protest" (16) che consisteva nel rifiutarsi di indossare l'uniforme della prigione e nel coprirsi solo con una coperta. Nel marzo 1978 alla "blanket protest" fu affiancata la " ;no-wash protest" (17). Nell'ottobre 1980 alcuni prigionieri decisero di portare al culmine la loro protesta, intraprendendo uno sciopero della fame (18). Le richieste che essi avevano avanzato erano state sintetizzate nei seguenti cinque punti:



1. Il diritto di indossare i propri vestiti e non l'uniforme della prigione.

2. Il diritto a essere esentati dai lavori in carcere, sebbene i prigionieri fossero disposti a svolgere quelli necessari per il funzionamento e la pulizia dei settori della prigione in cui essi si trovavano. Inoltre, nello stabilire la quantità di lavoro da assegnare loro, si sarebbe dovuto tenere in considerazione il tempo necessario per lo studio.

3. Il diritto di libera associazione con gli altri prigionieri politici durante le ore di svago.

4. Il diritto a una visita e a una lettera o un pacco alla settimana, oltre alla possibilità di organizzare autonomamente il proprio spazio educativo e i momenti di svago.

5. Il diritto alla riduzione della pena, così com'era previsto per i detenuti comuni.



Lo sciopero della fame iniziato nell'ottobre 1980 terminò il 18 dicembre dello stesso anno, a seguito dell'intermediazione del primate cattolico Tomàs O'Fiaich e del vescovo di Derry Edward Daly.

Nel corso delle negoziazioni con O'Fiaich e Daly il governo inglese si dichiarò disposto ad accogliere le richieste avanzate dagli "hunger strikers" (19), purché ciò non venisse considerato un « ;riconoscimento del loro status politico». Tale condizione fu accettata dai detenuti. Agli inizi del 1981, tuttavia, le autorità britanniche non misero in atto le proposte che il cardinale O'Fiaich aveva presentato ai prigionieri e che erano state sostanzialmente accolte da questi ultimi (20). I detenuti allora ritennero di essere stati costretti con l'inganno a porre fine allo sciopero della fame, mediante uno stratagemma con il quale il governo inglese aveva approfittato della disponibilità del cardinale O'Fiaich, per poi venir meno agli accordi presi con quest'ultimo. Gli stessi O'Fiaich e Daly ritennero di essere stati raggirati dalle autorità britanniche.

Fu in tale atmosfera che il primo marzo 1981 iniziò un secondo sciopero della fame. Questa volta, tuttavia, i prigionieri erano decisi a non farsi ingannare di nuovo dal governo inglese e a impedire a quest'ultimo di servirsi di intermediari. Dichiararono che avrebbero portato avanti lo sciopero fino alla morte, uno dopo l'altro, se non fossero state date loro precise garanzie sul futuro trattamento in carcere e sulle cinque richieste che erano state avanzate.

Nel frattempo diverse personalità, mosse da buone intenzioni, cercarono di svolgere un ruolo di mediazione. Tra queste vi furono membri del parlamento irlandese, rappresentanti della Commissione europea per i diritti umani e dell'Irish Commission for Justice and Peace, oltreché esponenti del Comitato internazionale della Croce Rossa.

La risposta del governo inglese fu tuttavia la seguente:



"Riteniamo che una mediazione tra governo e prigionieri, anche se condotta da organismi di altissimo livello, non rappresenti la strada giusta da percorrere".



Le autorità inglesi continuarono così a rifiutare qualsiasi trattativa diretta con i prigionieri. In realtà quello che fecero fu di servirsi di ogni possibile intermediario per cercare di fiaccare la determinazione dei detenuti e di evitare di negoziare con loro, in modo da non essere costretti a modificare il regolamento carcerario. Gli "hunger strikers" accusarono il governo di fare un gioco cinico ed estremamente pericoloso: quello di lasciare che un prigioniero dopo l'altro giungesse fino in punto di morte, per minare la resistenza degli altri detenuti. Nel corso di una conferenza stampa tenutasi all'ambasciata inglese a Washington il ministro inglese con incarico speciale per le prigioni dell'Irlanda del Nord Michael Alison rilasciò una tanto spaventosa quanto candida dichiarazione, affermando che le trattative con gli "hunger strikers" erano simili



"agli sforzi compiuti dalle autorità di un paese per tenere occupati i dirottatori di un aereo, mentre al contempo si stanno studiando dei piani per farli arrendere". («The Irish Times», 13 luglio 1981)



La morte di Bobby Sands e ciò che egli scrisse in carcere non sono altro che il risultato dell'interferenza della Gran Bretagna negli affari riguardanti la nazione irlandese. Mi auguro che queste pagine vengano lette da coloro che hanno il compito di formulare la politica inglese in Irlanda. Potrebbero così cominciare a capire quali profonde ferite sono state inflitte a questo paese e provare a sanarle.

Come ha affermato il primo ministro irlandese Charles Haughey, «per più di sessant'anni la divisione del paese non ha funzionato ed è probabile che non funzionerà neppure ora». Perché allora non cercare di far fronte a questa situazione, senza aggravare ulteriormente le tensioni esistenti fra Gran Bretagna e Irlanda?

Nessuno in Irlanda vuole imporre alcuna forma di discriminazione o di ingiustizia alle minoranze, religiose o politiche, esistenti nel nostro paese. Sono convinto che in un'Irlanda unita in federazione precise garanzie verrebbero date a ogni minoranza religiosa che si sentisse minacciata. Sono sicuro che, sulla base dei principi della Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, specifici meccanismi legislativi potrebbero essere istituiti per garantire la difesa, sia sul piano amministrativo che giuridico, delle minoranze esistenti all'interno di una futura Repubblica Federale d'Irlanda.

Tale soluzione sarà tuttavia possibile solo quando la Gran Bretagna abbandonerà ogni pretesa di sovranità nei confronti del nostro paese. Il ritiro dell'esercito inglese potrebbe avvenire, se necessario, nel corso di un certo numero di anni. Più importante e urgente sarebbe invece la cessazione immediata delle operazioni, sia ufficiali che segrete, compiute dai servizi segreti inglesi su tutto il territorio dell'isola. Divenute oggi di ordinaria amministrazione, rappresentano una grande fonte di pericolo. Tali operazioni possono solo peggiorare la situazione, creando ulteriori complicazioni nelle già difficili relazioni esistenti tra Gran Bretagna e Irlanda.

Per evitare che la mia introduzione alle pagine dolorose di questo libro venga interpretata come un tacito assenso alla violenza, sento di dover chiarire la mia posizione. Sono contro la violenza. Durante lo sciopero della fame non presi parte alle manifestazioni promosse dal National H Block/Armagh Committee (21), per timore che ciò venisse interpretato come un appoggio alla violenza. Ciò mi fu molto difficile, in quanto ero fin troppo conscio della provocazione e dell'intolleranza mostrata dalle autorità inglesi a quel tempo. Anche se non pubblicamente, feci conoscere al governo di Londra la mia posizione in termini estremamente chiari. A causa del continuo stravolgimento dei fatti riguardanti lo sciopero della fame da parte delle autorità britanniche, il 22 luglio 1981, in collaborazione con l'American Irish Unity Committee, tenni un discorso a New York proprio per testimoniare come stavano realmente le cose.

Nel loro paese e in quelli che non cercano di dominare gli inglesi sono gente ragionevole, imparziale e amabile. Non è invece così in quelle zone che considerano in loro potere. Nei confronti dell'Irlanda il governo e l'establishment inglese sono del tutto incapaci di essere obiettivi ed equi. Una tipica dimostrazione di tale atteggiamento è stata data recentemente. In Irlanda del Nord soldati e polizia hanno usato per anni e in modo indiscriminato proiettili di gomma e, successivamente, proiettili di plastica. Sebbene essi abbiano sempre dichiarato che tali proiettili non sono pericolosi, oltre una cinquantina di persone, in maggioranza bambini, sono rimaste uccise o hanno subito lesioni permanenti. Ciò è stato costantemente ignorato dal governo di Londra, che ha continuato a sostenere la non pericolosità dei proiettili di plastica (22). Quando recentemente in Gran Bretagna si sono verificati scontri su larga scala ed è stata avanzata la proposta di usare i proiettili di plastica quale strumento di controllo della folla, un allarmato ministro degli Interni conservatore si è immediatamente opposto all'uso di tali proiettili «in Gran Bretagna, in quanto sono un'arma letale» («The Irish Times», 11 luglio 1981). Non vi è quindi nessun problema a utilizzarli in Irlanda del Nord per uccidere donne e bambini... Ma non sul suolo inglese!

Agli inizi degli anni settanta Paul Johnson, direttore di «Spectator» , uno dei più prestigiosi giornalisti inglesi e acceso sostenitore di Margaret Thatcher, così scrisse in «The New Statesman»:



"In Irlanda, nel corso dei secoli, abbiamo provato ogni formula: governo diretto, governo indiretto, genocidio, apartheid, parlamenti farsa, parlamenti veri, legge marziale, legge civile, colonizzazione, riforma della terra, divisione del paese. Niente di tutto ciò ha funzionato. L'unica soluzione che non abbiamo ancora provato è quella di un ritiro totale e incondizionato".



Perché allora non provare adesso? Accadrà in ogni caso!



"Alcuni non avevano pensieri di vittoria,

Ma erano andati a morire

Perché lo spirito dell'Irlanda fosse più grande

E il suo cuore si elevasse in alto.

Eppure, chissà cosa ancora deve accadere".

W. B. YEATS



Sean MacBride, 1982

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