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Politici e amnistia

GLI ANNI '50 E '60

di Amedeo Santosuosso.





Negli anni '50 e '60 i provvedimenti di amnistia e di indulto per fatti politici sono cinque su un totale di nove atti del genere (i decreti emessi in relazione a fatti politici contengono di solito disposizioni anche in ordine a reati comuni).

Il primo è del 1953 (D.P.R. 19/12/1953, n. 922) e l'ultimo è del 1970 (D.P.R. 22/5/70, n. 283).

Gli altri sono del 1959 (D.P.R. 11 luglio, n. 460), del 1966 (D.P.R. 4 giugno, n. 332) e del 1968 (D.P.R. 25 ottobre, n. 1084). Dopo il 1970 non vi sono più amnistie per fatti politici.

Di conseguenza i provvedimenti di questo tipo risultano essere cinque nei trentacinque anni compresi tra il 1950 ed il 1985: queste sono le dimensioni della «clemenza» politica in Italia in tempi recenti.

Dimensioni che poi comunque vanno meglio definite in relazione alle due vicende politiche e sociali alle quali sono connesse: la guerra di liberazione ed i movimenti della fine degli anni '60.

Di tali fenomeni non è certo questa la sede per una ricostruzione storica ampia.

In questo capitolo, così come negli altri, si tratterà soltanto di quel particolare «momento», in cui all'intervento repressivo dello stato segue un suo parziale o totale depotenziamento, e delle tecniche a tal fine seguite.

Vengono in primo luogo esaminate le caratteristiche tecniche delle amnistie e degli indulti ed il loro oggetto storico e politico.

Segue una ricostruzione della nozione di delitto politico e della sua ampiezza a partire da tali provvedimenti e dall'atteggiamento della magistratura e degli studiosi.





1. I PROVVEDIMENTI.



- Le caratteristiche tecniche.



I provvedimenti nel periodo in esame comportano tutti la concessione sia di amnistia che di indulto.

La quasi totalità di essi inoltre non si riferisce ad una sola categoria di reati o ad un'unica situazione, che ha dato origine prima alla repressione penale e poi alla sua elisione.

Si tratta in realtà di provvedimenti che il più delle volte contengono una pluralità di atti aventi caratteri giuridici, finalità, ampiezza e giustificazione anche molto diverse una dall'altra.

Solo l'amnistia del '68 ha una quasi totale unità tematica. In essa infatti l'oggetto è costituito esclusivamente dai reati «commessi anche con finalità politiche, a causa ed in occasione di agitazioni e manifestazioni studentesche e sindacali». L'unica estensione è riservata ai reati di blocco stradale «commessi a causa ed in occasione di agitazioni e manifestazioni connesse al disastro dal Vajont...» (art. 7).

L'accostamento di diversi contenuti è invece evidentissimo nel provvedimento del 1970 (1) che comprende una «amnistia generale» (art. 5), per reati individuati per titolo specifico o sulla base del limite di pena, e una «amnistia particolare» (art. 1) per reati di natura politica in senso ampio: dalle agitazioni sindacali e studentesche ai reati «determinati da motivi politici inerenti a questioni di minoranze etniche», dove il riferimento è diretto ai fatti dell'Alto Adige (2). Nello stesso decreto vi è poi un'amnistia per reati in « materia tributaria» (art. 2) e un indulto per reati in «materia di dogane, di imposta di fabbricazione e di monopolio» (art. 3) (3).

In altri casi poi la pluralità di contenuti si distribuisce tra le norme sull'amnistia e quelle sull'indulto.

Nel decreto del '53, per esempio, l'amnistia è «generale» mentre è l'indulto, solitamente meno appariscente, che contiene le norme che avevano maggior rilievo politico e che avevano determinato il dibattito sulla approvazione dell'intero provvedimento. Si tratta infatti dell'indulto, particolarmente ampio, al quale da alcune parti fu attribuito l'intento di far uscire dalle carceri «tutti i politici» (4).

Nel decreto del '59 la situazione si inverte, diventando il provvedimento di maggior rilevanza quello di amnistia per i reati politici, commessi durante la guerra di liberazione e successivamente (art. 1).



Passiamo ora ad individuare la struttura tecnica delle disposizioni relative ai reati politici.

La determinazione dei reati da amnistiare o delle pene da condonare (indulto) avviene, in un primo gruppo di casi, attraverso l'individuazione di un periodo di tempo, compreso tra due termini, più la formula «reati politici ai sensi dell'art. 8 del codice penale»: così nell'indulto del 1953 e nell'amnistia del 1959. Successivamente l'espressione tecnica cambia.

Nel provvedimento del 1966 vengono infatti amnistiati «i reati commessi dal 25 luglio 1943 al 2 giugno 1946 da appartenenti al movimento della Resistenza» o «da altri cittadini che si siano opposti al movimento di liberazione se determinati da movente o fine politico, o connessi con tali reati» (art. 2 lett. a e b).

Nello stesso provvedimento, poi, vengono amnistiati alcuni reati indicati con lo specifico numero di articolo del codice penale «se commessi per motivi politici» (art. 2 lett. e).

Le amnistie del '68 e del '70 hanno ad oggetto invece alcuni reati, variamente individuati, commessi «anche con finalità politiche».

Un altro importante criterio di individuazione dei reati da amnistiare è dato dalla connessione con le manifestazioni sindacali. Tale criterio appare, nel periodo esaminato, per la prima volta nel 1966 (5).

Con il provvedimento di quell'anno sono infatti amnistiati «se commessi per motivi ed in occasione di manifestazioni sindacali» una serie di reati citati con il numero di articolo e la legge: sciopero del pubblico servizio, resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di servizio pubblico, oltraggio a pubblico ufficiale, istigazione a commettere reati e a disubbidire alle leggi, boicottaggio, occupazione di azienda, sabotaggio, violenza privata e danneggiamento (art. 2, lett. d.).

Nel '68 e nel '70, poi, la causa e l'occasione di agitazioni e manifestazioni sindacali o studentesche si sommano alla possibile esistenza di « finalità politiche».

La maggiore ampiezza di riferimenti si trova nel provvedimento del '70, la cui formulazione vale la pena di riportare per intero:



«E' concessa amnistia per i seguenti reati, se commessi, anche con finalità politiche, a causa e in occasione di agitazioni o manifestazioni sindacali o studentesche, o di agitazioni o manifestazioni attinenti a problemi del lavoro, dell'occupazione, della casa e della sicurezza sociale, e infine in occasione ed a causa di manifestazioni ed agitazioni determinate da eventi di calamità naturali...» (6)



La formula fu il frutto di un particolare lavoro dell'Assemblea della Camera alla quale la «quarta commissione permanente» aveva rinviato a maggioranza la soluzione del problema, come risulta dalla relazione dell'onorevole Padula per la stessa commissione:



«Particolare attenzione è stata riservata dai commissari al capoverso dell'art. 1, soprattutto per quanto attiene alla rilevanza dell'inciso 'anche con finalità politiche'. Ferma restando la volontà di escludere dall'amnistia quei fatti che si fossero realizzati in un rapporto di mera occasionalità con le agitazioni o manifestazioni sindacali o studentesche [...] la maggioranza della commissione ha espresso l'intendimento di rinviare al dibattito in assemblea la ricerca di una formula che chiarisca senza troppe difficoltà interpretative l'estensione del beneficio a tutti quei fatti che, pur non essendo concretamente riconducibili alla causa ed alla occasione delle manifestazioni o agitazioni, oggettivamente e soggettivamente possono essere ritenuti momenti particolari dello stesso fenomeno» (7).

Accanto a questo due classi principali (reati politici e reati sindacali/sociali) ricorrono poi alcune denominazioni particolari, legate a specifici fenomeni o episodi.

Nell'indulto del '53 è causa di applicazione del beneficio l'avere l'autore del reato «appartenuto a formazioni armate» (art. 2, lett. b). Nell'amnistia del '59 sono accostati a quelli politici i «reati elettorali, commessi successivamente al 18 giugno 1946» (art. 1, lett. b). Nel '68 sono concessi amnistia ed indulto per i reati di blocco stradale e ferroviario «commessi a causa ed in occasione di agitazioni e manifestazioni connesse al disastro dal Vajont fino al 27 giugno 1968».

Nel provvedimento del '70 è concesso uno specifico indulto «per i reati previsti dal codice militare di pace, se commessi per obiezione di coscienza».

Da un primo sguardo d'insieme sulle caratteristiche tecniche delle amnistie e degli indulti nel periodo 1953-70 emerge quindi che la formula adottata nel '53, nel '59 e nel '66 fa riferimento alla natura politica del reato, richiamando esplicitamente l'art. 8 del codice penale o soltanto i motivi ed i fini politici (delitti politici soggettivi).

Nel '68 e nel '70 la finalità politica non è motivo di esclusione dal beneficio, ma non ne è il motivo fondante, che si trova invece nelle «agitazioni o manifestazioni sindacali e studentesche...».

L'unica eccezione è data dalle particolari disposizioni contenute nel D.P.R. del '70 per i reati «determinati da motivi politici inerenti a questioni di minoranze etniche» (fatti dell'Alto Adige), dove si trova un chiaro recupero di una forma di delitto politico «soggettivo».

Il motivo delle agitazioni sindacali, studentesche o sociali in genere appare per la prima volta (nel periodo) nel '66 ed acquista importanza sempre maggiore nei successivi provvedimenti del '68 e del '70.





- L'oggetto e l'iter formativo.



Abbiamo visto come le stesse caratteristiche tecniche portano a dividere i provvedimenti esaminati in due gruppi: il primo comprendente i decreti del '53, del '59 e del '66 ed il secondo quelli del '66, del '68 e del '70.

Tale andamento riflette i fenomeni sottostanti.

Infatti, a dispetto del numero di provvedimenti, i grandi fenomeni sociali e politici che ne costituiscono l'oggetto sono sostanzialmente due: quello resistenziale (con quello connesso del fascismo e del collaborazionismo) ed il movimento operaio e studentesco della seconda metà degli anni '60.

E' rilevabile inoltre un punto di contatto e di sovrapposizione tra le due «ondate» nella amnistia del '66, dove, anche visivamente, in uno stesso articolo (art. 2) si dispone, nella prima parte, a favore delle ultime pendenze della guerra e, nella seconda, per le agitazioni sindacali.

Questo passaggio trova inoltre rispondenza temporale in quello spartiacque tra «l'età di Mussolini e l'età della repubblica» che gli storici collocano, a livello sociale, proprio nel corso degli anni '60 (8).

Esaminiamo ora i singoli provvedimenti ponendo in luce principalmente i fenomeni politici e sociali cui si riferiscono, le motivazioni addotte per la loro concessione ed alcuni aspetti del dibattito politico e giuridico che li accompagna.





- L'indulto del '53.



Il provvedimento del '53 vuole dichiaratamente «chiudere il ciclo fin troppo lungo di una lotta politica assai aspra e drammatica, cancellando i residui della dura guerra civile e dare così inizio ad una nuova era di solidarietà nazionale» (9).

L'oggetto principale del provvedimento non è l'amnistia, ma, come abbiamo già visto, l'indulto che viene concesso per i «reati politici, ai sensi dell'art. 8 del codice penale, e i reati connessi», e, inoltre, per «i reati inerenti a fatti bellici commessi da coloro che abbiano appartenuto a formazioni armate» nell'arco di tempo compreso tra 1'8 settembre 1943 e il 18 giugno 1946.

La misura dell'indulto è decisamente ampia: l'ergastolo viene commutato nella reclusione per dieci anni, le pene superiori a venti vengono ridotte a due anni, mentre quelle inferiori a 20 anni vengono condonate interamente (10).

Gli effetti di questo amplissimo indulto politico vanno poi considerati congiuntamente a quelli della legge discussa contemporaneamente, e approvata il giorno prima, sulla liberazione condizionale (legge 18/12/53, n. 921). Questa prevede per i condannati per reati politici la possibilità di ottenere tale liberazione indipendentemente dalla quantità della pena espiata e di quella da espiare: «anche se i condannati non hanno scontato la metà della pena e se il rimanente di essa supera i cinque anni», come è invece ordinariamente previsto.

Il complesso di queste disposizioni fece parlare vari commentatori di un deliberato intento di «metter fuori» tutti i politici (11).

All'emanazione del decreto del 19 dicembre si era in effetti arrivati a seguito di un lungo e non facile dibattito.

Già dal 1949 l'opposizione di sinistra aveva richiesto un'amnistia senza aver riscontro dal governo e dalla maggioranza parlamentare.

Gli anni '50 poi si aprivano con una realtà repressiva grave e composita, che andava dalle carcerazioni e procedimenti penali a carico di ex partigiani, a quelli per fascisti e collaborazionisti, mentre venivano represse duramente le agitazioni sindacali (12).

Lo scorcio del '52 ed i primi mesi del '53 avevano visto gli scontri particolarmente aspri sulla «legge truffa», in un quadro di forte tensione generale (13).

Alla vigilia della campagna elettorale per le votazioni del 7 giugno 1953 il senatore Terracini aveva insistito sulla necessità di una amnistia politica, trovando rispondenza in alcune dichiarazioni del Guardasigilli, senatore Zoli.

Un provvedimento di «larga amnistia e di condono», era stato poi proposto alla Camera, nella seduta del 28 luglio, dal deputato Mario Berlinguer (14). In agosto il presidente del consiglio annunciava al parlamento l'iniziativa di un atto di clemenza. Il 22 settembre il ministro di grazia e giustizia, Azara, presentava alla Camera un disegno di legge, che veniva seguito poco dopo da una proposta di legge presentata da un gruppo di senatori (Terracini ed altri), che prevedeva dei benefici molto più ampi (15).

La proposta governativa motivata con l'intento «di completare i provvedimenti di clemenza contenuti nei precedenti decreti 22 giugno 1946, n. 4, 9 febbraio 1948, n. 32 e 23 dicembre 1949, n. 930», sempre al fine di «riportare nel Paese un clima di serenità» (16).

Nel corso dell'ampio e complesso dibattito, prima in commissione e poi in aula, furono affrontati numerosi problemi, che sono riportati dettagliatamente nella relazione dell'onorevole Colitto (17).

E' interessante il fatto che sia stata oggetto di discussione l'opportunità di estendere anche ai reati comuni un provvedimento che aveva la sua motivazione esclusivamente in relazione ai reati politici.

Sta di fatto che prevalse la tesi ampia, propugnata tra gli altri dall'on. M. Berlinguer, senza essere motivata in modo che possa apparire convincente.

Ampiamente discussa fu anche la formula da usare per i reati politici, per i quali la preoccupazione maggiore risulta essere stata quella di riuscire a ricomprendere la maggiore quantità possibile di reati e situazioni.

Le espressioni discusse («fine politico», «fine prevalentemente politico» e «reati connessi») erano infatti di tale vaghezza da far risultare un modello di precisione l'art. 8 del codice penale.

Nel testo definitivo sparì del tutto il riferimento ai reati a « sfondo sociale», che pure erano stati inseriti nella proposta Terracini e, poi, pure con formula diversa, discussi in Commissione (18).

L'applicazione del provvedimento ebbe un impatto notevole, soprattutto, come è normale, nel primo periodo.

Nei primi quattro mesi (a tutto 1130 aprile 1954), secondo i dati raccolti dalle Procure generali, i provvedimenti di applicazione dell'indulto furono 36.080, di cui 12.221 a favore di imputati detenuti e quindi liberati.

Alla stessa data, tra amnistia ed indulto, le scarcerazioni erano state 16.602 su una popolazione carceraria di circa 45.000 detenuti (19).





- L'amnistia del '59.



La indiscutibile ampiezza del D.P.R. del '53 aveva costituito comunque una mediazione tra opposte esigenze dei diversi settori politici. La richiesta di clemenza verso coloro i quali erano in misura maggiore o minore compromessi con il passato regime fascista, da una parte (vedi la proposta De Gasperi), e la richiesta che fosse posto termine alla persecuzione dei partigiani, dall'altra (proposta Terracini), avevano prodotto un risultato compromissorio, che da sinistra veniva considerato un limitato ed «umiliante» condono (20).

E fu proprio da sinistra che nell'ottobre del 1958 partì la prima proposta sul piano legislativo per la concessione di un'amnistia per



«tutti i reati politici ai sensi dell'art. 8 del Codice penale e per i reati ad essi connessi o comunque, anche al di fuori dei casi di connessione, riferibili ai fatti bellici o alle lotte politiche e sociali verificatesi in Italia dal 25 luglio 1943 al 31 luglio 1946, commessi da partigiani o da appartenenti alle Forze armate regolari» (21).



I proponenti sostenevano che «da oltre sessanta anni, non vi fu mai nel nostro Paese, un così lungo intervallo in cui non siano stati concessi provvedimenti di clemenza, come quello trascorso dal 19 dicembre 1953 ad oggi» e che, a causa delle restrizioni del D.P.R. del '53 e delle interpretazioni sfavorevoli della magistratura, molti partigiani «ancora espiano in carcere le pene loro inflitte, mentre addirittura si iniziano nei confronti di altri, nuovi procedimenti a distanza di tanti anni» (22).

L'opposta parte politica presentò alla Camera il 13 marzo 1959, per iniziativa dei deputati Gonella G. e Manco, la proposta n. 954 che aveva come destinatari «gli appartenenti alle forze armate riconosciuti come tali dalla Repubblica Sociale Italiana e dalle organizzazioni politiche da questa dipendenti anche se latitanti» (23).

Il 7 aprile 1959 il ministro di grazia e giustizia, Gonella, presentò alla Camera il disegno di legge governativo, accompagnandolo con una relazione (24) nella quale tra l'altro si sosteneva l'opportunità di emanare « ;un provvedimento di amnistia che estingua tutti i reati politici, quasi a cancellarne il triste ricordo, commessi dall'8 settembre 1943 al 18 giugno 1946, in un periodo nel quale la passione ed il turbamento degli animi, spingendo ad una lotta fratricida, fecero temere il dissolvimento di quell'unità, non solo territoriale ma anche degli spiriti...».

Il governo concedeva così il provvedimento come «il massimo e definitivo beneficio a coloro che nell'anzidetto periodo commisero reati della cui natura politica non è possibile dubitare, senza alcuna considerazione della parte in cui militavano i responsabili...».

Il provvedimento proposto estendeva l'amnistia anche ai reati politici (con pena massima di quattro anni) commessi dopo il 18 giugno del 1946 « muovendo dal presupposto che un atto di generale clemenza si possa a preferenza considerare giustificato per i reati politici ai sensi dell'art. 8 codice penale...». Il dibattito parlamentare, sia alla Camera che al Senato, si svolse tutto sulla falsariga, già vista prima, della contrapposizione di settori democristiani e della destra, che volevano far rientrare nel provvedimento la totalità dei delitti dei fascisti, e la sinistra che tentava di far rientrare le «pendenze» della guerra di liberazione e della repressione degli anni '50.

Di questo dibattito rendono conto in modo ampio le relazioni alla Camera (on. Dominedò e Guerrieri E.) e al Senato (sen. Solari) (25).

Questi due documenti sono di particolare interesse in quanto da essi traspare come i relatori avessero chiari i termini del dibattito sulla costituzionalità delle amnistie ed in particolare la diversità tra le amnistie per reati politici e quelle per reati comuni. Essi riconoscevano legittimità alle prime, ove riferite a reati definiti sulla base dell'art. 8 cod. pen. e commessi in un arco di tempo ben definito, mentre giustificavano le seconde solo in funzione del limite della pena (che non è poi una vera e propria giustificazione) (26).

Il risultato finale fu un provvedimento che amnistiava non solo tutti i reati politici commessi tra il 25 luglio 1943 ed il 18 giugno 1946, ma anche i reati politici commessi successivamente a tale data. Il che costituisce una importante ammissione dell'esistenza di reati politici commessi in epoca successiva a quella della guerra di liberazione.

Va ricordato infatti che nel D.P.R. del '53 i reati politici del dopo '46 non furono amnistiati né condonati direttamente, ma solo in quanto rientranti nei limiti di pena dell'amnistia generale e nei presupposti dell'indulto.

Nel provvedimento del '59, quanto al periodo successivo al '46, è da segnalare l'amnistia per i reati commessi a mezzo stampa fino alla pena di 6 anni (27).





- L'amnistia del '66.



Dopo il '59 trascorrono sette anni prima di un altro provvedimento di clemenza per fatti politici.

Nel frattempo, nel 1963, viene concessa un'amnistia (28) nella quale però ; dei reati politici non si parla, né per comprenderli né per escluderli, né nel testo né nella relazione, genericissima, del ministro Bosco (29).

Come ho accennato prima, l'amnistia del '66 segna un passaggio importante ove la si guardi dal punto di vista formale, come testo legislativo.

Hanno carattere di relativa novità la struttura tecnica del provvedimento, le nozioni giuridiche e le definizioni usate per individuare i reati politici e l'oggetto politico e sociale. Abbiamo già visto come in essa siano affiancati un'amnistia generale (i cui reati sono individuati attraverso la gravità della pena e il loro specifico «nomen iuris» o articolo) ed un'amnistia per «speciali reati» (art. 2), che sono quelli che interessano in questo scritto per la loro varia connotazione politica.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare l'emanazione del provvedimento non fu preceduta da un dibattito particolarmente vivace o interessante di cui vi sia traccia a livello parlamentare. Tutte le proposte di legge presentate al Senato nei mesi precedenti fanno riferimento ad intenti variamente celebrativi: il ventesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale (proposta n. 1178, senatore Perugini), il cinquantenario dell'entrata in guerra dell'Italia (n. 1225, sen. Nencioni), il ventennale della Repubblica (n. 1577, sen. Tomassini).

La discussione al Senato si focalizzò poi sul disegno di legge dei senatori Monni e altri (n. 1654 del 5 maggio '66). La emanazione del decreto presidenziale avvenne in meno di un mese, il 4 giugno. La relazione al disegno di legge n. 1654, probabilmente per il sostanziale accordo già raggiunto dai vari gruppi politici ai quali appartenevano i presentatori (30), è di poche righe: richiama il ventesimo anniversario della Repubblica e si limita ad affermare il suo carattere «non di parte».

Ancora più esplicita la relazione del sen. Alessi, per la seconda commissione permanente del Senato, che, pur dando atto delle critiche che da ambienti autorevoli venivano avanzate contro l'istituto dell'amnistia e dell'indulto, afferma con sconcertante chiarezza:



«Il provvedimento che si propone alla vostra approvazione non s'ispira certamente a circostanze obiettive particolari, quali possono determinarsi da rivolgimenti politici, sociali, militari, economici; esso certamente non è inteso alla necessità di un adeguamento dell'ordinamento a speciali circostanze del momento; esso è inteso a solennizzare maggiormente il ventennale della Repubblica» (31).



Quanto all'art. 2 (speciali reati) la discussione fu soprattutto centrata sulla genericità della formula, che si riferiva inizialmente soltanto ai reati «di movente e finalità elettorale o sindacale o politica» ; (32).

Il testo definitivo dell'art. 2 risulta fortemente modificato ed arricchito.

Una proposta del partito comunista di condono per chi fosse stato « partigiano» o «patriota» fu recepita dallo stesso relatore Alessi, che si adoperò (33) per rendere «equanime» il beneficio verso «coloro che servirono la nuova storia» e verso quelli che vi «resistettero». Così la lettera a) dell'art. 2 amnistiò i reati commessi dai «resistenti», tra il 25 luglio '43 e il 2 giugno '46, se determinati da movente o fine politico, mentre la lettera b) dello stesso articolo amnistiò, alle stesse condizioni, quelli che si erano «opposti al movimento di liberazione».

Per gli altri reati politici amnistiati vedi il paragrafo precedente.





- L'amnistia del '68.



L'amnistia del '68, tra le più recenti, costituisce un esempio di particolare importanza e novità.

E' un provvedimento che ha ad oggetto esclusivamente reati politici e sociali ed è la prima amnistia (politica) nella quale scompare definitivamente ogni riferimento ai fatti connessi con la guerra.

E' assente inoltre ogni accenno a celebrazioni o ad anniversari. La relazione al disegno di legge presentato per primo al Senato (n. 23, d'iniziativa dei senatori Codignola ed altri) il 28 giugno 1968, è breve, ma centra direttamente il problema.

Vale la pena di riportarla per intero:



«ONOREVOLI SENATORI. - A decorrere dalla scorsa estate, la situazione politico-sociale del Paese è stata caratterizzata da un diffuso stato di insoddisfazione e di malessere delle masse studentesche e - almeno in alcuni centri - delle masse operaie, condizione in parte riconducibile ad un fenomeno analogo manifestatosi in ogni parte del mondo, sotto i più diversi regimi politici, in parte determinata da ragioni specifiche della nostra società nazionale.

L'insoddisfazione dei giovani per una società organizzata in centri di potere economici e politici ai quali è difficile l'accesso, e che paralizzano un'ampia e sincera dialettica democratica, coinvolge inevitabilmente il problema generale del potere in una società moderna: questa presa di coscienza abbastanza generalizzata nelle generazioni giovani trova occasioni puntuali di contestazione e di rifiuto nella organizzazione scolastica - e particolarmente universitaria - e nella organizzazione produttiva, entrambe legate ad una rigida concezione gerarchica del potere, che estrania da ogni potestà decisionale le masse dei lavoratori e degli studenti. Appare quindi evidente che, nell'interesse stesso della democrazia, nell'accezione aperta e progressiva voluta dalla nostra Costituzione, occorre procedere di pari passo alla realizzazione di profonde riforme strutturali ed alla creazione di un clima maggiormente democratico ed antiautoritario nel Paese.

La crisi di valori che si è così determinata ha prodotto scontri e conflitti tra forze di polizia da un lato, e studenti ed operai dall'altro, che hanno messo in evidenza il divario crescente fra alcune norme penali e di sicurezza tuttora in vigore, e la diversa coscienza che si è venuta maturando fra i giovani. I procedimenti giudiziari che ne sono seguiti ne costituiscono la logica conseguenza, ma riconfermano la necessità e l'urgenza di una radicale revisione del Codice penale, della legge di Pubblica sicurezza e di altre leggi, la cui ispirazione autoritaria risale al fascismo o comunque ad una concezione repressiva dello Stato che ripugna oggi alla coscienza democratica. In attesa che a tale revisione il Parlamento si accinga, è sembrato doveroso ai proponenti di chiedere un atto di conciliazione nazionale, che all'inizio della nuova Legislatura dimostri la sensibilità ; delle Camere ai gravi problemi di fondo che le recenti agitazioni e repressioni hanno aperto, e che non possono essere risolti con metodi coercitivi, ma vanno affrontati nella loro sostanza politica e sociale» (34).



Dal punto di vista tecnico la proposta era formulata in modo inusitato, che però bene rende il clima dell'epoca.

I proponenti, dopo aver inquadrato il contesto dei reati «commessi per motivi ed in occasione di agitazioni studentesche sindacali e politiche», elencavano i reati che dovevano essere amnistiati individuandoli con il numero dell'articolo del codice penale o di legge speciale e con la loro denominazione. Ne risulta un elenco molto lungo ed una formulazione discutibile dal punto di vista giuridico (35), che però costituisce una utile indicazione sul piano storico di quali fossero i reati contestati dalla magistratura. I proponenti dichiaravano infatti di essersi ispirati a quelle concrete contestazioni (36).

Altre proposte in senso analogo furono presentate alla Camera dall'on. Ceravolo (n. 37 dell'1/6/68), dall'on. Ferri (n. 81 del 18/6/68) e dall'on. Fracanzani (n. 315 del 2/8/68).

I procedimenti penali che risultavano pendenti presso le procure della Repubblica, secondo dati forniti dal Ministro di grazia e giustizia, erano circa un centinaio con un totale di circa tremila imputati (37).

Durante la discussione al Senato (commissione), a parte l'iniziale contrasto tra chi ribadiva la natura di atto di clemenza dell'emananda amnistia e chi la rifiutava come tale, considerandola piuttosto un atto di giustizia, i punti fondamentali esaminati furono quelli dell'estensione anche alle agitazioni politiche e dell'ampiezza in generale del provvedimento (38).

Sui reati politici la discussione in commissione fu ampia e vivace. La maggioranza non accolse gli emendamenti proposti in tal senso dalle sinistre, temendo una eccessiva ampiezza e dichiarando di volersi limitare alle agitazioni sindacali e studentesche.

La formulazione finale, che, tenendo fermo il riferimento alle sole agitazioni studentesche e sindacali, parla però di reati commessi «anche con finalità politiche», fu frutto della discussione al Senato. La questione fu affrontata anche alla Camera (seduta del 16 e 17 ottobre) senza portare però a modifiche. Le sinistre tendevano a dare un'interpretazione ampia di quelle «finalità», in modo da recuperare in qualche modo la sconfitta subita negli emendamenti, mentre la maggioranza affermava la superfluità dell'inciso e comunque la sua incapacità di ampliare l'ambito di applicazione dell'amnistia (39).

I tentativi di ampliamento alla Camera riguardarono le «controversie agrarie, individuali e collettive» (Lattanzi e Benedetti, seduta 18 ott.) (40), la sostituzione dell'espressione «a causa ed in occasione» con «a causa o in occasione» (Coccia, Fracanzani, Manco), l'aggiunta alle manifestazioni studentesche anche di quelle «culturali, per la pace» (41) e «sociali» (42).

Gli emendamenti proposti alla Camera furono in linea di massima rigettati per motivi di urgenza.

La maggioranza infatti, per affermazione del relatore Valiante, aveva « ritenuto preminente che questo provvedimento giungesse con tempestività agli interessati, anche in previsione di altre manifestazioni ed agitazioni studentesche ed operaie» (43).

Una delle questioni più interessanti del dibattito alla Camera fu quella sulla apposizione o meno di un termine iniziale di applicazione dell'amnistia, oltre quello finale previsto dalla Costituzione.

I progetti presentati e lo stesso testo approvato al Senato recavano infatti varie date: il primo ottobre '66, il primo luglio '67 eccetera. La questione aveva sicuramente dei risvolti tecnico giuridici connessi alla possibile violazione del principio di uguaglianza che l'apposizione di un termine iniziale, «assolutamente arbitrario» (44), poteva comportare.

Ma la cosa più interessante era il perché di questo dibattito. Nel 1968 si pose in modo serio e rilevante il problema del "dies a quo" a causa delle difficoltà di individuazione dell'oggetto storico politico dell'amnistia. Infatti per la prima volta dalla fine della guerra era assente il riferimento alle vicende della resistenza e, per altro verso, veniva abbandonata la dizione «reato politico» (45).

Inoltre, se è vero che l'occasione dell'amnistia era quella delle manifestazioni sindacali e studentesche (queste ultime connesse alla riforma universitaria) è anche vero che era forte la pressione perché in essa venissero ricompresi vari altri aspetti dei movimenti di quegli anni, come emerge dal tenore degli emendamenti, che vanno dai contadini e dai terremotati fino alle manifestazioni in occasione della Biennale di Venezia eccetera.

Già nell'amnistia del '66 vi era stata la discussione intorno ad un termine iniziale. Ma si trattava di una questione diversa: era infatti l'8 settembre, una data che segna una svolta politica e militare. Il problema che si poneva era quindi soltanto di volontà politica di ricomprendere nel beneficio i reati commessi prima e che, data la diversità del contesto, avevano diversa connotazione.

Qui invece si è in presenza di un movimento ancora in atto, particolarmente ricco e con all'interno manifestazioni di politicità ampie e talora inusuali.

Rende bene il clima dell'epoca l'intervento con il quale un parlamentare illustra l'emendamento soppressivo del termine iniziale:



«Qui nulla è certo e nulla esiste di sicuro e di obiettivo: non c'è uno spartiacque, ed io direi che puramente arbitrario e casuale è il fissare il termine del primo ottobre 1966, anche se si può pensare che sia stato scelto perché quella, normalmente, è la data di inizio dell'anno scolastico e accademico.

Ma quando è sorto il movimento studentesco, quando si sono manifestati i primi scontri con le strutture autoritarie dell'università e dello Stato? Possiamo dire che i movimenti più duri si siano concentrati negli anni 1966, 1967 e 1968, ma non possiamo ragionevolmente escludere che altri casi si siano verificati anche prima del primo ottobre 1966. Anzi, come ha testé affermato il collega Cacciatore, se ne sono svolti anche prima, particolarmente nell'aprile 1966, all'università di Roma e in altre sedi universitarie, oltre che nelle piazze, dove vi è stato lo scontro con determinati principi che ancora oggi orientano e governano la politica del paese» (46).



Ed a proposito delle manifestazioni sindacali continua così:



«...tra il giugno e l'ottobre del 1965 quasi tutte le categorie dei lavoratori nei diversi settori produttivi sono entrate in agitazione per il rinnovo dei contratti e sono state costrette a grandi sacrifici, a scioperi prolungati, a lotte e a scontri duri e difficili cui spesso hanno fatto seguito violente repressioni. E ciò è avvenuto quasi per tutte le categorie, in ogni settore produttivo, agricolo e industriale, commerciale, impiegatizio, in ogni parte del paese. Le lotte degli edili, dei metallurgici, dei metalmeccanici, le lotte agrarie e le manifestazioni dei coloni e dei braccianti delle Puglie, della Calabria e dell'Emilia, solo per citare alcuni casi; le repressioni contro gli operai della FIAT, contro i lavoratori della terra, contro (per citare un esempio particolare) le tabacchine dell'azienda ATI di Salerno, tutte avvenute prima del primo ottobre 1966, stanno a dimostrare che il termine iniziale fissato per l'amnistia, oltre ad essere illogico giuridicamente, arbitrario e casuale, è motivo di disparità di trattamento e di gravi ingiustizie che ledono e colpiscono il principio della generalità, al quale invece si ispira e dovrebbe attenersi il provvedimento» (47).



Il testo finale del decreto presidenziale non porta termine iniziale, ma solo quello finale per «i reati commessi fino al 27 giugno 1968» (48).

Nel complesso il provvedimento risulta di particolare ampiezza.

Vi sono compresi i reati di devastazione (pena massima 15 anni), incendio (pena massima 7 anni), blocco stradale o ferroviario (pena massima 12 anni), detenzione di armi da guerra e altri reati in tema di armi (pena massima 6 anni) (49).

Il commento di alcuni settori giuridici è nettamente negativo. Quello della rivista «L'indice penale» è, poi, perentorio:



«Non vi è dubbio che questo decreto indica chiaramente l'avvento di forze che si impongono allo Stato con carattere rivoluzionario» (50).





- L'ultima amnistia politica: quella del '70.



Si arrivò a questo provvedimento su richiesta dei partiti di sinistra e specie del partito socialista.

La proposta di legge (n. 2289 del 3/2/70) venne presentata alla Camera dai deputati Giolitti ed altri (tra i quali Leonetto Amadei e Vassalli) a nome esplicitamente della direzione del partito socialista per superare la « grave situazione sicuramente in contrasto con le esigenze di distensione del paese». Sempre per i proponenti «molte imputazioni fanno riferimento a figure di reati che la nostra coscienza sociale e la Costituzione della Repubblica considerano superate. Ma il problema si pone anche per le imputazioni che non concernono figure di reati che non trovano più rispondenza nella mutata coscienza sociale e politica del paese. Qui il disagio deriva dal fatto che noi consideriamo legittime le finalità per le quali si sono svolte le lotte sindacali. Finalità che derivano la loro legittimità dalla Carta Costituzionale».

I proponenti sottolineano poi le difficoltà nelle quali si muove il processo di adeguamento «tra ordinamento giuridico e realtà sociale» e contestano l'obiezione sulla frequenza delle amnistie adducendo l'eccezionalità dei motivi.

Quanto alla formula per la individuazione dei reati affermano:



«Nessun rilievo si è voluto dare alle finalità dei reati commessi. Decisivo soltanto il dato obiettivo, cioè la situazione di fatto in cui i reati sono stati commessi» (51).



Pur avendo i limiti obiettivi tipici di provvedimenti del genere questa proposta di amnistia preoccupò alcuni partiti della maggioranza per il significato univoco che veniva ad assumere. Fu estesa così la clemenza anche ai reati comuni.

La democrazia cristiana pose in particolare la condizione che tra i reati coperti dall'amnistia vi fosse anche quello di peculato (a causa di certe vicende processuali di alcuni suoi amministratori) ed ottenne il suo risultato, anche se dopo un'aspra discussione parlamentare (52). Da questo intreccio di interessi e di motivazioni il provvedimento di amnistia risultò « stravolto», tanto che alcuni giornali titolarono ironicamente sull'accostamento tra «autunno caldo» e peculato (53).

Simile fu il tono di importanti commentatori che, riconosciuta la legittimità o almeno la giustificatezza della amnistia politica, criticarono la sua estensione ai reati comuni (54).

Tornando all'amnistia politica va ricordato che nel corso dell'autunno '69 l'intervento penale era stato massiccio. Secondo dati raccolti dal ministero dell'interno (peraltro contestati nel dibattito parlamentare per la loro esiguità) nell'ultimo quadrimestre del '69 erano state denunciate 8396 persone per 14036 reati, tra i quali 235 per lesioni personali, 19 per devastazione e saccheggio, 4 per sequestro di persona, 124 per violenza privata, 1610 per blocchi stradali e ferroviari, 29 per attentati alla sicurezza dei trasporti, 3325 per invasione di aziende, terreni ed edifici e 1376 per interruzione di pubblici servizi (55).

Il relatore alla Camera sostenne l'opportunità dell'amnistia sindacale basandosi sul «disagio diffuso nella pubblica opinione che, pur deprecando taluni episodi di autentica delittuosità e pericolosità sociale, ritiene in gran parte sproporzionata e sostanzialmente ingiusta la rubricazione di quelle vicende sotto titoli di reato che erano stati dettati in un'epoca in cui era sconosciuta la realtà storica dei conflitti che caratterizzano tutti gli stati moderni» (56).

Lo stesso relatore riconobbe che, secondo l'indicazione proveniente da più parti, la soluzione migliore sarebbe stata quella della rapida revisione delle norme vigenti, ma sollecitò ugualmente l'approvazione del provvedimento di amnistia come intervento tempestivo e come segnale di pacificazione verso quelli che avevano subito procedimenti giudiziari.

Nel corso del dibattito alla Camera fu di grande interesse l'intervento dell'on. Vassalli, il quale, pur riconoscendo la fondatezza di tutte le critiche all'istituto dell'amnistia in generale, escluse che si potesse



«accantonare ogni ricorso ad esso, avendo, al contrario, l'esperienza storica sempre dimostrato e continuando a dimostrare la ineluttabilità di provvedimenti di tal genere, per sanare situazioni il cui protrarsi od acuirsi sarebbe peggior danno di quello portato dalle amnistie.

La verità è che i provvedimenti di generale clemenza od indulgenza, in particolare le amnistie, bene sono previsti nelle costituzioni e nelle leggi d'ogni paese e bene sono adottati quando si tratti di por fine a procedimenti penali propri e caratteristici d'una determinata situazione storicamente superata e della quale non è pensabile una riproduzione a breve scadenza o a procedimenti penali instaurati per reati che sono il frutto particolare di eccezionali rivolgimenti politici, economici e sociali arrivati a positiva conclusione, della quale taluni eccessi sono il prezzo fatale, ed un prezzo del quale pertanto non appar giusto esigere il pagamento fino alle estreme conseguenze del processo e della condanna.

Anche in questo caso, a mio sommesso avviso, si offre l'occasione per constatare questa verità: e cioè per constatare che, mentre aveva pieno fondamento una richiesta di amnistia per gli eventi dell''autunno caldo', piuttosto dubbio appare invece il fondamento della amnistia generale proposta dal Governo con l'articolo già 2 (ora 5) del disegno di legge» (57).



L'esponente socialista richiamò poi l'urgente necessità della riforma di molte parti della legislazione penale in generale e, passando ai rapporti tra lotte politiche e sociali e legislazione, illustrò le scelte di politica legislativa del suo partito nei seguenti termini:



«Dopo aver constatato attraverso i dati forniti dalle organizzazioni sindacali e confermati sostanzialmente dal ministro dell'interno nel corso della sua ricordata esposizione al Senato, che, su circa ottomilaquattrocento denunce avviate per manifestazioni politiche e sindacali dell'ultimo quadrimestre del 1969, solo 71 erano relative ad incriminazioni di natura tipicamente politica caratteristiche del codice penale del 1930 (associazioni cosiddette sovversive, propaganda «sovversiva» e via dicendo), mentre le altre riguardavano imputazioni di violenza privata, blocco stradale, invasione arbitraria di aziende, interruzione di pubblico servizio ed anche, in misura fortunatamente assai minore, lesioni, devastazioni e sequestri, e dopo aver considerato che nessun legislatore avrebbe potuto pensare di abrogare o di limitare la portata delle relative norme penali in relazione all'occasione di sciopero o d'altra manifestazione rivendicativa o contestativa, la direzione del partito socialista dette mandato ai due gruppi parlamentari [...] di predisporre due del tutto separati provvedimenti, dedicati l'uno all'abrogazione o alla modificazione di tutta una serie di articoli del codice penale del 1930 contrari alla lettera o allo spirito della Costituzione, e l'altro di amnistia per i fatti aventi carattere di reato emersi nel corso delle lotte sindacali dello scorso autunno» (58).



Vassalli sollevò inoltre il problema dei reati politici non commessi in occasione delle agitazioni sindacali o studentesche, ravvisando l'opportunità del loro inserimento in un'amnistia che, rispetto alla impostazione originaria («autunno caldo»), aveva ormai acquistato una notevole ampiezza. Inoltre invitò a non «dimenticare che come amnistia per manifestazioni di lavoratori e di studenti questa è la seconda di questa legislatura, mentre di analoga considerazione i reati politici non hanno per ora usufruito» (59).

Il risultato finale fu quello di un'amnistia per alcuni reati specificamente indicati se commessi in determinati contesti (60) «anche con finalità politiche».

Gli unici reati politici considerati furono quelli «determinati da motivi inerenti a questioni di minoranze etniche», cioè dai fatti dell'Alto Adige con eccezione per i soli fatti comportanti lesioni personali o la morte. Ciò «nello spirito degli accordi recentemente annunciati» (61).

L'approvazione dell'amnistia fu accompagnata da commenti molto critici negli ambienti giuridici.

Tra i più allarmisti va segnalato il seguente:



«il provvedimento appare come un atto imposto da forze dichiaratamente nemiche dell'attuale ordine di cose e che tendono a istituire un ordine nuovo e, per quanto concerne le forze della sinistra extraparlamentare, addirittura un ordine costituzionale diverso, che presuppone l'abbattimento di quello vigente» (62).



Della situazione successiva al 1970 si parlerà nel prossimo capitolo. Qui è sufficiente rilevare che il decreto del '70 è l'ultimo provvedimento di amnistia per fatti politici (63).

In quegli anni matura una forte ondata critica nei confronti delle amnistie di cui si censurano, sulla base della Costituzione, gli eccessi e gli abusi.

L'opposizione non viene solo dai giuristi. Sono anche i partiti direttamente ad impegnarsi, attraverso dichiarazioni ufficiali, ad opporsi (in futuro) ad altri provvedimenti del genere (64).

Sta di fatto che, contrariamente a queste affermazioni, vengono concesse successivamente varie amnistie (1973, 1978, 1981) e per giunta tutte proprio per reati non politici.





2. LA NOZIONE DI DELITTO POLITICO.



Si può passare a questo punto ad esaminare alcuni aspetti della nozione di delitto politico, così come emergono dai decreti di amnistia nel periodo 1950-70.

Non è questa la sede per una ricostruzione sistematica della nozione di delitto politico, per la quale si rinvia agli studi esistenti (65). Qui è ; sufficiente rilevare che all'inizio degli anni '50 il delitto politico era, per definizione, quello di cui all'art. 8 cod. pen., nella sua variante oggettiva (i delitti contro la personalità dello stato eccetera) e soggettiva (reati comuni determinati da motivi politici). Ciò in quanto la Costituzione nulla aveva tolto o aggiunto ad esso in modo esplicito (66).

Ed infatti nell'indulto del '53 e nell'amnistia del '59 l'espressione « reato politico ai sensi dell'art. 8 codice penale» è prescelta dal legislatore per individuare l'ambito di applicazione del beneficio. Una precisazione è comunque d'obbligo.

All'inizio degli anni '50 la questione dell'ampiezza della nozione di delitto politico effettivamente riconosciuta è tutt'uno con il problema dell'atteggiamento della magistratura verso gli ex partigiani e la sinistra da una parte e gli ex fascisti ed i collaborazionisti dall'altra.

E' noto infatti come i giudici (al pari degli altri apparati dello stato) siano stati tutt'altro che equanimi, specie nel corso degli anni '50 (67).

Tanto che, mentre nell'interpretazione dell'amnistia concessa ai collaborazionisti e fascisti i giudici si mostrarono di larghezza sempre maggiore, con il passare del tempo, nei confronti degli appartenenti alle formazioni partigiane si manifestò un pesante «intendimento repressivo» attribuibile, secondo alcuni, ad una sorta di «segreta direttiva» (68).

Ciò incide naturalmente sulla ampiezza della nozione di delitto politico.

La giurisprudenza elabora, per esempio, la nozione di «pretesto politico», che ha un senso tecnico come tentativo di limitare l'eccessiva ampiezza della nozione di delitto politico, ma che in concreto viene utilizzata per non applicare ai partigiani alcune amnistie degli anni '40. Anche se va ricordato, giusto per dare l'idea della complessità del tema, che nell'amnistia «Togliatti» (D.P. 22/6/46, n. 4) a proposito dei collaborazionisti e fascisti viene usata la dizione «delitto politico» ;, mentre nelle amnistie per gli antifascisti negli anni '40 vengono usate spesso espressioni diverse (69).

La questione è destinata a complicarsi ulteriormente alla fine degli anni '50 ed all'inizio dei '60, quando ad invocare la natura politica del reato commesso saranno i nazisti prigionieri in Italia.

Ma di ciò parleremo più avanti.

Tornando all'esame dei provvedimenti di amnistia e di indulto nel periodo trattato in questo capitolo, va in primo luogo segnalato che l'indulto del '53 accoglie di fatto e complessivamente una nozione di reato politico ancora più ampia di quella data dal codice penale.

Essa comprende infatti, oltre ai reati definibili come politici secondo l'art. 8 cod. pen., anche quelli ad essi connessi nonché i reati inerenti a fatti bellici (70) commessi da coloro che abbiano appartenuto a formazioni armate.

A questi vanno aggiunti i reati di qualsiasi specie, diversi dai precedenti, commessi da coloro che abbiano appartenuto a formazioni armate e che sono oggetto dell'indulto (lett. b) in considerazione della qualità personale dell'autore. La politicità di questi ultimi reati è tra l'altro riconosciuta in modo diretto dalla legge del 18 dicembre (n. 921) sulla liberazione condizionale (71).

All'interno di un campo così ampio nel quale veniva riconosciuta la politicità (72), le principali questioni che si posero furono quelle sul modo in cui andava intesa la «connessione», che la Cassazione a sezioni unite ritenne dovesse essere solo oggettiva (73), quella sulla cumulabilità del condono del '53 ai precedenti e sul modo di effettuare il calcolo (74) e quella sul significato dell'espressione «formazioni armate».

Abbiamo già visto come il riferimento alle «formazioni armate» , specie nella lettera b, definisca un tipo di politicità legata non alle caratteristiche del reato (come è nell'art. 8 cod. pen. anche nella sua variante soggettiva) ma alla qualità personale dell'autore.

Ne scaturiscono (lett. a e b) due gruppi di reati da considerare entrambi politici ma con graduazione della politicità e perciò diversamente valutati nella misura del condono, per cui a minore politicità corrisponde minore «sconto».

Il presupposto logico di tutto ciò si trova in una sorta di presunzione che il reato sia comunque in tutto o in parte riferibile, direttamente o non, al fatto di essere appartenenti alle «formazioni armate».

Di ciò era pienamente consapevole il legislatore, come risulta evidente dalle dichiarazioni del Ministro della giustizia alla Camera dei deputati:



«La graduazione, tuttavia, non esclude che anche il secondo gruppo, di cui si parla adesso, debba essere considerato come riguardante reati politici. Non credo, pertanto, che in sede di interpretazione possano sorgere dubbi su questo punto. Comunque la interpretazione che noi ora ne diamo è dello stesso legislatore e tutti gli altri interpreti hanno il dovere di uniformarvisi» (75).



In realtà contrasti di interpretazione vi furono, e non di poca portata, su questo e su altri aspetti.

Era infatti in discussione l'applicazione dell'indulto oltre che ai partigiani anche agli appartenenti alle Forze armate e, soprattutto, agli appartenenti alla Repubblica Sociale.

Secondo una prima interpretazione erano da ritenere esclusi entrambi. I primi per una serie di motivi strettamente giuridici (militari) e perché la giustificazione dell'indulto stava, tra l'altro, nel carattere irregolare dei combattenti del movimento di liberazione (il che non era per le Forze armate) e i secondi perché non avevano mai acquistato il carattere della legittimità come le formazioni partigiane. Veniva sottolineato infatti come la Repubblica Sociale «non fu mai una verità giuridica né le sue forze armate furono mai riconosciute come legittimi belligeranti» (76).

Altri invece, partendo dalla accezione più ampia della espressione « ;formazioni armate», vi ricomprendevano oltre ai partigiani anche l'esercito del Regno d'Italia e le formazioni della repubblica sociale (77). La questione finì davanti alle sezioni unite della Cassazione che esclusero la qualifica in discussione per le Forze armate, riconoscendola invece alle formazioni fasciste repubblichine (78).

La giurisprudenza si adeguò in linea di massima all'orientamento della Cassazione, non senza eccezioni anche nella stessa suprema corte (79).



Nel corso degli stessi anni, ed anche dopo l'amnistia del '59 - che limitava il beneficio alla sola area dei reati politici «ai sensi dell'art. 8 cod. pen.» - la nozione di delitto politico in senso proprio veniva affinata e precisata da varie decisioni della Cassazione, molte delle quali erano proprio di applicazione dei decreti di amnistia.

A parte i delitti politici oggettivi, per i quali si ponevano questioni meno scottanti (80), in generale l'orientamento della massima magistratura in fatto di motivo politico risultò, almeno dal punto di vista formale, di notevole ampiezza e di una certa «nobiltà» di stampo liberale. Così fu ritenuto che:



«Il delitto deve considerarsi soggettivamente politico quando il colpevole abbia agito in concreto per fini che investano la collettività sociale trascendendo l'individuo, mediante agitazione di idee o di attività pratiche rivolte ad imporre determinate soluzioni, di indole strettamente politica o economico-sociale in contrasto con le soluzioni propugnate dagli avversari, indipendentemente dei segreti impulsi psichici che possono aver determinato l'azione e dalla moralità dei fini che con questa si sono voluti raggiungere.

Deve ritenersi determinato in tutto da movente politico il delitto che sia stato compiuto esclusivamente nell'interesse della collettività sociale della società e dello Stato in genere, sia sul piano nazionale sia entro un ambito territoriale più ristretto; deve ritenersi invece determinato solo in parte da movente politico il delitto commesso per vere o supposte offese personali, ove l'agente abbia ritenuto che tali offese si risolvessero in offese al proprio partito politico ed in pregiudizio del programma politico o sociale dello stesso» (81).



Va tenuto presente che una nozione così ampia della politicità si basò in quegli anni anche su un atteggiamento della dottrina che teneva conto del fatto che, per effetto degli artt. 10 e 26 della Costituzione, il delitto politico era tornato ad avere una valenza positiva «pro reo» (82), dopo l'intervento fascista che aveva ampliato la nozione (l'art. 8 del codice del '30) a fini notoriamente di maggiore repressione.

Comunque, sulla variante soggettiva del delitto politico la dottrina manifestò una tendenza più restrittiva della giurisprudenza, anche se talvolta con motivazioni inaspettate.

Va detto infatti che in qualche occasione l'ampiezza della politicità riconosciuta dai giudici giocò anche a favore di agitazioni popolari che, in una nozione puramente oggettiva, non sarebbero rientrate. Tanto è ; vero che la Cassazione, che aveva dato rilievo politico anche ai fini economico-sociali, era stata accusata di recepire «principi marxisti» (83).

In qualche caso infatti la Cassazione aveva considerato reato politico, e quindi oggetto di amnistia, «l'invasione collettiva arbitraria di terreni» (84) oppure un'agitazione di braccianti per motivi sindacali, nella quale però vi era stato anche un assalto ad una caserma di carabinieri con bombe a mano (85) oppure alla manifestazione che, partita da una Camera del lavoro con lo slogan «vogliamo pace e lavoro», aveva costretto i negozianti alla chiusura e si era conclusa con l'occupazione del comune (86).

Sta di fatto che la giurisprudenza, in assenza di una rielaborazione costituzionale del delitto politico, fece ampio uso della nozione soggettiva esistente nel codice penale fino a giungere, nel suo rigore formalistico, a decisioni in favore di criminali nazisti che provocarono forti reazioni negative nell'opinione pubblica e nei commentatori giuridici.

Si trattò dei famosi casi «Zind» (1961) e «Kroger» (1963) in cui rispettivamente la Cassazione e la sezione istruttoria presso la corte di appello di Bologna negarono l'estradizione riconoscendo la natura politica dei reati di cui erano accusati: il primo di aver esaltato i massacri di ebrei compiuti dai nazisti ed il secondo di essere l'autore diretto di uno di essi (87).

Decisioni queste inaccettabili per il loro oggetto, ma non censurabili più di tanto sul piano strettamente giuridico se si pensa che fu poi necessaria l'approvazione di una apposita legge costituzionale (n. 1 del 1967) per escludere la possibilità che al delitto di genocidio fosse applicato il regime favorevole che gli artt. 10 e 26 della Costituzione accordano ai reati politici (88).

Sul piano delle amnistie va comunque rilevato che il tentativo di Kappler di fruire del decreto del '59 fu rigettato dal Tribunale supremo militare, ma non perché il delitto non fosse ritenuto politico, ma per il fatto che il movente era nel senso di tutelare gli interessi politici di uno stato estero e, in quanto tale, era irrilevante ai fini di quel provvedimento di amnistia (89).

Analogo rifiuto era stato opposto dal Tribunale supremo militare a Reder: fu escluso infatti che i «reati contro le leggi e gli usi della guerra» fossero politici, fu esclusa anche l'esistenza del fine politico, della connessione a reati politici e del fatto che le truppe tedesche potessero essere considerate «formazioni armate» secondo l'indulto del '53 (90).

Con l'amnistia del '66 fu recuperata una nozione di politicità più ; ampia (soggettiva) che comprendeva tutti i reati, indipendentemente dalla loro gravità (quindi anche l'omicidio), «se determinati da movente o fine politico o connessi con tali reati ...», purché commessi tra il 25/7/43 ed il 2/6/46.

Ma di quell'amnistia non è questo l'aspetto più interessante, sia perché non sposta i termini del dibattito fin qui visto (91) sia perché si riferisce a fatti ormai lontani 20 anni.

Il fatto di maggior rilievo è invece l'apparizione (92) di formule e di disposizioni di remissione delle pene che articolano il concetto di reato politico e ne estendono obiettivamente i contenuti.

Così, per esempio i reati di resistenza a pubblico ufficiale, di interruzione di un ufficio o servizio pubblico, di oltraggio a pubblico ufficiale, di istigazione a disubbidire le leggi, di violenza privata e di danneggiamento sono amnistiati se commessi «per motivi politici». Ed inoltre sono amnistiati gli stessi reati ed in più quelli di occupazione di azienda, sabotaggio, istigazione a delinquere, blocco stradale «se commessi per motivi ed in occasione di manifestazioni sindacali» (93). Viene così recuperata una vecchia formula usata in provvedimenti di amnistia dell'inizio del secolo (94) e poi scomparsa, fatta salva qualche sporadica eccezione (per es. nel '47).

Prima del '66 questo tipo di reati o non venivano affatto amnistiati oppure lo erano solo però in quanto rientranti nelle disposizioni generali (non politiche) oppure nella nozione di delitto politico. Abbiamo visto sopra come proprio la Cassazione aveva elaborato un concetto di «motivo politico» ; che comprendeva anche le «pratiche rivolte ad imporre» determinate soluzioni «d'indole economica sociale» (95).

Il che aveva portato in qualche caso a ricomprendere nelle amnistie per reati politici dei comportamenti tipici delle lotte sindacali. Con l'amnistia del '66 il concetto di «motivo» e «occasione» di manifestazione sindacale, come contesto «scriminante», si autonomizza del reato politico (96), acquista una sua particolare configurazione e pone problemi propri di definizione concettuale.

I provvedimenti del '68 e del '70 arricchiscono e specificano ulteriormente questa categoria di reati, che, pur non essendo politici in senso stretto, vengono però fatti oggetto di un trattamento di favore per via di una certa quota di politicità che è loro riconosciuta.

Un lavorio interpretativo sulla nozione di «sindacale» si rese poi necessario per il fatto che sia nel '68 che nel '70 non furono accolti gli emendamenti della sinistra che tendevano ad introdurre nel testo dei provvedimenti le manifestazioni «politiche» (97), mentre fu accolta quella strana formulazione «anche con finalità politiche».

Ma vediamo meglio il problema.

L'atteggiamento dei giudici, specie della Cassazione, fu tutt'altro che favorevole alla nuova formulazione.

Nel complesso le manifestazioni sindacali furono interpretate in modo restrittivo.

Fu infatti posta la distinzione, alquanto pretestuosa, tra manifestazioni sorte per generici motivi di lavoro, non comprese nell'amnistia del '66 (98), e manifestazioni sindacali vere e proprie, le uniche amnistiate e da intendere esclusivamente «nei termini che sono propri alla sua [sindacale] funzione e che si inquadrano nei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori» (99).

Questo orientamento fu ribadito anche a proposito dell'amnistia del '68.

Fu di conseguenza esclusa la natura sindacale di qualsiasi manifestazione che esulasse da uno scontro diretto e attuale tra datori di lavoro e lavoratori e che invece fosse diretta verso gli organi statali per ottenere concessioni o agevolazioni o nei riguardi di enti locali (100).

Ed inoltre, sempre secondo la Cassazione, anche quando la manifestazione era sicuramente sindacale, non potevano fruire del beneficio coloro i quali si erano inseriti in essa «per puro spirito di faziosità politica o con intendimenti eversivi» (101). Il quadro concettuale di queste decisioni richiama, forse inconsapevolmente, le elaborazioni sul «pretesto politico» e sulla «lotta al fascismo» (cui si è fatto cenno prima).

Ne risulta limitato il concetto di «sindacale», che spesso arriva a non tenere in nessun conto la locuzione «anche con finalità politiche», presente in alcuni provvedimenti. Tale locuzione se non era infatti tale da far rientrare nel beneficio le manifestazioni puramente politiche, sicuramente ampliava il contenuto della «sindacalità » (102). Una nozione di sindacalità un po' più aperta è la seguente:



«... si ha agitazione o manifestazione 'sindacale' soltanto quando l'azione sia riferibile a contrasti che insorgono tra prestatori d'opera e datori di lavoro o trovi in essi un qualsiasi rapporto eziologico, e cioè ; quando si tratti di azioni nelle quali il movente che ha determinato la volontà del soggetto attivo trovi origine in un interesse collettivo e proprio di una determinata categoria (retribuzioni, licenziamenti, orario di lavoro, disoccupazione, trattamento previdenziale eccetera)» (103).



Essa afferma infatti che è sindacale la manifestazione che sia espressione di un interesse collettivo e di categoria che sia in « qualsiasi rapporto eziologico» con la relazione datore di lavoro-lavoratori e quindi anche relativo alla disoccupazione o al trattamento previdenziale (che sono aspetti esterni al rapporto di lavoro inteso in senso strettamente privatistico).

In qualche decisione vi è comunque l'espressa affermazione che rientrano «negli interessi dei sindacati agricoli non soltanto quelli inerenti a contrasti tra lavoratori e datori di lavoro, ma anche gli altri interessi che si pongono di fronte allo stato...» (104).

In qualche altro caso si accede ad una nozione ampia ed informale dell'attività sindacale che è ritenuta sussistente ove vi sia «una comunità di persone, accomunate dallo svolgimento professionale di una specifica attività economica, [che] svolgono una attività diretta alla tutela di interessi della categoria, anche non economici» (105).

Il testo dell'amnistia del '70, con la sua ampiezza, fu l'occasione per pronunce sugli aspetti più vari dei movimenti di quegli anni: fu esclusa la sua applicabilità alle agitazioni verificatesi in varie carceri (106) e alle manifestazioni meramente politiche, relative all'orientamento ideologico internazionale di un determinato partito (107), mentre in un caso, argomentando sul concetto di «manifestazione» - che non postula necessariamente il concorso di più persone -, fu ritenuta possibile la manifestazione di un solo individuo, al quale fu applicato il beneficio (108).

Nel complesso si può dire che, a parte qualche rara eccezione, la nozione di «manifestazioni sindacali» che si afferma nella giurisprudenza in occasione delle amnistie risulta decisamente restrittiva sia rispetto al tenore letterale dei provvedimenti che agli stessi orientamenti prevalenti tra gli studiosi di diritto sindacale e nella stessa giurisprudenza in tema di lavoro. Basti pensare come in materia di diritto di sciopero, una delle più tipiche manifestazioni sindacali, a partire dall'inizio degli anni '60 (ed in particolare dalla sentenza n. 123 del 1962 della Corte costituzionale) si era affermata l'opinione per cui gli interessi economico sociali a tutela dei quali i lavoratori scioperano, vanno intesi in senso ampio e quindi come non necessariamente inerenti al rapporto giuridico con il datore di lavoro. Erano rientrate così progressivamente nella nozione costituzionale di sciopero varie forme di astensione dal lavoro caratterizzate dalle più diverse finalità, da quelle di solidarietà fino a quelle politiche (pur queste ultime con alcuni limiti) (109).

L'esperienza delle amnistie «sindacali» invece, se può essere considerata un miglioramento, nel senso della precisazione dell'oggetto del provvedimento di remissione, rispetto alla generale nozione di reato politico, non consente comunque un bilancio positivo sul piano della stessa elaborazione della nozione di «sindacale». Mentre l'ampiezza dello spettro sociale e politico che emerge dal testo del '70 è di indiscutibile interesse, pur presentando i limiti propri di una enunciazione casistica che molto dice, ma altrettanto lascia fuori (110).





3. CONSIDERAZIONI FINALI.



Alla fine di questo capitolo può essere fatta qualche ulteriore considerazione d'insieme sullo specifico mezzo amnistia calato nel problema dei reati politici.



A) Sulla gravità dei reati amnistiati. E' di immediata evidenza la particolare ampiezza dei provvedimenti relativi ai fatti di guerra. Essi trovano una loro giustificazione proprio nella estensione ed importanza dei fatti che vi hanno dato origine. Tali fatti anzi, in quanto spesso costituivano delle vere e proprie azioni di guerra, non avrebbero dovuto in quei casi neanche essere qualificati come comuni reati, salvo poi essere amnistiati per la loro politicità.

Non va comunque sottovalutata neanche l'ampiezza dei provvedimenti del '68 e del '70, specie se la si rapporta ai caratteri di quei movimenti ed al fatto che erano ancora «in corso».



B) Nei vari provvedimenti non vengono poste condizioni particolari soggettive per la loro fruibilità.

In particolare né a fascisti né a collaborazionisti venne richiesta alcuna dichiarazione di lealtà al nuovo regime.

In generale un certo indiretto controllo dei destinatari dei benefici venne attuato attraverso il regime previsto per i latitanti, che, per esempio, furono esclusi dall'indulto del '49 ed invece ammessi a godere di quello del '53.

Nel '59, riprendendo una tecnica già usata in alcuni indulti negli anni '40, fu previsto invece un «obbligo di presentazione» al giudice entro quattro mesi dalla entrata in vigore del decreto. La disposizione era criticabile per molti versi, soprattutto in quanto applicata non solo ad un indulto ma anche ad un provvedimento di amnistia e in quanto agiva «come un fattore di coercizione morale sicuramente incompatibile con le finalità di clemenza proprie degli istituti estintivi...» (111).

La Cassazione, in un interessante caso di un collaborazionista che si trovava in Venezuela, ritenne sufficiente la semplice presentazione al Console italiano in Caracas, argomentando sulla differenza tra obbligo di costituzione in carcere e obbligo di presentazione al giudice, sulla non necessità che quest'ultimo fosse lo stesso dell'istruttoria o del dibattimento, sul significato puramente formale della presentazione nei casi in cui l'amnistia o l'indulto coprivano per intero le «pendenze» del latitante ed, infine, sul fatto che in questi ultimi casi poteva essere sufficiente la presentazione al Console, il quale è anche organo giurisdizionale penale secondo la legge consolare e varie altre disposizioni (112).

La sentenza, «liberale» verso un collaborazionista, mette in mostra, proprio per la sua liberalità, il carattere di fondo della disposizione: un atto di sottomissione alla giustizia che costituisce una violenza morale proprio perché, in alcuni casi, slegato dalla stessa finalità di sottoporre a pena un latitante (113). Sempre sul piano delle condizioni va infine segnalato il tentativo fatto da democristiani e destre di inserire nell'amnistia del '68 un emendamento che condizionava la fruizione dell'amnistia alla non commissione di altri reati in un certo lasso di tempo. La norma non fu comunque inserita nel testo definitivo (114).

Nel complesso si può dire comunque che nessuna delle condizioni introdotte o proposte nei provvedimenti esaminati arriva al punto di richiedere modifiche del comportamento o dell'atteggiamento psicologico e politico nel corso della carcerazione. Infatti anche quegli accertamenti sulla politicità del reato al momento della commissione, che in alcuni casi erano previsti, non richiedevano comunque alcuna indagine sulle opinioni politiche attuali del richiedente il beneficio (115).



C) Un'ultima considerazione va fatta a proposito del momento in cui i provvedimenti vengono emanati rispetto agli eventi cui si riferiscono.

Le amnistie del '68 e del '70, concesse quasi in «corso di eventi», sono la riprova che una vera e propria preclusione ad interventi tempestivi non esiste. Anzi nel provvedimento del '68 l'intento era proprio quello di intervenire nella fase di maturazione di certi movimenti e manifestazioni. Il problema principale appare invece essere quello del riconoscimento della politicità dei comportamenti incriminati.



D) Taluni riconnettono all'amnistia, proprio nel periodo 1950-70, effetti negativi o ambigui, che invece, a mio avviso, richiedono una più corretta imputazione.

L'amnistia, come tecnica, si inserisce sicuramente negli anni '50 in un processo di recupero statuale e conservatore. Ma tale processo ha il suo fondamento in fattori di portata molto più ampia ed ha nelle amnistie non tanto una causa quanto una manifestazione, nemmeno tra le più importanti (116). D'altra parte anche a livello applicativo molte interpretazioni «contro la resistenza» sono da ricondurre non tanto al mezzo amnistia in sé quanto alla cultura ed ai condizionamenti politici degli apparati di stato negli anni '50 (cultura e condizionamenti che avranno una significativa evoluzione solo negli anni '60).

Quanto agli anni '60 valgono in parte considerazioni diverse. Nei provvedimenti del '68 e del '70 infatti gli aspetti di recupero e di mistificazione statalista, pur presenti, vanno visti in relazione alla ampiezza e radicalità sociale dei movimenti cui si riferiscono ed al fatto che vi sono forze politiche in parlamento che se ne fanno esplicitamente portavoce rivendicando talora la 'legittimità' di certe innegabili « illegalità» e quindi l'amnistia come atto non di clemenza, ma di ristabilimento della «giustizia».



E) Può affermarsi a questo punto che i dati esposti in questo capitolo confermino l'utilità di una trattazione disaggregata delle amnistie politiche, come unica capace di porre in rilievo possibilità e limiti di questi provvedimenti cercando di superare numerosi luoghi comuni che esistono sull'argomento. A conferma di ciò un ultimo dato.

Contrariamente a quanto verificatosi in tutte le amnistie, dopo quella del '68 l'incremento della criminalità, che si produce di solito a causa della liberazione di soggetti «candidati» a rientrare in carcere in breve lasso di tempo, fu del 2,2% nettamente il più basso registrato dal dopoguerra (117).

E l'amnistia del '68, non a caso, è l'unica concessa per soli reati politici in senso ampio e per giunta ancora «a caldo».





NOTE.



1) Rispecchiando così il percorso politico-parlamentare che aveva portato ad esso: vedi infra.



2) Sul punto è chiara la «relazione dell'on. Padula» alla Camera, per la quarta Commissione permanente: «Parimenti larga è stata la volontà di cogliere l'occasione del presente provvedimento per compiere un atto di pacificazione nei confronti delle po polazioni dell'Alto Adige, nello spirito degli accordi recentemente annunciati e ferma restando l'esclusione dei fatti di maggiore gravità», in "La legislazione italiana", Milano, Giuffrè, 1970, p. 662. Per le grazie concesse successivamente agli autori di attentati confer G. Zagrebelsky, "Amnistia, indulto e grazia", Milano, Giuffrè, 1974, p. 17, nota 11.



3) Una struttura analoga la si ritrova nel D.P.R. 4/6/66, n. 332, che all'art. 1 contiene una «amnistia generale» e all'art. 2 una «amnistia per speciali reati» (politici commessi durante la guerra e dopo: vedi infra).



4) Vedi infra.



5) Nei provvedimenti precedenti ('53, '59 ed anche '63) possono essere stati amnistiati anche reati sindacali, ma solo in quanto rientranti nel limite di pena previsto per l'amnistia generale oppure sotto altra denominazione. L'ultimo provvedimento con oggetto esplicitamente sindacale è il D.C.P.S. 8/5/47, n. 460 «per reati commessi in relazione con vertenze agrarie». Per i periodi precedenti vedi cap. 1.



6) Art. 1, D.P.R. 22/5/70, n. 283.



7) «Relazione dell'On. Padula», cit., p. 661-2.



8) Vedi G. Quazza, "Il fascismo: esame di coscienza degli italiani", in AA. V.V., "Storiografia e fascismo", Milano, Angeli, 1985, p. 7.



9) Così l'on. Colitto, relatore alla Camera per la terza Commissione, in «Le Leggi», 1953, II, p. 961: il relatore riferisce tale idea come quella minima sulla quale si è formato il consenso un po' di tutti.



10) Vale la pena di riportare per intero l'art. 2 del D.P.R. 19/12/53, n. 922:



«- E' concesso indulto:

a) per i seguenti reati commessi dall'8 sett. 1943 al 18 giugno 1946, reati politici, ai sensi dell'art. 8 cod. pen., e i reati connessi: nonché i reati inerenti a fatti bellici commessi da coloro che abbiano appartenuto a formazioni armate:

1 - commutando la pena dell'ergastolo nella reclusione per anni dieci, e, qualora l'ergastolo sia già stato commutato in reclusione per effetto dell'indulto, riducendo ad anni dieci la pena della reclusione sostituita a quella dell'ergastolo.

2 - riducendo ad anni due la pena della reclusione superiore ad anni venti e condonando interamente la pena non superiore ad anni venti;

b) per ogni reato commesso non oltre il 18 giugno 1946 da coloro che abbiano appartenuto a formazioni armate, e non fruiscano del beneficio indicato nella precedente lettera a):

1 - commutando la pena dell'ergastolo nella reclusione per anni venti e, se l'ergastolo stesso è già stato commutato in reclusione per effetto di indulto, riducendo di anni otto la pena della reclusione già sostituita a quella dell'ergastolo;

2 - riducendo di anni otto la pena della reclusione.

In nessun caso la pena residua può superare gli anni venti.

I benefici previsti nelle lettera a) e b) del presente articolo si cumulano con quelli concessi dai precedenti provvedimenti di clemenza e si applicano anche a coloro che si siano trovati o si trovino in stato di latitanza;

c) per ogni altro reato, non militare o finanziario, limitatamente a pene detentive non superiori a tre anni e a pene pecuniarie non superiori a lire trecentomila. Di altrettanto sono ridotte le pene superiori.

La misura del condono è di anni cinque per coloro che all'epoca del commesso reato non avevano compiuto gli anni diciotto e di anni quattro per coloro che alla data del 18 dic. 1953 hanno superato gli anni settanta.

Per coloro che furono liberati durante gli eventi bellici e poi nuovamente arrestati o che si costituiranno in carcere entro tre mesi dalla data del presente decreto, è altresì condonata metà del periodo di pena durante il quale rimasero in libertà.

Per le pene inflitte con l'aggravante dello stato di guerra, prevista dalla l. 16 giugno 1940, n. 582 modificata dal r.d.l. 30 nov. 1942, n. 1365, dal d. legislativo luog. 10 maggio 1945, n. 234 e dal d. legisl. 2 ag. 1946, n. 64 fuori dei casi indicati nelle precedenti lettere a) e b), è altresì concessa la riduzione di un terzo della pena o, trattandosi dell'ergastolo, la commutazione nella reclusione per anni venticinque, applicandosi poi l'indulto previsto nel primo comma della presente lettera c) sulla pena ridotta o commutata.

Le pene accessorie indicate nell'art: 32, primo comma, cod. pen., sono condonate in tutti i casi in cui l'ergastolo sia commutato in pena detentiva temporanea;

d) per i reati finanziari preveduti dalle leggi sul monopolio dei sali e dei tabacchi, sul chinino dello Stato, sugli apparecchi automatici di accensione e pietrine focaie, sui fiammiferi, sulla fabbricazione, importazione e monopolio delle cartine e tubetti per sigarette, relativamente alle multe o alle ammende, non superiori a lire duemilioniduecentocinquantamila, congiunte a pena detentiva. Di altrettanto sono ridotte le pene superiori.

L'indulto è esteso alle multe o ammende applicate per le infrazioni alle norme in materia di dogane e di imposte di fabbricazione, quando il loro ammontare non superi le lire centomila. Di altrettanto sono ridotte le pene superiori.

L'indulto è altresì esteso alle infrazioni previste dalle leggi sulla imposta generale sull'entrata, quando siano connesse ai reati previsti nei precedenti commi e nei limiti negli stessi indicati».



11) Vedi per esempio G. Aromatisi, "Considerazioni sull'attuale indulto per reati politici", in «Archivio penale», 1954, I, p. 54.



12) Per un quadro della situazione agli inizi degli anni '50 vedi G. Scarpari, "La Democrazia Cristiana e le leggi eccezionali", Milano, Feltrinelli, 1977, p. 9 in particolare e passim.

13) Op. ult. cit., p. 205 segg.



14) Confer M. Berlinguer, "Lineamenti della prossima amnistia", in «La Giustizia Penale», 1953, I, p. 378: l'autore sostiene la necessità di un provvedimento che riguardi non solo i reati politici ma anche quelli comuni (giustificandolo per questi ultimi con il mutamento della coscienza giuridica dopo il '44 e con l'esigenza di smaltire arretrato). In quello stesso torno di tempo De Gasperi aveva auspicato un condono soltanto per i condannati fascisti.



15) Le proposte sono pubblicate in «Rivista Penale», I, p. 626 e 630. La proposta Terracini prevede l'amnistia non solo «per tutti i delitti politici commessi in data successiva al 18/6/46», ma anche (ed è questa una delle caratteristiche maggiori) «per tutti i delitti commessi in relazione ed in occasione di scioperi, conflitti di lavoro, moti popolari, pubbliche dimostrazioni e comizi» (art. 1 lett. d).



16) Relazione alla Camera dell'on. Azara, ministro della giustizia, in «Le Leggi», 1953, 11, p. 958.



17) Relazione on. Colitto cit.



18) Per la proposta Terracini vedi supra sub nota 15. Per i «reati comunque riferibili in tutto o in parte alla situazione determinatasi nel Paese per gli eventi bellici o per le loro successive ripercussioni» vedi relazione ori. Colitto, cit., p. 968-9; ivi anche il riferimento alle amnistie del '22 (R.D. n. 1641) e del '23 (R.D. n. 2278) che si riferivano a « qualsiasi reato comunque determinato da movente politico o commesso in occasione di movimenti politici, ovvero in agitazioni, tumulti o conflitti dovuti a cause economico-sociali». La proposta di includere i reati « comunque riferibili» si basa sulla precisa volontà di non discostarsi dai criteri seguiti nell'amnistia del 22/6/46 che aveva escluso dal beneficio coloro che, per le funzioni di cui erano investiti, avevano avuto un'elevata responsabilità, oppure coloro che avevano commesso reati particolarmente gravi («sevizie particolarmente efferate»): relazione al Senato, sen. Zoli, in Janniti Piromallo, "Esposizione critica della giurisprudenza sui decreti di amnistia e d'indulto dell'ultimo decennio", Milano, 1954, p. 372.



19) Questi dati sono riportati nella relazione alla Camera (on. Dominedò e Guerrieri) della legge di delegazione per la concessione dell'amnistia del '59 (legge 10/7/59), in «Le Leggi», p. 553 in particolare: le declaratorie di amnistia fino al 30/4/54 ammontavano a 744.549, delle quali 4381 riguardanti detenuti. Al 31/12/57 le declaratorie di amnistia e le applicazioni di indulto erano arrivate a 982.250 (il dato non è disaggregato).



20) Così nella relazione al disegno di legge 24/10/58, n. 444 di cui sono primi firmatari Pertini, Berlinguer e Basso in «Riv. ital. di dir. e proc. penale», 1959, p. 96.



21) La proposta di legge (cit. sub. nota 20) prevede inoltre la concessione di amnistia: «b) per i reati politici a sensi dell'art. 8 del Codice penale e per i reati ad essi connessi o comunque, anche al di fuori dei casi di connessione, riferibili ai fatti bellici o alle lotte politiche e sociali verificatesi in Italia dal 25 luglio 1943 al 31 luglio 1946 e puniti con pena detentiva non superiore nel massimo ad anni dodici sola o congiunta a pena pecuniaria e ad altre pene accessorie; c) per i delitti con pena non superiore ad anni tre sola o congiunta con pena pecuniaria ed alle contravvenzioni previste dal Codice penale e dalle leggi speciali escluse quelle finanziarie». La proposta si riferiva anche ai reati comuni e prevedeva un indulto giustificato con il perdurare della legislazione fascista e con l'altezza delle sue pene. L'ergastolo era commutato nella pena a 24 ed a 30 anni anche per i comuni.

L'unico precedente a tale proposta risulta essere stato il disegno di iniziativa popolare presentato al Senato il 20/7/56 e mai discusso nel merito (sulla base della considerazione che il referendum è escluso in tema di amnistia e di indulto).



22) Relazione ult. cit. p. 96-7.



23) Il resoconto è nella relazione Dominedò (cit. sub. nota 19), p. 544. Di ispirazione «equanime» era invece la proposta di legge del dep. Degli Occhi (n. 660) presentata alla Camera il 27/11/58.



24) Vedila in «Le Leggi», II, 1959, p. 539 segg. da dove sono tratte le citazioni che seguono. Vale la pena di rilevare che, mentre per i reati politici la relazione ministeriale fornisce delle spiegazioni, per i reati comuni non vi è neanche un accenno di giustificazione (tranne quella della minore gravità dei reati amnistiati). L'amnistia per i reati commessi a mezzo stampa è giustificata con argomenti simili a quelli usati per i reati politici («insostituibile funzione della stampa in libero regime democratico»).



25) Vedile in «Le Leggi» 1959, 11, p. 543 e 563.



26) I relatori affrontano ampiamente il problema della costituzionalità delle amnistie, della possibile funzione di anticipazione di riforme, come quella sul regime della sospensione condizionale per i minori degli anni 18 ed i maggiori dei '70, e dell'ergastolo.

Sulla ammissibilità delle sole amnistie politiche va segnalato il commento anonimo della rivista «Scuola Positiva» (1959, p. 299) che critica fortemente la prassi invalsa di concedere frequenti amnistie, ma poi precisa che «certamente le amnistie, e anche gli indulti, si possono giustificare quando giovano alla pace sociale ed eliminano rancori e discordie o si presentano come rimedi ad eccezionali rigori governativi. Ma, anche in questi casi, si dovrebbe sempre distinguere tra i delinquenti, ammettendo al beneficio i politico-sociali, i responsabili di trasgressioni di natura contravvenzionale e gli occasionali e passionali».



27) Il testo dell'unico articolo che prevede l'amnistia è il seguente:



«ART. 1. (Amnistia). - E' concessa amnistia:

a) per i reati politici ai sensi dell'art. 8, codice penale, commessi dal 25 luglio 1943 al 18 giugno 1946;

b) per i reati politici ai sensi dell'art. 8 del codice penale, nonché per i reati elettorali, commessi successivamente al 18 giugno 1946 e punibili con pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, ovvero con pena pecuniaria sola o congiunta a detta pena;

c) per i reati commessi col mezzo della stampa punibili con pena non superiore ad anni sei ovvero con pena pecuniaria anche congiunta a detta pena;

d) per i reati non militari né finanziari, salvo il disposto di cui alla lettera e) del presente articolo e ai successivi art. 3 e 4, punibili con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni ovvero con pena pecuniaria sola o congiunta a detta pena;

e) per i reati di assenza dal servizio, preveduti dagli artt. 146 e 147, prima parte, e 151, codice penale militare di guerra, commessi dall'8 sett. 1943 al 15 apr. 1946, se il militare si è presentato nel termine previsto dall'art. 15, d. pres. 22 giugno 1946, n. 4, ovvero se la classe di appartenenza è stata collocata in congedo;

f) per il reato di furto di piante nei boschi, se concorre l'attenuante prevista dall'art. 62, n. 4, codice penale;

g) per il reato di lesioni personali volontarie lievissime previsto dall'art. 582, capoverso, codice penale, aggravato ai sensi dell'art. 585, in relazione all'articolo 577, stesso codice, se concorre un'attenuante;

h) per i reati commessi dai minori degli anni 18, punibili con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni ovvero con pena pecuniaria sola o congiunta a detta pena.

Ai fini dell'applicazione dell'amnistia stabilita alle lettere a) e b) del presente articolo, il giudice, ove sia stata pronunciata condanna e dalla sentenza o dagli atti del procedimento non apparisca sufficientemente stabilito se il reato sia compreso fra quelli di cui alle lettere citate, dispone gli opportuni accertamenti. Gli stessi accertamenti dispone la Corte Suprema di Cassazione, se innanzi ad essa sia pendente ricorso.



28) D.P.R. n. 5 del 24 gennaio: sono amnistiati i reati puniti con pena detentiva non superiore a tre anni (più altri reati specifici), mentre viene concesso indulto nella misura di uno o due anni.



29) Vedila in «Le Leggi», 1963, p. 128 segg.: l'unica eccezione è costituita da una integrazione al decreto del '59 che rende così ; possibile l'applicazione dell'indulto alle pene aggravate dallo stato di guerra indipendentemente dai precedenti penali (purché non si cumuli all'indulto del '53).



30) Il disegno di legge era di iniziativa dei senatori Monni, Lami Starnuti, Alessi, Angelini A., Pace, Mongelli, Carol’, Berlingieri, Ajroldi, Venturi, Bermani, Pafundi, Magliano G., Nencioni, Fenoaltea e Poét.



31) Senato della Repubblica, IV legislatura, relazione della II Commissione permanente sul «disegno di legge n. 1564/A» d'iniziativa dei senatori Monni e altri.



32) Nel disegno di legge Monti (n. 16541 1'ammnistia politica era contenuta in un unico articolo del seguente tenore: «art. 2. E' concessa amnistia per i reati di movente e finalità elettorale o sindacale o politica punibili con pena edittale non superiore a 5 anni».



33) Senato della Repubblica, seduta del 31/5/66.



34) Relazione al disegno di legge n. 23 del Senato, d'iniziativa dei senatori Codignola, Banfi, Vignola e Iannelli (comunicato alla presidenza il 28 giugno 1968).



35) Ne risulta infatti qualcosa di simile ad una grazia collettiva (come fu rilevato da taluni oppositori).



36)Mi pare interessante riportare per intero l'art. 1 nella sua originaria formulagione (che fu poi ampiamente ridotta in sede definitiva):



«Il Presidente della Repubblica è delegato a concedere amnistia per i seguenti reati, se commessi per motivi ed in occasione di agitazioni studentesche, sindacali e politiche:

a) Codice Penale: articoli 266 (istigazione di militari a disobbedire alle leggi); 290 (vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze armate); 292 (vilipendio alla bandiera o ad altro emblema dello Stato); 297 (offesa alla bandiera o ad altro emblema dello Stato); 299 (offesa alla bandiera o ad altro emblema di uno Stato estero); 302 (istigazione a commettere i delitti previsti dagli articoli 266 e 292); 303 (pubblica istigazione e apologia dei medesimi); 336 (violenza o minaccia a pubblico ufficiale); 337 (resistenza a pubblico ufficiale); 338 (violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario); 340 (interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità); 341 (oltraggio a pubblico ufficiale); 342( oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario); 344 (oltraggio a pubblico impiegato); 345 (offese all'autorità mediante danneggiamento di affissioni); 361 (omessa denunzia di reato da parte del pubblico ufficiale); 362 (omessa denunzia da parte di un incaricato di pubblico servizio); 368 (calunnia); 369 (autocalunnia); 378 (favoreggiamento personale); 414 (istigazione a delinquere) ; 415 (istigazione a disobbedire alle leggi); 416 (associazione per delinquere, se l'associazione era diretta a commettere delitti previsti da questa amnistia); 418 (assistenza agli associati, nei limiti stabiliti per l'articolo 416; 419 (devastazione e saccheggio); 423 (incendio); 424 (danneggiamento seguito da incendio); 431 (pericolo di disastro ferroviario causato da danneggiamento); 432 (attentati alla sicurezza dei trasporti); 435 (fabbricazione o detenzione di materie esplodenti); 449 (delitti colposi di danno); 450 (delitti colposi di pericolo); 504 (coazione alla pubblica autorità mediante serrata o sciopero); 508 (sabotaggio); 509 (inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro); 581 (percosse); 582 (lesione personale purché non aggravato dalle circostanze di cui all'articolo 583, cpv., cioè lesioni gravissime); 586 (morte o lesioni come conseguenze di altro delitto, limitatamente alla ipotesi delle lesioni); 588 (rissa, tranne che sia aggravato dalla uccisione di taluno dei partecipanti); 590 (lesioni colpose); 594 (ingiuria); 595 (diffamazione); 605 (sequestro di persona); 606 (arresto illegale); 607 (indebita limitazione della libertà personale); 608 (abuso di autorità contro arrestati o detenuti); 609 (perquisizione e ispezione personale arbitrarie); 610 (violenza privata); 611 (violenza o minaccia per costringere a commettere un reato); 612 (minaccia); 614 (violazione di domicilio); 615 (violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale); 616 (violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza); 617 (cognizione, interruzione e impedimento fraudolenti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche); 624 e 625 (furto, anche aggravato); 633 (invasione di terreni o edifici); 634 (turbativa violenta del possesso di cose immobili); 635 (danneggiamento); 639 (deturpamento e imbrattamento di cose altrui); 650 (inosservanza dei provvedimenti della autorità); 651 (rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale); 652 (rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto); 654 (grida e manifestazioni sediziose); 655 (radunata sediziosa); 659 (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone); 663-bis (divulgazione di stampa clandestina); 664 (distruzione o deterioramento di affissioni); 673 (omesso collocamento o rimozione di segnali o ripari); 678 (fabbricazione o commercio abusivi di materie esplodenti); 679 (omessa denunzia di materie esplodenti); 697 (detenzione abusiva di armi); 699 (porto abusivo di armi); 703 (accensioni ed esplosioni pericolose).

b) Testo unico leggi di Pubblica sicurezza (regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni): articoli 15 (inosservanza all'invito a presentarsi all'autorità di pubblica sicurezza); 18 (riunioni in luogo pubblico senza preavviso, trasgressioni ai divieti di tenere riunioni in luogo pubblico o alle modalità prescritte per le riunioni); 19 (porto di armi in pubbliche riunioni); 24 (disubbidienza all'ordine di scioglimento di riunioni o assembramenti); 25 (omesso preavviso di cortei); 42 (porto di armi e altri strumenti atti ad offendere fuori della propria abitazione); 112 (introduzione nello Stato, detenzione, messa in circolazione eccetera di scritti, disegni e immagini contrari agli ordinamenti politici eccetera costituiti nello Stato); 113 (affissioni fuori dei luoghi destinati); 158 (espatrio e tentativo d'espatrio clandestino);

c) decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66; articolo 1 (blocco stradale, ferroviario e di linee di navigazione).

d) decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (testo unico leggi per l'elezione della Camera dei deputati); articolo 99 (impedimento o turbativa di riunioni di propaganda elettorale);

e) legge 4 aprile 1956, n. 212 (disciplina della propaganda elettorale); articolo 8, primo e secondo comma (sottrazione, distruzione eccetera di manifesti e altri mezzi di propaganda elettorale);

f) legge 24 dicembre 1925, n. 2264 (norme per l'uso della bandiera nazionale): articolo 7; legge 24 giugno 1929, n. 1085 (disciplina della esposizione delle bandiere estere): articolo 3;

g) legge 8 febbraio 1948, n. 47 (disposizioni sulla stampa): articoli 10 (giornali murali); 16 (stampa clandestina); 17 (omissione di indicazioni obbligatorie); 20 (asportazione, distruzione o deterioramento di stampati).



37) Vedi relazione al Senato (sen. Mannironi) per la seconda Commissione permanente sul disegno di legge Codignola; ma secondo l'on. Franchi si restituivano alla piazza «circa 7000 persone, in gran parte attivisti comunisti (Atti Parlamentari, Camera dei deputati, V legisl., seduta del 18 ottobre 1968, p. 2530). Nella seduta del 17 ottobre l'on. Mattalia riferisce i dati forniti da ultimo dal Ministro di giustizia e che indicano, tra condannati ed incriminati, 3289 studenti e 5305 operai. 38) Vedi relazione al Senato ult. cit.



39) In questo senso Gonella (ministro della giustizia), Leone (presidente del consiglio) e Alessi. Nella seduta del 16 ottobre Vassalli aveva avanzato riserve giuridiche sulla formula ed aveva affermato che essa aveva « l'indubbio valore di dare un contenuto più esteso alle agitazioni e manifestazioni studentesche».

Interpreta la formula come una estensione dell'applicabilità dell'amnistia «all'ambito delle incriminazioni connesse a manifestazioni operaie e studentesche non collegate a questioni di fabbrica o di scuola (es. manifestazioni per il Vietnam, proteste contro l'operato della polizia eccetera.)», M. Ramat, "Amnistia: dalla classe politica ai magistrati", in «Il Ponte», 1968, p. 1455.



40) Il proponente (Benedetti) motiva tra l'altro così il suo emendamento: «Da calcoli attendibili eseguiti dalle organizzazioni sindacali competenti, vi sono almeno mille processi penali pendenti a carico di contadini in relazione soprattutto alla interpretazione ed alla applicazione della legge del 1964. Mille processi penali, onorevoli colleghi, milleduemila imputati nell'ipotesi di concorso.» (Atti parlamentari, Camera dei deputati, V legisl., seduta del 18 ottobre 1968, p. 2504).



41) On. Coccia, Atti parlamentari, ult. cit., p. 2502:

«Tornare a respingere questo emendamento significa fare violenza alla realtà storica, a quella realtà che è oggetto dell'iniziativa parlamentare. Sostenere l'estraneità di questi motivi significa ignorare la pubblicistica stessa che vi è stata su queste vicende, sul movimento studentesco ed operaio, la genesi e lo sviluppo di queste lotte nel paese, di queste agitazioni e manifestazioni, la loro stessa natura e le loro stesse rivendicazioni, significa negare il carattere della repressione poliziesca, la sua estensione. Fu la stessa repressione che si scatenò contro manifestazioni come quelle che ebbero luogo per la Biennale di Venezia (che prese le mosse dall'incontro che avvenne presso l'accademia di belle arti a Venezia e dall'incontro di operai e studenti a Ca' Foscari, da cui parti la contestazione di quella manifestazione culturale), per la Triennale di Milano e il festival cinematografico di Pesaro: tutti elementi di discussione e di esercizio della ragione critica per una gestione democratica dell'arte e della cultura contro la subordinazione dell'arte al mercantilismo, come è stato ricordato dai nostri oratori. Momenti questi che appunto furono il segno della presenza studentesca, civile ed intellettuale del nostro popolo e il punto di incontro tra operai, intellettuali e lavoratori nell'esercizio delle libertà democratiche, delle libertà di espressione e di critica, nel contesto generale di un movimento che si è svolto in altre grandi città europee e del mondo.



42) Emendamento Re Giuseppina (Camera, seduta del 18 ottobre), che fa riferimento alla occupazione di case a Palermo dopo il terremoto, alle manifestazioni in varie località della Sicilia «per la rivendicazione dell'acqua potabile», all'occupazione di scuole «da parte di mamme disperate che non sapevano dove lasciare i loro figlioli». Un analogo emendamento per i reati «commessi a causa ed in occasione dei terremoti in Sicilia dell'ottobre 1967 e gennaio 1968» (on. Pellegrini e altri, seduta del 18 ottobre).



43) Atti Parlamentari, Camera dei deputati, V legisl., discussioni, seduta del 18 ottobre 1968, p. 2509.



44) L'espressione è di Vassalli, Atti parlamentari cit., p. 2515.



45) Diverso significato e diverse possibilità di applicazione ha la formula «anche con finalità politiche».



46) Atti Parlamentari cit., p. 2518 (intervento dell'on. Sabadini).



47) Ibid.



48) La votazione finale alla Camera avvenne a scrutinio segreto. La proposta di legge fu approvata con 336 voti favorevoli contro 75. Avevano dichiarato di votare contro i liberali e i missini. I democristiani avevano dichiarato di votare a favore facendo riferimento ai «fermenti» di cui « possono criticarsi gli effetti ma non disconoscersi del tutto l'intrinseco fondamento»: «ben venga dunque il provvedimento conciliativo, il provvedimento che tenga conto del diffuso stato di insoddisfazione che caratterizza nel mondo intero l'epoca attuale» (on. Pennacchini, Atti parlamentari cit. p. 2531). I comunisti invece (on. Guidi, Atti cit., p. 2528) ribadirono di non considerare l'amnistia un gesto di perdono e riaffermarono «il grande valore che ha sempre avuto la resistenza collettiva quando si è espressa come tutela della Costituzione». Altrettanto critico verso «l'atto di clemenza» è l'on. Mattalia (p. 2528) per i socialisti autonomi e per due indipendenti di sinistra (ma vota a favore). Si dichiara invece soddisfatto Leonetto Amadei per i socialisti (p. 2528).



49) Pene dell'epoca.



50) Commento anonimo in «L'indice penale», 1968, p. 364.



51) Dalla relazione alla proposta di legge n. 2289 della Camera dei deputati del 3/2/70.



52) Sui termini del dibattito vedi la relazione dell'on. Padula, cit., che definisce «ampio ed appassionato» il dibattito sul peculato per distrazione (p. 662).



53) Vedine un esempio in «La Scuola Positiva», 1970, p. 487: ivi anche il commento in cui si parla di provvedimento «stravolto» a causa dell'estensione della amnistia ai comuni ed al peculato.



54) Vedi nota precedente ed inoltre A. Galante Garrone in «La Stampa» del 28/4/70 e F. Mantovani, "Terra d'amnistia", in «Temi», 1970, p. 409.



55) Confer relazione on. Padula cit., p. 660.



56) Ibid.



57) Atti parlamentari, Camera dei deputati, V legisl., discussioni, seduta del 18 maggio 1970, p. 17621.



58) Atti parlamentari, ult.cit., p. 17623; la direzione del P.S.I. aveva contemporaneamente sollecitato il suo gruppo parlamentare per una rapida approvazione dello «Statuto dei lavoratori».



59) Atti parlamentari ult. cit., p. 17625: l'on. Vassalli si riferiva a « tutti i reati politici, compresi quelli commessi per motivi politici».



60) Il testo dell'art. 1, comma 1, del decreto del '70 è il seguente:



«1. (Amnistia particolare) - E' concessa amnistia per i seguenti reati, se commessi, anche con finalità politiche, a causa e in occasione di agitazioni o manifestazioni sindacali o studentesche, o di agitazioni o manifestazioni attinenti a problemi del lavoro, dell'occupazione, della casa e della sicurezza sociale; e infine in occasione ed a causa di manifestazioni ed agitazioni determinate da eventi di calamità naturali;

a) reati punibili con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, ovvero con pena pecuniaria sola o congiunta a detta pena;

b) reati previsti dagli articoli 338 - limitatamente a violenza o minaccia ad un Corpo amministrativo -; 419, limitatamente al reato di devastazione; e 423 del codice penale;

c) reati previsti dall'art. 1 del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66;

d) reato previsto dall'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47;

e) reati previsti dall'art. 4 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, limitatamente alle ipotesi di porto illegale di armi o parti di esse, o di munizioni;

f) reati previsti dagli articoli 302 e 303 del codice penale allorché l'istigazione o l'apologia, in essi considerata, si riferisca ad un delitto nei riguardi del quale è applicabile il presente provvedimento di amnistia».



61) Relazione dell'on. Padula, cit., p. 659.



62) Il commento apparso in «L'indice penale», 1970, p. 244-5 porta la sigla P.N. (Nuvolone). Per una critica ugualmente radicale anche se sulla base di presupposti diversi confer D. Pulitanò, "Il significato della clemenza", in «qualegiustizia», 1970, n. 2, p. 109: l'autore, a proposito della «violenza delittuosa» che talora vi era stata nel corso delle lotte operaie, invoca una «radicale ristrutturazione dei criteri della giustizia punitiva (e della giustizia sociale che quella presuppone)» (p. 112).



63) L'unica proposta di legge in tal senso risulta essere quella, presentata alla Camera (n. 444) il 7/7/72 da Tripodi e altri, per le «agitazioni e manifestazioni determinate o comunque dipendenti dall'attuazione dell'ordinamento regionale». I relatori nel proporre il beneficio (che tecnicamente era congegnato come un'estensione dell'amnistia del '70) invocavano il principio di uguaglianza, che doveva portare ad un pari trattamento delle agitazioni «regionali» (il riferimento è principalmente ai fatti di Reggio Calabria) con quelle sindacali. Sul punto vedi anche Zagrebelsky, cit., p. 17, nota 10.



64) Così la democrazia cristiana, i liberali e i repubblicani: confer "L'amnistia e l'indulto nei programmi elettorali", nota anonima in «L'indice penale», 1973, p. 155. Sul mutamento di atteggiamento all'interno della cultura giuridica all'inizio degli anni '70 (quando si pone il problema di una limitazione di contenuto e non solo di procedura sulla base della Costituzione) confer G. Gemma, "Principio costituzionale di eguaglianza e remissione della sanzione", Milano, Giuffrè, 1983, p. 164 in particolare.



65) Confer per tutti T. Padovani, "Bene giuridico e delitti politici" , in «Rivista italianadi diritto e procedura penale», 1982, p. 3 e segg.; N. Mazzacuva, sub «art. 26», in «Commentario della Costituzione» a cura di G. Branca (art. 24-26), Bologna, Zanichelli, 1981, p. 317; S. Panagia, "Il delitto politico nel sistema penale italiano" ;, Padova, Cedam, 1980.



66) Art. 8, comma 3, cod. pen.: «Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello stato ovvero un diritto politico del cittadino. E' altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici».



67) Confer R. Canosa-P. Federico, "La magistratura in Italia dal 1945 ad oggi", Bologna, Il Mulino, 1974, p. 122 segg.; vedi inoltre, in questo volume il cap. 4.



68) Confer per tutti, G. Vassalli, "Sull'amnistia concessa per gli omicidi commessi in lotta contro il fascismo", (nota a C. d'assise d'Appello di Genova, 26/4/54), in «La giustizia penale», 1954, II, p. 783 segg. Va ricordato inoltre che decisioni sulle amnistie degli anni '40 continuano ad esservi durante tutti gli anni '50. Vedi inoltre L. Bernardi - G. Neppi Modona - S. Testori, "Giustizia penale e guerra di Liberazione", Milano, Angeli, 1984.



69) Vedi per es. la finalità di «liberare la Patria dall'occupazione tedesca» oppure gli «atti diretti a frustrare l'attività bellica delle truppe tedesche» nel R.D. 5/4/44, n. 96; «lotta contro il fascismo» nel D.L . 17/11/45, n. 719. Diverso è invece il caso del D.P.R. 9/2/48, n. 32 che, amnistiando «delitti politici» in generale ebbe poi un'interpretazione ampia che, in qualche caso (vedi infra), fu anche favorevole alla sinistra.70) Per una critica della formula «inerenti a fatti bellici» vedi G. Scarpa, "In margine al recente decreto di amnistia e indulto", in «Il foro penale», 1954, p. 134: l'autore ritiene l'espressione impropria, in quanto non trova riscontro in altre leggi, e inutile in quanto «non si può negare la qualifica di politici ora obiettivamente ora subiettivamente intesi, a tutti quei fatti di guerra verificatisi tra le opposte parti dopo l'armistizio del 1943».



71) In tal senso E. Capalozza, "Il reato politico nell'ultimo provvedimento di amnistia ed indulto", in «Il nuovo diritto», 1954, p. 5, sulla base della specifica formulazione della legge n. 921/53.



72) Sulla comune accettazione del fatto che tutti i reati di cui alle lett. a e b dell'indulto fossero politici confer Capalozza, op. cit., e Scarpa, op. cit.



73) Cioè «reati comuni legati da uno stretto vincolo sostanziale con i reati politici»: C. Cass. sez. un. 2/7/55, in «La Giustizia Penale», 1956, II, p. 1.74) Confer E. Capalozza, "Il cumulo dei condoni", in «Rivista penale», 1954, p. 144; G. Pandolfelli, "Il cumulo dei condoni a favore dei latitanti", in «Rivista penale», 1954, p. 150; M. Rossi, "Incongruenze legislative ed incertezze giurisprudenziali in relazione all'art. 2 lett. A) e B) del D.P.R. 19 dicembre 1953, n. 922", in «Archivio penale», 1954, II, p. 239.



75) Dichiarazione fatta nella seduta del 18 dicembre del 1953: vedila citata in M. Scardia, «Il concetto di formazioni armate nel decreto di amnistia e indulto» (nota a C. ass. app. Roma, 18/5/54, che segue gli enunciati ministeriali arrivando ad escludere l'applicabilità dell'indulto agli appartenenti alla repubblica sociale), in «La Giustizia Penale», 1954, II, p. 624 segg.



76) Scardia, op. cit., p. 631, ivi citata giurisprudenza e dottrina su quest'ultimo punto: in effetti nessuno stato riconobbe mai come governo o come stato sovrano la r.s.i., nemmeno quello tedesco.

Questo orientamento è rintracciabile, pur con varie motivazioni, tra le altre, nelle seguenti decisioni: C. app. Roma, 18/5/54, in «La Giustizia Penale», 1954, II, p. 624; Cass. 1/6/55 (Pontechiari), in «Il Foro Italiano-Rep.», 1955, p. 83 (che arriva ad escludere il beneficio agli appartenenti alla r.s.i., considerandoli equiparati alle Forze armate dello stato), Cass. 9/4/56 (Pontecchiano), in «Il Foro Italiano-Rep.», 1956, p. 132.



77) Vedi A. Cassina, "I provvedimenti di clemenza. Osservazioni e incertezze", in «Rivista penale» 1954, I, p. 136 (l'autore arriva a questa conclusione considerando legittime, secondo il diritto internazionale le formazioni della r.s.i.); F. Guarnieri, "Profili e limiti dei provvedimenti di clemenza", in «Rivista penale», 1954, I, p. 97; F. Mariani, "Questioni interpretative del nuovo decreto di amnistia e indulto", in «Rivista penale», 1954, I, p. 101; U. Meranghini, "Le formazioni armate secondo il D.P. 19/12/53, n. 922 di amnistia e l'appartenenza ad esse, in «Rivista penale», 1954, II, p. 736. In giurisprudenza vedi Trib. Lucca 26/7/54, in «Rivista Penale», 1954, II, p. 883.78) Cass. sez. un. 24/7/54, in «Archivio Penale», 1954, p. 521 (ivi commento favorevole di Aromatici): la corte affermò che le Forze armate dello stato erano tenute al compimento del loro dovere all'infuori ed al di sopra di qualsiasi ideologia e contingenza politica.



79) Sono conformi alle sez. un. le seguenti decisioni: Cass. 17/10/55 (Costa) in «Il foro It.-Rep.», 1956, p. 134; Cass. 24/1/56, in «Riv. Pen.» 1956, II, p. 392; Cass. 1/6/55 (Mazzuccato) in «Il foro It.-Rep.», 1955, p. 83; Cass. 1/7/58 (Susini), in «La giust. pen.» 1959, II, p. 185; Trib. Supr. Mil., 26/6/58 (Malvagni), in «Il Foro It.-Rep.», 1959, p. 106; Cass. 29/1/59 (Cesario), in «Il Foro It.-Rep.», 1959, p. 106; Cass. 1/2/65, in «Riv. Pen.», 66, II, p. 958.

Le non conformi sono le decisioni riportate sub nota 76.



80) Confer Mazzacuva, op. cit., p. 333-6 in particolare.



81) La massima è in «Il foro It.-Rep.» 1956, p. 2301 e prosegue in questi termini: «Deve considerarsi comune il delitto che, con il pretesto di finalità politiche, sia stato commesso per fini personali o per spirito di prepotenza o di violenza o per eliminare qualunque possibilità di sindacato sul proprio operato».

Tale decisione riprendeva un orientamento e dei concetti già presenti in Cass. 26/4/48 (Sardella), in «Giur. compl. cass. pen.», 1948, I, p. 262; e in Cass. 8/6/55 (Zanchetta) in «La Giustizia Penale», II, 1956, p. 379. Per altra giurisprudenza nello stesso senso vedi M. Mazza, " Alcuni rilievi in tema di delitto politico e di estradizione", (nota a Cass. 6/9/57, Koronakis) in «La giustizia penale», 1958, II, p. 6 (nota 12 in particolare). Sull'esclusione del carattere politico in reati commessi con solo pretesto politico confer A. Piraino Leto, "I delitti politici e l'amnistia", in «Riv. pen.», 1959, I, p. 726 in particolare ed inoltre C. Appello Roma, 5/12/59 in «Riv. pen.», 1960, II, p. 225.



82) Lo rileva Mazzacuva, cit., p. 333 e 336.



83) Op. ult. cit., p. 337.



84) C. Appello Bari 15/11/52, in «Il foro Ital.-Rep.», 1953, p. 102. 85) Cass. 12/11/52, in «Il foro Ital. Rep.», 1953, p. 103.



86) Cass. 5/7/61, in «Riv. Pen», II, 1961, p. 1134 (che ritenne applicabile l'amnistia del '59 seguendo i criteri visti sub nota 81).



87) Cass. 5/4/61 (Zind) in «Foro Italiano», II, 1962, p. 68, con note di A.P. Sereni, "Estradizione e preteso reato politico", e di G. Branca, "L'ideologia ebraica"; per un ulteriore commento al « caso Zind» vedi G. Amato, "Crimini nazisti e reato politico" in «Democrazia e diritto», 1961, p. 607.

Appello Bologna, sez. istr., 11 gennaio 1963 (Kršger), in «Giur. Ital.», II, 1964, ivi nota di A. Galante Garrone, "Delitti politici e delitti contro l'umanità" (dove l'autore commenta anche il « caso Zind»). Vedi inoltre F. Colonna, "Sterminio degli ebrei e delitto politico", in «Democrazia e diritto», 1963, p. 413.



88) Mazzacuva, op. cit. p. 339-40, il quale rivela tra l'altro l'intrinseca debolezza teorica delle critiche alle decisioni di cui alla nota precedente.



89) Trib. Supr. Mil., 25/10/60, in «Riv. pen», Il, 1960, p. 955; ivi nota di O. Orecchio, "Moventi a delinquere, reato politico e reato militare".



90) Trib. Supr. Mil., 21/1/56, in «Riv. Pen.», 11, 1957, p. 712.



91) Vedi per esempio la seguente decisione in materia di «pretesto» politico:



«L'esplicito richiamo all'art. 45 n. 2 c.p.p. contenuto nell'art. 2 lettera a) D.P.R. 4 giugno 1966, n. 332, rende evidente che per l'applicazione dell'amnistia è necessaria una relazione specifica e concreta fra reato soggettivamente politico e reato comune; questa relazione può essere anche individuata nel fatto che nello svolgimento dell'attività ideativa, preparatoria od esecutiva del primo reato si sia presentata un'opportunità (magari casuale), un pretesto, od un motivo tale da suggerire o determinare il compimento del secondo; peraltro la circostanza che ha dato luogo a questa situazione (in altri termini l'occasione anche fortuita) deve essere concretamente ed esattamente individuabile perché il concetto di connessione oggettiva richiede un collegamento effettivo e diretto fra due fatti e non già una semplice contiguità temporale o affinità di situazione psicologica genericamente intesa. (Cass. 11 marzo 1969, in Giust. Pen, 1970, II, 158, n. 281).



92) O meglio il riemergere: vedi cap. 1.



93) Vedi F. Guarnieri, "Annotazioni sulla recente amnistia", in « ;Riv. Pen.», 1966, I, p. 641.



94) Vedi cap. 2.



95) Vedi supra e, per es., Cass. 9/4/56, in «La Giustizia Penale», 1956, II, p. 679.



96) E' interessante rilevare come questo processo, per cui alcuni « contesti scriminanti» si distaccano dalla nozione di delitto politico, abbia delle analogie con quanto accaduto tra la fine del secolo scorso e la prima guerra mondiale. Ma per questo si rinvia al cap. 2.



97) Vedi retro ed in particolare M. Ramat, op. cit., p. 1454 e Vassalli sub nota 59.



98) Cass. 20/3/67 (Gasparini), in «La Giust. pen.», 111, 67, p. 268: la sentenza (sull'amnistia del '66) riguardava un blocco ferroviario attuato da un gruppo di pendolari della zona del Mugello in alcune stazioni della linea ferroviaria Firenze-Borgo S. Lorenzo. Si esprime in modo critico sulla distinzione G. Neppi Modona, nella nota alla massima pubblicata in «Cass. pen. mass. ann.», 1971, p. 990.



99) Cass. 5/11/68 in «Cass. pen. mass.», 1969, p. 1467 (sull'amnistia del '66).



100) Vedi, oltre il caso Gasparini, Cass. 3/5/71, in «La Giustizia penale», 1972, II, p. 286 (in cui si trattava di una manifestazione di studenti e di operai disoccupati contro l'aumento delle tariffe autoferrotranviarie); vedi anche, ivi, nota favorevole di A. Albamonte, " Il concetto di manifestazione sindacale". Per un commento di ugual tono alla stessa sentenza confer A. Santoro, "Manifestazioni sindacali nell'amnistia di cui al decreto presidenziale 25 ottobre 1968, n. 1084"; in «Massimario di giurisprudenza del lavoro», 1972, p. 415.



101) Così Cass. 29/10/69, in «Cass.pen. mass.», 1970, m. 2512; ed inoltre Cass. 16/12/70 in «La Giust. pen.» II, 1971, p. 791 (entrambe le decisioni riguardavano le manifestazioni di commercianti a Genova seguite alle limitazioni al traffico nel centro cittadino disposte dalle autorità comunali).



102) Mostra di tenere in conto questo aspetto C. Appello Palermo, 17/12/68, in «Archivio penale», 11, 1970, con nota favorevole di F. Leone, " L'amnistia ed i moti studenteschi", vedi inoltre Cass. 18/12/68, in « La Scuola Positiva», 1970, p. 270.



103) Cass. 14/2/70, in «La Giust. Pen.», 11, 1970, p. 247: i giudici arrivano comunque ad escludere, con un certo rigore formalistico, l'applicazione dell'amnistia al partecipante ad una manifestazione sindacale, con blocco stradale, che abbia usato violenza per sfuggire alla cattura (perché «fuori dell'ambito dei rapporti tra lavoratori e datori di lavoro» e come tale avente il carattere di condotta «strettamente privata»). Condivide la decisione Neppi Modona, op. ult. cit..



104) «... nelle istanze di facilitazioni per il collocamento dei prodotti agricoli, di agevolazioni fiscali per la proprietà contadina e di aiuto per quanti - coloni, mezzadri e piccoli proprietari - lavorano direttamente la terra con il rischio di vedere danneggiato o addirittura distrutto il frutto del loro lavoro dall'avverso andamento stagionale»; Cass 10/4/68. E una decisione «aperta» per categorie «particolari».



105) Trib. Genova 5/5/69, in «La Scuola Positiva», 1969, p. 654: ivi pubblicati anche i motivi di appello del P.M., fortemente critici verso la decisione. La sentenza è commentata da A. Brocca, "Sulla costituzionalità dell'amnistia concessa per i reati commessi in occasione di manifestazioni studentesche o sindacali".



106) Cass. 25/1/73, in «Giust. Civ. - Rep.», 1973, p. 60.



107) Cass. 3/3/71, in «Giust. Civ.-Rep.», 1972, p. 70.



108) Cass. 5/10/73, in «Giust. Civ.-Rep.», 1974, p. 62.



109) Per l'evoluzione della nozione di sciopero politico e per la sua progressiva legalizzazione «di fatto» vedi G. Giugni, "Diritto sindacale", Bari, 1980, p. 224-7 in particolare e p. 217 segg. in generale. La dottrina lavoristica ha sganciato l'interesse economico professionale da quello che può essere soddisfatto dal datore di lavoro, aprendo così la possibilità che il lavoratore rivendichi anche verso «terzi» il rispetto di diritti di cui è titolare. Questa evoluzione è stata segnata da una serie di decisioni della Corte Costituzionale (sent. 123/62, 61/1969 e 1/1974) che sono arrivate a ricomprendere, tra i motivi legittimi di sciopero, tutti quelli ricompresi nel titolo 3, parte 1 della Costituzione.



110) Sulla elencazione di cui all'art. 1 dell'amnistia del '70 come casistica confer Cass. 3/3/71 cit. sub nota 107 («elencazione [...] tassativa e non esemplificativa»).111) P. Frisoli, "Annotazioni sulla recente amnistia", in «Riv. it.dir.proc.civ.», 1960, p. 67-71 in particolare (ivi una serrata critica degli aspetti giuridici e di opportunità dell'«obbligo di presentazione»).



112) Cass. 22/11/60, in «La Giust. pen.», II, 1961, p. 314.



113) Nel D.P.R. 322 del '66, per i latitanti che vogliono fruire del condono, è prevista (art. 3) la necessità di «cessazione» dello stato di latitanza. Nulla del genere è previsto per l'amnistia e per lo stesso condono «se la pena da espiare risulta interamente estinta per l'applicazione» del beneficio.



114) Commenta favorevolmente questo esito, Ramat, op.cit., p. 1456 il quale critica il «tentativo che partiva dalla ispirazione della mano tesa al 'delinquente', mano da ritirare se il 'delinquente' seguita a nascondere il pugnale».



115) Vedi l'art. 5 dell'amnistia del '46 (n.4); l'art. 1 ult. comma dell'amnistia del '59 (e su di esso Cass. 31/1/61, in «La Giust. pen.» ;, 1961, Il, p. 800, dove si ribadisce la non sufficienza delle mere asserzioni dell'imputato a qualificare come politico un reato); confer anche Cass. 1/6/55, in «La Giust. Pen.», III, 1956, p. 109 per un incidente di esecuzione a proposito dell'indulto del '53.



116) Enfatizza le responsabilità (sin dall'immediato dopoguerra) del mezzo amistia (partendo dal presupposto della «rivoluzione vittoriosa» ;) G. Neppi Modona, "Il problema della continuità dell'amministrazione della giustizia dopo la caduta del fascismo", in L. Bernardi - G. Neppi Modona - S. Testori, "Giustizia penale e guerra di liberazione", Milano, Angeli, p. 11 segg. Più caute le affermazioni di S. Testori, "La repressione antipartigiana e la magistratura piemontese", nello stesso volume ult. cit., p., 192 in particolare: « ...non si può tuttavia dimenticare che per sostenere ed imporre una così radicale scelta di politica legislativa [un provvedimento di carattere generale che dichiarasse la non configurabilità come reati delle azioni compiute nella lotta contro i nazifascisti] sarebbe occorso un governo non dilaniato da divisioni interne e con una autonoma forza politica superiore a quella di cui di fatto disponevano i primi governi del dopoguerra».



117) Confer AA. V.V., "Benefici di clemenza e recidivismo" (a cura del «Centro nazionale di Prevenzione e di Difesa Sociale), Roma, 1978, p. 26.

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