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Il cuore vigile 3. LA COSCIENZA DELLA LIBERTA'.


Dove, esattamente, si deve tracciare la linea oltre la quale gli altri non sono autorizzati a influenzare la nostra vita interiore? Questa domanda è vecchia quanto la civiltà e ha perseguitato l'uomo dal momento in cui egli divenne cosciente di sé come di un essere umano che vive all'interno di una società. Una volta tracciata tale linea, ancora più difficile è mantenerla fissa e al tempo stesso flessibile: flessibile, perché dobbiamo continuamente adattarla alle legittime richieste della società (che non è statica) e alle nostre esigenze interiori (che variano anch'esse per tutto l'arco della vita).
In una determinata epoca della storia, era la religione che compendiava la coscienza dell'uomo. I conflitti che allora scoppiavano occasionalmente assumevano la forma di guerre fra lo Stato e la Chiesa per il controllo dell'uomo. In epoca successiva la lotta venne temporaneamente sospesa: durante questa instabile tregua, il corpo dell'uomo fu affidato allo Stato e la sua anima alla religione. Ma non appena l'uomo rifiutò questa visione dualistica di se stesso, neanche questa dubbia scissione poté più sussistere. E, dal momento in cui la religione cessò di costituire il nucleo dell'autocoscienza dell'individuo in quanto essere umano, questi dovette contare soltanto su se stesso per erigere le barriere necessarie contro le usurpazioni della società.
L'uomo occidentale non è più disposto ad affidare la propria coscienza a un'altra persona, si tratti di un sacerdote o di un filosofo o di un capo politico. Egli è convinto di essere il solo in grado di svilupparla, conservarla e proteggerla. Di conseguenza, lo stabilire entro quali limiti egli permetterà allo Stato di modificare la propria vita diventa un problema molto personale, che ciascuno deve risolvere da sé. E questo proprio quando la scienza moderna ha dotato i dirigenti della nostra società di mezzi di controllo - politici, economici, sociali e psicologici - che nelle loro conseguenze potenziali sarebbero sembrati fantastici alcuni decenni fa. Inoltre, gli sviluppi della tecnica moderna richiedono la cooperazione di molti individui, come pure i progressi nei servizi pubblici che noi consideriamo desiderabili o anche decisamente necessari. Ma la collaborazione di larghi gruppi non può essere raggiunta senza imporre controlli. Sfortunatamente questi controlli sono spesso valutati in base ai loro vantaggi tecnici immediati, senza che si prenda nella dovuta considerazione il benessere spirituale cui essi dovrebbero servire.
Tali tecniche si prestano egualmente bene a scopi buoni o cattivi; perciò, si ritiene spesso che un controllo per fini desiderabili (il principio dei re filosofi) sia buono, o almeno non cattivo. Ma questa è una convinzione pericolosa, che trascura gli effetti complessi e spesso gravi di qualsiasi controllo esterno sull'uomo, e trascura altresì il fatto che, quando il campo aperto a libere decisioni diventa troppo ristretto, si riduce il raggio della responsabilità personale dell'uomo e perciò della sua autonomia; presuppone cioè che ogni altra cosa conti assai poco, fin quando giungano dall'alto decisioni «buone» e che sia indifferente la maniera in cui si arriva a prendere tali decisioni.
Fondamentalmente, questa idea deriva dalla convinzione che l'uomo, pur non essendo un animale interamente razionale, dovrebbe esserlo; e, poiché egli dovrebbe essere spinto soltanto da considerazioni razionali, possiamo benissimo comportarci come se lo fosse. Il benessere dell'uomo, invece, dipende dalla sua vita emotiva molto più di quanto questa concezione sia disposta ad ammettere. Altrimenti, dovremmo trovare una relativa soddisfazione soltanto in una società organizzata nella maniera più razionale possibile, mentre al contrario tutte le società, in qualsiasi modo funzionino, hanno la loro parte di persone felici e infelici.


- Prendere decisioni.

A questo riguardo, lo storico motto «la tassazione senza rappresentanza è tirannia» ha in sé una saggezza maggiore di quanto si supponga comunemente. Essa non si preoccupa di quali tasse debbano essere imposte e come, e neppure si chiede per quali scopi debba essere speso il denaro così raccolto. E non dice neppure che le tasse, usurpando i diritti della proprietà privata, non dovrebbero essere imposte senza il consenso del proprietario. Proprietà e reddito, dopo tutto, derivano dalla società e dipendono dalla sua struttura; quindi non si tratta di cose tanto strettamente private come amano pensare molti di coloro che citano questo motto. In superficie esso sembra tutelare i diritti di proprietà, e può darsi che, sul piano cosciente, questo fosse il suo originario significato. Tuttavia, se andiamo più a fondo, vedremo che la sua importanza consiste nella stretta connessione che esso stabilisce fra il potere di decidere in cose di importanza essenziale e la tirannia. Che questo sia il vero significato di quella affermazione lo rivela il fatto che noi la ricordiamo espressa proprio in questi termini, e non nella sua formulazione effettiva («Nessuna parte dei domìni di Sua Maestà può essere tassata senza il loro consenso»), nella quale non viene fatta menzione alcuna della tirannia.
Il consenso all'imposizione di una tassa è una cosa ben precisa, e in fondo di poca importanza. Ma il fatto di impedire a un individuo di prendere parte alle decisioni in materie che lo interessano profondamente tende a creare quel senso di impotenza che noi chiamiamo «soggezione a una tirannia». Le azioni o le decisioni particolari che possono far sì che una persona abbia l'impressione di vivere in una società tirannica e di non essere libera di prendere decisioni mutano col tempo, con la società e con l'individuo. In una data epoca e in un dato luogo si trattava, evidentemente, di decisioni riguardanti il denaro e la proprietà, come quel motto dimostra. In un'altra epoca, il fatto di dover pagare certe tasse non scalfiva gravemente il senso di indipendenza di una persona, in confronto ad altre libertà, come la libertà di pensiero, di parola o di religione o, per citare quelle che oggi appaiono più essenziali, la libertà dal bisogno e dalla paura.
In realtà, si dovrebbe dare una grande importanza a quelle particolari libertà di azione e di decisione che consideriamo necessarie per non sentirci soggetti a una tirannia, perché esse ci dicono quali punti si debbano considerare decisivi per una determinata società, o per un determinato gruppo all'interno di essa. «La storia del mondo» scrisse Hegel a non è altro che il progresso della coscienza della libertà». Naturalmente, vi sono diversi gradi di coscienza e, in qualsiasi periodo storico e in qualsiasi regione del mondo, vi sono campi d'azione in cui la coscienza della libertà è acuta, altri dove essa sonnecchia.
Il motto citato a proposito dei rapporti fra tassazione e tirannia rivela che al tempo della Rivoluzione americana erano particolarmente vivi nella coscienza degli abitanti di quelle colonie i diritti di proprietà.
In altre epoche e in altri luoghi l'accento cadde su altri diritti.
In effetti, le rivoluzioni e le guerre (più o meno fredde) hanno avuto luogo proprio perché alcuni gruppi all'interno di una data società, ovvero in società diverse, avevano raggiunto gradi diversi di consapevolezza. Forse, molto di quello che oggi ci opprime deve attribuirsi al fatto che in una parte del mondo l'esigenza della libertà dal bisogno ha la precedenza su quella della libertà di pensiero, mentre in altre parti il bisogno economico è stato così ridotto che l'uomo è meno sensibile a quel problema di quanto non lo sia alla libertà di spostarsi, di scegliere e di cambiare la sua occupazione, o di adottare liberamente opinioni politiche o estetiche.
Il fatto che una determinata organizzazione sociale sia o no sentita come tirannide sembra dipendere soprattutto dalla misura in cui ai suoi membri vengono garantite scelte relativamente libere e una parte del potere di decisione a proposito degli aspetti della vita in cui si compendia la loro coscienza della libertà. Si potrebbe allora pensare che, quanto più importanti sono quegli aspetti della vita in cui si compendia tale coscienza, tanto maggiore è il progresso che una società ha compiuto. Ma, purtroppo, chi può decidere quali aspetti siano importanti e quali non lo siano? Quello che per un certo individuo vivente in una data società viene sentito come tirannide, può sembrare ad altri soltanto un inconveniente, e ad altri ancora addirittura una cosa da nulla. Pure, questo è vero solo entro certi limiti. Per quanto l'importanza da attribuire a determinati ambiti di libertà di scelta possa variare da individuo a individuo, il senso dell'autonomia dipende dovunque dalla convinzione di poter partecipare alle decisioni più importanti, e di poterlo fare nei campi più essenziali.
Tanto nell'infanzia quanto nell'età matura, il fatto di non potere dapprima influenzare il proprio ambiente sociale e fisico e, più tardi, di non poter prendere decisioni su come e quando modificarlo, è nocivo, se non fatale, per la personalità umana. Ma non tutto quello che si rivelerà poi un bene è fin dall'inizio facile o piacevole. Le decisioni sono una cosa difficile e impegnativa, e perciò sono evitate, anche là dove sono teoricamente possibili. Tuttavia, per quanto restrittivo e opprimente possa essere un dato ambiente, anche in questo caso l'individuo conserva un aspetto della sua libertà, la libertà di giudicarlo. Sulla base di questo giudizio egli è anche libero di dare la sua approvazione interiore oppure di opporre resistenza a ciò che gli viene imposto. E' vero che in un ambiente estremamente oppressivo queste decisioni interiori possono portare a conseguenze pratiche insignificanti o addirittura nulle. Perciò, quanto più un uomo è inserito in un meccanismo sociale che tende al raggiungimento di risultati «pratici», tanto più egli tenderà a giudicare il fatto di prendere una decisione interiore che non approda ad alcun risultato pratico come uno spreco di energie; e quindi eviterà di prendere una simile decisione.
All'altro estremo della scala, quanto più uno vede ogni sua cosa sistemata a proprio vantaggio da altri, tanto meno sembra giustificato ai suoi occhi il dispendio di energie richiesto dal fatto di dover prendere decisioni. Perciò tanto il bambino i cui genitori decidono tutto per il suo bene, quanto il bambino che vive in condizioni di totale abbandono, o quello che vive in un ambiente familiare molto oppressivo, non riusciranno a sviluppare una forte personalità. Molti di loro saranno portati verso una rivolta priva di senso (perché senza scopo, o contro i loro stessi interessi) oppure rinunceranno a prendere qualsiasi decisione, sapendo per esperienza che essa non cambierebbe nulla e sarebbe soltanto un inutile spreco di energie.
Sempre, prendere posizione - si tratti di una posizione interiore senza conseguenze tangibili o, molto meglio, di una posizione che trova espressione nell'azione - consuma una certa quantità di energie. Così, se ciò non porta alcun beneficio all'individuo, egli riterrà senz'altro più vantaggioso risparmiare le proprie energie; fin quando, naturalmente, egli non diventi consapevole del bisogno di mantenere una sua «coscienza della libertà». Come abbiamo già detto, le due situazioni più comuni in cui una persona può trovare inutile prendere decisioni sono una situazione estremamente oppressiva nella quale mettere in atto queste decisioni significa rischiare la vita, oppure una situazione in cui tutte le decisioni importanti vengono prese da altri per il bene dell'individuo (dai genitori per il bambino; dalla religione o dal governo per l'adulto).
Sfortunatamente, la capacità di prender decisioni è una funzione che, al pari di certi muscoli o di certi nervi, tende ad atrofizzarsi quando non viene esercitata. Ovvero, in termini psicoanalitici, la facoltà di decisione non è soltanto una funzione dell'Io; al contrario, è la funzione che crea l'Io, e che dopo averlo creato lo fa progredire e crescere.
Se le cose stanno così, allora ogni controllo esterno, benché esercitato per il bene dell'individuo, è indesiderabile se ostacola troppo lo sviluppo dell'Io, vale a dire, se ostacola dapprima la capacità di prendere decisioni e successivamente la loro attuazione nei campi più importanti per lo sviluppo e la salvaguardia dell'autonomia.
Ma, mentre è abbastanza facile stabilire questo limite sul piano teorico, in pratica è quasi impossibile tracciare una linea che segni l'ambito entro il quale una persona possa assumersi l'incarico di provvedere a un'altra senza interferire con la sua autonomia, ma oltre la quale non deve essere permessa alcuna violazione della libertà personale.
Ciò che ora ho affermato in termini generali può avere anche una certa validità universale, ma qui non mi preoccupo delle usurpazioni sociali sull'autonomia individuale in quanto problema teorico, e nemmeno mi interessa sapere se e come quello che affermo possa essere applicato ad altri tipi di società, per esempio a una società primitiva. Anche quegli individui posseggono forse un'autonomia personale intesa nel senso che noi diamo a questa parola, ed essa può forse sembrare loro importante. Quello che mi interessa sono i pericoli per l'autonomia nella "nostra" società. Forse per noi questo è un problema più importante perché, quanto più complessa diventa una società, tanto più cresce il bisogno di autonomia individuale, in quanto entrambi questi aspetti riflettono stadi più avanzati della «coscienza della libertà». Avviene però che, quando questa complessa società corrode la nostra libertà, sia interiore che esteriore, noi ne abbiamo una coscienza acuta e immediata; ci rendiamo invece conto meno facilmente e meno rapidamente che è proprio il complicato sviluppo della nostra società che ci rende capaci di cercare, trovare e amare questi valori, e di temerne così acutamente la perdita. La società non è certo un orco, né l'uomo nasce libero. Ambedue crescono insieme, se si può usare questa cruda analogia.
Naturalmente, gli occidentali moderni non hanno agito senza ragione permettendo che certi aspetti della loro vita venissero curati e controllati dalla società, né hanno agito sventatamente delegando a una scelta schiera di persone la facoltà di prender per loro conto le decisioni più importanti. La tecnica moderna, la produzione e la società di massa hanno recato all'uomo benefici così numerosi e tangibili che soltanto andando contro i propri interessi egli può voltar loro le spalle per il semplice fatto che essi comportano dei pericoli per la sua autonomia personale. D'altro canto, avendo egli ottenuto tanti vantaggi affidando molti campi della sua attività a persone esperte e competenti, forte è la tentazione di permettere che queste si assumano la direzione di zone sempre più ampie della sua libertà personale.
Non è che l'uomo moderno sia molto più pronto a cedere la sua libertà alla società, o che ai bei tempi andati egli fosse molto più libero. Il fatto è, piuttosto, che il progresso scientifico e tecnico lo hanno liberato da molti problemi che una volta egli doveva risolvere da sé se voleva sopravvivere, mentre l'orizzonte moderno presenta una varietà di scelte molto maggiore di quella alla quale egli era abituato. L'uomo moderno si trova così davanti a una contraddizione: minore bisogno di sviluppare la sua autonomia perché può sopravvivere anche senza, e bisogno maggiore di essa se preferisce che non siano altri a prendere decisioni per lui. Quanto minore è il numero di decisioni importanti che deve prendere per sopravvivere, tanto meno egli sente il bisogno, ovvero l'urgenza, di sviluppare le sue capacità di prendere decisioni.
Come, secondo le teorie psicoanalitiche, l'Io non armoniosamente sviluppato rimane in balìa dell'Es e del Super-Io, che invece dovrebbe essere in grado di padroneggiare, così l'uomo, se non adopera e rafforza le sue capacità di prendere decisioni, è incline a cadere in balìa tanto dei suoi desideri istintivi quanto della società: dei suoi desideri istintivi perché egli non sa armonizzarli e controllarli (e in questo caso egli si sente anche truffato, perché la società non viene incontro ai suoi desideri irrazionali e non si precipita a soddisfarli: si consideri a questo proposito il tipico atteggiamento verso la vita della cosiddetta «gioventù bruciata»), e della società, che regolerà la sua vita per lui, se egli non lo farà da sé.
Ma se l'uomo cessa di sviluppare la propria coscienza della libertà, questa tende a indebolirsi per mancanza di esercizio. E qui non mi riferisco a un'attività esterna, ma a decisioni concernenti gli atteggiamenti interiori. L'esempio più semplice potrebbe essere la decisione: «Io voglio vivere in questo modo», invece di chiedersi: «A che serve cercare di essere diverso?», anche se entrambi questi atteggiamenti possono sfociare esattamente nello stesso comportamento. Perciò un controllo eccessivo delle cose umane che non permetta decisioni personali, anche se esercitato per gli scopi migliori, è un male, perché l'autonomia umana ha una forte tendenza a inaridirsi.


- Autonomia.

Spero sia ben chiaro che il concetto di autonomia usato qui ha poco a che fare con ciò che talvolta è stato chiamato «individualismo sfrenato», culto della personalità, o rumorosa affermazione di sé. L'autonomia nel senso in cui l'intendo io è strettamente connessa con la capacità di autogovernarsi e con la coscienziosa ricerca di un significato da dare alla propria vita nonostante l'individuo stesso si renda conto che, per quanto ne sappiamo, la vita è priva di scopo. Questa concezione non implica una rivolta contro l'autorità "in quanto tale", ma piuttosto un agire sereno sulla base di una convinzione interiore e non per convenienza o risentimento, né perché si è persuasi o controllati dall'esterno.
Il senso della propria identità, la convinzione di essere un individuo unico, capace di rapporti durevoli e profondamente significativi con poche altre persone, caratterizzato da una storia individuale che ciascuno si è formato e dalla quale è stato formato, il rispetto per il proprio lavoro e il piacere che si trae dalla competenza con cui lo si svolge, i ricordi derivati dalla propria esperienza personale, gli interessi, i gusti, i piaceri più desiderati, tutte queste cose costituiscono il nucleo dell'esistenza autonoma dell'uomo. Invece di permettergli semplicemente di uniformarsi alle richieste ragionevoli della società senza perdere la propria identità, esse fanno di ciò un'esperienza gratificante, molto spesso creativa.
Forse la mia quotidiana esperienza pratica può illustrare ulteriormente perché oggi, a causa del progresso scientifico, l'uomo abbia bisogno di una personalità molto meglio integrata. In ogni epoca è esistita una minoranza di genitori che respingeva uno dei loro figli, e una percentuale ancora maggiore che nutriva talvolta sentimenti ambivalenti per uno di essi. Fin qui niente di grave. Se la situazione non è troppo drastica, la maggior parte dei bambini riesce a sopravvivere abbastanza bene, pur ricevendone certamente un danno.
La comprensione più approfondita dei problemi della psicologia ci ha insegnato che un tale atteggiamento da parte dei genitori è, o può essere, molto dannoso per il bambino. Così il genitore moderno che sia dotato di una certa istruzione e nutra sentimenti negativi o ambivalenti verso suo figlio si sente colpevole e cerca di rimediare. Probabilmente, il fatto di sentirsi colpevole a causa del proprio atteggiamento verso uno dei figli aggrava il sentimento negativo, e il bambino soffre il doppio. Infatti, oltre che per l'ambivalenza del genitore, egli soffre ora anche per il fastidio che il genitore sente per lui, che gli cagiona questo senso di colpa.
Così, avendo imparato che nutrire sentimenti negativi verso il bambino è nocivo per quest'ultimo, il genitore ha bisogno di una personalità molto più forte e di una sicurezza interiore molto maggiore per integrare la propria colpa. Questo non avveniva per il genitore di ieri, il quale non sapeva che i suoi sentimenti negativi potessero essere dannosi ed era perfettamente convinto di fare abbastanza dando da mangiare e provvedendo altrimenti al bambino; per il resto si sentiva del tutto a posto con la propria coscienza. Ora, allo scopo di liberarsi dai sentimenti di colpa un genitore può perfino convincersi che il figlio non sia normale, che le proprie reazioni negative siano dovute a difetti del bimbo dei quali nessuno è responsabile. Così, oggi io mi trovo ad affrontare molti genitori che in altri tempi avrebbero respinto il loro bambino o semplicemente non se ne sarebbero occupati, e che ora, per togliersi di dosso il senso di colpa, sostengono che egli non ha il cervello a posto, o che non è normale per altre ragioni.
Anche queste esperienze ci insegnano che non dobbiamo condannare il progresso compiuto dalla conoscenza, ma che ogni passo avanti verso una maggiore consapevolezza - in questo caso il riconoscimento della natura potenzialmente nociva di alcune emozioni - richiede una personalità molto più forte e meglio integrata, prima di poter rappresentare un vero progresso.
Tanto un genitore che respinge il figlio quanto il figlio medesimo si trovano in una situazione migliore se il genitore non si sente colpevole per questo suo sentimento; tuttavia, nemmeno questa situazione è certamente desiderabile. Ma, mentre prima un tal genitore non aveva scelta, ora si aprono davanti a lui varie possibilità, e tutte per il meglio. Egli può ora integrare il proprio senso di colpa e non opprimere più il bambino o altre persone a causa di esso. Noi possiamo ora scoprire ed eliminare le cause della sua repulsione in modo che egli non debba più né respingere il figlio né sentirsi colpevole. Entrambe le soluzioni sarebbero in grado di aiutare tutte le persone interessate. Ma quando il genitore accetta semplicemente una concezione più progredita (rendendosi cioè conto che la sua repulsione è dannosa) senza tuttavia procedere ai necessari cambiamenti interiori (integrare il senso di colpa, eliminare le cause del suo rifiuto), allora i progressi scientifici portano a un peggioramento, invece che ai grandi benefici che se ne possono trarre.
Questo esempio è valido per molti altri casi, e sta a indicare che il progresso sociale, scientifico o tecnico, per migliorare e non peggiorare il destino dell'uomo, richiede una coscienza più complessa e un'integrazione della personalità che raggiunga strati più profondi di prima. L'autonomia personale e la consapevolezza della libertà sono soltanto diversi aspetti di questi più elevati stadi di integrazione personale.
E' questa necessità di una evoluzione interiore che porta alcuni studiosi del progresso sociale e tecnico ad avere una fosca visione dell'avvenire. Essi disperano che l'uomo riesca a compiere un progresso nella integrazione personale parallelamente a ogni passo avanti nella vita esteriore; così il loro timore per il futuro dell'uomo che vive in un'epoca, come la nostra, dominata dalla tecnica, in fondo non è altro che la conseguenza della poca stima che essi intrinsecamente nutrono per l'uomo stesso.
In realtà, abbiamo fatto molti progressi esteriori, e ciascuno di essi è diventato vitale solo quando abbiamo raggiunto quel più elevato grado di integrazione richiesto dalla trasformazione dell'ambiente. Ma coloro che persistono in una visione pessimistica dell'avvenire insistono troppo su questo punto. La loro bassa stima, "a priori", dell'uomo e delle sue potenziali risorse impedisce loro di rendersi conto che, dal momento in cui è diventato un essere socievole, l'uomo ha sempre affrontato questo problema, e lo ha affrontato con successo.
Questo libro è stato scritto principalmente per indicare la direzione che, a mio avviso, deve prendere questa più elevata integrazione, e rendere il lettore sensibile ad alcuni aspetti della moderna società di massa che ostacolano tale processo.


- Uno squilibrio.

Attualmente, il progresso tecnico ha di gran lunga superato il grado di integrazione corrispondente. Questa mancanza di equilibrio propria di molti cittadini del moderno Stato di massa porta con sé anche disturbi di natura emotiva che, come molti di noi sanno, sono dovuti a conflitti non risolti. Ma la loro soluzione dipende dal grado di integrazione della personalità. La capacità di risolvere i conflitti deriva dalla ripetuta esperienza di avere risolto in passato le proprie difficoltà. Da ciò la «nevrosi» apparente dell'adolescente. Egli è semplicemente troppo giovane e non ha avuto un numero sufficiente di esperienze per risolvere i propri conflitti interni ed esterni e per nutrire la fiducia di poterli dominare con successo. Da ciò derivano anche altri problemi tipici dell'adolescenza.
L'adolescente moderno è esposto anche a un numero di scelte e di tentazioni molto maggiore di quanto lo fosse l'adolescente del passato; perciò, per affrontarle senza pericolo, egli ha bisogno di una maturità molto maggiore di quanta ne fosse necessaria quando la vita offriva meno tentazioni. Quando ero ragazzo io, non avevo bisogno di una forte personalità o di una moralità particolare per resistere alla tentazione di rubare un'automobile; nessun altro ragazzo di mia conoscenza aveva bisogno dell'automobile, né la mia ragazza si aspettava che io le facessi fare una bella corsa. Semplicemente, non c'erano automobili. Oggi, invece, il furto di automobili è il reato più frequente fra gli adolescenti; è questo un esempio quotidiano di come il progresso determini problemi di natura emotiva, e perciò richieda una più elevata integrazione personale.
Se una persona non riesce a risolvere i suoi problemi, sia interiori sia sociali, perde la fiducia di poter affrontare con successo anche i problemi futuri. Il problema causato dalla scelta di una occupazione fra le molte inadatte, di un programma politico da sostenere fra i molti imperfetti esistenti, di quali oggetti allettanti ma spesso non essenziali comprare, mette il cittadino moderno di fronte alla sua mancanza di decisione. Raramente queste scelte soddisfano realmente i suoi bisogni più profondi. Perciò l'energia psichica spesa nel cercare di prendere una decisione è sprecata, e l'individuo sente di esaurire senza scopo le proprie forze. (1)
In linea di massima, la possibilità di prendere una decisione in qualsiasi campo e di risolvere un conflitto dipende dalla capacità di eliminare, prima di tutto, quelle soluzioni che chiaramente non sono in armonia coi nostri valori e con la nostra personalità. Quando soltanto pochissime soluzioni restano possibili, scegliere quella giusta diventa un problema relativamente semplice. Una persona che non sia bene integrata, che non obbedisca a un sistema di valori coerente, non è capace di mettere correttamente a raffronto un vasto numero di scelte con i propri valori e interessi, e perciò non è in grado di ridurre il problema a una dimensione facilmente controllabile. Una tale persona si sente sopraffatta ogni volta che le si presenti una nuova necessità di decidere.
E' piuttosto strano che, mentre la scelta fra molte possibilità diverse ed egualmente attraenti dovrebbe, teoricamente, essere l'espressione della libertà di una persona, psicologicamente, invece, la cosa non viene sperimentata in questo modo. Se non altro, questa scelta lascia sempre vagamente insoddisfatti. Invece, il fatto di sapere con sicurezza di non volere questo o quello, e di scegliere ciò che va meglio ed è più adatto per noi è un'esperienza che dà soddisfazione. Meno scelte si devono fare, più facilmente si prova una sensazione di benessere e di soddisfazione.

La sensazione di una crescente incertezza sulla propria identità, di una autonomia per più versi limitata, è potenziata dalla moderna società di massa anche in altri modi: 1) essa rende più difficile all'uomo di sviluppare i propri valori personali, e perciò di attenervisi; infatti, se sono possibili tante scelte, tanti modi di vita, allora il modo di vita che ci si sceglie non è poi così importante, e non è necessario sviluppare la capacità di conformarvisi; 2) favorisce contemporaneamente l'illusione di una maggior libertà, un'illusione che rende ancor più nociva l'esperienza di non riuscire a soddisfare i propri desideri; 3) mette l'uomo di fronte a un numero di scelte troppo grande perché egli le possa affrontare facilmente da sé; 4) non riesce a fornirgli né durante la sua educazione giovanile né successivamente esempi o direttrici che lo aiutino a scegliere fra i suoi desideri istintivi. Più tardi, quando egli deve appagare questi desideri o altrimenti affrontarli, la sua personalità può essere già formata senza che egli abbia imparato a dominare il problema; ciò accade a chi è arrivato a farsi guidare dalla società nella maggior parte delle proprie azioni; egli si affiderà ai suggerimenti offerti dalla società nel decidere, per esempio, come soddisfare i propri desideri sessuali; quindi neppure la sua vita sessuale riuscirà a dargli la sensazione di essere veramente un individuo.
Quando il cambiamento sociale è rapido, non c'è abbastanza tempo per sviluppare le nuove capacità necessarie per affrontare secondo le proprie caratteristiche personali un ambiente che muta di continuo. Ciò rende l'individuo «confuso» e incerto. Quanto più spesso ciò accade, tanto più attentamente egli osserverà come gli altri affrontano la nuova situazione, e tanto più facilmente cercherà di imitare il loro comportamento. Ma questo comportamento ricalcato su quello altrui, non essendo in armonia col suo temperamento, indebolirà la sua integrazione e sempre meno egli diventerà capace di reagire in maniera autonoma al nuovo cambiamento. (2)
Ciò che noi ora temiamo è una società di massa in cui le persone non reagiscano più in modo spontaneo e autonomo alle vicende della loro vita, ma siano pronte ad accettare senza critiche le soluzioni proposte dagli altri; temiamo anche che queste soluzioni vengano uniformate al progresso tecnico, indipendentemente dal grado di maggiore integrazione che il processo di adattamento può richiedere. Questo processo di accettazione acritica comincia di solito con le cose esteriori, ma spesso non si ferma qui, dato che la vita esteriore e quella interiore sono strettamente intrecciate. Così, qualora una persona incominci a fare affidamento sugli altri per prendere decisioni che riguardano la sua vita esteriore, ben presto potrà adottare lo stesso atteggiamento anche nei confronti dei propri conflitti interiori. Quando un tale stato di disintegrazione caratterizza la maggior parte delle persone, non vi sono altri freni capaci di rallentare una rapida trasformazione sociale; e, quanto più rapidamente si succedono queste trasformazioni, tanto più difficile diventa raggiungere la nuova integrazione necessaria per fronteggiarle.
L'integrazione in se stessa è un processo lento. Per le leggi della economia psichica, quando un certo tipo di comportamento è diventato abituale, una persona può prenderne in considerazione degli altri soltanto se è sicura che essi siano di molto superiori al vecchio, oppure che questa sia l'unica maniera possibile per affrontare una situazione nuova. Raggiungere questo nuovo stato d'animo esige del tempo, e un tempo e uno sforzo ancora maggiori ci vogliono per sviluppare e perfezionare nuovi comportamenti diversi da quello seguìto in passato. Un tempo ancora maggiore e una fatica ancora più ardua sono poi necessari per renderli parte integrante della nostra personalità. Soltanto allora l'uomo è pronto a fronteggiare la nuova situazione in maniera autonoma, vale a dire secondo una linea di condotta che sia in piena armonia con la sua personalità globale. Perciò, una evoluzione molto rapida delle condizioni economiche e sociali rende assai difficile raggiungere e conservare una personalità autonoma. D'altra parte, le persone dotate di insufficiente autonomia tendono ad accettare prontamente cambiamenti anche più rapidi. Si presenta così un serio problema del quale dobbiamo essere ben coscienti: il rapido cambiamento di importanti condizioni sociali può creare un numero maggiore di persone che mancano di una vera autonomia, e questo fatto, a sua volta, può rendere possibile un'ulteriore accelerazione del processo di trasformazione.
Quanto minore è la capacità dell'uomo di risolvere i propri conflitti interiori, o quelli che si determinano fra i suoi desideri e le esigenze poste dall'ambiente, tanto più egli si affiderà alla società per trovare la risposta necessaria a qualsiasi nuovo problema da essa posto. E a questo proposito non fa molta differenza se egli trova questa risposta in un articolo di fondo, nella pubblicità o nello psichiatra. Quanto maggiore è la sua disposizione a far proprie le loro risposte, tanto minore sarà la sua capacità di far fronte al nuovo problema in maniera autonoma, e tanto maggiore il numero di soluzioni che dovranno venirgli dall'esterno. E' difficile dire esattamente a che punto di questa evoluzione dello Stato di massa noi ci troviamo attualmente.


- Il mondo del lavoro.

Se prendiamo in considerazione le circostanze esterne scopriamo che, quanto più stratificata è una società, quanto più spetta alla tecnica di «assegnare compiti all'individuo», tanto meno egli diventa capace di decidere da sé sull'ordine, l'esecuzione e l'importanza delle sue attività. Eppure, per qualsiasi società la capacità dei suoi membri di decidere le azioni da compiere e poi di assumersene la responsabilità costituisce un sostegno di primaria importanza.
Chiunque lavori senza alcun interesse per lo scopo o il risultato finale del suo lavoro è, in questo senso, una persona dipendente; egli accetta infatti le decisioni di altre persone come base per le proprie azioni; ciò vale per tutte le classi di lavoratori, specializzati o no. Alcuni dei fisici che collaborarono alla messa a punto della prima bomba atomica, più tardi se ne mostrarono preoccupati. Si domandavano infatti se non fosse stato irresponsabile da parte loro accettare di eseguire certi compiti senza avere preso in considerazione i risultati finali del loro lavoro, senza aver potuto influire su di essi. L'ansia e la frustrazione degli operai, i quali non hanno molta libertà nella scelta del lavoro né potere sui suoi risultati finali, non sono molto diverse nelle loro ripercussioni sulla personalità. Essi, semplicemente, non sempre sono capaci di esprimere le loro emozioni, e d'altronde non sono abbastanza importanti per attirare l'attenzione del pubblico su di esse.
Nella nostra società molti di coloro che si guadagnano la vita scelgono la propria occupazione per ragioni nevrotiche piuttosto che in base a una vera e propria inclinazione. Peggio ancora, molti non prendono neppure in considerazione le inclinazioni, perché hanno dissociato i propri desideri dall'attività che esercitano per guadagnarsi da vivere. Questo porta a una contraddizione psicologicamente pericolosa, che insidia il loro rispetto di sé, il godimento che potrebbero trarre dall'attività che li occupa per la maggior parte della giornata, nonché la sensazione di svolgere un lavoro significativo e importante.
Cerchiamo di porre in evidenza questa contraddizione nella maniera più semplice possibile; tali persone sono convinte, com'è giusto, che il loro lavoro, procurandogli di che vivere, sia importante perché provvede al sostentamento loro e delle loro famiglie e permette loro di fare quello che vogliono durante il tempo libero. Ma è anche un fatto che il loro «lavoro» appare spesso noioso, insoddisfacente ed estraneo ai loro veri interessi: esso è quindi importante e non importante nello stesso tempo. Le cose in realtà sono ancora più complicate, perché anche la loro vita dopo il lavoro è importante (è lo scopo del loro lavoro) e nello stesso tempo non importante (perché quello che realmente conta è guadagnarsi da vivere). Questa contraddizione crea serie insoddisfazioni e seri conflitti che divorano molte energie vitali.
La preferenza per lavori che offrano una maggiore «sicurezza», per quanto spuria possa essere, è anch'essa di origine nevrotica, perché l'esperienza ha mostrato che tali occupazioni non offrono di solito una sicurezza maggiore di altre proprio quando questa sicurezza sarebbe assolutamente necessaria, per esempio in occasione di gravi depressioni economiche o rivolgimenti politici. La scelta di un'occupazione per la pseudoindipendenza che una paga più alta sembra offrire, invece che per ragioni intrinseche - e cioè perché offre più profonde soddisfazioni, perché ha un significato particolare per una data persona e aumenta il suo rispetto di sé - è ugualmente dovuta a una tendenza nevrotica, cioè alla inconscia equazione fra denaro e posizione sociale. Anche qui la sicurezza esteriore (quello che il denaro può comprare) è sostitutiva della sicurezza interiore; all'impersonale moneta di scambio viene data un'importanza maggiore che non al prodotto particolare del proprio lavoro. Le cose vanno naturalmente peggio quando non esista neppure un'apparenza di libertà nella scelta dell'occupazione.

In ogni società le forze dell'ambiente possono sembrare schiaccianti per la pressione che esercitano e per la loro complessità, reale o immaginaria che sia. A ciò si aggiungono, grazie alla tecnica moderna, la debolezza fisica dell'uomo in confronto alla potenza delle macchine, l'importanza trascurabile della sua persona in un processo che ne richiede altre centinaia per ottenere e distribuire il prodotto finito, e la sua sostituibilità, non soltanto alle catene di montaggio, ma spesso anche nei grandi laboratori di ricerca: questi sono solo alcuni esempi delle limitazioni che l'autonomia individuale subisce nel processo globale di produzione.
Una volta alcuni funzionari del Dipartimento di Stato, parlando delle loro frustrazioni, mi hanno detto che una delle cose più difficili da sopportare è costituita dai molti ordini che ricevono da Washington senza che vengano date loro le ragioni che li giustificano. Essi sanno bene che ciò avviene, in parte, perché queste ragioni sono spesso così complesse che ci vorrebbe un intero trattato per spiegarle. Inoltre, ogni eventuale spiegazione particolareggiata esporrebbe la persona responsabile di quell'ordine a varie critiche all'interno e all'esterno del Congresso, critiche cui l'ordine in sé non avrebbe dato adito.
Mi dicevano queste cose persone che occupavano posizioni importanti perché rappresentavano il loro governo in nazioni straniere e svolgevano un lavoro la cui intrinseca importanza non sarebbe messa in dubbio da nessuno. Tutto ciò dovrebbe suscitare in loro un sano orgoglio per la propria professione; eppure, l'immensità dell'impresa a cui collaborano e la complessità del mondo in cui viviamo fanno sì che essi sentano di essere usati come semplici mezzi in vista di un fine che non conoscono. Questa, mi si diceva, è una delle maggiori frustrazioni derivanti dal loro lavoro.


- Controllo a distanza.

La complessità del sistema politico e dell'apparato burocratico che esso comporta, nonché la grandiosità delle moderne imprese tecnologiche mettono oggi in campo un altro fattore: la distanza. Tutto ciò favorisce la disintegrazione della personalità, perché, proprio nel momento in cui l'uomo sente di perdere il controllo del proprio destino e potrebbe sentirsi stimolato a fare qualcosa in proposito, gli viene offerta una scusa opportuna che gli permette di evadere le proprie responsabilità. La società di massa è così complessa che un uomo può sempre, a ragione, dire di sentirsi impotente, di non capire la propria funzione nel processo politico o in quello produttivo. Il male è che il fatto di aver ragione non l'aiuta per nulla; non fa altro che diminuire ancora di più la sua fiducia in se stesso. La sua distanza dai dirigenti gli permette di aggiungere la scusa, spesso valida, che egli non è in grado di mettersi in contatto con loro e, tanto meno, di influenzarli direttamente. Senza avere una chiara idea di questi fenomeni psicologici, molti Tedeschi se ne servirono dopo la guerra quando furono messi di fronte agli orrori che li si accusava di aver lasciato commettere. Essi dicevano (a meno che non protestassero di non saperne nulla): «Non ero che un pover'uomo, che cosa potevo fare?». (3) Ma se la scusa era abbondantemente giustificata dalla realtà, essa segnava un altro passo in avanti verso la disintegrazione personale, in quanto negava quello che amiamo considerare il più grande motivo d'orgoglio dell'uomo, l'indipendenza di fronte alla pressione esterna.
E' significativo che affermazioni simili venissero fatte anche da coloro che avevano lavorato per produrre la prima bomba atomica, allo scopo di negare la propria responsabilità. La bomba atomica attirò l'attenzione su alcuni problemi psicologici e sociali che si devono saper fronteggiare in uno Stato di massa. La prima reazione del pubblico negli Stati Uniti fu di orgoglio per la potenza dello Stato e dei suoi dirigenti, coi quali la maggior parte dei cittadini si identificava. Dopo una riflessione più approfondita, la potenza terrificante di chiunque possedesse la bomba suscitò nell'individuo un senso di angoscia e, al tempo stesso, di profonda impotenza. Poiché egli non poteva lottare con successo contro la propria angoscia, si volse alla società e ai suoi dirigenti per esserne protetto, disposto a concedere loro un potere anche maggiore in cambio della loro protezione contro il nuovo pericolo. Si iniziò allora una battaglia fra il controllo razionale della paura («non esiste protezione contro la morte atomica se non nella cooperazione mondiale») e i meccanismi di compensazione che sono per loro natura aggressivi: si cercava, cioè, la sicurezza affidandosi alla potenza dei propri dirigenti («usiamola noi per primi!»).
Il sentimento di impotenza, di essere «soltanto un pover'uomo», nient'altro che un oggetto in balìa del volere altrui, porta con sé un bisogno di compensazione. Il bambino che dipende dal genitore per sopravvivere deve credere nella bontà del genitore stesso, perché soltanto in questo caso egli può sentirsi sicuro che questi si prenderà cura di lui. I sentimenti critici o aggressivi nei confronti del genitore creano sentimenti di colpa proprio perché il bambino dipende da lui in maniera così totale. Analogamente, quanto più impotente diventa l'individuo nello Stato di massa, socialmente, politicamente, economicamente, tanto più importanti gli appaiono coloro che detengono il potere; perciò l'individuo ha bisogno di credere che questi capi potenti si prendono cura di lui. Solo in questa fede risiede la sua sicurezza psicologica. Se si subisce un'ingiustizia, se ne attribuisce la colpa alla cattiva volontà dell'uomo medio, al capo squadra della fabbrica, o al caporione locale.
Anche qui l'uomo moderno si trova in una situazione stranamente contraddittoria. Mentre si sente invischiato senza rimedio nella grande organizzazione della società moderna, e in balìa di essa, in lui si forma a poco a poco la convinzione che la sua società sia di gran lunga la più potente che l'uomo abbia mai conosciuto. Quanto più aumenta la potenza della società in cui vive, tanto più potente (pensa lui giustamente) dovrebbe diventare egli stesso come parte di questa società. Ma in pratica è vero il contrario, cosicché, dal punto di vista emotivo, al danno si aggiunge la beffa.
Questo potrebbe spiegare in parte l'angoscia e il risentimento che molti provano nei confronti della potenza nucleare. Un così grandioso passo avanti nella scienza e nella tecnica dovrebbe aver dato ad ognuno un senso di maggior sicurezza e potenza. Invece, ha aumentato la nostra sensazione di essere alla mercé di forze al di là della nostra comprensione o, quanto meno, al di là del nostro controllo. Con questo passo avanti nel mettere la natura al servizio dell'uomo, l'energia nucleare avrebbe dovuto darci una soddisfazione immensa, ma la nostra soddisfazione è trascurabile se confrontata con l'immensa angoscia che essa ha suscitato in noi. Ancora una volta, per quanto potente sia diventata la società, il cittadino è l'ultimo a beneficiarne. Con la società che esercita un potere più grande che mai, e se stesso più angosciato di prima, l'individuo per sopravvivere deve affidarsi alla saggezza dei dirigenti.
La distanza fisica dai dirigenti impedisce alle persone qualsiasi di confrontare con la realtà la propria fede nella buona volontà di costoro; processo questo che, del resto, si potrebbe rivelare disastroso per il loro senso di sicurezza sociale ed economica. Ciò protegge anche la loro illusione che i dirigenti siano saggi e corretti, illusione sulla quale essi basano la propria sicurezza psicologica. Questo processo mentale è vecchio quanto la civiltà; nel corso dei secoli il potere del conquistatore ha sempre fatto sì che gli uomini lo investissero di ogni virtù, anzi, che talvolta lo trasfigurassero in un semidio o in un eroe. Questo processo mentale sembra quasi inevitabile. Quanto maggiore è il potere dell'individuo sugli altri, tanto più grande il male che può derivare da lui. Quanto maggiore è il timore, tanto più grande è il bisogno di negarlo credendo nella sua virtù.
La distanza che impedisce un controllo concreto della virtù del capo era sfruttata con grande vantaggio nello Stato di massa di Hitler. Il capo appariva in pubblico soltanto nelle grandi occasioni, e sempre circondato dalle sue guardie del corpo, per parlare a grandi masse di popolo. Così si stabiliva una doppia distanza fra lui e l'individuo: le guardie strette intorno al capo e l'immenso uditorio impedivano ogni contatto personale.
Anche un altro genere di distanza veniva usato a scopo intimidatorio: la distanza nel tempo. Le masse aspettavano per ore e ore l'apparizione del capo. Per tutto questo tempo la loro tensione veniva intensificata, fino a diventare insopportabile, da dimostrazioni, da musiche eccitanti e dalla semplice spossatezza fisica. L'apparizione del capo e la fine della tensione che ne derivava erano vissute, e in effetti lo erano, come un grande sollievo emotivo. L'apparizione del capo che portava con sé quel sollievo e la fine della tensione lasciavano l'impressione che egli avesse il potere intrinseco di liberare l'individuo dalla tensione stessa. Questo ispirava gratitudine e fede nel «magico» potere del capo sui singoli.
Poiché il contenuto del suo discorso non aveva nulla a che fare col sollievo della tensione, qualunque discorso sortiva nei presenti l'effetto desiderato. Questo divorzio fra il contenuto del discorso e il suo effetto sugli ascoltatori aumentava in essi la fede nel carisma del capo. La superficialità e la bassa qualità dei discorsi di Hitler e di Mussolini, quando li si ascoltavano alla radio senza aver partecipato alla messa in scena che li precedeva, erano, per la maggior parte delle persone, in forte contrasto con l'impressione che l'apparizione del capo produceva sull'uditorio fisicamente presente. In mancanza della tensione artificiosamente creata dalla presenza del capo, il radioascoltatore non provava alcun sollievo, e per questo il discorso gli sembrava così vuoto.
Coscientemente o no, la distanza nel tempo è sfruttata anche dalle persone importanti della nostra società, che fanno aspettare un inferiore prima di riceverlo. Questo dà alla persona che aspetta l'impressione della potenza del dirigente e della propria inferiorità. Al contrario, ricevere immediatamente l'inferiore aiuta a stabilire un contatto diretto, personale, amichevole, quasi su un piano di parità. Questo esempio mostra anche quali forze interiori siano all'opera: col passare del tempo la persona che aspetta diventa tesa e insicura, non può vincere l'ansia crescente, il suo senso di impotenza aumenta e indebolisce la sua posizione. Soltanto una persona molto sicura di sé (o una persona a cui l'esito dell'incontro non importi granché) può sopportare la tensione senza diventare ansiosa, e perciò insicura. Per questa ragione, la capacità di «essere se stessi» in una società così organizzata è in gran parte un problema di integrazione personale, e non dipende interamente dalla struttura della società.
L'effetto demoralizzante di questo uso del tempo anziché dei propri meriti personali per acquistare un certo grado di sicurezza si può individuare anche nel modo in cui coloro che lavorano per guadagnarsi da vivere cercano di ottenere una compensazione sul piano psicologico. Pur potendo fare di meglio, essi cercano di vincere il timore di perdere un lavoro nel quale sarebbero facilmente sostituibili adducendo la quantità di tempo che vi hanno dedicato. La insostituibilità dovuta alla qualità della prestazione, come nel caso dell'artigiano, viene sostituita dalla pseudo-sicurezza riposta nel tempo. La stabile sicurezza interiore fondata sulla convinzione di avere un'esperienza e un'abilità particolari viene rimpiazzata da una sicurezza esteriore che può venir meno in ogni momento. (4)


- Dopo il lavoro.

Da tutto ciò deriva il bisogno crescente, per l'uomo, di cercare rispetto di sé e autonomia personale nella propria sfera privata. Quando ci sono soltanto tenui speranze di raggiungere una completa realizzazione di sé nella sfera del proprio lavoro, diventa ancor più importante cercarla nella vita privata, allo scopo di ritrovarvi il senso della propria identità. Ma, per questo, l'uomo deve essere libero di organizzare la sua vita privata secondo i propri bisogni e desideri. In questo campo la moderna tecnologia sembra offrire un certo sollievo dall'automatismo, accorciando il tempo che ciascuno deve dedicare a «guadagnarsi da vivere».
Sfortunatamente questo sollievo è più apparente che reale. A questo proposito non è molto importante il fatto che anche le attività dedicate al piacere siano frequentemente offerte dall'esterno e non create autonomamente. Io non credo che dipingere un quadro mediocre procuri necessariamente maggior rispetto di sé di quanto faccia l'assistere a un buon film. Soltanto che i buoni film sono rari. Dicendo «buoni film» non intendo qui riferirmi ai film di un certo livello esoterico, ma a quelli che illustrano situazioni e idee che inducono lo spettatore a riesaminare la propria vita e i suoi scopi. In seguito a esperienze di questo genere, l'uomo può arrivare a nuove decisioni spontanee a proposito di sé e del suo modo di vivere, decisioni che lo incoraggiano a persistere, o destano in lui il desiderio di incominciare la ricerca di qualcosa di significativo, allargando la sua coscienza della libertà.
Film, spettacoli televisivi e altri tipi di divertimento sono in massima parte ideati allo scopo di impedire che queste esperienze si verifichino. Essi sono ideati e preparati da persone che non si permettono (oppure alle quali non viene permesso) di dar libero corso al gioco delle idee. Ma anche se le cose stessero diversamente, le scelte tra film, "juke-box" e spettacoli televisivi sono così limitate e prive di significato che in realtà sono solo delle pseudo-scelte. Si tratta di spettacoli così vacui che non suscitano alcuna partecipazione emotiva o intellettuale, e non possono certo arricchire la nostra vita. Così, dopo avere ascoltato e visto gli stessi programmi, la gente spesso legge i medesimi libri, scelti per un club del libro da persone che rappresentano gli editori che li hanno pubblicati per la prima volta; scambiandosi le loro idee, tutti godono dei piaceri del conformismo, fino a quando, improvvisamente, sentono la vacuità di una vita che offre così poche esperienze originali.
Ai giorni nostri, anche fra coloro che fanno un uso più attivo del loro tempo libero sono in molti quelli che seguono le direttive suggerite dai mezzi di comunicazione di massa. Avendo perduto la capacità di regolare personalmente il proprio lavoro, l'uomo perde la libertà anche nei divertimenti. Una vita, infatti, può essere molto variata eppure sembrare sterile se le attività e le esperienze che l'accompagnano non portano il sapore di una scelta personale, non scaturiscono da uno stile di vita significativo e individuale. Tracciare il proprio ideale di vita ricalcandolo su quello altrui non è una scelta veramente libera, anche se non vi è stata alcuna pressione chiaramente individuabile. Attività accettate perché sono facilmente a portata di mano, o perché sono «la cosa da farsi», rimangono un'accozzaglia di esperienze disordinate. Poiché non hanno qualità intrinseche in comune, è difficile trarre vantaggio dalla loro successione, e ancor più difficilmente esse formeranno un insieme omogeneo che sia qualcosa di più della somma delle sue parti. Una vita così è dunque frammentaria e sentita come «vuota», anche se la sua mancanza di significato si nasconde sotto un grande attivismo.
L'uomo vuole avere una casa propria, e oggi egli vive in squallidi quartieri residenziali o in enormi caseggiati ed appartamenti dove la disposizione delle stanze e la pianta generale delle abitazioni sono più o meno uniformi: ciò che impone al suo modo di vivere, al modo di organizzare la sua abitazione, una uniformità più o meno costante. La sua casa, sfortunatamente, anziché essere il castello che racchiude il suo mondo più intimo, è dotata di numerose finestre che espongono la sua vita privata agli occhi di tutti. Questo sistema non è strettamente inerente alla produzione di massa, e non è neanche meno costoso o più efficiente; semplicemente, esso mette in evidenza uno degli aspetti più negativi della società di massa: il fatto di osservare gli altri e di essere osservati all'interno della propria casa; gli altri sono curiosi di vedere quello che noi facciamo, e noi siamo curiosi di vedere quello che fanno loro. (5) Alcune finestre oppure un frontone, cioè cose che non hanno alcuna importanza per quanto riguarda il modo di vivere, sono disposti in maniera diversa, per dare una sembianza di varietà. Un'apparenza di gusto individuale viene dunque usata per mascherare la sua assenza in tutte le cose essenziali.
Molte persone scelgono oggi di abitare fuori del centro urbano, per sfuggire al modo di vivere della massa; anche questa vita però porta con sé una buona dose di uniformità. Anzi, talvolta essa è anche più restrittiva della stessa vita cittadina, perché manca del pur sempre utile anonimato che caratterizza i grandi agglomerati urbani. Non è certo molto importante se ci vien detto che cosa dobbiamo mangiare e bere, oppure se scegliamo di mangiare e di bere come i nostri vicini. Ma diventa terribilmente importante se ci viene imposto il modo di allevare i nostri bambini, o di trattare i nostri colleghi, e se lasciamo che questi consigli ci influenzino nelle zone più intime della nostra vita. Va notato, fra l'altro, che la pressione sociale è efficace anche se si manifesta soltanto sotto forma dello stupore dei vicini, o delle canzonature degli altri ragazzi del quartiere nei confronti di quelli che vengono educati in maniera diversa.
Quando il controllo esterno, in una forma o nell'altra, raggiunge finalmente l'intimità dei rapporti sessuali, come avvenne nello Stato di massa di Hitler, all'individuo non viene lasciato quasi nulla di personale, di diverso, di unico. Quando la vita sessuale dell'uomo è regolata da controlli esterni, come il suo lavoro o il suo modo di divertirsi, egli ha definitivamente e completamente perduto ogni autonomia personale; il poco di identità che gli rimane può solo risiedere nel suo atteggiamento interiore verso una tale evirazione.
Fortunatamente, nel mondo occidentale un controllo totale non esiste. Alcune libere scelte rimangono ancora aperte, ma sono fin d'ora seriamente minacciate; poco dalle leggi, e solo fino a un certo punto dai mezzi di persuasione di massa; ma la persuasione di massa non riuscirebbe mai a trovare un solido punto d'appoggio se non fosse per la profonda ansia interiore generata dalla mancanza di sicurezza.
Lo sviluppo e le soddisfazioni della vita intima, ivi compresa la vita sessuale, una maggior spontaneità, ricchezza e libertà (con la qual cosa non voglio certo dire dissolutezza), sono alcune esigenze interiori utili per controbilanciare nell'uomo la crescente complessità dell'evoluzione sociale e tecnica. Sfortunatamente, molte sono le ragioni che rendono difficile l'arricchimento della sua vita intima, sia come persona sia come membro di una famiglia. Nonostante un atteggiamento di principio molto più liberale nei confronti del sesso, in pratica all'uomo moderno sembra più difficile soddisfare i propri desideri sessuali che non tenere a bada le proprie tendenze aggressive.
Trovandosi a dover affrontare difficilissimi, impellenti e complessi problemi posti dai suoi rapporti intimi, egli fa allora quello che la società gli ha insegnato a fare in tutti gli altri casi, e cioè si rivolge all'esterno per trovare una linea di condotta prestabilita e una guida. Ne deriva che tutto quanto avrebbe potuto costituire l'essenza della spontaneità e della fiducia in se stessi (virtù che permetterebbero all'uomo di muoversi liberamente in una società di massa, senza perdervisi completamente) diventa invece un campo aperto in cui gli altri sono invitati a entrare, dato che egli li considera come esempi da seguire.

Come si riducono, dunque, molti cittadini di uno Stato di massa? Già fin troppo subordinati agli esempi provenienti dall'esterno e troppo insicuri per reagire in maniera originale all'ambiente in cui vivono, essi sono anche incapaci di affrontare interiormente le proprie pulsioni; anche in questo caso, infatti, si affidano all'esempio esterno e all'approvazione del mondo esterno, si tratti del vicino, o dell'«esperto», o dello psichiatra. Questo vale principalmente per gli impulsi sessuali, ma spesso anche per le tendenze aggressive. In ambedue i casi la persona finisce con l'essere schiacciata, non soltanto dalla pressione esterna, ma anche dalle tendenze pulsionali che non riesce più né a controllare né a scaricare in modo veramente autonomo e di conseguenza pienamente soddisfacente.
Se il peso dei controlli esterni diventa eccessivo, non soltanto l'individuo, ma anche la società cessa di svilupparsi, fino a diventare rigida. La cosa migliore che il controllo può assicurare è l'uguaglianza e, in una società di massa, varietà e abbondanza di beni fondamentalmente impersonali. Soltanto l'autonomia personale permette il pieno godimento di essi. La libertà richiede non solo uguaglianza di possibilità, ma anche abbondanza di possibilità; libertà significa pure tolleranza per coloro che non riescono a uniformarsi a certi criteri, forse culturalmente desiderabili, ma non essenziali alla società per il suo sviluppo. Spesso la società dei nostri giorni non garantisce questa tolleranza.


- Controlli interiori.

Recentemente si è avuto, nei modi in cui la società di massa esercita i suoi controlli, un cambiamento che influisce sull'autonomia individuale all'interno di questa stessa società. Un tempo, i controlli erano esercitati sugli individui nella forma più personale possibile, e cioè da parte di altri esseri umani: genitori, maestri, sacerdoti. Un'intima conoscenza di queste persone rendeva possibile identificarsi con loro durante una fase di transizione, prima cioè che i controlli venissero interiorizzati e diventassero veramente parte della personalità. Il fatto che alcuni uomini facessero sforzi personali per convincere o controllare altri uomini dava all'uomo stesso il senso della propria importanza. (6)
I controlli interiori si creano soltanto sulla base di rapporti personali, e non per obbedire alle esigenze della società. Noi possiamo interiorizzarli soltanto quando ci identifichiamo con persone che amiamo, rispettiamo o ammiriamo, persone che hanno fatto proprie queste esigenze, esattamente come abbiamo fatto noi, identificandosi con le persone che a loro volta rispettavano. (7) Quanto più una persona si conforma alle norme della società al livello superficiale della convenienza e del timore, tanto meno interiorizzerà i costumi della società stessa, e tanto minore sarà il numero di quelli che verranno interiorizzati da suo figlio.
Il bambino sviluppa la propria personalità innanzitutto identificandosi coi genitori (o con persone ugualmente importanti per lui) e interiorizzando le loro esigenze fino al punto di farle proprie; in secondo luogo, affrontando gli stimoli di un ambiente che è stato scelto e reso desiderabile dai suoi genitori ed educatori per permettergli di crescere in armonia con queste linee di condotta. Se i genitori si sono limitati ad adottare senza convinzione, esteriormente, certi modi di essere, cioè senza prendere nella dovuta considerazione la coerenza interiore, e senza modificare di conseguenza la propria personalità, il fanciullo interiorizzerà sia la vera personalità dei genitori sia il comportamento superficiale che è ad essa estraneo o addirittura antitetico.
Lo stesso avviene per gli stimoli dell'ambiente. Essi devono assumere la forma dettata dalle convinzioni interiori di chi educa il bambino, e non quella consigliata dagli «esperti», ai quali, in cuor suo, l'educatore non aderisce. Altrimenti, sorgeranno contraddizioni che impediranno a questi stimoli di provocare e favorire la maturità interiore. In questo caso anche gli stimoli dell'ambiente saranno giudicati troppo confusi per essere interiorizzati in modo coerente, in armonia coi talenti, gli interessi e la storia precedente del bambino.
Se non avremo veramente imparato a valutare e a seguire i costumi della società servendoci di una felice identificazione coi genitori e i maestri, il controllo che la società dovrà esercitare per far funzionare se stessa e i singoli individui sarà più massiccio. E, a questo riguardo, è senza importanza stabilire se tale controllo venga esercitato coercitivamente o per mezzo della persuasione. Questo controllo esterno è stato ormai esercitato da almeno due generazioni, e la società deve usare pressioni sempre più forti per garantirsi il grado di cooperazione di cui ha bisogno. Basta questo a mostrare quali pericoli ci stiano davanti, se non troviamo di nuovo la maniera di capire, accettare e far nostre le legittime esigenze di una società in un'epoca dominata dalle macchine, respingendo nel contempo quelle inaccettabili in ogni epoca.
I controlli di massa non possono funzionare facendo appello all'individualità. Benché le persone che dirigono la pubblica opinione siano molto sensibili a questo fatto e si facciano in quattro per esibire il loro interesse per l'individuo, le loro azioni non ne confermano le parole. Se il comportamento individuale è stato modificato da questa specie di controllo, ciò non è derivato da un atto personale di interiorizzazione ed è perciò contrario, senza alcun dubbio, all'autonomia personale dell'uomo.
Coloro ai quali i controlli di massa non piacciono (pur essendo raramente in grado di resistere alla loro influenza) riconoscono di solito che essi negano la unicità dell'individuo. Non sappiamo bene come il loro appello uniforme riesca a sottrarci il piacere che potevamo trovare in forme di controllo o di influenza che implicassero un contatto personale. Comunque, i controlli di massa cercano di mascherare la loro povertà spirituale con altri artifici.
In mancanza di una vera identità personale l'individuo si rivolge a qualcosa che sta fuori di lui per procurarsela; in ultima analisi deve rivolgersi allo Stato. Perciò lo Stato, la nazione, devono dimostrare di avere un'identità per compensarlo di seconda mano della perdita subita. Ma di nuovo l'anonimato, benché offra una certa dose di sicurezza, annulla l'identità personale e lascia all'individuo un senso di impotenza che equivale al contrario della sicurezza che egli aveva cercato di procurarsi.
Conscio della propria debolezza interiore, egli cerca qualcosa di forte e di potente cui appoggiarsi. Così, per essere in grado di attrarre l'individuo, una massa deve essere potente, o almeno far mostra di potenza. Una massa impotente non soltanto non attrae l'individuo, ma crea in lui ansia e depressione. Ecco perché una società di massa pretende sempre di essere potente, e spesso cerca di far mostra della sua potenza, cerca di dimostrare che la sua forza dà sicurezza, altrimenti perderebbe la presa sui suoi soggetti.
Gli espedienti tipici usati dal moderno Stato di massa per esercitare il proprio controllo sono una burocrazia impersonale, una dittatura impersonale sul gusto, e una grande quantità di fonti di informazione impersonali; tutti cercano di evitare una responsabilità individuale dietro il pretesto di servire la comunità e dietro lo schermo dell'obiettività. I mezzi di comunicazione di massa portano l'uomo a credere di avere bisogno di ciò di cui la propaganda desidera che egli senta il bisogno, e perciò a desiderare proprio questo; invece di procurarsi la soddisfazione più adatta alla sua particolare personalità e alle circostanze, l'uomo accetta quello che si vede offerto da coloro che controllano il processo produttivo, i mezzi di comunicazione di massa o le masse stesse. Egli non può ormai fare che questo, perché non ha più degli scopi personali. Questi potrebbero derivare soltanto dall'integrazione interiore e dalla conoscenza di ciò che si vuole e di cui si ha bisogno, dopo che si è data una soluzione personale ai conflitti che si creano fra il proprio mondo interiore e il mondo esterno. Invece, ora, l'uomo ha molti informi desideri, e li giudica così intercambiabili che la soddisfazione di uno può essere sostituita dalla soddisfazione di un altro più facilmente attuabile.
Finora lo Stato di Hitler è stato l'esempio più impressionante di uno Stato di massa oppressivo, e la sua influenza debilitante sulla struttura della personalità è stata ampiamente riconosciuta. Si è invece fatta minore attenzione a come esso poté tenersi in piedi per più di un decennio: offrendo ai sudditi uno sfogo a una almeno delle loro tendenze pulsionali, l'ostilità. Ma la liberazione dai bisogni pulsionali è qualcosa di molto diverso dal soddisfacimento delle aspirazioni dell'uomo. Questa liberazione può sostituire solo temporaneamente il soddisfacimento suddetto.
Lo Stato di Hitler offriva ai suoi seguaci anche una pseudo-identità, attraverso l'identificazione con l'unicità dello Stato germanico, e uno pseudo-rispetto di sé attraverso l'ideologia della superiorità della razza germanica. Queste pseudo-soddisfazioni erano necessarie allo Stato per raggiungere un totale controllo esterno dell'individuo senza portarlo a una immediata e profonda disintegrazione.
Teoricamente, in uno Stato di massa «buono» la libertà individuale non sarebbe né soppressa né controllata al punto di essere soffocata. E non porterebbe neppure a comportamenti esplosivi e al caos sociale, perché si avrebbero bastevoli soddisfazioni di natura emotiva nella sfera privata della famiglia e nelle compensazioni ricavate dal successo in campi più ampi; ciò garantirebbe il rispetto di sé, l'autonomia e la coscienza della libertà in grado sempre maggiore, nonostante la pressione della società di massa. A causa dei controlli interiori la personalità dell'individuo sarebbe in tal caso abbastanza forte da dominare le proprie tendenze asociali, e per il benessere della società si renderebbe necessario soltanto un numero limitato di controlli.
Ma, nello Stato di massa che noi conosciamo, tanto i controlli quanto le profonde soddisfazioni interiori sembrano destinati a indebolirsi di generazione in generazione. Se questo dovesse continuare e non fosse soltanto l'effetto temporaneo degli straordinari cambiamenti portati dalla tecnica, come io tendo a credere, ci dovranno essere, in compenso, controlli esterni sempre più forti.
In caso contrario, la naturale incapacità dell'uomo, reso ancor più debole e incerto, di provvedere ai suoi bisogni emotivi, compreso il rispetto di sé, può portare a un'inerzia pericolosa, oppure a esplosioni di violenza primordiale. La tendenza dello Stato di massa a liberare l'individuo da certe tendenze pulsionali non potrà infatti mai compensare una vera mancanza di soddisfazioni.


- Come colmare la lacuna.

La natura potenzialmente distruttiva di un certo tipo di Stato di massa si palesò sotto Hitler: l'individuo venne afferrato da un circolo vizioso, dopo che ebbe accettato di sottomettersi al controllo dello Stato e di conformarsi a questa situazione a spese del proprio rispetto di sé e della propria indipendenza personale. Gran parte di quello che venne considerato il risultato di un regolare movimento verso il controllo dello Stato sull'individuo dipese invece, almeno in parte, da un processo reciproco. L'incapacità dell'uomo di regolare la propria vita incoraggiò lo Stato a controllarlo. Ciò rese l'uomo ancor meno capace di prendere decisioni e richiese un controllo sempre più ampio, che a sua volta aumentò la sua incapacità di regolarsi in maniera autonoma. E qui si sviluppò di nuovo il circolo vizioso della disintegrazione.
Quando lo Stato gli ebbe tolto la libertà, il cittadino dello Stato hitleriano rimase insoddisfatto anche nei suoi desideri di persona non libera. Questo lo rese sempre più ansioso «che qualcuno si prendesse cura di lui» e produsse in lui un senso di frustrazione ancora maggiore. Egli arrivò al punto di affidarsi a una guida esterna per tutte le sue attività vitali, perfino per scegliere il modo di soddisfare le sue esigenze pulsionali, finché alla fine, almeno per i membri dell'"élite" del partito, lo Stato arrivò a scegliere per loro anche il coniuge. Così, nella sua espressione estrema, lo Stato di Hitler cercò di limitare la sfera della libertà personale dell'individuo a una scelta del tempo e delle condizioni della propria morte: la propria distruzione sarebbe stata così l'unico vero atto di autoaffermazione. Nei campi di concentramento anche questa libertà era proibita per legge, e nei campi di sterminio venne completamente abolita.
I tentativi fatti per spiegare lo Stato di Hitler in base alle cosiddette caratteristiche nazionali, o alla particolare storia della Germania, ci sembrano solo accademici. La rinascita economica della Germania dopo la prima guerra mondiale, e il fatto che essa divenne allora il primo vero Stato di massa dei tempi moderni, fa pensare sì a una certa debolezza nella struttura della personalità, ma non a una debolezza intrinseca e peculiare. Invece di lottare per una maggiore autonomia personale, l'individuo spendeva ogni energia nella costruzione di uno Stato di massa, nonostante condizioni economiche e culturali tutt'altro che favorevoli. Si trattò dunque di un "tour de force" piuttosto che di un caso di debolezza. La disintegrazione della personalità che seguì fu il risultato di una trasformazione quasi improvvisa dello Stato precedente in uno Stato di massa, non la sua causa.
Questo cambiamento fu così rapido che la persona media non riuscì a sviluppare in se stessa la capacità di affrontarlo in maniera autonoma. Per di più la Germania, come l'Italia, la Spagna e la Russia, fino all'avvento della tirannide moderna era uno Stato semifeudale dove l'industrializzazione, coi suoi rapidi cambiamenti, si era sviluppata molto più tardi che non negli altri Stati dell'Europa occidentale. I suoi cittadini avevano avuto perciò minori possibilità di integrare nella struttura della loro personalità l'adattamento necessario a un nuovo ordine sociale.
Durante il periodo di transizione dalla relativa libertà del tardo capitalismo a uno Stato di massa oppressivo il problema centrale è quello di indurre i cittadini al conformismo, se necessario anche con la forza. La sopravvivenza di un tale Stato, una volta creato, dipende dalla disposizione dei cittadini a lasciarsi manipolare, a rinunciare alla propria identità personale e a modi di vivere individuali. La più grande speranza del genere umano, ma anche il più grande pericolo per questo tipo di Stato di massa, consiste nella esistenza di una minoranza piuttosto cospicua di persone che resistano contro un tale destino. Queste devono essere eliminate oppure costrette ad adattarsi alla nuova realtà, perché ogni altra linea di condotta metterebbe in pericolo lo Stato qualora i suoi controlli venissero meno. Il solo modo di garantire per sempre la sottomissione dei sudditi è assicurarsi che essi si conformino di loro spontanea volontà. D'altro canto, il supremo compito di coloro che desiderano salvaguardare la propria individualità è trovare il modo di proteggerla nonostante la forza del controllo di massa e dei moderni mezzi di persuasione di massa.
Il terrore sistematico che caratterizzò lo Stato di Hitler diventa comprensibile soltanto quando se ne riconosca come scopo centrale questo bisogno di trasformare la libertà individuale e l'azione spontanea in sottomissione accettata.
Nel corso della storia i tiranni hanno sempre cercato di assassinare i loro nemici. Il desiderio, in un regime, di distruggere ogni opposizione è razionalmente comprensibile, anche se da un punto di vista umano non possiamo accettarlo. Per secoli, la tortura è stata usata per strappare confessioni o per soddisfare un desiderio di vendetta. Non erano nuove neppure le dimensioni degli eccidi e delle torture che, su scala smisurata, avvenivano nei campi di concentramento: Gengis Khan, cui Hitler si paragonava, può anche averlo superato. Veramente nuovo fu invece il fatto che un governo abbia fatto uso di questi mezzi contro i propri sudditi, per distruggerne deliberatamente l'integrità personale.
Lo Stato hitleriano, quale giunse a configurarsi nella sua ultima fase, avrebbe potuto difficilmente organizzarsi e affermarsi secondo piani precostituiti. Certo, la tecnica moderna, con le sue esigenze di efficienza e il suo disprezzo per i valori umani, concordava appieno con la filosofia nichilistica del nazionalsocialismo antiumanitario e cupido di potere a ogni costo. Queste due forze si potenziarono a vicenda e furono incrementate dalle esigenze tecniche connesse con la preparazione di una guerra totale.
Così, quando conquistò il potere, quel sistema politico era perfettamente preparato a creare uno Stato di massa oppressivo, pur avendo cominciato su scala ridotta. Il fenomeno più impressionante semmai, fu l'infimo grado di resistenza che questo processo, una volta avviato, incontrò e la maniera in cui acquistò forza sotto il profilo politico, economico e psicologico.

La reazione più interessante alla mia iniziale interpretazione dei campi di concentramento fu lo strano sollievo che alcuni lettori ne trassero, nonostante il contenuto deprimente di quelle pagine. Sembra che, anche quando vengono trattati gli aspetti più raccapriccianti di una società di massa oppressiva, la difesa intellettuale costituita dalla comprensione sia ancora la garanzia più efficace per non sentirsi del tutto impotenti e poter anzi salvaguardare la propria personalità di fronte a una minaccia estrema.
Questa reazione concorda con altri fatti di cui parlerò in seguito, e sembra giustificare l'ipotesi secondo cui una personalità integrata e forti convinzioni interiori, nutrite da soddisfacenti rapporti personali, sono la migliore protezione dell'individuo contro i controlli oppressivi, mentre un'altra difesa essenziale è la capacità di dominare intellettualmente gli eventi.
Per concludere il capitolo, vorrei sottolineare il fatto che, quantunque questo libro tratti in gran parte dello Stato di massa oppressivo, la variante costituita dallo Stato di Hitler è stata, secondo me, un fenomeno transeunte. Più impariamo a capirlo, più ci sentiamo certi che esso era proprio e soltanto questo, e non un'immagine di cose a venire. Nonostante temporanei regressi, compresa la caduta del mondo antico, ogni nuova fase dell'evoluzione storica ha provocato nell'uomo un più alto grado di integrazione e una più profonda coscienza della libertà: soltanto queste possono trasformare i progressi della tecnica in un progresso veramente umano.
Non dobbiamo abbatterci perché, pur comprendendo l'importanza di questo problema, non riusciamo ancora a risolverlo. La ragione è semplice: il progresso tecnico avanza più rapidamente dell'integrazione della personalità. Ecco il motivo per il quale io ho scelto di lavorare in quest'ultimo campo e non nel primo, anche se, in realtà, prima o poi un equilibrio sarà raggiunto. E questo dobbiamo crederlo fermamente, anche se il futuro è sempre incerto.



NOTE al capitolo 3.

Nota 1: In questo capitolo sono state incorporate parti di un articolo intitolato "Individual Autonomy and Mass Control", pubblicato in "Frankfurter Beiträge zur Soziologie", a cura di T. W. Adorno e W. Dirks: vol. 1, "Sociologica", Frankfurt am Main, 1955.
Nota 2: Molto di quanto è qui esposto a proposito dell'individuo autonomo in relazione alla persona soggetta a un controllo di massa è stato più ampiamente trattato, anche se con conclusioni diverse, da D. Riesman, "The Lonely Crowd", New Haven, 1950 [trad. it. "La folla solitaria", Il Mulino, Bologna, 1983].
Nota 3: Il libro di Hans Fallada, Kleiner Mann, "was nun?", Hamburg, 1932 [trad. it. "E adesso, pover'uomo'", Milano, 1950] fu molto letto prima dell'ascesa di Hitler, e da esso fu anche tratto un film. Anche coloro che non lo avevano letto ne conoscevano benissimo il titolo, perché esso era divenuto una specie di slogan per caratterizzare il periodo che aveva preceduto l'ascesa di Hitler al potere. Il racconto metteva in rilievo l'incapacità dell'individuo a decidere del proprio destino; l'individuo doveva essere quindi affidato alle cure dello Stato totalitario.
Nota 4: Questa considerazione, naturalmente, non è applicabile al caso in cui l'anzianità di lavoro sia protetta da accordi sindacali.
Nota 5: Questo interesse per gli altri è molto diverso da quello che caratterizzava gli stretti rapporti sociali che si avevano un tempo nei villaggi e nelle piccole città. Anche là, ognuno sapeva quello che accadeva nelle case degli altri, ma le persone non erano degli estranei che curiosavano semplicemente allo scopo di imitare quello che facevano gli altri, o per mettersi in competizione con loro. Era gente che viveva in rapporti strettissimi, come se tutti facessero parte di un'unica grande famiglia. Certo, non tutto era amore fra loro, anzi, si avevano spesso molta meschinità e ambivalenza di sentimenti; tuttavia, si avevano forti emozioni, anche se contrastanti, che tenevano il gruppo strettamente unito. Noi abbiamo perduto questo senso di intimità, che è fondata su un'associazione protrattasi per generazioni, e ciò ha senz'altro aumentato la nostra libertà potenziale. Ma quando la nostra condotta prende a modello quella dei nostri vicini, questa potenzialità non si trasforma in realtà; ne risulta che, mentre abbiamo perduto l'intimità dei rapporti sociali, non abbiamo guadagnato proporzionalmente in libertà.
Nota 6: Insieme a questi metodi educativi si avevano altri aspetti che noi non desidereremmo certo richiamare in vita, come le limitazioni sociali nel campo dell'istruzione pubblica. Ma a questo riguardo si deve dire che l'odierno sistema impersonale non è necessariamente inerente alla educazione di massa e, a lunga scadenza, non è nemmeno più economico. E' compito del potere politico decidere in quali proporzioni il reddito nazionale debba essere distribuito fra le spese militari, le strade, le scuole, eccetera, e se valga la pena che, per ragioni strettamente economiche, l'impronta personale debba sparire dall'educazione dei giovani. Non c'è alcuna necessità di scuole superiori per cinquemila studenti e più, dove, per fare solo un esempio, l'ufficio delle iscrizioni ha a che fare con centinaia di studenti assenti o svogliati. In una società di massa, spesso, non sono soltanto i fondi a disposizione che creano limiti nella scelta dei metodi possibili, ma anche, e in grado maggiore, il feticcio dell'efficienza e il desiderio, o meglio, l'adorazione della grandiosità. Non c'è nemmeno bisogno di cambiare insegnanti ogni pochi mesi, impedendo in questo modo che il processo educativo acquisti quel significato più profondo che può derivare soltanto da una stretta e prolungata associazione fra l'adulto e l'adolescente. Il risultato è certamente migliore, infatti, quando un insegnante abbia avuto la possibilità di protrarre il suo insegnamento per un periodo di diversi anni, particolarmente al livello delle scuole superiori, mentre insegnare sempre le stesse cose, anno dopo anno, a gruppi diversi di studenti della stessa età è un'esperienza che inaridisce anche i migliori insegnanti. Una delle ragioni più importanti (anche se misconosciuta), per le quali un insegnante viene cambiato ogni pochi mesi, consiste nel desiderio di rendere il sistema educativo simile al sistema produttivo adottato nelle industrie, dove un singolo lavoratore alla catena di montaggio può essere facilmente sostituito da un altro.
Nota 7: L'identificazione può anche avere come punto di partenza la paura, è vero, ma in questo caso essa ha conseguenze distruttive, e non ne beneficerà né l'individuo né la società.


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