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Disobbedienza civile DISOBBEDIENZA CIVILE.
(1849)


E' con vero entusiasmo che accetto il motto: "Il governo migliore è quello che governa meno"; mi piacerebbe vederlo messo in pratica, il più rapidamente e sistematicamente possibile. In effetti, si riduce a questo, alla fine (e anche in ciò io credo fermamente): "Il miglior governo è quello che non governa affatto"; noi riusciremo a ottenerlo quando saremo abbastanza maturi. Nella migliore delle ipotesi il governo è solo un espediente, ma la maggior parte dei governi il più delle volte, e tutti i governi qualche volta, sono inefficienti. Le stesse obbiezioni che furono sollevate contro la decisione di tenere un esercito permanente (sono molte, e importanti, e meriterebbero d'avere successo) possono essere sollevate contro un governo permanente. L'esercito permanente è solo un braccio del governo permanente. E quest'ultimo, che non è altro che la maniera scelta dal popolo per realizzare la propria volontà, è ugualmente soggetto ad abusi e perversioni prima che il popolo possa agire per suo mezzo. Ne è esempio l'attuale guerra contro il Messico, opera di relativamente pochi individui, che si servono dell'attuale governo come di un loro strumento; poiché, all'inizio, questa guerra non sarebbe stata accettata dal popolo.
Cos'è mai il governo americano se non una tradizione, seppur recente, che tenta di trasmettersi non menomata alla posterità e che però continua a perdere parte della propria integrità? Non ha la vitalità e la forza d'un singolo essere umano; perché un solo uomo può piegarlo al proprio volere. Per lo stesso popolo, esso è una specie di cannone di legno poiché, per soddisfare l'idea che si è fatta del governo, il popolo deve possedere qualche complicato macchinario e udire il rumore che questo produce. In tal modo i governi ci dimostrano quanto gli uomini possano facilmente essere ingannati o persino si possano autoingannare, per il proprio interesse. Dobbiamo ammettere che tutto ciò è realmente meraviglioso. E tuttavia questo governo non promosse mai alcuna impresa, se non con l'alacrità con la quale se ne tolse di mezzo. NON mantiene libero il paese, NON colonizza l'Ovest, NON istruisce i cittadini. Il carattere innato del popolo americano ha fatto tutto ciò che è stato fatto; sarebbe stato fatto ancora di più, se talvolta il governo non ci si fosse intromesso. Perché il governo è un espediente, per mezzo del quale gli uomini sarebbero ben felici di riuscire a lasciarsi in pace a vicenda; e, com'è stato detto, tanto più un governo è adatto ai suoi sudditi e tanto meno li molesta. Se gli affari e il commercio non fossero fatti di gomma, non riuscirebbero certo a superare gli ostacoli che continuamente i legislatori mettono loro davanti; e se si dovesse giudicare questi ultimi esclusivamente in base ai risultati delle loro azioni, e non (parzialmente) in base alle loro intenzioni, dovremmo classificarli tra quei malvagi che pongono ostacoli sulle strade ferrate, e come costoro dovremmo punirli.
Ma per parlare praticamente e da cittadini - a differenza di quelli che si definiscono anarchici: io non chiedo l'immediata abolizione del governo, ma chiedo (E SUBITO) un governo migliore. Che ognuno faccia sapere quale tipo di governo ispirerebbe il suo rispetto, e questo sarà il primo passo per ottenerlo .
Dopo tutto, la ragione pratica per cui - una volta che il governo sia nelle mani del popolo - si permette che una maggioranza continui a reggere lo Stato, e per lungo periodo di tempo, risiede non già nella probabilità che la maggioranza abbia ragione, e neppure nel fatto che la cosa sembri giusta alla minoranza, ma nel fatto che la maggioranza è materialmente più forte. Ma un governo in cui la maggioranza governa in tutti i casi, non può essere basato sulla giustizia - anche accettando questo termine nel nostro senso umano. Non può esserci un governo nel quale NON sia la maggioranza a decidere, virtualmente, su ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, ma la coscienza? nel quale la maggioranza decida solo su quelle questioni cui è applicabile la regola dell'opportunità? Deve sempre il cittadino - seppure per un istante e in minimo grado abbandonare la propria coscienza nelle mani del legislatore? e allora perché ha una coscienza? Penso che noi dovremmo essere degli uomini, prima di tutto; e poi dei sudditi. Non c'è da augurarsi che l'uomo coltivi il rispetto per le leggi, ma che coltivi rispetto per ciò che è giusto. Il solo obbligo che io ho il diritto di arrogarmi, è di fare sempre ciò che credo sia giusto. E' abbastanza vero quanto si dice delle corporazioni - e cioè che non hanno coscienza; e tuttavia una corporazione formata di uomini coscienziosi è una corporazione CON una coscienza. La legge non riuscì mai a rendere più giusti gli uomini, neppure di tanto; anzi, proprio a causa del rispetto che le portano, persino degli uomini di buoni principi si trasformano, quotidianamente, in agenti di ingiustizia. Un risultato comune e naturale di non dovuto rispetto alle leggi, è tipicizzato dal seguente esempio: di una fila di soldati, colonnello, capitano, caporale, soldato semplice, inserviente, tutti marciano in ordine perfetto, per monti e per valli, andando alla guerra contro la loro volontà (non solo: contro il loro buon senso e la loro coscienza) - una marcia davvero faticosa, non c'è che dire, che produce palpitazione cardiaca. Sanno bene che si trovano in un maledetto pasticcio; sono tutti degli uomini pacifici. Ma cosa sono, adesso? Uomini? o non, invece, piccoli forti o magazzini ambulanti, al servizio di qualche uomo potente e senza scrupoli? Si visiti il luogo d'esercitazione della marina da sbarco, e allora si vedrà che uomini può creare il governo degli Stati Uniti, e a cosa può ridurli - pure ombre, ricordi di uomini, già sepolti sotto le armi, con accompagnamenti funerari, anche se può succedere che

"Non un tamburo s'udiva, né una nota funeraria,
Mentre il suo corpo ai bastioni affrettavamo;
Non un soldato sparò un colpo d'addio
Sopra il sepolcro, dove il nostro eroe seppellimmo".

E' in questa maniera che la massa degli uomini serve lo Stato, non virilmente ma macchinalmente, con il solo corpo. Sono essi l'esercito permanente, la milizia volontaria, i secondini, i poliziotti, "posse comitatus" eccetera. Nella maggioranza dei casi, non c'è alcun libero esercizio del giudizio e del senso morale; si mettono al livello del legno, della terra e delle pietre; e forse si potranno anche fare degli uomini di legno che serviranno allo stesso scopo e altrettanto bene. Uomini simili non richiedono maggior rispetto che se fossero di paglia, o fatti di ammassi di sterco. Hanno lo stesso valore dei cani e dei cavalli. Tuttavia, normalmente, sono stimati buoni cittadini. Altri - come la maggioranza dei legislatori, dei politicanti, degli avvocati, dei preti e dei tenutari di cariche- servono lo Stato soprattutto con la testa; e poiché fanno molto di rado delle distinzioni morali, hanno la stessa probabilità di servire Dio che di servire il diavolo, senza VOLERLO. Pochissimi - gli eroi, i patrioti, i martiri, i riformatori in senso ampio e gli UOMINI - servono lo Stato anche con la loro coscienza: e così, necessariamente, nella maggior parte essi si oppongono al governo che di solito li considera propri nemici: Una persona saggia servirà solo come uomo, e non si sottometterà a essere "creta", a "chiudere un buco perché non entri il vento": lascerà piuttosto quell'ufficio alla propria polvere, per lo meno:

"Son nato troppo in alto per esser posseduto,
Per essere il secondo, al controllo,
O un servo utile, e strumento
Di qualsiasi stato sovrano del mondo".

Chi si concede ai suoi simili completamente, appare a essi un individuo inutile ed egoista; chi si concede parzialmente, è invece considerato benefattore e filantropo.
Come deve comportarsi un uomo, al giorno d'oggi, verso questo governo? Io rispondo che non può associarsi a esso senza ignominia. Non posso riconoscere, neppure per un istante, come MIO governo quell'organizzazione politica che è anche governo dello schiavo.
Tutti gli uomini riconoscono che esiste il diritto di rivoluzione - vale a dire il diritto di rifiutare obbedienza, o di opporsi, al governo, quando la sua inefficienza o la sua tirannia siano grandi e insopportabili. Ma quasi tutti sostengono che questo non è il caso attuale, ma piuttosto quello presentatosi nel 1775, all'epoca della Rivoluzione. Ma se mi si venisse a dire che quel governo era malvagio perché imponeva delle tasse su certe merci straniere che arrivavano nei suoi porti, con ogni probabilità non farei gran chiasso - che di quei prodotti io posso fare anche a meno. Tutte le macchine hanno il loro attrito, il quale, probabilmente, genera il bene in quantità sufficiente da controbilanciare il male. Comunque, è sbagliato agitarsi per esso. Ma quando l'attrito giunge ad avere la sua propria macchina, e l'aggressione e il furto sono organizzati, io dico: "Gettiamo via quella macchina!". In altre parole, quando un sesto della popolazione di una nazione, che si è impegnata a essere il rifugio della libertà, è formato da schiavi, e tutto il paese è ingiustamente percorso e conquistato da un esercito straniero, e sottomesso alla legge marziale, penso che non sarebbe affatto troppo presto che gli uomini onesti si ribellassero; e ciò che rende questo dovere estremamente pressante è il fatto che il paese così percorso da orde straniere non è il nostro, ma che nostro è l'esercito invasore.
Paley, che per molti è la comune fonte autorevole su questioni morali, nel suo capitolo sul "Dovere di sottomettersi al Governo Civile" risolve tutto l'obbligo civile con la convenienza; e dice quindi che "fintantoché l'interesse di tutta la società lo richieda, cioè fintantoché il governo costituito non potrà essere combattuto o mutato senza danno pubblico, è volere di Dio... che a esso si obbedisca - ma solo fino a quel momento... Ammesso questo principio, la giustizia di ogni atto particolare d'opposizione al governo è ridotta al calcolo, da un lato della quantità di pericolo e di dolore, dall'altro delle probabilità di successo e delle spese di riparazione". E dice che, di questo, ogni uomo giudicherà da solo. Ma Paley sembra non aver mai contemplato i casi ai quali la regola della convenienza non è applicabile; nei quali cioè un popolo (o un individuo) deve far giustizia, costi quel che costi. Se io ingiustamente ho strappato una tavola a un uomo che stava per annegare, io devo restituirgliela, a costo d'annegare. Ma questo non sarebbe conveniente, per Paley. E però, chi in una simile contingenza si salvasse la vita, la perderebbe. Il nostro popolo deve smetterla di tenere degli schiavi, e di far guerra al Messico - sebbene, come popolo, ciò possa costargli la vita.
In pratica, le nazioni sono d'accordo con Paley, ma pensano veramente tutti che il Massachusetts stia facendo quel che è giusto, nell'attuale crisi?

"Una sgualdrina, di qualità, una puttana
vestita d'argento, lo strascico della cui veste
è sollevato da terra, ma la cui anima
si trascina".

Praticamente, quelli che, nel Massachusetts, si oppongono a una riforma antischiavista sono non delle centinaia di migliaia di politicanti del Sud, ma centinaia di migliaia di contadini e mercanti del Nord, che si occupano (e con profitto) più dell'agricoltura e del commercio che dell'umanità - e che non sono preparati a rendere giustizia agli schiavi e al Messico, COSTI QUEL CHE COSTI. Io non me la prendo con i nemici lontani, i quali sarebbero innocui se questi non cooperassero con loro e non eseguissero i loro ordini, ma con questi altri con questi nemici vicini. Di solito diciamo che la massa degli uomini è impreparata; ma il progresso è lento, perché, materialmente, i pochi non sono più saggi o migliori dei molti. Non è poi così importante che i buoni come te debbano essere molti. Importa, piuttosto, che in qualche luogo esista una qualche bontà assoluta: farà lievitare l'intera massa. Quelli che MENTALMENTE si oppongono alla schiavitù e alla guerra, e che tuttavia, in effetti non fanno nulla per opporvisi, sono delle migliaia; si credono figli di Washington e di Franklin e se ne stanno con le mani in mano dicendo di non saper che cosa fare; non fanno nulla; giungono persino a posporre la questione della libertà a quella del libero lavoro, e, quietamente, leggono i prezzi correnti insieme con le ultime notizie dal Messico, dopo pranzo, magari appisolandosi sopra ambedue. Qual è, al giorno d'oggi, il prezzo corrente di un onest'uomo e di un patriota? Esitano, e si dispiacciono, e talvolta fanno delle petizioni, ma non fanno nulla di serio e che abbia un qualche effetto. Aspetteranno, con l'animo ben disposto, che gli altri pongano rimedio al male, così da non dover più dispiacersene. A ciò che è giusto essi danno, al massimo, un voto, un debole incoraggiamento e un "Dio ti aiuti" - quando, però, è giusto, passa loro vicino. Ci sono novecentonovantanove patroni della virtù per ogni uomo virtuoso. Ma è più facile trattare con il reale possessore di qualcosa, piuttosto che con il suo guardiano temporaneo.
Il voto è una specie di gioco d'azzardo, come gli scacchi o il tric-trac, con una leggera tinta morale, un gioco con il giusto e l'ingiusto, con questioni morali; è, naturalmente, accompagnato dalla scommessa. La reputazione dei votanti non rischia nulla. Si vota, forse, come si pensa che sia giusto; ma non si è vitalmente interessati a che il giusto prevalga. Siamo disposti a lasciarlo alla maggioranza. Il dovere di voto, pertanto, non supera mai il dovere di compiere ciò che è conveniente. Persino votare per CIO' CHE E' GIUSTO è come non FAR nulla per esso: significa solo esprimere debolmente il desiderio che ciò che è giusto prevalga. Un uomo saggio non lascia il giusto alla mercé del caso, né desidera che esso prevalga attraverso il potere della maggioranza. C'è pochissima virtù nell'azione di masse di uomini. Quando, alla fine, la maggioranza voterà per l'abolizione, sarà perché la schiavitù le è divenuta indifferente, o perché ne sarà rimasta poca da abolire, con quel voto. Allora la MAGGIORANZA sarà la nuova massa di schiavi. Solo il voto di chi afferma con esso la propria libertà può affrontare l'abolizione della schiavitù.
So che a Baltimora, o in qualche altro luogo, si deve tenere un congresso per la scelta del candidato alla Presidenza, e che i partecipanti saranno, nella maggior parte, direttori di giornali o uomini che fanno i politicanti di mestiere. "Ma" - mi dico "che importa a ogni uomo indipendente, intelligente e rispettabile, la decisione (qualunque essa sia) cui i membri di quel congresso giungeranno? Non avremo noi, comunque, il vantaggio della sua saggezza e della sua onestà? Non potremo sempre contare su voti indipendenti? Non c'è forse molta altra gente, nel paese, che non partecipa a tali congressi?". Ma no: scopro che il cosiddetto uomo rispettabile si è immediatamente spostato dalla sua posizione; e che non spera più nel suo paese quando questo ha maggior ragione di non sperare più in lui. Pertanto, egli adotta uno dei candidati, così scelti come il solo DISPONIBILE, dimostrando in tal modo che lui stesso è DISPONIBILE per qualsiasi scopo demagogico. Il suo voto non ha maggior valore di quello di un qualsiasi straniero senza scrupoli o di un nativo mercenario, che possono essere stati subordinati. Dov'è un uomo che sia tale e che (come si dice dalle mie parti) abbia una spina dorsale che non si può perforare con la sola pressione d'una mano? Le nostre statistiche sono tutte sbagliate: la popolazione è risultata troppa. Quanti UOMINI ci sono, ogni mille miglia quadrate, in questo paese? A mala pena uno. Ma non cerca l'America di convincere la gente a venire a stabilirsi qui? L'americano è degenerato fino al punto di diventare "un tipo strambo" ("Odd Fellow") - un uomo che si può riconoscere dallo sviluppo del suo organo di "aggreggiamento", da una chiara mancanza di intelligenza e da un'allegra sicurezza di sé; quando viene al mondo, ciò che anzitutto e soprattutto lo interessa è vedere se gli ospizi sono in buone condizioni; e ancor prima di avere indossato la toga virile, egli si preoccupa di raccogliere dei fondi per il mantenimento degli orfani e delle vedove; è, insomma, un uomo che si arrischia a vivere soltanto perché è aiutato dalla Compagnia per la Mutua Assicurazione, che gli ha promesso di seppellirlo decentemente.
Naturalmente, un uomo non ha il dovere di consacrarsi a raddrizzare torti (fossero questi anche i più grandi); può avere altri problemi che lo preoccupano; in questo caso, è suo dovere almeno lavarsi le mani di tutto ciò e, se non ci pensa più, negare il proprio appoggio a ciò che è ingiusto. Se mi consacrassi ad altri scopi e ad altre meditazioni dovrei almeno preoccuparmi, come prima cosa, di non perseguirli stando seduto sulle spalle d'un mio simile; anzitutto devo render libero costui, di modo che anche lui possa dedicarsi alle sue meditazioni. Guardate che grossolana incoerenza viene tollerata! Ho sentito dire, da alcuni dei miei concittadini: "Vorrei che mi ordinassero di aiutare a sopprimere un'insurrezione di schiavi, o di marciare contro il Messico - vorrei proprio vedere se ci andrei". E tuttavia proprio costoro hanno fornito ciascuno il proprio sostituto - direttamente (cioè obbedendo a questo governo) o almeno indirettamente (con il loro denaro). Il soldato che si rifiuta di partecipare a una guerra ingiusta è applaudito da quelli che non si rifiutano di sostenere l'ingiusto governo che fa la guerra; è applaudito da coloro di cui egli disprezza le azioni e l'autorità; come se lo Stato si pentisse tanto da giungere a pagare qualcuno che lo punisca severamente, quando esso Stato commette delle ingiustizie, ma non fino al punto di smettere per un solo istante di commettere ingiustizie. Così, in nome dell'Ordine e del Governo Civile, noi tutti siamo costretti, alla fine, a rendere omaggio alla nostra propria meschinità, e a sostenerla. Al primo rossore per il primo peccato commesso, segue l'indifferenza; e da immorale il peccato diventa in effetti NON MORALE, e in qualche modo necessario alla vita che abbiamo condotto.
L'errore più grande e dominante dev'essere sostenuto dalla virtù più disinteressata. Gli animi nobili sono i più facili a incorrere nel leggero rimprovero cui di solito è soggetta la virtù del patriottismo. Quelli che, pur disapprovando il carattere e le misure di un qualsiasi governo, gli concedono la propria obbedienza e il proprio favore, ne sono indubbiamente i sostenitori più coscienziosi e, molto spesso, i più seri ostacoli da superare. Alcuni chiedono allo Stato di sciogliere l'Unione, e di non tenere in alcuna considerazione gli ordini del Presidente. Perché non sciolgono da soli l'unione tra loro stessi e lo Stato, e non si rifiutano di pagare la loro quota al Tesoro? Forse che, di fronte allo Stato, essi non si trovano nello stesso rapporto dello Stato di fronte all'Unione? e le ragioni che impedirono allo Stato di opporsi all'Unione non sono le stesse che hanno impedito a loro di opporsi allo Stato?
Come può bastare, a un uomo, limitarsi ad ascoltare favorevolmente un'opinione, e goderne? Non c'è gioia, se è convinto di essere oppresso. Se il vostro vicino vi imbroglia di un solo dollaro, non vi basta sapere che siete stati imbrogliati o chiedergli di restituirvi il dovuto; ma fate passi concreti per ottenere subito tutta la somma, e cercare di non farvi imbrogliare un'altra volta. L'azione condotta in base a un principio, cioè la percezione e l'attuazione di un diritto, muta le cose e i rapporti; è un fatto essenzialmente rivoluzionario, e non armonizza completamente con nulla esistente prima. Non solo divide Stato da Stato e Chiesa da Chiesa; divide la famiglia; addirittura, divide l'INDIVIDUO, separando in lui il diabolico dal divino.
Le leggi ingiuste esistono: saremo felici di obbedirvi? o tenteremo di emendarle, e nel frattempo obbediremo- fintantoché non avremo avuto successo? o piuttosto non le trasgrediremo subito, e all'improvviso? Sotto un governo come il nostro, di solito si pensa che si deve aspettare il momento in cui si avrà persuaso la maggioranza a emendarle. E si è dell'opinione che, se ci si opponesse alle leggi, il rimedio sarebbe ancor peggiore del male. Ma è colpa dello stesso governo, se il rimedio è effettivamente peggiore del male. E' il GOVERNO che lo rende tale. Perché non è più pronto a prevenire tutto ciò, e provvedere a delle riforme? Perché non protegge la sua saggia minoranza? Perché grida e si oppone prima ancora d'essere ferito? Perché non incoraggia i suoi cittadini a star pronti a indicargli i suoi errori, e a fare meglio di quanto vorrebbe facessero? Perché continua a crocifiggere Cristo, scomunicare Copernico e Lutero, e dichiara ribelli Washington e Franklin?
Si direbbe che un pratico e deliberato diniego della sua autorità sia la sola offesa che il governo non ha mai contemplato; e se no, perché mai non avrebbe stabilito nessuna definita e proporzionata punizione per questo misfatto? Se un uomo, che non possiede nulla, si rifiuta una sola volta di guadagnare nove scellini per lo Stato - costui è messo in prigione per un periodo di tempo che non è fissato da alcuna legge che io conosca ma che è a discrezione di quelli che l'hanno messo dentro. Se invece quell'uomo derubasse lo Stato di nove scellini, sarebbe subito messo in libertà.
Se l'ingiustizia è una conseguenza dell'attrito necessario della macchina del governo, si può anche lasciar correre: forse l'attrito scomparirà - certo la macchina si consumerà. Se l'ingiustizia ha una molla, una puleggia, una corda o una manovella solo per sé, allora forse ci si può chiedere se il rimedio non sia peggiore del male. Ma se è di natura tale da spingerci a compiere qualche ingiustizia nei riguardi d'un altro bene, allora io dico: "S'infranga la legge". Che la nostra vita faccia da controattrito, e fermi la macchina! Ciò che io devo fare, comunque, è di procurare di non prestarmi all'ingiustizia che condanno.
In quanto ad adottare le soluzioni offerte dallo Stato per portar rimedio al male - io, queste soluzioni, non le conosco. Richiedono troppo tempo, e la vita d'un uomo se ne andrebbe tutta prima di riuscire a metterle in pratica. Ho altre cose cui badare. Venni a questo mondo non soprattutto per trasformarlo in un luogo buono dove vivere ma per viverci, buono o cattivo che sia. Un uomo non deve far tutto, ma QUALCHE cosa; e poiché non può far TUTTO, non è necessario che faccia qualcosa di sbagliato. Non è affar mio presentare petizioni al Governatore o alla Legislatura, non più di quanto non è affar loro presentare delle petizioni a me; e se non ascoltassero la mia petizione, che dovrei fare, allora? Ma in questo caso lo Stato non ha provveduto ad alcuna soluzione: il male sta proprio nella Costituzione. Questo che dico può sembrare aspro e testardo, e tutt'altro che conciliante; invece, è trattare con la massima gentilezza e la massima considerazione il solo spirito che lo meriti o che sia in grado di apprezzarlo. Similmente, il mutamento che più giova è quello che, come la nascita e la morte, squassa il corpo.
Non esito a dire che quelli che si autodefiniscono Abolizionisti dovrebbero, subito effettivamente, rifiutare il loro appoggio (sia di persone che di proprietà) al governo del Massachusetts, invece che aspettare il momento in cui avranno costituito la maggioranza di uno, per far prevalere in tal modo ciò che è giusto. Penso che debba bastar loro la certezza di avere Dio dalla loro parte, e che non occorra aspettare nessun altro. Inoltre, qualsiasi uomo più giusto dei suoi vicini costituisce già una maggioranza di uno.
Incontro questo governo americano (o i suoi rappresentanti, il governo di questo Stato) direttamente e a faccia a faccia una volta all'anno e non più, nella persona dell'esattore delle imposte; è il solo modo in cui un uomo nelle mie condizioni può incontrarlo. Distintamente, lo Stato mi dice: "Riconoscimi". Data l'attuale condizione delle cose, il modo più semplice ed efficace per trattare nei suoi confronti su questo argomento, per esprimere la propria piccola soddisfazione e il proprio amore nei suoi riguardi, è rifiutarsi di riconoscerlo. Il mio gentile vicino, l'esattore, è proprio l'uomo con il quale devo trattare - che, dopo tutto, io litigo con degli uomini, non con la pergamena; di sua propria volontà, egli ha scelto d'essere un agente del governo. Come potrà mai sapere con esattezza ciò che fa o ciò che è, come ufficiale governativo, o come uomo, fin tanto che avrà da preoccuparsi se dovrà trattare me, che sono suo vicino e per il quale egli ha del rispetto, come vicino e persona ben disposta, o invece come un pazzo disturbatore della pace? finché dovrà tentare di superare questo intralcio al buon vicinato senza alcun pensiero villano o impetuoso, o senza parole che corrispondano alle sue azioni? So bene che se mille, o cento, o magari dieci uomini di cui potessi fare i nomi dieci soli uomini onesti - macché: che se UN SOLO uomo ONESTO, in questo Stato del Massachusetts, CESSANDO DI TENERE DEGLI SCHIAVI, si ritirasse effettivamente da questa associazione schiavista e per questo fosse imprigionato, ciò significherebbe l'abolizione dello schiavismo, in America. Perché non importa quanto piccolo possa sembrare l'inizio: ciò che fu fatto bene una volta è fatto per sempre. Ma noi preferiamo PARLARE di ciò; e diciamo che è la nostra missione. L'abolizione ha al proprio servizio decine e decine di giornali, ma nessun uomo. Se il mio stimato vicino, l'ambasciatore dello Stato, che consacrerà i suoi giorni a definire la questione dei diritti dell'uomo nella Camera del Consiglio, invece d'essere minacciato di prigione dalla Carolina dovesse essere prigioniero del Massachusetts - di questo Stato tanto ansioso di addebitare allo Stato fratello il peccato della schiavitù (sebbene, attualmente, il Massachusetts possa scoprire solo un atto di inospitalità, a base della controversia con la Carolina) - la Legislatura non trascurerebbe completamente la questione, nella sua sessione invernale.
Sotto un governo che imprigiona un uomo (non importa chi) ingiustamente, il vero posto dove può vivere un uomo giusto è la prigione; e oggi, il luogo (l'unico luogo) adatto, provveduto dal Massachusetts per i suoi spiriti più liberi e virili, sta appunto in prigione.

Disse Confucio: "Se uno Stato è retto dai principi della ragione, povertà e miseria sono oggetto di vergogna; se uno Stato non è retto dai principi della ragione, ricchezze e onori sono oggetto di vergogna".
Qualche anno fa, lo Stato mi venne a trovare in rappresentanza e a favore della Chiesa, e mi comandò di pagare una certa somma per il mantenimento d'un religioso alle cui prediche era andato mio padre, ma non io. "Paga" disse lo Stato, "o ti metterò in prigione". Mi rifiutai di pagare. Sfortunatamente, un altro trovò opportuno pagare per me. Non capivo perché un insegnante dovesse essere tassato per mantenere un prete, e perché invece non dovesse essere il contrario; dato che io non ero un maestro statale ma mi mantenevo per sottoscrizione volontaria. Non capivo perché un'associazione culturale non dovesse, come la chiesa, presentare una richiesta di imposte, esigendo che lo Stato ne sostenesse la domanda. Tuttavia, su richiesta dei maggiorenti, accondiscesi a fare per iscritto una dichiarazione di questo genere: "Sia reso noto a tutti, con questo scritto, che io, Henry Thoreau, non desidero essere considerato membro di alcuna società eretta in ente morale o giuridico, alla quale io non mi sia associato". Consegnai la dichiarazione all'impiegato municipale, che ancora la conserva. Lo Stato, saputo in questo modo che non volevo essere considerato membro di quella Chiesa, non mi ha più rivolto simili richieste, da allora...
Non pagai tassa di voto per sei anni. Anzi, una volta passai una notte intera in prigione, proprio per questo...
La notte che trascorsi in prigione fu abbastanza nuova e interessante. Quando entrai, i detenuti stavano in maniche di camicia, sulla soglia, a far quattro chiacchiere e godersi l'aria della sera. Ma il secondino disse, "Su, ragazzi, è ora di chiudere" - e così si dispersero. Sentii i loro passi rimbombare nelle celle. Il secondino mi presentò il mio compagno di stanza come "un tipo in gamba, un uomo abile". Quando la porta fu chiusa, costui mi mostrò dove dovevo appendere il cappello, e come lui se la cavava, in genere, là dentro. Le stanze venivano imbiancate una volta al mese e questa dov'ero, almeno, era la più bianca, la più semplicemente ammobiliata e forse la più linda stanza di tutta la città. Naturalmente, l'uomo volle sapere da dove venivo, e cosa mi aveva portato lì; quando glielo ebbi detto, a mia volta gli chiesi come fosse venuto in prigione, immaginandomi (naturalmente) che fosse un onest'uomo; e, visto come vanno le cose, credo proprio che lo fosse.
"Mah", disse. "Mi accusano di aver dato fuoco a un granaio; mica l'ho fatto, però". Da quanto potei capire e immaginare, doveva essere andato a dormire in un granaio, ubriaco, e averci fumato la pipa; così s'era bruciato il granaio. Aveva fama di uomo abile; stava lì da circa tre mesi, in attesa del processo, e avrebbe dovuto attendere per altrettanti; ma ormai si era completamente adattato alla situazione, ed era persino contento, perché mangiava e dormiva gratis, e (come credeva) era trattato bene.
Lui si mise a una finestra e io all'altra; vidi che, a restare in prigione a lungo, l'occupazione principale sarebbe stata quella di guardare dalla finestra. In poco tempo lessi tutti gli opuscoli lasciati nella cella, ed esaminai i luoghi dai quali alcuni prigionieri erano evasi e dove era stata segata un'inferriata; e ascoltai le storie dei vari abitatori di questa stanza - che, come scoprii, anche qui c'era una storia e c'erano dei pettegolezzi, che però non oltrepassavano mai le mura. Probabilmente, questa è la sola casa della città in cui si scrivano dei versi, che poi sono stampati perché circolino là dentro, e che non sono mai pubblicati. Mi fu mostrata una lunga lista di poesie composte da certi giovanotti scoperti mentre tentavano la fuga, i quali si erano vendicati cantandole.
Spremetti informazioni dal mio compagno di cella più che potei, perché temevo di non rivederlo più, un'altra volta; ma alla fine egli mi indicò il mio letto, e mi lasciò a spegnere la candela.
Stare là, per una notte, era come viaggiare in un paese lontano, che non avessi mai pensato di poter ammirare. Mi sembrava di non aver mai udito l'orologio municipale battere le ore, prima d'allora, né i suoni del villaggio verso sera - noi dormimmo lasciando aperte le finestre, che erano al di qua dell'inferriata. Era come vedere il mio paese natìo alla luce del Medio Evo; il nostro Concord era mutato in un fiume Reno, e visioni di cavalieri e di castelli mi passavano davanti. Erano le voci dei vecchi borghigiani quelle che udivo nelle strade. Ero spettatore e ascoltatore involontario di tutto ciò che veniva fatto e detto nella cucina della locanda adiacente - e anche quest'esperienza era completamente nuova e rara, per me. Era una visione più ravvicinata della mia città natale. Le stavo proprio nel cuore. Non ne avevo mai visto le istituzioni, prima di allora. Questa è una delle sue istituzioni peculiari, perché la nostra città è un capoluogo di contea. Cominciai a capire di cosa si occupassero i suoi abitanti.
La mattina ci passarono la colazione attraverso il buco nella porta; era in certe gamellette di latta, oblunghe e quadrate, fatte così appunto perché potessero passare per l'apertura. La colazione consisteva in una pinta di cioccolata e pane nero; ci diedero anche un cucchiaio di ferro. Quando ci chiesero di restituire i recipienti, fui tanto ingenuo da restituire pure il pane avanzato; ma il mio compagno fu svelto a prenderlo, e mi disse che dovevo conservarlo per il pranzo e la cena. Poco dopo egli uscì per andare al lavoro (falciava il fieno in un campo vicino) come faceva ogni giorno: non sarebbe ritornato prima di mezzogiorno. Così mi augurò il buon giorno dicendo che dubitava di rivedermi.
Quando uscii di prigione - qualcuno ci si intromise e pagò per me quell'imposta - non mi parve che fossero avvenuti grandi cambiamenti nella piazza pubblica, come invece era successo a quel tale che era entrato in prigione quand'era un giovanotto e ne era uscito vacillante e canuto; e tuttavia, per me, un mutamento c'era stato su quella scena - la città, lo Stato, il paese - più grande di qualsiasi altro provocato dal mero scorrere del tempo. Vedevo più chiaramente lo Stato nel quale vivevo. Vedevo fino a che punto le persone tra le quali vivevo potevano essere considerate buoni vicini e buoni amici; mi resi conto che la loro amicizia durava solo l'estate, e che non si affannavano oltremodo per la giustizia; che, per i loro pregiudizi e le loro superstizioni, essi appartenevano a una razza completamente diversa dalla mia (quasi fossero dei cinesi o dei malesi); che nei loro sacrifici per l'umanità non correvano alcun rischio, nemmeno nella proprietà; vidi che, dopo tutto, non erano tanto nobili, ma trattavano il ladro nella stessa maniera con la quale erano trattati da costui, e che speravano di salvarsi l'anima con una certa osservanza esteriore e con poche preghiere - camminando, di tanto in tanto, lungo un certo sentiero, diritto ma inutile. Può darsi che ciò sia giudicare duramente i miei vicini; e io credo che molti di loro non sappiano che c'è l'istituzione della prigione, nel nostro villaggio.
Un tempo, qui, quando un povero debitore usciva di prigione, i suoi conoscenti lo salutavano (per consuetudine) guardandolo attraverso le dita delle mani incrociate come delle sbarre e chiedendogli: "Come va?". I miei vicini non mi salutarono così: ma prima guardarono me, e poi si guardarono tra di loro, quasi fossi ritornato da un lungo viaggio. Mi avevano messo in prigione mentre stavo andando dal calzolaio a ritirare una scarpa che mi ero fatta aggiustare. Il mattino dopo, quando uscii, eseguii la mia commissione e, infilatami la scarpa aggiustata, mi unii a un gruppo di persone che andavano per sorbe e che erano impazienti di mettersi sotto la mia guida; dopo una mezz'ora - poiché il cavallo fu presto bardato e attaccato al carretto - ero in un campo di sorbe, su uno dei nostri colli più alti, a due miglia dalla città, e lo Stato non si poteva vederlo da nessuna parte. Questa è la storia completa delle "Mie Prigioni".

Non mi sono mai rifiutato di pagare l'imposta per la manutenzione delle strade statali, poiché desidero essere un buon vicino tanto quanto desidero essere un cattivo suddito; e per quel che riguarda il sostenere le scuole, sto ora facendo la mia parte a educare i miei concittadini. Non è perché io obbietti a qualche particolare "voce" nella cartella delle "imposte" che mi rifiuto di pagare; è semplicemente perché desidero rifiutare obbedienza allo Stato, e ritirarmi e stare da esso discosto EFFETTIVAMENTE. Non mi metto a seguire il corso del mio dollaro, ove potessi, finché non compri un uomo o un moschetto con cui sparare - il dollaro è innocente; mi preoccupo invece di seguire le tracce e gli effetti della mia obbedienza. Infatti, pacificamente e a modo mio, io dichiaro guerra allo Stato, anche se di esso farò l'uso e ne trarrò il vantaggio che voglio - come si fa in simili casi.
Se, per "simpatia" verso lo Stato, altri pagano l'imposta che lo Stato mi richiede, questi fanno ciò che hanno già fatto per se stessi; o, piuttosto, incoraggiano l'ingiustizia ancor più di quanto lo Stato non richieda. Se pagano l'imposta per un errato interesse per l'individuo che viene tassato, per salvare la sua proprietà o per impedirgli di andare in prigione, ciò avviene perché essi non vedono con sufficiente chiarezza quanto permettano ai loro sentimenti privati di interferire con il pubblico bene.
Questa, così, è la mia posizione attuale. Ma in un caso del genere uno non starà mai troppo attento a che le sue azioni siano troppo pregiudicate dall'ostinazione o da un non dovuto rispetto per l'opinione altrui. Che questi cerchi di fare solo ciò che gli è pertinente, e al momento adatto!
Talvolta mi dico: "Guarda un po', questa gente crede di far bene; sono solo degli ignoranti; farebbero meglio se sapessero COME fare; perché vuoi dare al tuo vicino la preoccupazione di trattarti come non avrebbe alcuna inclinazione a fare?". Ma poi mi dico: "Questa non è una buona ragione per fare ciò che essi fanno, o per permettere ad altri di soffrire un dolore ancora più grande di specie diversa". E soggiungo: "Quando molti milioni di uomini, senza ardore, malvagità o sentimenti personali di alcun genere, ti chiedono solo pochi scellini, senza la possibilità - questa è la loro costituzione di ritirare o alterare la loro domanda attuale e senza la possibilità, da parte tua, di appellarti a degli altri milioni di individui; perché esporsi a questa preponderante forza bruta? Non resisti con pari ostinazione né al freddo, né alla fame, né ai venti, né alle onde; quietamente, ti sottometti a migliaia di simili necessità. Non metti la testa nel fuoco". Ma, giusto in proporzione a quanto considero questa forza come non completamente bruta, ma parzialmente umana, e mi rendo conto che io ho rapporti con quei milioni d'uomini in quanto milioni di uomini, e non di mere cose brute e inanimate, vedo che c'è possibilità d'appello, dapprima e subito al loro Fattore, e secondariamente a se stessi. Ma se metto la testa nel fuoco, deliberatamente, non c'è alcuna possibilità d'appello al fuoco o al suo Fattore, e io ho solo da biasimare me stesso. Se potessi convincermi che ho qualche diritto a esser soddisfatto degli uomini come essi sono, e a trattarli di conseguenza, e non, sotto qualche rispetto, in base a come mi aspetto e vorrei che loro e io fossimo - allora, come un buon musulmano e buon fatalista, dovrei tentare d'essere soddisfatto delle cose come sono, e dire che è la volontà del Signore. E soprattutto, questa è differenza tra resistere a questa e resistere a una forza meramente bruta o naturale: che alla prima posso oppormi con qualche successo, mentre non posso aspettarmi di riuscire a mutare la natura delle rocce, degli alberi e delle bestie, al pari di Orfeo.
Non voglio litigare con nessun uomo e con nessuna nazione. Non voglio spaccare il capello in quattro, fare distinzioni sottili, o proclamarmi migliore dei miei vicini. Piuttosto cerco, posso dire, una scusa per conformarmi alle leggi del paese. Sono anche troppo pronto a conformarmi a esse. Davvero ho ragione di sospettare di me stesso, a questo riguardo; e ogni anno, quando l'esattore fa il suo giro, mi trovo disposto a passare in rassegna le azioni e le posizioni del governo federale e dei governi statali, e lo spirito del popolo, per scoprire un pretesto che mi spinga a conformarmi alla legge.

"Dobbiamo amar la patria come i genitori
E se mai il nostro amore oppur l'industria
Nostra, dall'onor che è dovuto
A lei, togliamo, gli effetti rispettarne
E' per noi d'uopo, e all'anima
Coscienza e religione insegnar,
E non desiderio di potere e vantaggio".

Son convinto che lo Stato sarà presto capace di togliermi completamente dalle mani questo genere di lavoro, e allora io sarò non migliore patriota dei miei concittadini. Considerando le cose da un punto di vista inferiore, la Costituzione, con tutti i suoi difetti, appare ottima; la legge e i tribunali appaiono rispettabilissimi; e persino questo Stato e questo governo americano sono, sotto diversi aspetti, cose assai ammirevoli e rare, della cui esistenza dobbiamo essere grati, come moltissimi hanno detto. Ma se tutto ciò lo consideriamo da un punto di vista lievemente più alto, allora è come io l'ho descritto; se poi si guardano queste cose da un punto di vista più alto ancora (o dal punto di vista più alto che ci sia), chi mai dirà ciò che sono o che sono degne di essere affatto osservate o prese in considerazione?
Tuttavia, il governo non mi preoccupa molto, e gli rivolgerò meno pensieri che posso. Non sono molti i momenti che io vivo sotto un governo, persino in questo mondo: se un uomo ha il pensiero, l'immaginazione e la fantasia liberi, se quel che NON E' non gli appare mai per molto come se fosse quel che E', egli non può essere intralciato fatalmente sul suo cammino da stolti governanti o riformatori.
So che la maggior parte degli uomini ha opinioni diverse dalle mie; ma questi, le cui vite sono consacrate per professione allo studio di questi o simili argomenti, mi soddisfano tanto poco quanto gli altri. Gli statisti e i legislatori, che tanto completamente sono DENTRO l'istituzione, non l'osservano mai chiaramente e nudamente. Parlano di rinnovare la società, ma senza di essa non hanno luogo di riposo. Possono essere uomini d'una certa esperienza e discernimento, senza dubbio hanno inventato dei sistemi ingegnosi e persino utili per i quali sinceramente li ringraziamo; ma la loro intelligenza e la loro utilità giacciono entro certi limiti non molto ampi. Dimenticano sempre che il mondo non è governato dalla politica o dalla legge dell'adattamento. Webster non va mai dietro il governo, e così non può parlare con competenza. Le sue parole sono saggezza per quei legislatori che non contemplano la possibilità di riforme radicali, nell'attuale governo.
L'autorità del governo è... ancora piena di scorie; per essere strettamente giusta, dev'essere sanzionata e accettata dai sudditi. Sulla mia persona e proprietà, il governo ha i diritti che io gli concedo, e nulla più. L'evoluzione da monarchia assoluta a monarchia costituzionale, e dalla monarchia costituzionale alla democrazia, è un'evoluzione verso il rispetto dell'individuo. Anche il filosofo cinese era tanto saggio da considerare l'individuo come base dell'impero. E la democrazia è, forse, come noi la conosciamo, la forma di governo più progredita possibile? E' forse impossibile fare un passo più avanti, verso il riconoscimento e l'organizzazione dei diritti dell'uomo? Non ci sarà uno Stato veramente libero e illuminato, finché lo Stato stesso non riconoscerà l'individuo come una forza più alta e indipendente, dalla quale la forza e l'autorità di esso Stato derivano, e non giungerà a trattarlo di conseguenza. Mi piace immaginare che alla fine ci sarà uno Stato che potrà permettersi d'essere giusto verso tutti gli uomini, e che tratterà gli individui con lo stesso rispetto con cui si tratta un vicino; uno Stato che addirittura non penserà sia pericoloso per la propria quiete il fatto che alcuni individui vivano per proprio conto, senza alcun rapporto o commercio con esso - individui che abbiano compiuto tutti i loro doveri di vicini e di esseri umani. Uno Stato che producesse tali frutti, e li lasciasse cadere appena sono maturi, preparerebbe il cammino a uno Stato ancor più glorioso e superiore: io ho immaginato che possa esistere anche quest'ultimo, ma non l'ho ancora visto in alcun luogo.

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