A quanto finora descritto si potrebbe aggiungere il continuo incremento degli 
  interventi e dei dispositivi contrattuali per (ri)stabilire la «sicurezza» 
  (a scuola, nell'impresa, nel quartiere, in città), la proliferazione, 
  attraverso tutto il continente, di misure volte a prevenire o reprimere tutto 
  quanto potrebbe turbare il tranquillo sviluppo delle relazioni pubbliche (per 
  esempio le ordinanze comunali che limitano o vietano la mendicità e le 
  spedizioni delle forze dell'ordine contro i senzatetto) (87), l'instaurazione 
  del coprifuoco per gli adolescenti, applicato in maniera discriminatoria nelle 
  zone più povere (talvolta in maniera del tutto illegale, come in Francia), 
  il massiccio dispiegamento della videosorveglianza in luoghi e mezzi di trasporto 
  pubblici, il crescente favore che incontra il controllo elettronico, nonostante 
  appaia evidente che esso tende non a sostituire ma ad aggiungersi alla carcerazione. 
  Con ogni evidenza, un simile quadro non può essere considerato, come 
  suggerisce il criminologo David Garland, solamente nei termini della «denegazione 
  isterica» di una patente impotenza nei confronti della delinquenza, che 
  le stesse autorità ammetterebbero, ricorrendo a strategie di responsabilizzazione 
  dei cittadini e delega del controllo dello spazio pubblico (88). Diversamente, 
  appare evidente come si stia procedendo a "un'espansione del trattamento 
  penale della miseria" che, paradossalmente, deriva dall'indebolimento della 
  capacità d'intervento sociale dello stato e dall'abbandono delle prerogative 
  pubbliche di fronte alla presunta onnipotenza del «mercato», ossia 
  della legge economica del più forte. A tal proposito, è possibile 
  anche avanzare l'ipotesi secondo cui lo scivolamento verso una gestione giudiziaria 
  e carceraria della povertà è tanto più probabile e accentuato, 
  quanto maggiormente la politica economica e sociale condotta dal governo si 
  ispira alle teorie neoliberali improntate alla «privatizzazione» 
  dei rapporti sociali e le garanzie dallo stato sociale sono più deboli.
  Non è un caso quindi se fra i paesi dell'Unione europea, l'Inghilterra 
  è quello che manifesta allo stesso tempo il più alto tasso di 
  carcerazione (e il tasso che negli ultimi anni è aumentato più 
  rapidamente), il mercato del lavoro più «deregolamentato» 
  (con un conseguente livello di povertà da record, sempre in grande aumento), 
  le ineguaglianze sociali più marcate (cresciute più rapidamente 
  che altrove) e il sistema di protezione sociale più limitato, e «all'americana» 
  (89). E d'altra parte non è certo una fortunata coincidenza se i paesi 
  scandinavi - che meglio di altri hanno resistito alle pressioni esterne e interne 
  volte a smantellare lo stato sociale e in cui le istituzioni di redistribuzione 
  e condivisione dei rischi collettivi hanno una più consolidata tradizione 
  - hanno il più basso tasso di carcerazione e ricorrono al trattamento 
  punitivo dell'insicurezza sociale solo in maniera sussidiaria, così come 
  attesta la crescita moderata della popolazione carceraria in Svezia, la sua 
  stabilità in Danimarca, e il notevole abbassamento in Finlandia (che 
  così manifesta il suo legame al blocco socialdemocratico di area occidentale). 
  Nei paesi latini come Spagna, Portogallo e Italia, d'altra parte, la crescita 
  accelerata del numero dei detenuti è avvenuta proprio negli ultimi anni, 
  in corrispondenza all'avvio delle politiche di tagli ai già magri programmi 
  di assistenza sociale e di «modernizzazione» del mercato del lavoro, 
  attraverso la facilitazione dei licenziamenti e l'ampliamento delle opportunità 
  di sfruttamento della manodopera, in conformità al modello inglese (e 
  dunque indirettamente americano). Secondo uno studio comparativo incentrato 
  su Inghilterra, Galles, Francia, Germania, Olanda, Svezia e Nuova Zelanda, a 
  livello internazionale le differenze nel tasso di carcerazione, e la loro evoluzione, 
  sono fondate non sulle dinamiche del tasso di criminalità ma sulla diversità 
  delle politiche sociali e penali e sul livello delle disparità socio-economiche 
  (90).
  Tutto indica quindi che un eventuale riallineamento "al ribasso" dell'Europa 
  "sociale", centrato sull'alleggerimento della regolazione politica 
  del mercato del lavoro e il progressivo indebolimento delle garanzie collettive 
  nei confronti dei rischi della condizione salariata (disoccupazione, malattia, 
  pensioni, povertà), sarà accompagnato necessariamente da un riallineamento 
  al rialzo dell'Europa "penale", perseguito attraverso la diffusione 
  generalizzata delle posizioni e delle politiche più severe in materia 
  di delitti e pene. Una simile convergenza - di cui l'adesione dei dirigenti 
  della sinistra di governo europeo ai discorsi e alle misure sicuritarie più 
  classiche, confezionate con un vocabolario falsamente «repubblicano», 
  rappresenta un segnale particolarmente eloquente - si tradurrà immediatamente 
  in un massiccio incremento dell'inflazione carceraria e in un inasprimento delle 
  condizioni di detenzione, sotto la duplice pressione della carenza di mezzi 
  e della deriva repressiva delle ideologie giudiziarie che dovrebbero giustificarli. 
  L'accusa di «lassismo» in materia di spesa pubblica e politica monetaria 
  infatti, trova un "pendant" nella vergogna per il «lassismo» 
  in materia penale e di ordine pubblico.
  Da quanto detto, risulta evidente l'urgenza di sottolineare, quando si traccia 
  il bilancio dei presunti benefici della «liberalizzazione» a livello 
  europeo dell'economia salariale - ossia della deregolamentazione del mercato 
  del lavoro in direzione di un accresciuto sfruttamento della manodopera -, gli 
  astronomici costi finanziari, sociali e umani, spesso mal valutati in quanto 
  scaglionati o differiti nel tempo, del suo corrispettivo socio-logico al livello 
  delle classi subalterne, ossia della sorveglianza poliziesca e della reclusione 
  della miseria. Come hanno dimostrato Western e Beckett per il caso americano, 
  a breve termine l'aumento significativo della popolazione carceraria riduce 
  artificialmente il tasso di disoccupazione facendo scomparire dalle statistiche 
  un importante segmento della popolazione in cerca di impiego. A medio e lungo 
  termine, tuttavia, una simile politica altro non fa che aggravare la situazione, 
  in quanto rende più difficilmente assumibili, se non addirittura inassumibili 
  in un mercato del lavoro dequalificato sempre più affollato, coloro che 
  hanno soggiornato in galera (91). A tutto ciò si aggiungono gli inevitabili 
  effetti della carcerazione sui gruppi sociali e i luoghi maggiormente soggetti 
  alla tutela penale: stigmatizzazione, interruzione delle strategie scolastiche, 
  matrimoniali e professionali, destabilizzazione delle famiglie, rottura delle 
  reti sociali, radicamento nei quartieri sfavoriti, nei quali la carcerazione 
  si banalizza, di una «cultura di resistenza» se non addirittura 
  di sfida all'autorità. E ovviamente il complesso di patologie, sofferenze 
  e violenze (inter)personali comunemente associate all'esperienza carceraria.
  Nettezza urbana della precarietà, l'istituzione carceraria non si limita 
  a raccogliere e immagazzinare i (sotto)proletari considerati inutili, indesiderabili 
  o pericolosi, allo scopo di "occultare" la miseria e di "neutralizzarne" 
  gli effetti più distruttivi. Troppo spesso si dimentica, infatti, come 
  essa contribuisca attivamente a estendere e rendere perenne l'insicurezza e 
  l'abbandono sociale da cui trae alimento e legittimazione. La prigione, in quanto 
  istituzione totale rivolta ai poveri e ambiente criminogeno e abrutente forgiato 
  dagli imperativi (e dalle fantasie) sicuritari, non può che impoverire 
  ulteriormente coloro che sono affidati alle sue cure (e le loro famiglie), privandoli 
  delle magre risorse di cui dispongono all'entrata, annullando sotto l'etichetta 
  infamante del «pregiudicato» tutti i possibili status in grado di 
  conferire un minimo di identità (in quanto figli, mariti, padri, lavoratori 
  salariati o disoccupati, malati, marsigliesi o madrileni eccetera), affondandoli 
  nell'irresistibile spirale della "pauperizzazione penale". Si tratta 
  dell'altra faccia della «politica sociale» riservata dallo stato 
  alle fasce di popolazione più demunite, che alimenta l'inesauribile profluvio 
  di discorsi sulla «recidiva» e la necessità di inasprire 
  il regime di detenzione (con tanto di ritornello ossessivo sulle «prigioni 
  a tre stelle») affinché esso possa svolgere una reale funzione 
  dissuasiva.
[Un'approfondita ricerca condotta su sette penitenziari della Francia mostra 
  che la traiettoria carceraria dei detenuti può essere descritta come 
  una serie di traumi e rotture provocati da una parte dagli imperativi interni 
  di sicurezza delle strutture penitenziarie, dall'altra dalle esigenze e dalle 
  decisioni dell'apparato giudiziario, che scandiscono una discesa programmata 
  negli abissi della miseria, tanto più rapida quanto più le condizioni 
  di partenza sono precarie (92). L'ingresso in carcere normalmente è accompagnato 
  dalla perdita non solo del lavoro e della casa, ma anche dei diritti alle prestazioni 
  sociali. Un simile impoverimento colpisce immediatamente anche la famiglia del 
  detenuto e non manca di contribuire alla degradazione dei legami e delle relazioni 
  affettive (separazione dalla moglie o compagna, «affido» dei figli, 
  presa di distanza degli amici eccetera). Segue una serie di trasferimenti all'interno 
  dell'arcipelago penitenziario, che si traducono in altrettanti tempi morti, 
  in smarrimenti e confische di oggetti ed effetti personali, in difficoltà 
  di accesso a risorse rare come il lavoro, la formazione o gli svaghi collettivi.
  Infine, anche l'uscita dal carcere, che avvenga per un permesso, in libertà 
  condizionata o a titolo definitivo, comporta un ulteriore impoverimento, provocato 
  dalle spese immediate (viaggio, abbigliamento, regali, brama di consumo eccetera) 
  e dall'improvviso confronto con una miseria che la detenzione aveva in qualche 
  modo messo fra parentesi. «In quanto istituzione chiusa che troppo spesso 
  considera di secondaria importanza gli investimenti esterni del carcerato, in 
  quanto luogo in cui prevale una dimensione sicuritaria che colloca sistematicamente 
  gli interessi, o almeno l'idea che di essi ci si fa, del corpo sociale che si 
  intende tutelare dinanzi a quelli dei detenuti, la prigione contribuisce attivamente 
  a rendere precarie le già misere condizioni di buona parte della popolazione 
  carceraria e a consolidare le situazioni provvisorie di povertà» 
  (93).
  I dati sulla miseria carceraria rilevati dalla ricerca sul campo trovano una 
  conferma nelle statistiche: in Francia, il 60 percento dei carcerati al momento 
  della liberazione sono disoccupati, il 12 percento senza alloggio e più 
  di un quarto non dispone della benché minima quantità di denaro 
  o, per essere più precisi, di più di 100 franchi, la soglia stabilita 
  dall'amministrazione carceraria per il riconoscimento dello statuto di «indigente» 
  e la concessione di un «aiuto» (i detenuti stranieri si trovano 
  in condizioni ancora peggiori, con percentuali che si attestano rispettivamente 
  al 68, 29 e 30 percento). La metà dei detenuti non ha mai ricevuto durante 
  il soggiorno dietro le sbarre la visita di un parente o amico, più di 
  un terzo non troverà nessuno ad attenderlo al momento dell'uscita dal 
  carcere. E almeno un detenuto su tre accumula almeno tre di questi handicap. 
  Di conseguenza, visto lo scarso supporto esterno e l'ampiezza delle difficoltà 
  con le quali gli «ex galeotti» devono fare i conti, ogni proposito 
  di «reinserimento» si rivela quantomeno improbabile (94).
  Ma c'è di peggio: gli effetti pauperizzanti del penitenziario non sono 
  limitati ai detenuti e al carcere ma ricadono ben al di là delle sue 
  mura. La prigione infatti esporta la sua povertà destabilizzando continuamente 
  le famiglie e i quartieri soggetti alla sua presa. Di conseguenza, il trattamento 
  carcerario della miseria (ri)produce senza sosta le condizioni della propria 
  espansione: più si recludono i poveri, più essi rimarranno tali, 
  offrendo inoltre un comodo obiettivo alla politica di criminalizzazione della 
  miseria. La gestione penale dell'insicurezza sociale trae quindi alimento dal 
  proprio fallimento programmato].
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IL REDDITO MINIMO Di INSERIMENTO (R.M.I.) PER I DETENUTI FRANCESI.
Gli Stati uniti escludono sistematicamente i loro due milioni di carcerati 
  dalla redistribuzione sociale del reddito. La Francia non fa molto meglio, in 
  quanto i suoi circa 54 mila detenuti sono in gran parte esclusi dal minimo di 
  copertura sociale che potrebbero esigere a causa della loro posizione marginale 
  sul mercato del lavoro e della scarsezza dei loro risparmi e patrimoni (nel 
  caso esistano).
  Se nella migliore delle ipotesi, ancorché statisticamente assai rara, 
  essi possono percepire la pensione di anzianità o invalidità minima, 
  oppure accedere alle case popolari, del tutto esclusa è la possibilità 
  di beneficiare dell'Allocazione specifica di solidarietà (ASS), dell'Allocazione 
  per genitore unico (API) e dei contributi dell'Assedic (nonostante gli eventuali 
  versamenti). Inoltre, un «decreto di applicazione fellone», per 
  riprendere l'espressione di Jean-Michel Belorgey, relatore della legge sull'R.M.I. 
  all'Assemblea nazionale, emanato di soppiatto dal governo Rocard nel dicembre 
  1998 esclude i carcerati dal reddito minimo di inserimento a partire dal sessantesimo 
  giorno di detenzione. E' inutile sottolineare come l'aiuto pecuniario e un sostegno 
  durevole all'inserimento sarebbero di vitale importanza per la popolazione detenuta.
  Il versamento dell'R.M.I. ai detenuti che «fuori» ne avrebbero diritto 
  sortirebbe quattro effetti. In primo luogo contribuirebbe ad attenuare le forti 
  ineguaglianze di classe che caratterizzano l'esperienza della detenzione e violano 
  gravemente i princìpi della giustizia. Inoltre, faciliterebbe il mantenimento 
  della «pace penitenziaria» diminuendo lo spaccio, i racket e le 
  violenze che traggono alimento dalla condizione di estrema miseria della maggior 
  parte dei carcerati (è per questo motivo che molti direttori di istituti 
  di pena sono favorevoli a una simile ipotesi). Come ben sanno tutti coloro che 
  operano nel carcere, un discreto numero di detenuti è costretto a prostituirsi 
  per ottenere quanto necessario alla vita quotidiana: sapone (che serve per la 
  toilette, le stoviglie e il bucato), forniture igieniche, sigarette, cibi, farmaci, 
  per non parlare dello studio, costoso e al di fuori della portata di coloro 
  che ne avrebbero più bisogno. Lo stato in questo caso non si limita dunque 
  a privare della libertà ma spinge i detenuti verso la miseria materiale 
  e morale.
  In terzo luogo, l'R.M.I. contribuirebbe a conservare la solidarietà familiare, 
  evitando al detenuto di diventare immediatamente un peso. Il prezzo della carcerazione 
  può rivelarsi insostenibile per i familiari, in quanto alla perdita del 
  reddito del detenuto si aggiungono i notevoli costi prodotti dalla reclusione 
  (biancheria, contributo per la mensa, spostamenti per le visite, spese processuali 
  e per l'avvocato eccetera). "Last but not least", concedere l'allocazione 
  a coloro che ne hanno diritto, secondo le norme correnti, significherebbe affermare 
  a livello simbolico che i prigionieri appartengono alla comunità dei 
  cittadini (o dei residenti) e quindi porre migliori premesse per il loro ritorno 
  in società. Non esiste alcuna ragione giuridica o penale a una simile 
  privazione di diritti sociali, che appare come una sorta di «doppia pena», 
  questa volta per «nazionali», visto che gli stranieri sono già 
  ampiamente esclusi dall'R.M.I. anche quando sono in libertà.
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In ogni caso, "lo stato penale europeo è già in via di instaurazione" 
  nella pratica, mentre la costruzione di un fantomatico stato sociale europeo 
  resta ancora alla fase del progetto e dei vuoti proclami. L'Europa della libera 
  circolazione dei capitali e degli individui è infatti anche l'Europa 
  della cooperazione poliziesca, giudiziaria e penitenziaria, di una cooperazione 
  che si è fortemente intensificata sull'onda delle recenti spinte all'integrazione 
  economica e monetaria (95). Come ha illustrato il politologo Didier Bigo, le 
  reti di relazioni informali e di contatti interpersonali, intessute lungo gli 
  anni settanta in seno ai gruppi di lotta alla droga o al terrorismo o in occasione 
  degli incontri fra le diverse polizie europee, sono state valorizzate e formalizzate 
  fra il 1985 e il 1990 dagli accordi di Schengen. Sono stati così estesi 
  i diritti di indagine e azione giudiziaria attraverso le frontiere e distaccati 
  funzionari di collegamento presso i servizi di polizia di altri paesi. Di particolare 
  importanza è inoltre la creazione del Sistema informatizzato di Schengen 
  (SIS), una banca dati con sede a Strasburgo nella quale convergono le schede 
  inviate dai vari paesi riguardanti coloro che sono coinvolti nelle attività 
  della grande criminalità e gli stranieri ai quali è stato rifiutato 
  il permesso di soggiorno o l'ingresso alla frontiera. Il Trattato di Maastricht 
  ha istituzionalizzato la cooperazione poliziesca in materia di lotta al terrorismo, 
  alla criminalità organizzata e internazionale, alla droga. Il comitato 
  chiamato K-4, istituito sotto l'egida del Consiglio della giustizia e degli 
  affari interni dal quarto titolo del trattato, ha precisamente lo scopo di favorire 
  l'armonizzazione delle politiche degli stati membri nell'ambito sia della giustizia 
  civile e penale, sia dell'immigrazione e del diritto d'asilo.
  Gli accordi, le convenzioni e le commissioni che proliferano e agiscono nella 
  penombra del nascente campo burocratico europeo hanno esteso il concetto di 
  «sicurezza interna» alle problematiche inerenti la circolazione 
  attraverso le frontiere degli stranieri provenienti da paesi esterni all'ambito 
  euro-americano. L'immigrazione viene così definita in termini espliciti 
  come minaccia all'integrità del territorio su cui si deve vigilare, il 
  cosiddetto «spazio di Schengen» che presto verrà esteso a 
  tutti i paesi membri dell'Unione europea. L'equivalenza politico amministrativa 
  fra frontiera-crimine-immigrazione partecipa della demonizzazione dello straniero 
  (non euro-americano) e rafforza l'associazione immigrazione-insicurezza di cui 
  si nutrono le virulente correnti xenofobe apparse negli ultimi anni nella maggior 
  parte delle società dell'Europa occidentale.
  La convenzione Europol, in discussione fin dal 1995, sfocerà quanto prima 
  nell'istituzione dell'Ufficio europeo della polizia, un organismo dotato di 
  una personalità giuridica indipendente con sede a Strasburgo, che prefigura 
  una futura polizia federale dell'Unione europea. Inoltre, ormai da due decenni 
  le direzioni delle amministrazioni penitenziarie dei paesi membri del Consiglio 
  d'Europa si riuniscono regolarmente (oggi due o tre volte all'anno) in seno 
  al Consiglio di cooperazione penale per confrontare le rispettive esperienze, 
  definire norme comuni di detenzione e armonizzare le procedure. La creazione 
  del mercato unico alla fine degli anni ottanta, dunque, è stata accompagnata 
  da un'accelerazione dell'europeizzazione delle polizie e della sicurezza, considerate 
  alla stregua di un «terzo cantiere, certo discreto, se non addirittura 
  segreto, ma che procede più rapidamente e mobilita altrettante energie 
  e personale della costruzione delle tanto reclamizzate Europa monetaria e Europa 
  della difesa». Così come negli Stati uniti l'ascesa dello stato 
  penale ha effetti opposti alle due estremità della gerarchia sociale 
  e razziale, allo stesso modo lo sviluppo della polizia a largo raggio e della 
  polizia in rete a livello europeo conduce a «un'era in cui alla più 
  grande libertà di circolazione per la maggioranza dei cittadini si unisce 
  la concentrazione dei controlli sulle minoranze e i flussi attraverso le frontiere» 
  che di fatto sono sottoposti a una sorveglianza discriminatoria a livello sia 
  dei principi, sia delle pratiche (96).
  In un simile contesto, l'esperienza di quei paesi che attraverso una politica 
  volontaristica sono riusciti in tempi recenti a stabilizzare o addirittura ad 
  abbassare la loro popolazione carceraria, in particolare attraverso l'ampliamento 
  del ricorso alle ammende o alla libertà condizionata e la sensibilizzazione 
  dei giudici rispetto alla realtà dell'universo carcerario, assume un 
  particolare valore analitico e politico (confronta tabella 5). Fra il 1985 e 
  il 1995, l'Austria ha ridotto il proprio tasso di carcerazione del 2 percento, 
  la Finlandia del 25 percento, la Germania del 6 percento (nonostante la riunificazione). 
  Il tasso è rimasto stabile in Danimarca e Irlanda. Simili tendenze alla 
  diminuzione della popolazione detenuta non hanno alcuna incidenza sul livello 
  della criminalità (97).
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  Tabella 5, Deflazione carceraria in tre paesi europei (1983 -1997).
Germania (Ovest): 62525 nel 1983 - 48548 nel 1990 - 60489 nel 1995 - incremento: 
  meno 4%
  Austria: 8387 nel 1983 - 6231 nel 1990 - 6954 nel 1995 - incremento: meno 8%
  Finlandia: 4709 nel 1983 - 3106 nel 1990 - 2798 nel 1995 - incremento: meno 
  41%
Fonti: Pierre Tournier, "Statistiques pénales annuelles du Conseil 
  de l'Europe, Enquête 1997", Conseil de l'Europe, Strasbourg 1999.
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I risultati ottenuti da queste società mettono in luce il fatto che 
  in materia penale e sociale - se nelle regioni più basse dello spazio 
  sociale è ancora possibile distinguere per ragioni che non siano di comodità 
  di linguaggio fra quei due registri dell'azione pubblica - si resta sempre all'interno 
  di ciò che Marcel Mauss definiva «ambito della modalità». 
  Allo stesso titolo del lavoro precario, l'inflazione carceraria non è 
  una fatalità naturale o una calamità dovuta a una divinità 
  lontana e inarrivabile, ma deriva da scelte culturali che sarebbe necessario 
  sottoporre a un vasto dibattito democratico. Come afferma Marcel Mauss, ogni 
  fenomeno sociale è «opera della volontà collettiva, e chi 
  dice volontà umana dice scelta fra le differenti opzioni possibili» 
  (98). L'importante è che le opzioni siano chiaramente identificate e 
  valutate come tali, e non selezionate di nascosto o alla cieca e quindi presentate 
  come sviluppi ineluttabili e irreparabili.
  L'esperienza americana dimostra l'impossibilità, oggi come alla fine 
  dell'Ottocento, di separare la politica sociale e la politica penale o, per 
  essere più diretti, il mercato del lavoro, l'intervento sociale (se ancora 
  lo si può definire così), la polizia e la prigione. L'adeguata 
  comprensione di entrambe non può infatti prescindere da un'analisi delle 
  loro plurime interconnessioni (99). Dovunque si afferma, l'utopia liberale, 
  apporta ai gruppi sociali più demuniti ma anche a coloro che prima o 
  poi sono destinati all'espulsione dal settore del lavoro garantito, non un surplus, 
  come vorrebbero i suoi apologeti, ma una riduzione se non addirittura l'annullamento 
  della libertà, come effetto della regressione verso un paternalismo repressivo 
  vecchio stile, caratteristico del capitalismo selvaggio, a cui si aggiunge oggi 
  uno stato punitivo onnisciente e onnipotente. La «mano invisibile» 
  cara ad Adam Smith è quindi ritornata, ma rivestita dal «guanto 
  di ferro».
  Gli Stati Uniti hanno chiaramente optato per un modello che individua nella 
  criminalizzazione della miseria il necessario complemento dell'insicurezza salariale 
  e sociale. L'Europa si trova di fronte a un bivio, a un'alternativa storica 
  fra, da una parte, la reclusione dei poveri e il controllo poliziesco e penale 
  delle popolazioni destabilizzate dalla rivoluzione delle forme di lavoro salariato 
  e dall'indebolimento della protezione sociale, dall'altra, la creazione di nuovi 
  diritti di cittadinanza, quali il reddito d'esistenza, indipendente dal lavoro 
  (100), l'educazione e la formazione continua, l'accesso generalizzato all'alloggio 
  e alle cure mediche, accompagnati dalla ricostruzione attiva delle capacità 
  di intervento sociale dello stato, nella prospettiva della rapida creazione 
  di uno stato sociale europeo degno di questo nome. Da una simile scelta dipende 
  il tipo di civiltà che l'Europa intende offrire ai suoi cittadini.
  NOTE.
  N. 1. Un esempio: l'opuscolo stampato in Germania, a cura del ministero dell'Economia, 
  per giustificare la netta svolta neoliberale impressa dal cancelliere Schroeder 
  nell'estate del 1999 (riduzione della spesa pubblica di 16 miliardi di euro, 
  abbassamento delle imposte, blocco delle pensioni, deregolamentazione del lavoro, 
  restringimento delle garanzie sociali) reca in esergo l'appassionato grido di 
  Mark Wossner, amministratore delegato del conglomerato mediatico Bertelsmann: 
  «Un pezzo d'America, ecco la via da seguire per aumentare la prosperità 
  economica della Germania».
  N. 2. Confronta Economic Policy Institute, "Beware the US Model", 
  EPI, Washington 1995; C. N oble, "Welfare as We knew It. A Political History 
  of the American Welfare State", Oxford University Press, New York 1997, 
  p.p. 105-135.
  N. 3. Children's Defense Fund, "The State of America's Children", 
  Beacon Press, Boston 1998; L. Mishel, J. Bernstein, J. Schmidt, "The State 
  of Working America, 1996-1997", M. E. Sharpe, New York 1997, p.p. 304-307.
  N. 4. Su questa vera falsa-riforma, la più regressiva dal punto di vista 
  sociale promulgata da un governo democratico dopo la Seconda guerra mondiale, 
  L. Wacquant, "Les pauvres en pâture. La nouvelle politque de la misère 
  en Amérique", in «Hérodote» 85, primavera 1997, 
  p.p. 21-33. Si veda anche l'aspro giudizio espresso dal Premio Nobel per l'economia 
  Robert Solow nel suo "Work and Welfare", Princeton University Press, 
  Princeton 1998.
  N. 5. I dati, così come quelli del paragrafo precedente, sono tratti 
  da un importante articolo di Richard Freeman, economista di Harvard e direttore 
  del programma sul lavoro del National Bureau of Economic Research: R. Freeman, 
  "Le modèle économique américain à l'épreuve 
  de la comparaison", in «Actes de la recherche en sciences sociales», 
  124, settembre 1998, p.p. 36-48.
  N. 6. Confronta M. Morris, B. Western, "Inequality in Earnings at the Close 
  of the Twentieth Century", in «Annual Review of Sociology», 
  25, 1999, p.p. 623-657; S. Anderson et al., "A Decade of Executive Excess", 
  Institute for Policy Studies, Washington 1999, p.p. 3, 8. Sarah Anderson e i 
  suoi collaboratori affermano che se nel passato decennio il salario operaio 
  medio fosse aumentato in proporzione ai redditi dei dirigenti d'impresa, oggi 
  un operaio americano guadagnerebbe più di 110 mila dollari all'anno e 
  il minimo salariale supererebbe i 22 dollari all'ora (contro gli attuali 5,15).
  N. 7. D. Chalmers, "And the Crooked Places Made Straight. The Struggle 
  for Social Change in the 1960s", Temple University Press, Philadelphia 
  1991; J. T. Patterson, "Grand Expectations. The United States, 1945-1974", 
  Oxford University Press, Oxford 1996, in particolare p.p. 375-406, 637-677.
  N. 8. D. Dodge, a cura di, "A Nation without Prisons", Lexington Books, 
  Lexington 1975; su quel dibattito: N. Morris, "The Future of imprisonment", 
  The University of Chicago Press, Chicago 1974.
  N. 9. Salvo diversa indicazione, i dati statistici sono tratti da pubblicazioni 
  del Bureau of Justice Statistics del ministero federale della Giustizia (in 
  particolare dalle relazioni periodiche "Correctional Populations in the 
  United States", Government Printing Office, Washington).
  N. 10. Confronta Bureau of Tustice Statistics, "Criminal Victimization 
  in the Unites States, 1975-1995", Government Printing Office, Washington 
  1997. Per un'analisi più dettagliata: L. Wacquant, "Crime et châtiment 
  en Amérique de Nixon à Clinton", in «Archives de politique 
  criminelle», 20, primavera 1998, p.p. 123-138.
  N. 11. V. Schiraldi, J. Ziedenberg, J. Irwin, "America's One Million Nonviolent 
  Prisoners", Justice Policy Institute, Washington 1999; C. Wolf Harlow, 
  "Profile of Jail Inmates 1996", Bureau of Justice Statistics, Washington 
  1998; J. Irwin, J. Austin, "It's about Time. Amenca's Imprisonment Binge", 
  Wadsworth, Belmont 1997, p.p. 22-39.
  N. 12. Diana Gordon descrive assai bene una simile sinergia in "The Justice 
  Juggernaut Fighting Street Crime", Rutgers University Press, Brunswick 
  1991.
  N. 13. J. Petersilia, "Parole and Prisoner Reentry in the Unites States", 
  in M. Tonry, J. Petersilia, a cura di, "Understanding Prisons. Performance 
  and Policy Options", The University of Chicago Press, Chicago 2000.
  N. 14. M. Freeley, J. Simon, "The New Penology. Notes on the Emerging Strategy 
  of Corrections and its Implications", in «Criminology», 30, 
  4, novembre 1992, p.p. 449-474; T. Simon, "Poor Discipline Parole and the 
  Social Control of the Underclass, 1890-1990", The University of Chicago 
  Press, Chicago 1993.
  N. 15. Il complesso delle amministrazioni peniteniziarie dei cinquanta stati, 
  con l'aggiunta delle due imprese di lavoro a termine Manpower Inc. e Kelly Services, 
  si collocherebbe in quinta posizione.
  N. 16. S. Donziger, "The Real War against Crime", cit., p. 48.
  N. 17. R. Gangi, V. Shiraldi, J. Ziedenberg, "New York State of Mind? Higher 
  Education vs. Prison Funding in the Empire State, 1988-1998", Justice Policy 
  Institute, Washington 1998, p. 1.
  N. 18. La filosofia penale oggi dominante negli Stati uniti può essere 
  riassunta dalla seguente formula, assai in voga fra gli addetti ai lavori: «Fare 
  in modo che il prigioniero si senta un prigioniero» (W. Johnson et al., 
  "Getting Tough on Prisoners. Results from the National Corrections Executive 
  Survey, 1995", in «Crime and Delinquency», 43,1, gennaio 1997, 
  p.p. 25-26). Ne consegue la reintroduzione delle punizioni corporali, l'uso 
  di costringere i detenuti a spaccare pietre e ripulire i fossati, con tanto 
  di piede alla catena, uniforme a righe e capelli rapati, il divieto delle riviste 
  pornografiche, dei pesi e bilanceri, dei pacchi natalizi eccetera.
  N. 19. D. Burton-Rose, D. Pens, P. Wright, a cura di, "The Celling of America. 
  An Inside Look at the US Prison Industry", Common Courage Press, Monroe 
  1998, p.p. 102-131.
  N. 20. E. Lotke, "The Prison-Industrial Complex", in «Multinational 
  Monitor», 17, 1996, p. 22. L'espressione "not in my backyard" 
  (letteralmente «non nel mio giardino») e la relativa sigla NIMBY 
  traggono origine dai movimenti locali di lotta contro i fattori nocivi legati 
  all'industria e al commercio emersi durante gli anni settanta, sulla scia dello 
  sviluppo del movimento ecologista. In seguito, per estensione, saranno chiamate 
  a designare l'opposizione allo stabilirsi di qualsiasi elemento in grado di 
  minacciare la «qualità della vita» di un determinato luogo 
  (e i suoi valori immobiliari): fabbriche, deposito di autobus, discariche, ma 
  anche cliniche psichiatriche, case di accoglienza per senzatetto, centri di 
  disintossicazione eccetera.
  N. 21, Tale stima comunque non distingue fra «bianchi» wasp e di 
  origine ispanoamericana, aumentando meccanicamente il tasso dei «bianchi» 
  di origine europea, tanto più che i latinos rappresentano il gruppo il 
  cui tasso di carcerazione negli ultimi tempi è maggiormente cresciuto.
  N. 22. Titolo dell'importante libro di Jerome Miller, "Search and Destroy 
  African-American Males in the Criminal Justice System", Cambridge University 
  Press, Cambridge 1997.
  N. 23. M. Tonry, "Malign Neglect. 'Race, Crime and Punishment in America", 
  Oxford University Press, New York 1995, p. 105.
  N. 24. Nel 1998 la comunità afroamericana dello stato di New York contava 
  34800 propri membri nei penitenziari statali contro i 27900 studenti del campus 
  della State University of New York, mentre i latinos fomivano 22400 carcerati 
  e soltanto 17800 studenti (R. Gangi, V. Shiraldi, J. Ziedenberg, "New York 
  State of Mind? Higher Education vs. Prison Funding in the Empire State, 1988-1998", 
  cit., p. 3).
  N. 25. W. J. Chambliss, "Policing the Ghetto Underclass. The Politics of 
  Law and Law Enforcement", in «Social Problems», 41, 2, maggio 
  1994, p.p. 177-194.
  N. 26. D. Rothman, "The Discovery of the Asylum. Social Order and Disorder 
  in the New Republic", Little Brown, Boston 1971, p.p. 254-255.
  N. 27. B. Western, K. Beckett, "How Unregulated is the US Labor Market? 
  The Penal System as a Labor Market Institution", in «American Journal 
  of Sociology», 104, gennaio 1999, p.p. 1135-1172.
  N. 28. L. Wacquant, "De la «terre promise» au ghetto: la «Grande 
  Migration» noire américaine, 1916-1930", in «Actes de 
  la recherche en sciences sociales», 99, settembre 1993, p.p. 43-51; Kerner 
  Commission, "The Kerner Report. The 1968 Report of the national Advisory 
  Commission on Civil Disorders", Pantheon, New York 1989 (ed. or. 1968); 
  T. B. Edsall, M. D. Edsall, "Chain Reaction", W.W. Norton, New York 
  1991.
  N. 29. Nato in prigione (la madre, Afeni Shakur apparteneva al Black Panthers 
  Party) il coinventore del "gansta rap" ed eroe dei giovani del ghetto, 
  è morto nel 1996 a Las Vegas, crivellato di colpi durante un'imboscata 
  tesagli da una gang rivale. In precedenza era stato accusato di avere sparato 
  ad alcuni poliziotti e aveva scontato otto mesi di detenzione in seguito a una 
  condanna per violenza sessuale.
  N. 30. J. R. Lilly, P. Knepper, "The Corrections-Commercial Complex", 
  in «Crime and Delinquency», 39, 2, aprile 1993, p.p. 150-166; E. 
  Schlosser, "The Prison-Industrial Complex", in «The Atlantic 
  Monthly», 282, dicembre 1998, p.p. 51-77.
  N. 31. A. Kuhn, "Populations carcérales. Combien? Pourquoi? Que 
  faire?", in «Archives de politique criminelle», 20, primavera 
  1998, p.p. 47-99; P. Tournier, "The Custodial Crisis in Europe. Inflated 
  Prison Populations and Possible Alternatives", in «European Journal 
  of Criminal Policy and Research», 2, 4, 1994, p.p. 89-110; nonché 
  le cronache dello stesso autore che compaiono regolarmente sul «Bullettin 
  d'information pénologique» del Consiglio d'Europa.
  N. 32. Administration pénitentiaire, "Rapport annuel d'activité 
  1996", Ministère de la justice, Paris 1997, p. 14.
  N. 33. P. Tournier, "La population des prisons est-elle condamnée 
  à croître?", in «Sociétés et représentations», 
  3, novembre 1996, p.p. 321-332.
  N. 34. T. Godefroy, "Mutation de l'emploi et recomposition pénale", 
  Cesdip, Paris 1998, p.p. 16-17; si veda anche T. Godefroy, B. Laffargue, "Changements 
  économiques et répression pénale", Cesdip, Paris 1995.
  N. 35. Il Reddito minimo d'inserimento (R.M.I.), esempio della nuova politica 
  della miseria sviluppatasi in Francia alla fine degli anni ottanta, conosce 
  un forte sviluppo. In dieci anni, infatti, il numero dei beneficiari è 
  cresciuto di 2,8 volte e il totale dei crediti si è quintuplicato.
  N. 36. G. Rusche, O. Kircheimer, "Pena e struttura sociale", il Mulino, 
  Bologna 1984 (ed. or. 1939); T. Chincos, M. Delone, "Labor Surplus and 
  Punishment. A Review and Assessment of Theory and Evidence", in «Social 
  Problems», 39, 4, 1992, p.p. 421-446.
  N. 37. S. Snacken, K. Beyens, H. Tubex, "Changing Prison Populations in 
  Western Countries. Fate or Policy?", in «European Journal of Crime, 
  Criminal Law and Criminal Justice», 3, 1,1995, p.p. 18-53, in particolare 
  p.p. 28-29.
  N. 38. B. Aubusson de Cavarlay, "Hommes, peines et infractions", in 
  «Année sociologique», 35, 1985, p. 293. A prescindere dalla 
  designazione giuridica del reato commesso, la carcerazione colpisce «quasi 
  una volta su due i disoccupati, una su sette gli operai, una su trenta i datori 
  di lavoro: per l'ammenda vale esattamente il contrario» (ivi, p.p. 291-292). 
  In Francia, la percentuale dei detenuti senza impiego è valutata nei 
  seguenti termini: il 26 percento di coloro di cui si è potuto determinare 
  la situazione occupazionale hanno dichiarato di essere disoccupati (il 18 percento 
  ha esercitato un'attività, il 6 percento non ha mai avuto un lavoro): 
  se si avanza la ragionevole ipotesi che il 40 percento dei restanti carcerati 
  sono disoccupati nella stessa proporzione di un quarto, otterremo un 10 percento 
  in più di prigionieri senza impiego, ai quali si deve aggiungere una 
  parte del restante 5 percento (formato da studenti, militari, casalinghe eccetera). 
  Ne deriverebbe una stima che, come minimo, si attesterebbe sul 35 percento. 
  Se la metà dei cosiddetti «indeterminati» risultassero senza 
  lavoro, il tasso si avvicinerebbe al 50 percento. (I dati provengono dallo Schedario 
  nazionale dei prigionieri e mi sono stati gentilmente comunicati da Annie Kensey, 
  demografa dell'Amministrazione penitenziaria.) Una ricerca qualitativa condotta 
  nella regione Provence-Alpes-Côte d'Azur ha rivelato che il 50 percento 
  dei detenuti era disoccupato al momento della loro messa sotto chiave (J.-P. 
  Jean, "L'inflation carcérale", in «Esprit», 215. 
  ottobre 1995, p.p. 117-131).
  N. 39. R. Morgan, "Imprisonment. Current Concern and a Brief History since 
  1945", in "The Oxford Handbook of Criminology", Oxford University 
  Press, Oxford 1997, p. 1161.
  N. 40. E. Cashmore, E. McLaughlin, a cura di, "Out of Order? Policing Black 
  People", Routledge, London 1991; J. H. Smith. "Race, Crime and Criminal 
  Justice", in "The Oxford Handbook of Criminology", Oxford University 
  Press, Oxford 1993, p.p. 703-759; e i capitoli di D. J. Smith (sull'Inghilterra), 
  H.-J. Albrecht (sulla Germania) e J. Junger-Tas (sull'Olanda) in M. Tonry, a 
  cura di, "Ethnicity, Crime and Immigration. Comparative and Cross-National 
  Perspectives", The University of Chicago Press, Chicago 1997, p.p. 101-182, 
  31-99, 257-310.
  N. 41. F Brion, A. Rihoux, F. de Conick, "La surpopulation et l'inflation 
  carcérales", in «La Revue Nouvelle», 109, 4, aprile 
  1999, p.p. 48-66.
  N. 42. P. Tournier, "La délinquance des étrangers en France. 
  Analyse des statistiques pénales", in S. Palidda, a cura di, "Délit 
  d'immigration / Immigration Delinquency", Commission européenne, 
  Bruxelles 1996, p. 158.
  N. 43. Secondo la distinzione idealtipica introdotta da C. Faugeron, "La 
  dérive pénale", in «Esprit», 215, ottobre 1995, 
  p.p. 132-144.
  N. 44. J.-P. Perrin-Marin, "La rétention", L'Harmattan, Paris 
  1996; per una comparazione fra la Francia, il Regno unito, la Germania e gli 
  Stati uniti, si veda il numero 23 (1996) della rivista «Culture et conflits», 
  dedicata al tema "Circuler, enfermer, éloigner. Zone d'attente et 
  centres de rétention des démocraties occidentales".
  N. 45. L. Vanpaeschen, "Barbelés de la honte", Luc Pire, Bruxelles 
  1998; F. Brion, "Chiffrer, déchiffrer. Incarcération des 
  étrangers et construction sociale de la criminalité des immigrés 
  en Belgique", in S. Palidda, a cura di, "Délit d'immigration 
  / Immigrant Delinquency", cit., p.p. 163-223.
  N. 46. S. Palidda, "La construction sociale de la déviance et la 
  criminalité parmi les immigrés. Le cas italien", in Id., 
  a cura di, "Délit d'immigration / Immigrant Delinquency", cit., 
  p.p. 23 1-266.
  N. 47. D. Bigo, "L'Europe des polices et la sécurité intérieure", 
  Complexe, Bruxelles 1992; Id., "Sécurité et immigration: 
  vers une gouvernamentalité de l'inquiétude?", in «Cultures 
  et conflits», 31-32, autunno 1998, p.p. 13-38.
  N. 48. N. Christie, "Suitable Enemy", in H. Bianchi, R. van Swaaningen, 
  a cura di, "Abolitionism. Toward a Non-Repressive Approach to Crime", 
  Free University Press, Amsterdam 1986.
  N. 49. Sul processo di criminalizzazione dei migranti si vedano i lavori comparativi 
  raccolti in A. Dal Lago, a cura di, "Lo straniero e il nemico. Materiali 
  per l'etnografia contemporanea", Costa & Nolan, Genova 1998; il numero 
  speciale di «Rassegna italiana di sociologia» (1, 1999) su "Etnografia 
  delle migrazioni" e il numero degli «Actes de la recherche en sciences 
  sociales» (129, settembre 1999) su "Délit d'immigration". 
  Sul caso olandese: G. Engbersen, "In de schaduw van morgen. Stedelijke 
  marginaliteit in Nederland", Boom, Arnsterdam 1997; su quello tedesco M. 
  Kubink, "Verständnis und bedeutung von Ausländerkriminalität. 
  Eine analyse der Konstitution sozialer probleme", Centaurus, Pfaffenweiler 
  1993. L'espressione «sottobianco» è tratta da A. Réa, 
  "Immigration et racisme en Europe", Complexe, Bruxelles 1998 (che 
  a sua volta la prende dal gruppo rap francese IAM).
  N. 50. N. Christie, "Crime Control as Industry. Toward Gulags, Western 
  Style", Routledge, London 1994 (seconda edizione ampliata), p. 69. Per 
  il caso britannico si veda anche S. Box, "Recession, Crime and Punishment", 
  MacMillan, London 1987, in particolare il quarto capitolo, dal titolo «The 
  State and 'Problem Populations'».
  N. 51. N. Christie, "Crime Control as Industry. Toward Gulags, Western 
  Style", cit., p. 66-67; le cifre sugli altri paesi europei sono tratte 
  da P. Tournier, "Statistiques pénales annuelles du Conseil d'Europe. 
  Enquête 1997", Strasbourg 2000.
  N. 52. P. Tournier, "Inflation carcérale et surpeuplement des prisons", 
  Conseil de l'Europe, Strasbourg 2000, tavole 1.1, 2.3, 4. Sul sovraffollamento 
  carcerario, e le relative conseguenze, in Italia, Grecia e Olanda: V. Stern, 
  "Mass Incarceration. A Sin against the Future?", in «European 
  Journal of Criminal Po]icy and Research», 3, 1996, p.p. 9-12.
  N. 53. M. Guillonneau, A. Kensey, P. Mazuet, "Densité de population 
  carcérale", in «Cahiers de démographie pénitentiaire», 
  4, settembre 1997.
  N. 54. Administration pénitentiaire, "Rapport annuel d'activité 
  1996", cit., p. 113.
  N. 55. R. Morgan, "Tortures et traitements inhumains ou dégradants 
  en Europe: quelques données, quelques questions", in C. Faugeron, 
  A. Chauvenet, P. Combessie, a cura di, "Approches de la prison", DeBoeckUniversité. 
  Bruxelles 1997, p.p. 323-347; si veda anche il resoconto dell'indagine sul campo 
  del Comitato per la prevenzione della tortura, steso dal suo primo presidente: 
  A. Cassese, "Umano-Disumano. Commissariati e prigioni nell'Europa di oggi", 
  Laterza, Bari-Roma 1994.
  N. 56. Diversità sottolineata in C. Faugeron, a cura di, "Les politiques 
  pénales", La documentauon française, Paris 1992; si veda 
  anche J. Muncie, R. Sparks. a cura di, "Imprisonment: European Perspectives", 
  Harvester Wheatshesf, Hempstead 1991. La crescita degli effettivi incarcerati, 
  per fare un esempio, non esclude lo sviluppo del ricorso alla conciliazione 
  e alla mediazione penale così come gli sforzi di depenalizzazione (di 
  diritto o di fatto) e di accresciuta individualizzazione delle pene. Allo stesso 
  modo delle politiche sociali, le politiche penali non sono monolitiche e nella 
  loro evoluzione integrano tendenze spesso divergenti se non addirittura contraddittorie.
  N. 57. In Francia, per esempio, «nonostante nei discorsi ufficiali si 
  sottolinei sempre la missione di reinserimento svolta dall'amministrazione penitenziaria, 
  a prevalere è sempre più la separazione e la reclusione» 
  (A.-M. Marchetti, "Pauvreté et trajectoire carcérale", 
  in C. Faugeron, A. Chauvenet, P. Combessie, a cura di, "Approches de la 
  prison", cit., p. 197). Sull'inasprimento delle politiche penali in Francia, 
  Belgio, Inghilterra e Olanda: S. Snacken. K. Beyens, H. Tubex, "Changing 
  Prison Populations in Western Countries: Fate or Polic?", cit., p.p. 34-36.
  N. 58. R. van Swaanigen, G. de Jonge, "The Dutch Prison System and Penal 
  Policy in the 1990s. From Humanitarian Paternalism to Penal Business Management", 
  in V. Ruggiero, M. Ryan, J. Sim, a cura di, "Western European Penal System. 
  A Critical Anatomy", Sage, London 1995, p.p. 24-45. Un'analoga deriva è 
  osservabile nel caso delle Svezia, antico modello di penalità dal volto 
  umano (confronta K. Leander, "The Normalization of the Swedish Prison", 
  in ivi p.p. 169-193).
  N. 59. D. D. Downes, "Contrasts in Tolerance. Post-War Penal Policy in 
  the Netherlands and England and Wales", Clarendon Press, Oxford 1988.
  N. 60. Il processo di «trattamento penale del sociale» è 
  particolarmente evidente nel caso belga, a causa dell'impatto della congiuntura 
  favorevole a una svolta punitiva su una realtà caratterizzata da un deficit 
  di legittimità del potere centrale e della devoluzione a livello regionale 
  e comunale di competenze legate alla protezione collettiva: Y. Cartuyvels, L. 
  Van Campenhoudt, "La douce violence des contrats de sécurité" 
  in «La revue nouvelle», 105, marzo 1995, p.p. 49-56; Id., "Insécurité 
  et prévention en Belgique. Les ambigüités d'un modèle 
  «global-integré» entre concertation partenariale et integration 
  verticale", in «Déviance et société», 
  20, 2, 1996; P. Mary, a cura di, "Travail d'intérêt général 
  et médiation pénale. Socialisation du pénal ou pénalisation 
  du soccial?", Bruylant, Bruxelles 1997.
  N. 61. Sulla base delle affermazioni riportate in «Le Monde», 15 
  luglio 1999, e verificate presso il Collectif informatique, fichiers et citoyenneté.
  N. 62. Notiamo, per inciso, che la gestione dei dossier sugli stranieri in situazione 
  irregolare è stata notevolmente informatizzata nell'ottobre 1997, senza 
  peraltro che si sappia con precisione la tipologia, il tempo di conservazione 
  e gli usi dei dati disponibili.
  N. 63. Lo si può arguire dal precedente americano. Negli Stati uniti, 
  con il Budget Reduction Act del 1984, la connessione degli schedari dei comparti 
  amministrativi incaricati di gestire il sostegno sociale, l'assistenza medica, 
  le imposte (sul reddito e gli immobili) e le pensioni è stata posta come 
  condizione per l'ottenimento, da parte degli stati, dei crediti federali per 
  l'assistenza agli indigenti (G. T. Marx, "Undercover Police Surveillance 
  in America", California University Press, Berkeley 1988, p. 210).
  N. 64, "Interconns des fichiers: les nouveaux alchimistes", in «Hommes 
  et libertés, 102, 1999, p. 16.
  N. 65. Si vedano, rispettivamente: Onderzoekscommissie, "Het Recht op Bjstand", 
  Vuga, The Hague 1993; P. Bernini, G. Engbersen, "Koppeling en uitsluiting. 
  Over de ongwenste en onbedoelde gevolgen van de koppelingswe"t, in «Nederlands 
  Juristenblad», 74, 1998, p.p. 65-71.
  N. 66. R. Engbersen, "Nederland aan de monitor", Dutch Institute for 
  Care and Welfare, Utrecht 1997.
  N. 67. M. Foucault, "Omnes et singulatim. Vers une critique de la raison 
  politique" in Id., "Dits et écrits", IV, Gallimard, Paris 
  1994, p.p. 134-161.
  N. 68. Si tratta del rapporto di C. Lazergues, J.-P. Balduyck, "Réponses 
  à la délinquance des mineurs", cit.
  N. 69. Il ministro della Sanità prosegue affermando: «Ma vi ricordo 
  che abbiamo fatto della sicurezza, della sicurezza del cittadino, una delle 
  notre bandiere, un punto qualificante della nostra linea politica. Lionel Jospin 
  ne ha parlato spesso. E' necessario garantire la sicurezza, ma lo si potrà 
  fare - come ha più volte ripetuto il Primo ministro - solo capendo che 
  cosa sta succedendo. "Non abbiamo a che fare con dei nemici"» 
  (servizio di trascrizione del canale televisivo T.F.1; corsivi di L. W.). E' 
  opportuno notare l'uso eufemistico dell'aggettivo «cittadino», spesso 
  chiamato in causa nei più diversi ambiti per dare una riverniciata democratica 
  e progressista a provvedimenti e politiche - in questo caso la distribuzione 
  ineguale delle forze dell'ordine «a favore» delle zone urbane che 
  subiscono maggiormente gli effetti del ridimensionamento dell'impegno economico 
  e sociale dello stalo - che al di là delle intenzioni dei proponenti 
  si rivelano intrinsecamente inegualitari nell'applicazione e nei risultati. 
  (Sulla stessa linea, una delle possibili traduzioni del termine angloamericano 
  «workfare» potrebbe essere «salario cittadino», visto 
  che la sua giustificazione risiede nell'esigenza di ricondurre il destinatario 
  dell'assistenza sociale alla comunità civica del lavoratori, sia pure 
  precari.)
  N. 70. "Madamme Gulgou estime qu'il faut combiner répressif et éducatif", 
  in «le Monde», 19 gennaio 1999. Le motivazioni educative rappresentano 
  lo scontato alibi a cui ricorre un sedicente partito di sinistra (il P.S.) per 
  giustificare l'estensione dei mezzi e delle prerogative a disposizione dell'apparato 
  penale per procedere alla gestione della miseria. L'educazione a cui si fa riferimento, 
  in realtà, non svolge alcuna funzione preventiva (se non rispetto alla 
  recidiva) in quanto viene attivata dopo la condanna e sotto controllo giudiziario, 
  a prescindere dall'effettiva detenzione. Un'autentica attività di prevenzione, 
  diversamente, dovrebbe passare per la Pubblica istruzione, collocandosi quindi 
  a monte della deriva delinquenziale. Ciò esigerebbe tuttavia investimenti 
  ben superiori, e avrebbe senza dubbio una ricaduta mediatica di minor impatto.
  N. 71. In «Libération», 4 gennaio 1999, p. 2.
  N. 72. Confronta J. Duval, C. Gaubert, F. Lebaron, D. Marchetti, F. Pavis, "Le 
  «Décembre» des intellectuels français", Raison 
  d'agir, Paris 1998.
  N. 73. R. Debray et al., "Républicains, n'ayons pas peur!", 
  cit., p. 13. Sul tropo della minaccia ["jeopardy"]: A. O. Hirschman, 
  "Retoriche dell'intransigenza. Perversità, futilità, messa 
  a repentaglio", il Mulino, Bologna 1991.
  N. 74. Lo stesso Nixon aveva tratto la retorica del "Law and Order" 
  dai politici segregazionisti degli stati del Sud, che a loro volta la avevano 
  elaborata nel decennio precedente, per meglio procedere alla repressione del 
  movimento di rivendicazione dei diritti civili dei neri.
  N. 75. «Constatare che i quartieri con maggiori problemi di violenza sono 
  quelli in cui l'immigrazione clandestina è più diffusa significa 
  forse cedere alle sirene del razzismo?» chiedono Régis Debray e 
  gli altri firmatari, come per assicurarsi che il lettore abbia ben chiaro chi 
  sono i principali fautori del disordine (repubblicano). In realtà alla 
  domanda non si può nspondere che in maniera affermativa, in quanto si 
  ha a che fare con una «constatazione» fondata su una proiezione 
  fantasmatica. In primo luogo, infatti, non esiste alcuna statistica attendibile 
  sull'immigrazione irregolare - e ancor meno dati scorporati per aree geografiche 
  - visto che il fenomeno per definizione tende a sfuggire alle quantificazioni 
  ufficiali. Inoltre, in Francia, la cartografia della povertà urbana e 
  quella dell'immigrazione non coincidono affatto. Così come non si sovrappongono 
  quelle della vio1enza e della povertà. Sulla base dei dati INSEE, i quartieri 
  più degradati a livello economico e di habitat non sono affatto quelli 
  più «colorati» di immigrati (più o meno irregolari), 
  né i più soggetti ad atti di delinquenza o a esplosioni di violenza 
  collettiva. Prima di fare certe affermazioni, quindi, sarebbe meglio tenere 
  conto di indicatori affidabili, anziché affidarsi ai titoli a cinque 
  colonne dei quotidiani o alle impressioni del telespettatore (Confronta N. Lenoir, 
  C. Guignard-Hamon, N. Smadja, "Bilan/perspectives des contrats de plan 
  de développement social des quartiers", La documentation française, 
  Paris 1989; OCDE, "An Exploratory Quantitative Analysis of Urban Distress 
  in OCDE Countries", OCDE, Paris 1997).
  N. 76. In Francia, i condannati per questioni di droga sono la categoria più 
  numerosa fra i detenuti già giudicati. Rappresentano il 20 percento della 
  popolazione carceraria, e la loro percentuale è cresciuta continuamente 
  nel corso degli ultimi quindici anni (A. Kensey, P. Mauzet, "Analyse conjoncturelle 
  de la population détenue", in «Cahiers de démographie 
  pénitentiaire», 3, maggio 1997, p. 4).
  N. 77. H. Tubex, S. Snacken, "L'évolution des longues peines de 
  prison. Sélectivité et dualisation", in C. Faugeron, A. Chauvenet, 
  P. Combessie a cura di, "Approches de la prison", cit., p.p. 221-224.
  N. 78. Si potrebbe attirare l'attenzione di Debray e degli altri firmatari su 
  qualche recente condanna, che potrebbe incrinare il mito dell'impunità 
  totale e permanente. In seguito agli incidenti verificatisi a Strasburgo la 
  notte di San Silvestro del 1998, un giovane non pregiudicato si è preso 
  otto mesi di prigione, di cui quattro da scontare, per il semplice tentativo 
  d'incendio di un furgone a Schweighouse-sur-Moder; un altro dieci mesi, di cui 
  la metà da scontare, per aver rotto il vetro di un airbus e dato una 
  testata a un poliziotto a Koenigshoffen. Dopo gli incidenti di place de la Nation 
  che punteggiarono la manifestazione degli studenti del 15 ottobre 1998, un giovane 
  di ventisette anni, arrestato in un negozio di telefonia saccheggiato e trovato 
  in possesso di un cellulare rubato in un altro negozio e di una carta d'identità 
  presa da un'auto, si è visto comminare una condanna a dieci mesi da scontare 
  integralmente in quanto è stato definito «un delinquente che resta 
  delinquente». Nella stessa occasione, una ragazza di diciotto anni che 
  si era limitata a raccogliere alcuni pacchetti di sigarette dal marciapiede 
  dopo il saccheggio di un labaccaio, si è presa due mesi con la condizionale. 
  Come si può vedere, non si trattava certo di reati «fra i più 
  micidiali».
  N. 79. J. Junger-Tas et al., "Delinquent Behavior Among Young People in 
  the Western World. First Results of the International Self-Report Delinquent 
  Sludy", Kugler, Amsterdam-New York 1994; M. Killias, "La criminalisation 
  de la vie quotidienne et la politisation du droit pénal", in «Revue 
  de droit suisse», 114,1995, p.p. 369-449.
  N. 80. M. Ryan, "Prison Privatization in Europe", in «Overcrowded 
  Times», 7, 2, aprile 1996, p.p. 16-18; Id., "Private Prison", 
  in «The Manchester Guardian», 26 agosto 1998. Nel Regno unito, come 
  negli Stati uniti, il trattamento della delinquenza giovanile fin dalla fine 
  del diciannovesimo secolo è ampiamente affidato a operatori privati o 
  del terzo settore.
  N. 81. W. Ludwig-Mayerhoffer, "The Public and Private Sectors in Germany. 
  Rethinking Developments in German Penal Control", in «International 
  Journal of the Sociology of Law», 24,1996, p.p. 273-290.
  N. 82. K. Dixon, "Les évangélistes du marché", 
  cit.
  N. 83. Prison Service, "Research Report n. 5", London, 1998; R. Morgan, 
  "Imprisonment: Current Concerns and a Brief History since 1945", cit., 
  p.p. 1137-1194.
  N. 84. D. McDonald, "Public Imprisonment by Private Means. The Re-Emergence 
  of Private Prison and Jails in the Unifed States, the United Kingdom and Australia", 
  in «British Journal of Criminology», 34, 1994.
  N. 85. B. Williams, "The US New Right and Corrections Policy. The British 
  Example", in «The Social Worker/Le travailleur social», 64, 
  3, autunno 1996, p.p. 49-56.
  N. 86 Il «clima penale» britannico, caratterizzato nell'ultimo decennio 
  da una deriva repressiva e penitenziaria particolarmente marcata, è descritto 
  da un autorevole esperto come un «ritorno all'atteggiamento severo tipico 
  dell'ideologia penale (e della legislazione sulla miseria) del diciannovesimo 
  secolo»: R. Sparks, "Penal «Austerity». The Doctrine 
  of Less Eligibility Reborn?", in R. Matthews, P. Francis, a cura di, "Prison 
  2000", MacMillan, London 1996, p.p. 74-93. La regressione a una penalità 
  di tipo vittoriano si accompagna alla regressione sociale e si nutre del sentimento 
  collettivo d'inquietudine e risentimento provocato dal deterioramento delle 
  condizioni di vita della classe operaia e dall'accentuarsi delle diseguaglianze.
  N. 87. Ambito nel quale si distingue la Francia, in quanto nel momento in cui 
  la mendicità come reato scompare dal nuovo Codice penale, nel 1994, aumentano 
  decisamente gli arresti municipali volti a reprimerla: J. Damon, a cura di, 
  "Les S.D.F.", La documentation française, Paris 1996, p.p. 
  20-21; Id., "La grande pauvreté. La tentation d'une rue aseptisée", 
  in «Informations sociales», 60, 1997, p.p. 94-101.
  N. 88. D. Garland, "The Limits of the Sovereign State. Strategies of Crime 
  Control in Contemporary Society", in «The British Journal of Criminology», 
  36, 4, autunno 1997, p.p. 445-471; Id., "Les contradictions de la société 
  punitive. Le cas britannique", in «Actes de la recherche en sciences 
  sociales», 124, settembre 1998, p.p. 49-67. Come nota Claude Faugeron, 
  nella maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale «il penale ha assunto 
  sempre più un carattere polivalente, configurandosi come dispositivo 
  di gestione dei rischi individuali e sociali». Inoltre, all'interno del 
  ventaglio di possibili risposte penali, «il carcere si pone come riferimento 
  obbligato e prioritario, tanto da trasformarsi nel modo abituale per affrontare 
  i disordini sociali» (C. Faugeron, "La dérive pénale", 
  cit., p. 133,134).
  N. 89 A parere di Robert Walker, si tratterebbe di un sistema di welfare settoriale 
  e stigmatizzante più simile a quello in vigore negli Stati uniti che 
  al modello quasi universale di protezione sociale tipico dei paesi dell'Europa 
  occidentale (R. Walker, "The Americanization of British Welfare. A case 
  Study of Policy Transfer", in «Focus», 123,1998).
  N. 90. W. Young, M. Brown, "Cross-National Comparisons of Imprisonment", 
  in M. Tonry, a cura di, "Crime and Justice. A Revieu, of Research", 
  The University of Chicago Press, Chicago 1995. Secondo una ricerca ancora in 
  corso, le differenze fra i tassi di carcerazione dei vari paesi sarebbero dovute 
  sia al livello delle ineguaglianze economiche, sia al funzionamento delle istituzioni 
  politiche nazionali: D. Greenberg, "Punishment, Division of Labor and Social 
  Solidarity", comunicazione al Congresso mondiale dell'International Sociological 
  Association, luglio 1998).
  N. 91. B. Western, K. Beckett, D. Harding, "Le marché du travail 
  et le système pénal aux Etats-Unis", in «Actes de la 
  recherche en sciences sociales», 124, settembre 1998, p.p. 27-35; Id., 
  "How Unregulated is the US Labor Market?", cit.
  N. 92. A.-M. Marchetti, "Pauvretés en prison", Cérès, 
  Ramonville Saint-Ange 1997, in particolare p.p. 129-165.
  N. 93. Ead., "Pauvreté et trajectoire carcérale", in 
  C. Faugeron, A. Chauvenet, P. Combessie, a cura di, "Approches de la prison, 
  cit., p. 197; Ead., "Pauvretés en prison", cit., p.p. 185-205.
  N. 94. M. Guilloneau, A. Kensey, P Mazuet, "Les ressources des sortants 
  de prison", in «Cahiers de démographie pénitentiaire», 
  5, febbraio 1998.
  N. 95. Confronta T. Bunyan, a cura di, "State watching the New Europe", 
  Statewatch, London 1993; J.-C. Monet, "Polices et sociétés 
  en Europe", La documentation française, Paris 1993; M. Anderson, 
  a cura di, "Policing the European Union", Clarendon Press, Oxford 
  1995; J. Sheptycki, "Transnationalism, Crime Control and the European State 
  System", in «International Criminal Justice Review», 7, 1997, 
  p.p. 130-140.
  N. 96. D. Bigo, "Polices en réseaux. L'expérience européenne", 
  Presses de Sciences-po, Paris 1996, p.p. 12, 327; Id., a cura di, "L'Europe 
  des polices ef de la sécurité intérieure", Complexe, 
  Bruxelles 1992; M. Anderson et al., "Policing the European Union. Theory,Law 
  and Practice", Clarendon Press, Oxford 1995.
  N. 97. Confronta A. Kuhn, "Populations carcérales. Combien? Pourquoi? 
  Que faire?", cit., p.p. 63-71; S. Snacken, K. Beyens, H. Tubex, "Changing 
  Prison Populations in Western Countries: Fate or Policy?", cit.. p.p. 3 
  7 -37. La politica di decarcerizzazione intrapresa in Germama è ben descritta 
  in: J. Feest, "Reducing the Prison Population in West German Experience", 
  in J. Muncie, R. Sparks, a cura di, "Imprisonment. European Perspectives", 
  cit., p.p. 131-145. Sulle cause politiche e culturali del decremento penitenziario 
  avvenuto in Finlandia: N. Christie, "Eléments de géographie 
  pénale", in «Actes de la recherche en sciences sociales», 
  124, settembre 1998, p.p. 68-74.
  N. 98. M. Mauss, "Les civilisations. Elements et formes", in Id., 
  "Oeuvres", II, "Répresentations collectives et diversité 
  des civilisations", Minuit, Paris 1968, p. 470. Confronta la dimostrazione 
  di Pierre Tournier per quanto riguarda il caso francese: P Tournier, "La 
  populations des prisons est-elle condamnée à croître", 
  cit; in una prospettiva internazionale: N. Christie, "Eléments de 
  géographie pénale", cit.
  N. 99. David Garland lo dimostra chiaramente per quanto riguarda l'Inghilterra 
  vittoriana: D. Garland, "Punishment and Welfare. A History of Penal Strategies", 
  Gower, Aldershot 1985.
  N. 100. P. van Parijs, "Refonder la solidarité", Cerf, Paris 
  1996. I lavori del BIEN (Basic Income European Net vork) mostrano come l'instaurazione 
  di un «reddito di cittadinanza» incondizionato sia possibile dal 
  punto di vista fiscale, efficiente a livello economico e desiderabile dal punto 
  di vista civile e morale. L'unico autentico ostacolo sarebbe quindi la miopia 
  e l'assenza di volontà politica.

