La valutazione dei costi sociali e umani che il sistema di insicurezza sociale statunitense offre al mondo intero come modello non è tuttavia sufficiente. E' infatti necessario tenere nel dovuto conto il suo complemento socio-logico, ossia l'ipertrofico sviluppo delle istituzioni che suppliscono alle carenze di protezione sociale ["safety net"] dispiegando nelle regioni inferiori dello spazio sociale un reticolo poliziesco e penale ["dragnet"] dalle maglie sempre più strette e solide. Infatti, "all'atrofia deliberata dello stato sociale corrisponde l'ipertrofia dello stato penale": la miseria e il deperimento dell'uno hanno per effetto diretto e necessario lo sviluppo e l'insolente prosperità dell'altro. In particolare, cinque tendenze di fondo caratterizzano l'evoluzione della politica penale degli Stati uniti a partire dalla svolta nelle politiche sociali e razziali delineatasi alla fine degli anni settanta, come reazione alle domande di democraticizzazione avanzate dall'insubordinazione dei neri e dai movimenti che si erano sviluppati in seguito (studenti, opposizione alla guerra in Vietnam, donne, ecologisti, beneficiari delle sovvenzioni sociali) (7).
1. L espansione verticale del sistema.
La prima tendenza rimanda alla crescita esponenziale della popolazione detenuta 
  nei tre comparti in cui si articola l'apparato carcerario americano: prigioni 
  urbane o di contea, statali e federali. Durante gli anni sessanta, la demografia 
  penitenziaria del paese si era progressivamente orientata al ribasso, tanto 
  che nel 1975 il numero dei detenuti era sceso a 380 mila unità, al termine 
  di una lenta ma regolare tendenza alla diminuzione della popolazione carceraria 
  stimabile intorno all'1 percento annuo. In quel tempo, assai ampio era il dibattito 
  sulla «decarcerizzazione» e le pene sostitutive, che avrebbero riservato 
  la reclusione soltanto ai «casi pericolosi» (ossia al 10 o 15 percento 
  dei criminali). Si arrivò persino a parlare di crepuscolo dell'istituzione 
  carceraria. Il titolo di un libro, "A Nation without Prison", è 
  assai eloquente nell'esprimere il clima utopistico che in quel tempo regnava 
  fra i criminologi (8). In breve, tuttavia, la curva della popolazione carceraria 
  si sarebbe invertita: dieci anni più tardi, le persone incarcerate raggiungevano 
  la cifra di 740 mila, che aumentava a 1,5 milioni nel 1995, sfondando il tetto 
  dei 2 milioni nel 1998, in forza di un tasso di crescita annua valutabile intorno 
  all'8 percento (9). Per dare un'idea delle dimensioni del fenomeno, si potrebbe 
  notare come la popolazione carceraria complessiva degli Stati uniti costituirebbe, 
  per numero di abitanti, la quarta città del paese.
  Il fatto che nel corso degli ultimi quindici anni la popolazione carceraria 
  degli Stati uniti sia triplicata non ha precedenti in nessuna società 
  democratica, tanto più che è avvenuto in un periodo caratterizzato 
  da un andamento costante, e poi decrescente, della criminalità (10). 
  Gli Stati uniti, infatti, si collocano decisamente al primo posto fra i paesi 
  avanzati per quanto riguarda il tasso di carcerazione - che si aggirava nel 
  1997 intorno ai 650 detenuti ogni 100 mila abitanti - che risulta fra le sei 
  e le dodici volte superiore a quello dei paesi dell'Unione europea. Trent'anni 
  fa, la differenza era espressa da un rapporto tre a uno (confronta tabella 1). 
  Solo la Russia, il cui tasso di carcerazione è raddoppiato dopo il crollo 
  dell'impero sovietico attestandosi a 750/100 mila, è oggi in grado di 
  contendere agli Stati uniti il titolo di campione del mondo della detenzione.
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  Tabella 1. La carcerazione negli Stati uniti e nell'Unione europea (1997).
Paesi - Popolazione carceraria - Tassi ogni 100 mila abitanti.
Stati Uniti: 1.785.079 = 648.
  Portogallo: 14.634 = 145.
  Inghilterra-Galles: 68.124 = 120.
  Spagna: 42.827 = 113.
  Germania: 74.317 = 90.
  Francia: 54.442 = 90.
  Paesi Bassi: 13.618 = 87.
  Italia: 49.477 = 86.
  Austria: 6.946 = 86.
  Belgio: 8.342 = 82.
  Danimarca: 3.299 = 62.
  Svezia: 5.221 = 59.
  Grecia: 5.577 = 54.
Fonti: per gli Stati uniti, Bureau of Justice Statistics, "Prison and 
  Jail Inmate at Mid-Year 1998", Government Printing Office, Washington, 
  marzo 1999: per l'Unione europea, Pierre Tournier, "Statistiques pénales 
  annuelles du Conseil de l'Europe, Enquête 1997", Conseil de l'Europe, 
  Strasbourg 1999.
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[In California, in passato stato leader nel campo dell'educazione e della sanità e oggi pienamente riconvertito al pancarcerario, il numero dei detenuti nelle sole prigioni statali è passato da 17300 nel 1975 a 48300 nel 1985, raggiungendo quota 160 mila tredici anni dopo. Se a tale cifra si aggiungono gli «ospiti» degli altri penitenziari - come per esempio di quello della contea di Los Angeles, il più grande centro di detenzione del mondo, in grado di contenere 23 mila persone - si raggiunge la cifra enorme di 200 mila detenuti, ossia quattro volte la popolazione carceraria della Francia, in relazione a 33 milioni di abitanti. Nonostante nel corso degli anni ottanta il "Golden State" abbia dispiegato «il più grande programma di edilizia carceraria della storia» (secondo le parole del governatore), inaugurando nel corso di un decennio ventuno penitenziari, gli istituti di pena continuano a versare in uno stato di sovraffollamento allarmante, con presenze doppie rispetto a quanto previsto. Un recente rapporto dell'amministrazione penitenziaria, per esempio, paragona le condizioni di detenzione californiane a quelle che vigevano ad Attica prima della sanguinosa rivolta del 1972, che fece di quel nome il simbolo mondiale della brutalità carceraria].
La crescita esponenziale dei detenuti, in California come nel resto degli Stati uniti, può essere in gran parte spiegata con la stretta repressiva nei confronti della piccola delinquenza e dei tossicodipendenti. Le carceri americane, infatti, contrariamente a quanto sostiene la vulgata politico-mediatica dominante, sono piene zeppe non di criminali pericolosi e incalliti ma di piccoli delinquenti condannati per questioni di droga, taccheggio, furti o addirittura disturbo della quiete pubblica, provenienti in larga maggioranza dalle frazioni precarizzate della classe operaia, in particolare da famiglie del sottoproletariato di colore residenti nelle città maggiormente colpite dalla trasformazione congiunta del regime salariale e della protezione sociale. Nel 1998 il numero di condannati per reati "non-violenti" detenuti nelle carceri statunitensi ha varcato la soglia simbolica del milione. Nelle celle degli istituti penali di contea, sei «ospiti» su dieci sono neri o latinos; meno della metà al momento dell'arresto aveva un impiego a tempo pieno, mentre i due terzi proveniva da famiglie con reddito inferiore alla metà della «soglia di povertà».
2. L'estensione orizzontale del reticolo penale.
La «grande reclusione» che caratterizza la fine del secolo, tuttavia, 
  da sola non esaurisce l'incredibile espansione dell'impero penale americano. 
  In primo luogo, perché non tiene conto delle persone condannate che beneficiano 
  della sospensione della pena ["probation"] e di quelle ammesse alla 
  libertà condizionale ["parole"] dopo aver scontato la maggior 
  parte della pena. In realtà, il numero di coloro che vengono tenuti nell'anticamera 
  e nei dintorni della prigione è cresciuto in maniera ancora più 
  rapida di quello di coloro che languono in cella. Ciò è dovuto 
  in primo luogo alla concreta impossibilità, nonostante gli sforzi, di 
  adeguare con sufficiente rapidità il parco carcerario al crescente afflusso 
  di condannati, il cui numero nel corso degli ultimi sedici anni si è 
  quadruplicato, per sfondare nel 1997 il tetto dei quattro milioni, di cui 3,26 
  milioni in "probation" e 685 mila in "parole". Di conseguenza, 
  sarebbero oggi 5,7 milioni i cittadini statunitensi caduti «nelle grinfie 
  della giustizia», una cifra che rappresenta circa il 5 percento sul totale 
  degli uomini di età superiore ai diciotto anni, e un uomo di colore su 
  cinque.
  D'altra parte, è necessario rilevare come il sistema penale possa disporre 
  non solo delle pene dette «intermedie», fra cui gli arresti domiciliari, 
  l'affidamento a un centro di rieducazione ["boot camp"], la «messa 
  alla prova intensiva» e la sorveglianza telefonica o elettronica (tramite 
  braccialetti e altri dispositivi tecnologici), ma anche di un ampio ventaglio 
  di strumenti di intervento, in particolare grazie alla proliferazione di apposite 
  banche dati e alle possibilità di controllo a distanza a esse connesse. 
  Durante gli anni settanta e ottanta - su spinta del Law Enforcement Administration 
  Agency, organismo federale incaricato di potenziare la lotta alla criminalità, 
  ormai diventata tema obbligato di ogni campagna elettorale - le polizie, i tribunali 
  e l'amministrazione penitenziaria di tutti i cinquanta stati hanno predisposto 
  l'attivazione di banche dati centralizzate e informatizzate, che in seguito 
  sono proliferate un po' ovunque. Esistono oggi 55 milioni di «schede criminali» 
  (contro i 35 milioni di dieci anni fa), risultato di un'inedita sinergia fra 
  le funzioni di «cattura» e «osservazione» dell'apparato 
  penale, che riguardano circa 35 milioni di individui, ossia circa un terzo della 
  popolazione maschile del paese! (12). Hanno accesso a tali banche dati non solo 
  le amministrazioni pubbliche, come l'F.B.I. e l'I.N.S. (a cui è delegata 
  la polizia sugli stranieri) o i servizi sociali, ma anche, in alcuni casi, singoli 
  cittadini o imprese private. Simili "rap sheet" sono spesso utilizzate 
  dai datori di lavoro, per esempio, al fine di evitare l'assunzione di individui 
  con precedenti penali. E poco importa se i dati a disposizione sono spesso imprecisi, 
  datati, inutili, per non dire illegali. Inoltre, la loro circolazione espone 
  alle attenzioni dell'apparato poliziesco e penale non solo i criminali e i semplici 
  sospettati di qualche reato, ma anche le loro famiglie, i loro amici e vicini, 
  il loro quartiere. Tanto più che una dozzina di stati, fra cui l'Illinois, 
  la Florida e il Texas, tramite appositi siti internet hanno reso universale 
  l'accesso a tali schedari, permettendo a chiunque, senza il minimo controllo, 
  il vaglio della casella giudiziaria di un condannato.
  Le tradizionali modalità di schedatura, tuttavia, basate su impronte 
  digitali e fotografie, stanno per essere soppiantate dal rapido sviluppo della 
  schedatura genetica. Nell'ottobre del 1998, l'F.B.I. ha ufficialmente attivato 
  una banca dati nazionale contenente il profilo del D.N.A. di centinaia di migliaia 
  di condannati, nella quale in seguito saranno riversati i campioni di saliva 
  e sangue raccolti dalle varie amministrazioni penitenziarie. Nella primavera 
  del 1999, rispondendo a una sollecitazione del capo della polizia di New York, 
  sempre alla ricerca di nuovi gadget suscettibili di rafforzare l'immagine di 
  Mecca dell'ordine pubblico della sua città, il ministro della Giustizia 
  Janet Reno ha affidato a un gruppo di esperti, la National Commission on the 
  Future of D.N.A. Evidence, lo studio della possibilità di estendere la 
  schedatura genetica dei criminali condannati a tutte le persone arrestate, ossia 
  a circa quindici milioni di cittadini ogni anno.
  Un'ulteriore trasformazione, allo stesso tempo qualitativa e quantitativa, contribuisce 
  in modo decisivo a stringere il laccio penale intorno alle frazioni della classe 
  operaia destabilizzate dall'imporsi della precarietà salariale e dal 
  declino delle garanzie sociali. Si tratta della tendenza a limitare il ricorso 
  alla scarcerazione anticipata e a fare della libertà condizionata un 
  dispositivo poliziesco volto a favorire non più il reinserimento sociale 
  ma il ritorno in carcere degli ex detenuti, soggetti a una sorveglianza ossessiva 
  e a una disciplina minuziosa quanto inutile (soprattutto attraverso l'espediente 
  dei controlli settimanali sull'assunzione di droghe, che in diverse giurisdizioni 
  rappresenta ormai l'attività principale del personale addetto al controllo 
  dei fruitori delle misure alternative alla detenzione). In California, per esempio, 
  il numero di ex detenuti in libertà condizionata rispediti dietro le 
  sbarre è passato dai 2995 del 1980 ai 75400 del 1996, nella maggior parte 
  dei casi (58 mila) in forza di una semplice revoca amministrativa dovuta alla 
  non osservanza delle condizioni poste per l'ottenimento della libertà. 
  Fra il 1985 e il 1997, la percentuale nazionale di "parole" che hanno 
  superato il periodo di prova è sceso dal 70 al 44 percento (13). Il profondo 
  cambiamento negli obiettivi e nei risultati su cui ci siamo soffermati testimonia 
  dell'abbandono degli ideali di riabilitazione tipici degli anni settanta, a 
  favore di una «nuova penalogia» volta non tanto alla prevenzione 
  del crimine e alla riabilitazione dei delinquenti quanto a "isolare gruppi 
  percepiti come pericolosi neutralizzandone i membri più distruttivi", 
  attraverso un complesso standardizzato di comportamenti e una gestione stocastica 
  dei rischi più prossima alla ricerca operativa o allo smaltimento dei 
  «rifiuti umani» che al lavoro sociale propriamente detto (14).
3. L'avvento del big government carcerario.
La bulimia carceraria statunitense, come ovvio, si traduce in una spettacolare 
  ipertrofia del settore penale in seno alle amministrazioni federali e locali. 
  Si tratta di una tendenza particolarmente «strana» in quanto si 
  afferma in un periodo di vacche magre per il settore pubblico. Fra il 1979 e 
  il 1990 le spese penitenziarie dei diversi stati sono cresciute del 325 percento 
  per i costi di funzionamento e del 612 percento per l'edilizia carceraria, ossia 
  tre volte più dei crediti militari erogati a livello federale, peraltro 
  enormemente cresciuti durante le presidenze di Ronald Reagan e George Bush. 
  A partire dal 1992, ben quattro stati hanno stanziato più di un miliardo 
  di dollari per le spese carcerarie: la California (3,2), lo stato di New York 
  (2,1), il Texas (1,3) e la Florida (1,1). Complessivamente, nel 1993 le spese 
  carcerarie hanno superato del 50 percento quelle per l'amministrazione giudiziaria 
  (32 miliardi contro 21), mentre solo dieci anni prima i due budget erano identici. 
  Inoltre, a partire dal 1985 i fondi stanziati per il funzionamento dell'istituzione 
  penitenziaria hanno regolarmente sopravvanzato, come importo, sia la dotazione 
  del principale programma di assistenza sociale, Aid to Families with Dependent 
  Children (A.F.D.C.), sia la cifra destinata all'aiuto alimentare per le famiglie 
  povere (Food Stamps).
  Le strategie politiche volte a favorire l'espansione del settore penale, tuttavia, 
  non sono certo monopolio del Partito repubblicano. Negli ultimi sei anni infatti, 
  mentre Bill Clinton proclamava ai quattro angoli del paese la sua fierezza per 
  aver posto fine all'era del "Big government", e la Commissione per 
  la riforma dello stato federale, posta sotto l'egida del suo possibile successore 
  Albert Gore junior, si impegnava con zelo a ridimensionare i programmi e gli 
  impieghi pubblici, venivano costruite 213 nuove prigioni (una cifra peraltro 
  che non tiene conto della proliferazione delle carceri private). Nello stesso 
  periodo, il personale impiegato nei soli istituti di pena federali e statali 
  passava da 264 mila a 347 mila (di cui 221 mila guardie carcerarie). Complessivamente, 
  nel 1993 il «settore penitenziario» contava più di 600 mila 
  addetti, proponendosi come il "terzo datore di lavoro del paese", 
  subito dopo la General Motors, prima azienda al mondo per volume d'affari, e 
  la catena internazionale di supermercati Wal-Mart (15). Stando a dati ufficiali, 
  inoltre, la formazione e l'assunzione di guardie carcerarie rappresenterebbe 
  il settore in cui, nel decennio passato, l'intervento pubblico è maggiormente 
  cresciuto.
[Il budget dell'amministrazione penitenziaria della California fra il 1975 e il 1999 è balzato da meno di 200 milioni di dollari a più di 4,3 miliardi (non si tratta di un refuso, è aumentato del 2200 percento) e dal 1994 supera gli stanziamenti per le università pubbliche, un tempo fiore all'occhiello dello stato. Quando Ronald Reagan faceva il suo ingresso alla Casa bianca, in California le guardie carcerarie erano meno di 6000. Oggi sono più di 40 mila, cifra a cui è necessario aggiungere i 2700 "parole officiers" a cui spetta il controllo dei 107 mila condannati che usufruiscono della libertà vigilata. Nel 1980 il salario medio di una guardia carceraria si aggirava intorno ai 14400 dollari all'anno; oggi si attesta sui 55 mila dollari, una cifra del 30 percento superiore a quella percepita da un'assistente dell'università della California (UCLA). Nel corso di un decennio, inoltre, lo stato ha sborsato più di 5,3 miliardi di dollari e contratto debiti obbligazionari di un ammontare superiore ai dieci miliardi per costruire e rinnovare gli istituti penitenziari. Ogni nuovo carcere costa in media 200 milioni di dollari ogni 4000 detenuti, e richiede l'assunzione di 1000 guardie. Nello stesso periodo, le autorità politico-amministrative non sono riuscite a reperire i fondi necessari per un nuovo campus universitario, da tempo promesso per far fronte al continuo aumento degli studenti].
In un periodo di penuria fiscale, dovuta al forte abbassamento dei prelievi 
  fiscali sulle imprese e sui redditi e capitali delle classi dominanti, l'incremento 
  di budget e personale del comparto carcerario è stato reso possibile 
  dal parallelo decremento dei trasferimenti a favore dell'assistenza sociale, 
  della sanità e dell'educazione. Di conseguenza, mentre i crediti stanziati 
  per il settore penitenziario fra il 1979 e il 1989 aumentavano del 95 percento 
  (al netto dell'inflazione), il budget degli ospedali stagnava e quelli della 
  scuola pubblica e dell'assistenza sociale diminuivano, rispettivamente del 2 
  e del 41 percento (16). Gli Stati Uniti hanno quindi deciso di costruire per 
  i loro poveri non ambulatori, asili o scuole ma centri di reclusione. Per esempio, 
  nell'arco di un decennio (1988-1998) lo stato di New York ha aumentato le proprie 
  spese carcerarie del 76 percento, mentre i fondi destinati all'insegnamento 
  universitario sono diminuiti del 29 percento. In termini generali, le cifre 
  coincidono: 615 milioni di dollari in meno al campus della State University 
  di New York e 761 milioni in più per le prigioni (che salgono a oltre 
  un miliardo di dollari se si tiene conto dei 300 milioni stanziati separatamente 
  come misura d'urgenza per la costruzione di 3100 posti-prigione supplementari) 
  (17). Come in California, le curve che rappresentano l'andamento dei due budget 
  si intersecano nel 1994, anno in cui avviene l'elezione del governatore repubblicano 
  George Pataki che, oltre ad affrettarsi a ripristinare la pena di morte, procede 
  immediatamente a un aumento delle tasse universitarie di settecentocinquanta 
  dollari.
  L'utilizzo della carcerazione di massa come strategia politica di «lotta 
  contro la povertà» si rivela tuttavia un'impresa finanziaria assai 
  impegnativa, per il continuo aumento e l'invecchiamento accelerato dei detenuti, 
  nonché per gli enormi costi unitari di detenzione. In California, per 
  esempio, ogni prigioniero costa 22 mila dollari all'anno, ossia 3,3 volte l'importo 
  del sussidio A.F.D.C. versato a una famiglia di quattro persone. Per ridurre 
  i costi, sono state utilizzate quattro strategie. In primo luogo, si è 
  proceduto a un abbassamento delle condizioni di vita dei detenuti e a una riduzione 
  dei servizi presenti nelle carceri, limitando o sopprimendo i presunti «privilegi» 
  concessi agli «ospiti», per esempio l'insegnamento, lo sport, gli 
  svaghi e in genere tutte le attività orientate verso il reinserimento 
  (del resto già ridotti al lumicino, visto che ad essi era destinato meno 
  del 5 percento del budget carcerario) (18). A ciò si aggiunga l'uso dell'innovazione 
  tecnologica - video, informatica, biometria, telemedicina - per migliorare la 
  produttività della sorveglianza. La terza strategia, da parte sua, mira 
  al trasferimento di parte degli oneri della detenzione al carcerato stesso o 
  alla sua famiglia. Già adesso, una ventina di stati e svariate decine 
  di contee urbane «presentano il conto» della giornata di detenzione 
  ai prigionieri, «fatturano» le spese amministrative, fanno pagare 
  i pasti, impongono un pedaggio a chi deve recarsi in infermeria, conteggiano 
  gli extra per l'accesso ai servizi offerti «dalla casa» (lavanderia, 
  laboratorio, elettricità, telefono eccetera). In alcuni casi, gli ex 
  detenuti sono trascinati davanti al tribunale per saldare il debito che hanno 
  contratto durante la reclusione.
  La quarta strategia, senza dubbio la più all'avanguardia, passa attraverso 
  la reintroduzione massiccia del lavoro dequalificato all'interno delle prigioni. 
  Il lavoro in carcere senza dubbio non rappresenta una novità, da tempo 
  infatti grandi imprese statunitensi come Microsoft, T.W.A., Boeing e Konika 
  vi fanno ricorso, anche se per evitare pubblicità negativa in genere 
  ricorrono al tramite di ditte subappaltatrici (19). Le dimensioni del fenomeno 
  attualmente sono ancora ridotte, esso riguarda solo un detenuto su dieci, soprattutto 
  a causa dei severi vincoli legali che gravano sull'industria penitenziaria. 
  Tuttavia alcune recenti proposte di legge si propongono proprio di eliminare 
  quel tipo di lacciuoli. Numerosi sono infatti gli esperti che individuano nell'incremento 
  del lavoro salariato carcerario una notevole chance economica. Se attraverso 
  il cosiddetto «workfare» si impone ai poveri «in libertà» 
  l'obbligo di lavorare, lo stesso deve valere per i poveri «dentro», 
  ossia per i carcerati. Un'ulteriore modalità per attenuare i costi stratosferici 
  della transizione dallo stato sociale allo stato penale consiste nell'estendere 
  alla giustizia la stessa ideologia del mercato che presiede all'inasprimento 
  delle condizioni d'accesso all'assistenza sociale. Si tratta allora di privatizzare 
  la reclusione.
4. Rinascita e prosperità dell'impresa privata della carcerazione.
Negli Stati uniti, l'espansione senza precedenti delle attività carcerarie pubbliche si è accompagnata a uno sviluppo frenetico dell'impresa privata della detenzione che, sorta nel 1983, è ormai riuscita ad accaparrarsi quasi il 7 percento della popolazione carceraria (ossia 132 mila posti contro i soli 15 mila del 1990, confronta tabella 2). Forte di una crescita annua del 45 percento, il mercato manifesta la tendenza a triplicare il proprio volume d'affari nei prossimi cinque anni, raggiungendo un totale di 350 mila detenuti (ossia sette volte la popolazione carceraria francese). Diciassette aziende possiedono complessivamente centoquaranta istituti sparsi in una ventina di stati, in particolare in Texas, California, Florida, Colorado, Oklahoma e Tenessee. In alcuni casi i privati si limitano ad assumere la gestione di penitenziari già esistenti, ai quali forniscono il personale di sorveglianza e servizio. In altri, l'azienda offre la gamma completa dei beni e servizi necessari alla detenzione: progettazione architettonica, finanziamenti, costruzione, esercizio, amministrazione, assicurazione, personale e anche il reclutamento e il trasporto dei carcerati provenienti da altre giurisdizioni che affittano posti per collocarvi i propri condannati. Esiste infatti anche un fiorente mercato di import-export dei detenuti fra stati che hanno troppi carcerati e altri che dispongono di un'eccedenza di celle.
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  Tabella 2. Disponibilità posti nelle carceri private statunitensi.
1983: 0.
  1988: 4630.
  1993: 32555.
  1998: 132.572.
  2001 (proiezione): 276.655.
Fonti: "Private Adult Correctional Facility Census", Twelth Edition, 
  Centre for Studies Criminology and Law, University of Florida, Gainesville 1999.
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Dopo la quotazione in borsa di Corrections Corporations of America, Correctional 
  Service Corporation, Securicor (con sede a Londra) e Wackenhut, l'industria 
  carceraria si è imposta come uno dei vanti di Wall Street. Il mercato 
  finanziario legato alle prigioni, pubbliche o private, si aggira infatti intorno 
  ai quattro miliardi di dollari. E promette un avvenire ancora più florido: 
  durante il solo 1996, sono iniziati i lavori per ventisei prigioni federali 
  e novantasei penitenziari statali. La rivista «Corrections Building News», 
  che offre puntuali ragguagli in materia, è diffusa in 12 mila copie. 
  Ogni anno, l'American Correctional Association, organismo semiprivato fondato 
  nel 1870 per promuovere il settore, riunisce professionisti e imprenditori della 
  carcerazione in occasione di una «fiera della prigione» della durata 
  di cinque giorni. Più di seicentocinquanta aziende hanno esposto i loro 
  prodotti e servizi al Salone di Orlando, tenutosi nell'agosto 1997. Fra gli 
  articoli in vetrina: manette imbottite, serrature e sbarre inattaccabili, mobilio 
  da cella sul tipo brande ignifughe e blocchi toilette, prodotti cosmetici e 
  alimentari, sedie immobilizzanti e «uniformi d'estrazione» (per 
  tirar fuori dalla cella i detenuti recalcitranti), cinte elettrificate a scarica 
  mortale, programmi di disintossicazione o di «riarmo morale» per 
  giovani delinquenti, sistemi di sorveglianza elettronica e di telefonia "à 
  la page", tecnologie di avvistamento e identificazione, programmi di trattamento 
  dei dati amministrativi e giudiziari, gallerie di disinfestazione antitubercolosi, 
  per non parlare delle celle smontabili (che si possono installare in mezza giornata 
  in un qualsiasi spiazzo per far fronte a un afflusso imprevisto di detenuti) 
  e delle prigioni chiavi in mano, e di un camion-ospedale per operare d'urgenza 
  nel cortile del penitenziario.
  La costruzione di nuove carceri si presenta non solo come un'occasione di profitto 
  economico, ma anche come un rilevante strumento di pianificazione del territorio. 
  Le zone rurali in declino, in particolare, sono disposte a tutto pur di avere 
  un carcere: «Sono passati i tempi in cui la prospettiva di accogliere 
  nel proprio territorio una prigione suscitava ampie proteste: "Not in my 
  backyard". Le prigioni non utilizzano prodotti chimici, non fanno rumore, 
  non inquinano l'aria e non licenziano i dipendenti nelle fasi di recessione» 
  (20). Al contrario, portano impieghi stabili, commerci perenni ed entrate fiscali 
  regolari. La carcerazione è un'industria prospera con davanti a sé 
  un avvenire radioso. E lo stesso vale per tutto quanto è connesso alla 
  grande reclusione dei poveri che attraversa gli Stati uniti.
5. La politica dell'affermative action carceraria.
L'iperinflazione carceraria ha prodotto l'estensione «laterale» 
  del sistema penale e il decuplicarsi delle sue capacità di inquadramento 
  e neutralizzazione. L'accresciuta capacità d'azione, tuttavia, si esercita 
  soprattutto sulle famiglie dei quartieri diseredati, e in particolare sulle 
  enclave nere delle metropoli. Lo testimonia la quinta tendenza chiave dell'evoluzione 
  carceraria statunitense: l'«annerimento» continuo della popolazione 
  detenuta, giunto ormai a un tale livello che, a partire dal 1989 e per la prima 
  volta nella storia, gli afroamericani rappresentano la maggioranza fra i nuovi 
  ingressi nelle prigioni di stato, pur essendo solo il 12 percento della popolazione 
  complessiva del paese.
  Nel 1995, i 22 milioni di adulti neri fornivano un contingente di 767 mila detenuti, 
  999 mila condannati in libertà vigilata e 325 mila in libertà 
  con la condizionale. Complessivamente, il tasso di coloro che erano posti sotto 
  la tutela della legge rispetto alla popolazione globale raggiungeva il 9,4 percento. 
  Fra i bianchi, una stima al rialzo presenta un tasso del 1,9 percento (ossia 
  di cinque volte inferiore) in rapporto a una popolazione di 163 milioni di adulti 
  (21). Per quanto riguarda la carcerazione in senso stretto, lo scarto fra le 
  due comunità è continuamente cresciuto durante gli ultimi decenni 
  e si attesta oggi su una proporzione 1 contro 7,5: 528 contro 3544 ogni 100 
  mila adulti nel 1985, 919 contro 6926 dieci anni più tardi. Nel corso 
  della sua vita, un maschio nero ha una probabilità su quattro di passare 
  almeno un anno in prigione, un latino una su sei, un bianco una su ventitré.
  La «sproporzione razziale», per utilizzare la pudica formula in 
  voga presso i criminologi, è ancora più marcata fra i giovani, 
  principale obiettivo della politica volta a ridurre la miseria a problema penale. 
  In qualsiasi momento, più di un terzo dei neri fra i diciotto e ventinove 
  anni sono incarcerati, sotto l'autorità di un giudice esecutivo o dei 
  funzionari addetti al controllo dei detenuti in libertà condizionata, 
  oppure in attesa di processo. Nelle grandi città, la sproporzione supera 
  di norma la metà, con punte dell'80 percento nei ghetti. Di conseguenza, 
  il funzionamento del sistema giudiziario americano può essere descritto, 
  utilizzando un termine legato alla triste memoria della guerra del Vietnam, 
  come una «missione di localizzazione e distruzione», «Search 
  and Destroy», della gioventù nera (22).
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  Tabella 3. Differenze nel tasso di carcerazione fra neri e bianchi (latinos 
  inclusi).
Numero di detenuti ogni 100 mila adulti.
Neri: 3544 nel 1985 - 5365 nel 1990 - 6926 nel 1995.
  Bianchi: 528 nel 1985 - 718 nel 1990 - 919 nel 1995.
  Differenza: 3016 nel 1985 - 4647 nel 1990 - 6007 nel 1995.
  Ratio: 6.7 nel 1985 - 7,4 nel 1990 - 7,5 nel 1995.
Fonti: Bureau of Justice Statistics, "Correctional Populations in the 
  United States", Government Printing Office, Washington, 1997.
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In realtà, l'accrescimento rapido e continuo del divario fra bianchi 
  e neri deriva non tanto da un'improvvisa divergenza della propensione a commettere 
  reati degli uni e degli altri, quanto dal carattere strutturalmente discriminatorio 
  delle pratiche poliziesche e giudiziarie condotte nel quadro della politica 
  di "Law and Order" degli ultimi decenni. Ecco qualche prova: i neri 
  pur essendo il 13 percento dei consumatori di droghe (cifra corrispondente al 
  loro peso demografico) costituiscono un terzo degli arrestati e i tre quarti 
  dei carcerati per violazioni della legge sugli stupefacenti. La «guerra 
  alla droga», infatti, lanciata a tambur battente da Ronald Reagan ed esasperata 
  dai suoi successori rappresenta - insieme all'abbandono dell'ideale della riabilitazione 
  e alla moltiplicazione dei dispositivi ultrarepressivi (generalizzazione del 
  regime a pena fissa, innalzamento della soglia di esecutività della pena, 
  ergastolo automatico al terzo grave reato, accrescimento delle sanzioni per 
  le violazioni dell'ordine pubblico) - uno dei fattori che hanno maggiormente 
  contribuito all'esplosione della popolazione carceraria. Nel 1995, sei condannati 
  per la prima volta su dieci erano messi sotto chiave per detenzione o commercio 
  di droghe. La maggior parte di essi proveniva dai quartieri poveri afroamericani, 
  per il semplice motivo che «è più facile procedere ad arresti 
  in quartieri socialmente disastrati che nei quartieri operai stabili o nelle 
  periferie abitate dai colletti bianchi» (23).
  La carcerazione rappresenta quindi un ambito nel quale i neri beneficiano "de 
  facto" di una «promozione differenziale», la qual cosa non 
  può che apparire un'ironia della sorte, in una fase contraddistinta dall'abbandono 
  dei programmi di "affirmative action" volti a ridurre le più 
  evidenti ineguaglianze razziali nell'accesso all'educazione e al lavoro. Ne 
  consegue che in numerosi stati, in quello di New York per esempio, fra i giovani 
  di colore il numero dei detenuti è superiore a quello degli studenti 
  iscritti ai campus delle università pubbliche (24). Il controllo punitivo 
  dei giovani del ghetto attraverso l'apparato poliziesco e penale intensifica 
  così la tutela paternalistica esercitata su di essi dai servizi sociali. 
  Inoltre permette di sfruttare, e allo stesso tempo di alimentare, l'ostilità 
  razziale latente e il disprezzo della povertà, componenti sempre utili 
  dal punto di vista politico e mediatico (25).

