Gestazione e disseminazione, prima nazionale poi internazionale, a opera dei 
  think tank americani e dei loro alleati operanti nel campo burocratico e mediatico, 
  di termini, teorie e misure che si intrecciano fra loro per suggerire una risposta 
  panpenalistica all'insicurezza sociale e alle sue conseguenze. Adozione di tale 
  modello, parziale o integrale, più o meno consapevole, attraverso un 
  lavoro di adattamento all'idioma culturale e alle tradizioni statali dei diversi 
  paesi svolto dai funzionari responsabili della sua applicazione a specifici 
  ambiti. Una terza operazione si aggiunge a tale sequenza, incrementando il traffico 
  internazionale delle categorie della ragione neoliberale che ormai circolano 
  a velocità vertiginosa da New York a Madrid, passando per Londra, Parigi, 
  Bruxelles, Monaco e Milano. Si tratta della messa in forma scientifica.
  Attraverso scambi, interventi e pubblicazioni di carattere universitario, vero 
  o simulato, gli «scafisti» intellettuali riformulano le categorie 
  chiave del discorso «sicuritario» in una sorta di "pidgin politologico" 
  sufficientemente concreto per attrarre politici e giornalisti desiderosi di 
  «toccare con mano la realtà» (così come la costruisce 
  la visione autorizzata del mondo sociale), ma allo stesso tempo abbastanza astratto 
  da adombrare gli elementi che con troppa evidenza rimandano al suo contesto 
  d'origine. In tal modo, tali idee si trasformano in luoghi comuni semantici, 
  adottati da tutti coloro che, a prescindere dalle frontiere e dall'attività 
  svolta, dalle appartenenze, dalla nazionalità e dallo schieramento politico, 
  aderiscono spontaneamente al modello ideale della società neoliberale 
  avanzata.
  Particolarmente eloquente, in proposito, si rivela l'opera di Sophie Body-Gendrot 
  "Les villes face à l'insécurité. Des ghettos américains 
  aux banlieues françaises", un caso esemplare di pseudoricerca su 
  uno pseudo oggetto integralmente precostituito dal corrente senso comune politico-mediatico, 
  a partire da dati spigolati da servizi giornalistici, sondaggi e pubblicazioni 
  ufficiali e in seguito «autentificati», almeno agli occhi del lettore 
  ingenuo, attraverso qualche rapida visita ai quartieri incriminati (nel senso 
  letterale del termine). Già il titolo si presenta come una sorta di condensato 
  prescrittivo della nuova "doxa" di stato sul rigore poliziesco e penale, 
  visto come ineluttabile, urgente e utile (62). Una sola citazione può 
  bastare: «La crescita inesorabile dei fenomeni di violenza urbana suscita 
  perplessità in tutti gli specialisti. E' meglio percorrere la strada 
  della 'stretta repressiva', della prevenzione o un mix di entrambe? Si devono 
  colpire i sintomi o impegnarsi sulle cause profonde della violenza e della delinquenza? 
  Secondo un sondaggio...». Troviamo qui riuniti tutti gli ingredienti di 
  quella pseudoscienza politica che tanto piace ai tecnocrati dei ministeri e 
  alle pagine dedicate ai dibattiti dei grandi quotidiani: un fatto dato per scontato 
  di cui tuttavia è più che lecito dubitare («crescita inesorabile»), 
  che tuttavia arriverebbe a turbare persino gli «specialisti» (non 
  si dice quali, e non a caso); un concetto burocratico («violenza urbana») 
  dal significato talmente incerto che ciascuno lo può riferire a ciò 
  che meglio crede; un sondaggio che non dimostra altro che l'attività 
  dell'istituto che lo ha prodotto; una serie di false alternative, corrispondenti 
  a una logica d'intervento burocratico (repressione o prevenzione), fra le quali 
  il ricercatore finge di dover scegliere, mentre la possibile soluzione è 
  già chiaramente indicata dal modo in cui è posta la questione. 
  Quanto segue, una sorta di catalogo dei luoghi comuni americani sulla Francia 
  e francesi sull'America, permetterà "in fine" di presentare 
  come «via mediana», conforme alla ragione (di stato), la deriva 
  penale preconizzata dal governo socialista in carica per scongiurare il disastro. 
  Come infatti recita la quarta di copertina «Bisogna fare in fretta, e 
  reinvestire sui quartieri per impedire che le classi medie si orientino verso 
  soluzioni politiche estremiste» (63). E si potrebbe aggiungere «reinvestire» 
  in polizia e non in politiche volte a creare occupazione.
[L'analisi dettagliata e approfondita della produzione e dell'evoluzione dei 
  dati sulla criminalità registrati dai servizi della polizia francese 
  fra il 1974 e il 1997, effettuata dal maggior specialista transalpino, il criminologo 
  Bruno Aubusson de Cavarlay, permette di «prendere le dovute distanze» 
  dalle dichiarazioni catastrofiste dei politici e dai discorsi allarmistici, 
  incessantemente riproposti da giornalisti incapaci di interpretare una statistica 
  a cui fanno eco ricercatori che pretendono di dire la loro pur non essendosi 
  mai seriamente interessati dei fenomeni in questione.
  In termini quantitativi, la delinquenza minorile, in Francia, negli ultimi quindici 
  anni è senza dubbio aumentata, in conformità, tuttavia, all'incremento 
  generale delle infrazioni. Al di là di qualche leggera fluttuazione, 
  la percentuale dei giovani fra gli autori di reati è tutto identica a 
  quella del 1980, ossia il 18 percento (p. 271). Certo, fra il 1994 e il 1997, 
  il numero dei reati accertati diminuisce costantemente mentre il numero dei 
  minori coinvolti aumenta considerevolmente. La presunta «esplosione» 
  della delinquenza giovanile registrata in quegli anni, tuttavia, altro non è 
  che un artefatto costruito a partire dal confronto fra i due dati, senza tener 
  conto del mutato atteggiamento della giustizia verso i giovani (p. 270). Lo 
  stesso discorso vale per la crescente gravità delle infrazioni: lo spostamento 
  verso reati violenti (vandalismi, lesioni volontarie, furti con violenza, stupri) 
  riguarda la delinquenza nel suo complesso, e non solo i minori, ed è 
  in parte spiegabile con la maggiore assistenza alle vittime dei reati, che facilita 
  le denunce (specie in caso di stupro) (p.p. 275, 269). Per quanto riguarda le 
  altre infrazioni, come il furto d'appartamento e d'auto o il taccheggio, per 
  quanto riguarda i minori, le cifre assolute del 1996 sono addirittura inferiori 
  a quelle del 1980 (p. 273).
  Quanto alle cosiddette «inciviltà» minori (ingiurie, danni 
  di scarsa entità o minacce), dal momento che non sono registrate nelle 
  statistiche di polizia, risulta difficile sapere se oggi i giovani siano più 
  inclini a commetterle che in passato. Di conseguenza, non si capisce quale elemento 
  permetta di dare per scontato «un sempre maggiore coinvolgimento dei giovani 
  nelle infrazioni e nelle 'inciviltà'», così come afferma 
  il primo ministro nella lettera che affida ai deputati Lezergues e Balduyck 
  una missione sulle risposte alla delinquenza minorile (65). D'altra parte, la 
  «diminuzione dell'età dei minori coinvolti in reati sempre più 
  gravi e violenti», presentata da Lionel Jospin come un dato di fatto accertato 
  e sufficiente a suscitare la richiesta urgente di una relazione parlamentare, 
  è fondata solo su impressioni, supposizioni e timori, in quanto anche 
  in questo caso «non esiste alcuna fonte statistica che permetta di misurare 
  l'abbassamento di età e la maggiore precocità della delinquenza 
  che emerge costantemente dalle testimonianze dirette» (p. 270) (66).
  Al termine del suo esemplare esercizio di lettura statistica, Bruno Aubusson 
  de Cavarlay conclude, con una fermezza improntata alla diplomazia che le statistiche 
  non sono in grado né di infirmare, né di confermare «l'ipotesi 
  dell'emergere di una nuova forma di delinquenza, tipica di certi minori (delinquenza 
  detta 'di esclusione')». Inoltre, non autorizzano «la creazione 
  di un nuovo gruppo di infrazioni, definito in maniera inaccorta 'violenza urbana', 
  nel quale i minori sarebbero coinvolti in maniera preponderante» (p. 275). 
  Tuttavia, è proprio questa «esplosione» della «violenza 
  urbana» a motivare, o a servire da pretesto, al trattamento penale della 
  miseria preconizzato da Lionel Jospin. E la stessa categoria di «violenza 
  urbana», che si presenta come un "non-sense" statistico che 
  mescola tutto e il contrario di tutto, viene agitata dal ministro della Giustizia 
  per escludere dalle misure di limitazione della carcerazione provvisoria gli 
  individui arrestati in flagranza di reato, ossia la metà delle carcerazioni 
  preventive (40 mila all'anno), che come noto riguardano prevalentemente persone 
  provenienti dalle classi subalterne e dai quartieri a rischio (67). Ciò 
  significa che deputati considerati di sinistra sono giunti a inscrivere nella 
  legge un forte «premio di carcerazione» riservato alle fasce sociali 
  più deboli.
  Quanto detto spinge a pensare che se i governanti si prendessero la briga di 
  leggere le relazioni di studio che commissionano (è noto come l'attuale 
  governo francese sia un insaziabile consumatore di quel genere di ricerche), 
  eviterebbero al paese molti pseudodibattiti particolarmente nocivi. Infatti, 
  chi può veramente credere che la carcerazione di qualche centinaio di 
  giovani potrà avere qualche effetto sul vero problema, continuamente 
  rimosso: l'aumento delle ineguaglianze e la generalizzazione della precarietà 
  salariale e sociale conseguente alle politiche di deregolazione e di disimpegno 
  dello stato dall'intervento economico e urbano].
Ritornando al volume di Sophie Body-Gendrot, si può notare che questa 
  « americanologa» ben introdotta presso il ministero degli Interni 
  (68), attraverso una proiezione incrociata degli stereotipi nazionali di Francia 
  e Stati uniti, riesce ad applicare la mitologia americana del ghetto visto come 
  luogo di derelizione (anziché come strumento di dominio razziale) (69) 
  sui quartieri ad alta concentrazione di edilizia popolare del proprio paese 
  d'origine, arricchendo la nozione amministrativa francese di «quartiere 
  sensibile» con l'immagine dei ghetti di New York e Chicago. Ricorrendo 
  a una continua oscillazione che si spaccia per analisi, in cui l'esempio degli 
  Stati uniti è utilizzato non come un termine di comparazione - il che 
  avrebbe mostrato che la presunta «crescita inesorabile» della «violenza 
  urbana» è in primo luogo una tematica politico-mediatíca 
  volta a facilitare la ridefinizione dei problemi sociali in termini di sicurezza 
  (70) - ma, volta per volta, come spauracchio o modello da imitare, anche se 
  con le dovute precauzioni. Agitando, in un primo momento, lo spettro della «convergenza», 
  gli Stati uniti risultano utili per suscitare l'orrore - il ghetto, no qui da 
  noi mai! - e drammatizzare il discorso, per poi meglio giustificare la stretta 
  poliziesca su «interi quartieri». Infine, non resta altro che intonare 
  il classico adagio tocquevilliano sull'iniziativa del cittadino, estendendolo 
  in questo caso allo scenario globale (in quanto, grazie alla mondializzazione, 
  «molti abitanti di tutto il pianeta hanno scoperto un'identità 
  comune, quella di partigiani della democrazia»), per giustificare l'importazione 
  in Francia delle tecniche locali di ordine pubblico statunitensi.
  Al termine di una dissertazione rivolta agli studenti di scienze politiche in 
  occasione di un incontro nel quale si sono affrontati temi quali «La città 
  come laboratorio sociale», «I problemi della post-città» 
  e, per apparire veramente scientifici, «La criminalità operativa 
  in un mondo frattale» (il cui autore, senza ironia, afferma che «la 
  sua relazione è ispirata alle teorie matematiche di Mandelbroit sui frattali») 
  Sophie Body-Gendrot giunge a conclusioni che sembrano direttamente provenire 
  da un "luncheon forum" del Manhattan Institute: nonostante l'«inerzia 
  tipica della Francia», che rallenta notevolmente ogni «trasformazione 
  di mentalità», «i governanti devono progressivamente arrendersi 
  di fronte a un'evidenza: si deve sviluppare la gestione di prossimità 
  dei problemi, le brigate di polizia per minori devono essere rafforzate, la 
  formazione dei poliziotti incrementata, i genitori responsabilizzati penalmente» 
  e «ogni atto delinquenziale dei minori deve essere sanzionato in maniera 
  sistematica, rapida e leggibile» (71). Tale evidenza, ormai accettata 
  a New York, Londra e Parigi, per effetto di imitazione si impone progressivamente 
  anche nelle altre capitali europee. Anche la Svezia oggi si chiede se non sia 
  il caso, per restare al passo con i paesi vicini, di adottare la «tolleranza 
  zero».
  Riassumendo, è possibile affermare che il volume di Sophie Body-Gendrot, 
  "Les villes face à l'insécurité", giunge al momento 
  giusto, per registrare la dismissione dello stato sociale (ed economico) e legittimare 
  il rafforzamento dello stato penale nei quartieri, un tempo operai, sacrificati 
  sull'altare della modernizzazione del capitalismo francese. Come la maggior 
  parte del profluvio di opere recentemente pubblicate sul «senso d'insicurezza», 
  l'«inciviltà» e la «violenza urbana», il libro 
  in questione è parte integrante di quello stesso fenomeno che pretenderebbe 
  spiegare. Anziché analizzarla, infatti, contribuisce alla costruzione 
  politica di una penalità rafforzata e proattiva, volta a contenere i 
  disordini provocati dalla generalizzazione della disoccupazione, del sottoimpiego 
  e del lavoro precario.
Con l'espressione «Washington consensus» si è soliti designare il complesso di misure di «aggiustamento strutturale» imposte dai centri della finanza internazionale, come condizione per l'erogazione di fondi ai paesi indebitati (con i risultati disastrosi che si possono osservare in Asia e Russia) e, per estensione, le politiche economiche neoliberali che si sono imposte negli ultimi decenni in tutti i paesi a capitalismo avanzato: austerità budgettaria e regressione fiscale, compressione della spesa pubblica, privatizzazioni e rafforzamento dei diritti del capitale, liberalizzazione disinvolta dei mercati finanziari e degli scambi, flessibilizzazione del lavoro salariato e riduzione delle garanzie sociali (72). A ciò, è necessario aggiungere anche il trattamento punitivo dell'insicurezza e della marginalità sociale, che appaiono le logiche conseguenze di simili politiche. Evidentemente, così come nella Francia di metà anni ottanta i governi socialisti hanno svolto un ruolo determinante nella legittimazione internazionale della "sottomissione al mercato", allo stesso modo l'équipe di Lionel Jospin si trova in una posizione chiave per banalizzare, in una presunta versione «di sinistra», la gestione poliziesca e carceraria della miseria.
NOTE.
  N. 1. Sulle condizioni sociali e i meccanismi culturali di diffusione di questa 
  nuova vulgata planetaria, i cui termini feticcio sono ovunque «globalizzazione», 
  «flessibilità», «multiculturalismo», «comunitarismo», 
  «ghetto» e «underclass», o i loro cugini postmoderni 
  «identità», «minoranza», «etnicità», 
  «frammentazione» eccetera: P. Bourdieu, L. Wacquant, "Les ruses 
  de la raison impérialiste", in «Actes de la recherche en sciences 
  sociales», 121-122, marzo 1998, p.p. 109-118.
  N. 2. R. Debray, M. Gallo, J. Juillard, B. Kriegel, O. Mongin, M. Ozuf, A. Le 
  Pors, P. Thibaud, "Républicains, n'ayons pas peur!", in «Le 
  Monde», 4 settembre 1998, p. 13 (il numero e il diverso orientamento politico, 
  vero o presunto, dei firmatari avava lo scopo di attribuire un'apparenza di 
  neutralità e quindi di ragione alle posizioni sostenute).
  N. 3. Si tratta tuttavia di paesi che possono avanzare la scusa (comoda) di 
  avere livelli di violenza criminale simili a quelli degli Stati uniti e di essere 
  direttamente soggetti alla tutela economica e diplomatica americana. Il Messico, 
  per esempio, deve ogni anno prosternarsi davanti al Congresso degli Stati uniti 
  per dimostrare di condurre con la dovuta energia la «guerra alla droga» 
  ordinata dal «Grande fratello del Nord».
  N. 4. L. Wacquant, "L'ascension de l'Etat pénal en Amérique", 
  in «Actes de la recherche en sciences sociales», 124, settembre 
  1998, p.p. 7-26, e 71 segg. per uno schema delle maggiori componenti del «boom 
  carcerario» statunitense.
  N. 5. Confronta per un'eccellente sintesi in proposito: S. Donziger, "Fear, 
  Politics and Prison Industrial Complex", in "The Real War on Crime", 
  Basic Books, New York 1996, p.p. 63-98.
  N. 6. Si veda in particolare J. A. Smith, "The Idea Brokers. Think Tanks 
  and the Rise of the New Policy Elite", The Free Press, New York 1991.
  N. 7. C. Murray, "Losing Ground. American Social Policy 1950-1980", 
  Basic Books, New York 1984.
  N. 8. C. Lane, "The Manhattan Project", in «The New Republic», 
  25 marzo 1985, p.p. 14-15.
  N. 9. Per una dettagliata confutazione dei contenuti dell'opera di Charles Munray, 
  "Losing Ground", confronta W. J. Wilson, "Les oubliés 
  de l'Amérique", Desclée de Brouwer, Paris 1995.
  N. 10. G. Gilder, "Wealth and Poverty", Basic Books, New York 1981; 
  Id., "Blessed are the Money-Makers", in «The Economist», 
  7 marzo 1981, p.p. 87-88. Un'ottima analisi dell'influenza esercitata del discorso 
  antidiluviano sulla povertà, nonché dell'incapacità di 
  contrastarlo manifestata negli anni ottanta dal punto di vista liberal (o progressista), 
  in: M. B. Katz, "The Underserving Poor From the War on Poverty to the Waron 
  Welfare", Pantheon, New York 1989, p.p. 137-184.
  N. 11. C. Murray, "In Pursuit of Happines and Good Government", Simon 
  and Schuster, New York 1988. Un decennio più tardi, Charles Murray, senza 
  dubbio deluso dallo scarso successo incontrato dalla sua prima uscita filosofica, 
  ricade nel peccato con un pamphlet dal titolo "What It Means to Be a Libertarian. 
  A Personal Interpretation", Broadway Book, New York 1998.
  N. 12. C. Murray, R Herrnstein, "The Bell Curve. Intelligence and Class 
  Structure in American Life", Free Press, New York 1994, p.p. 167, 253, 
  251, 532-533. Per una critica estremamente severa di questo compendio di senso 
  comune razzista e conservatore, condotta a partire da un'analisi (corretta) 
  degli stessi dati empirici che conduce a conclusioni diametralmente opposte: 
  C. Fischer et al., "Inequality by Design. Cracking the Bell Curve Mith", 
  Princeton University Press, Princeton 1996. Il carattere puramente ideologico 
  delle tesi sul crimine sostenute da Murray e Herrnstein emerge dalla seguente 
  replica fondata su dati statistici: F. T. Cullen, P. Gendreau, G. R. Jarjoura, 
  J. P. Wright, "Crime and the Bell Curve. Lessons from Intelligent Criminology", 
  in «Crime and Delinquency», 43-44, ottobre 1997, p.p. 387-411.
  N. 13. Tutti i resoconti dell'affermazione del Manhattan Institute sulla scena 
  pubblica descrivono un Rudolph Giuliani intento a prendere appunti durante le 
  conferenze e segnalano la presenza regolare dei suoi consiglieri agli incontri 
  promossi dall'istituto. Lo stesso sindaco newyorkese ha riconosciuto pubblicamente 
  a più riprese il suo debito nei confronti del Manhattan Institute.
  N. 14. G. Kelling, C. Coles, "Fixing Broken Windows. Restoring Order and 
  Reducing Crime in Our Communities", The Free Press, New York 1996. Il libro 
  amplia e sviluppa gli spunti contenuti nel seguente articolo: J. Q. Wilson, 
  G. Kelling, "Broken Windows. The Police of Neighborhood Safety", in 
  «Atlantic Monthly», marzo 1982, p.p. 29-38. Se questa «teoria 
  del buon senso» fosse effettivamente vera, è lecito chiedersi come 
  mai siano stati necessari più di quindici anni per rendersene conto.
  N. 15. W. Bratton, "Cutting Crime and Restoring Order. What America Can 
  Learn from New York' Finest", in «Heritage Lecture», 573, Heritage 
  Foundation, Washington 1996; Id., "The New York City Police Department's 
  Civil Enforcement of Quality of Life Crimes", in «Journal of Law 
  and Policy», 12, 1995, p.p. 447-464; Id., "Squeegees Rank High on 
  Next Police Commissioner's Priority List", in «The New York Times», 
  4 dicembre 1993. Tony Blair e soprattutto il suo futuro ministro degli Interni 
  Jack Straw riprenderanno qualche mese dopo negli stessi termini lo spauracchio 
  "squeegee man".
  N. 16. Per una presentazione critica dei tre modelli di «riforma della 
  polizia» in competizione fra loro negli Stati uniti, a partire da un comune 
  recupero «della tradizione poliziesca più repressiva»: J.-P. 
  Brodeur, "La police en Amerique du Nord. Des modèles aux effets 
  de mode?", in «Les cahiers de la sécurité intérieure», 
  28, 2, primavera 1997, p.182.
  N. 17. "NYPD, Inc.", in «The Economist», 7925, 20 luglio 
  1995, p. 50, "The CEO cop", in «New Yorker Magazine, 70, 6 febbraio 
  1995, p.p. 45-54.
  N. 18. "Citizen s Budget Commission, rapporto annuale, ottobre 1998.
  N. 19. J. A. Green, "Zero Tolerance. A case Study of Police Policies and 
  Practices in New York City", in «Crime and Delinquency», 45, 
  2, aprile 1999, p.p. 171-187.
  N. 20. Il numero di omicidi a New York era già sceso nel 1994 della metà 
  rispetto alle cifre record del 1990, passando da 2300 a meno di 1200. I reati 
  contro il patrimonio, da parte loro, erano scesi del 25 percento. La stessa 
  massiccia diminuzione della criminalità si osserva a partire dal 1990 
  anche in Canada, senza che possa essere chiamata in causa alcuna particolare 
  innovazione poliziesca.
  N. 21. W. W. Bratton, P. Knobler, "Turnaround. How America's Top Cop Reversed 
  the Crime Epidemic", Random House, New York 1998. William Bratton ricevette 
  un anticipo di 375 mila dollari per «scrivere» l'agiografia di se 
  stesso «insieme» a Peter Knobler, un giornalista specializzato in 
  biografie all'acqua di rose di star dello sport e della politica. Ha inoltre 
  fondato un'azienda di consulenza sulla polizia urbana, First Security, che opera 
  sia negli Stati uniti sia all'estero.
  N. 22. Nel 1993, anno in cui Rudolph Giuliani diviene sindaco, New York si collocava 
  già all'ottantasettesimo posto (su centottantasette città repertoriate 
  in ordine decrescente) nella graduatoria sulla criminalità stilata dall'F.B.I. 
  Oggi gravita intorno al centoquarantesimo posto.
  N. 23. "Zero Tolerance will Clean up our Streets", in «Scottish 
  Daily Record & Sunday Mail», 10 febbraio 1999. Sul tema della «responsabilizzazione» 
  di cittadini e «comunità» (geografiche o etniche) nella lotta 
  contro il crimine: D. Garland, "Les contradictions de la société 
  punitive: le cas britanmque", in «Actes de la recherche en sciences 
  sociales», 124, settembre 1998, p.p. 56-59; A Crawford, "The Local 
  Governance of Crime. Appeals to Community and Partnership", Clarendon Press, 
  Oxford 1997.
  N. 24. «I polacchi sono particolarmente attivi nel furto organizzato di 
  auto; la prostituzione è controllata dalla mafia russa, i criminali legati 
  al traffico di droga provengono soprattutto dall'Europa centro-orientale e dall'Afrca 
  nera [...]. Non dobbiamo più essere timorosi nei confronti degli stranieri 
  colti con le mani nel sacco. Per coloro che violano le nostre leggi dell'ospitalità 
  non esiste che una soluzione: fuori e subito» (Gerhard Schroeder, frase 
  pronunciata nel luglio 1997 durante una campagna elettorale, riportata da «Le 
  Monde» il 28 gennaio 1999). Il caso della Germania è particolarmente 
  interessante in quanto illustra un processo comune ai diversi paesi del continente 
  europeo, ossia l'importazione delle teorie e delle politiche sicuritarie "made 
  in Usa" direttamente dagli Stati uniti (confronta la tournée tedesca 
  del 1998 di William Bratton) o per il tramite di qualche «sportello» 
  dell'ideologia penale americana (confronta l'emulazione non priva di qualche 
  invidia per l'Inghilterra di Tony Blair e l'interesse, forte e allo stesso tempo 
  ambivalente, per la Milano di Gabriele Albertini).
  N. 25. "Lawsuit Seeks to Curb Street Crimes Unit. Alleging Racially Biased 
  Searches", in «The New York Times», 9 marzo 1999. Per un'analisi 
  più sfumata della violenza políziesca di New York e delle sue 
  basi sociali: P. Chevigny, "Edge of the Knife. Police Violence in the Americas", 
  The New Press, New York 1995, cap. 2.
  N. 26. "Those NYPD Blues", in «US News and World Report», 
  5 aprile 1999. Secondo i dati della polizia di New York, i controlli di strada 
  volti a impedire la detenzione di armi danno luogo a ventinove arresti per ogni 
  persona in possesso di armi, una percentuale nettamente superiore alla norma 
  abituale (dieci arresti ogni persona armata).
  N. 27. J. A Green, "Zero Tolerance. A Case Study of Policies and Practices 
  in New York City", cit., p.p. 171-187.
  N. 28. "Cop Rebellion against Safir. 400 Delegates Vote No Confidence. 
  Demand Suspension", in «New York Daily News», 14 aprile 1999.
  N. 29. "Poll in New York Finds many Think Police are Biased", in «The 
  New York Times 16 marzo 1999.
  N. 30. "Crackdown on Minor Offenses Swamps New York City Courts", 
  in «The New York Times», 2 febbraio 1999.
  N. 31. "Dismissed by Prosecutors before Reaching Court. Flawed Arrests 
  Rise in New York City", in «The New York Times», 23 agosto 
  1999. Le cifre sulle entrate in carcere provengono dai rapporti annuali del 
  New York City Department of Corrections, quelle sugli arresti da un rapporto 
  della New York State Division of Criminal Justice.
  N. 32. Malcolm Freeley ha mostrato come per gli americani appartenenti alle 
  classi subalterne che commettono crimini e delitti minori l'autentica sanzione 
  penale sia rappresentata più dalla procedura giudiziaria, attraverso 
  il trattamento arrogante e caotico che subiscono nei tribunali e i costi connessi 
  (economici, sociali e morali), che dalla sanzione legale (M. Freeley, "The 
  Process is the Punishment. Handling Cases in a Lower Criminal Court", Russel 
  Sage Foundation. Neu York 1979, in particolare p.p. 199-243).
  N. 33. K. Dixon, "Les évangélistes du marché", 
  Editions Raisons d'agir, Paris 1998. Oggi è necessario tenere conto anche 
  dell'istituto Demos, think tank ufficiale dell'équipe di Tony Blair, 
  che sostiene tesi analoghe se non addirittura identiche.
  N. 34. C. Murray, "The Emerging British Underclass", Institute of 
  Economic Affairs, London 1990, p.p. 41, 45.
  N. 35. F. Field, "Britain's Underclass. Countering the Growth", in 
  "The Emerging British Underclass", cit., p.p. 58, 59.
  N. 36. R. Lister, a cura di, "Charles Murray and the Underclass. The Developping 
  Debate", Institute for Economic Affairs, London 1996. Si possono facilmente 
  notare le analogie con il lamento di Debray, Gallo, Juillard eccetera («Repubblicani, 
  non dobbiamo avere paura!», secondo il quale il lassismo penale rappresenterebbe 
  una minaccia per la Repubblica. La retorica di Charles Murray si basa su un'opposizione 
  dicotomica fra i «nuovi vittoriani» (termine utilizzato per indicare 
  le classi medie e superiori che riscoprono le virtù del lavoro, dell'astinenza 
  e della famiglia patriarcale) e la «nuova plebaglia» ["the 
  new rabble"] dei bassifondi, invischiata nella promiscuità, nel 
  rifiuto del lavoro (sottopagato) e nel crimine. Simili sciocchezze sociologiche 
  versione americano-britannica di certi discorsi francesi sulla «frattura 
  sociale», sono riprese tali e quali dal «Sunday Times» e altri 
  quotidiani inglesi. Si veda, per esempio: "Britain Split as Underclass 
  Take Root alongside «New Victorians»", in «The Sunday 
  Times», 22 maggio 1994.
  N. 37. L. Mead, a cura di, "From Welfare to Work Lessons from America", 
  Institute of Economic Affairs, London 1997. Già il titolo è sufficientemente 
  eloquente.
  N. 38. L. Mead, "Beyond Entitlement. The Social Obligations of Citizenship", 
  Free Press, New York 1986, p. 13, 200, 87.
  N. 39. L. Mead, "The New Politic of Poverty. The Nonworking Poor in America", 
  Basic Books, New York 1992, p.p. 239 segg. Per una serrata critica dei paralogismi 
  di Lawrence Mead: M. B. Katz, "The Poverty Debate", in «Dissent», 
  autunno 1992, p.p. 548-553.
  N. 40. L. Mead, a cura di, "The New Paternalism. Supervisory Approaches 
  to Poverty", Brookings Institute Press, Washington 1997, p.p. 21-22.
  N. 41. La prefazione del libro, firmata da Michael Armacost, presidente della 
  Brookings Institutions, il think tank sedicente «progressista» (è 
  assai vicino ai New Democratics) che ha finanziato e pubblicato la ricerca, 
  si apre con le seguenti affermazioni, che la dicono lunga sull'integrazione 
  delle politiche sociali e penali rivolte al (sotto)proletariato: «La politica 
  sociale degli Stati uniti sta diventando più paternalista. Tradizionalmente, 
  i programmi sociali fornivano un aiuto alle persone, in tempi recenti lo stato 
  si è impegnato a supervisionare la vita dei poveri che dipendono da quei 
  programmi, "per il tramite sia dell'assistenza sociale, sia del sistema 
  della giustizia criminale"» (M. Armacost, "Preface", in 
  L. Mead, a cura di, "The New Paternalism. Supervisory Approaches to Poverty", 
  cit., p. VII, corsivo di L.W.).
  N. 42. L. Mead, a cura di, "The New Paternalism. Supervisory Approaches 
  to Poverty", cit., p. 22. Per una critica sferzante di questa mitologia 
  personale del carattere razziale «misto» delle classi povere: D. 
  Massey, N. Denton, "American Apartheid", Harvard University Press, 
  Cambridge (Mass.) 1993.
  N. 43. Frank Field aveva anticipato la sua adesione alle tematiche di Charles 
  Murray e Lawrence Mead nel suo libro "Losing Out. The Emergence of Britain's 
  Underclass", Basil Blackwell, Oxford 1989, il cui titolo richiama esplicitamente 
  il "Losing Ground" di Murray.
  N. 44. L. Mead, a cura di, "From Welfare to Work. Lessons from America", 
  cit., p. 127.
  N. 45. L. Mead, "The Debate on Poverty and Human Nature", in S. Carlson-Thies, 
  J. Skillen, a cura di, "Welfare in America. Christian Perspectives on a 
  Policy in Crisis", William Eerdmans Publishing, Cambridge (Mass.) 1996, 
  p.p. 215-216, 238, 241.
  N. 46. Come nel 1989 e nel 1994, il «Sunday Times» dedica diverse 
  pagine a un lungo articolo diviso in due parti di Charles Murray, attribuendo 
  alle opinioni del «visitatore d'America» una visibilità nazionale 
  di cui nessun specialista britannico di questioni criminali ha mai beneficiato. 
  E ciò nonostante le posizioni semplicistiche (ed erronee) di Murray non 
  si fondino su alcuna ricerca originale e si presentino come un riciclo di noti 
  lavori dei principali criminologi ultraconservatori come James Q. Wilson e John 
  DiIulio. Si ha quindi a che fare con un vero e proprio lavoro di marketing ideologico 
  volto a far passare lucciole conservatrici per lanterne sociologiche.
  N. 47. C. Murray, a cura di, "Does Prison Work?", Institut for Economic 
  Affairs, London 1997, p. 26.
  N. 48. D. Downes, "Toughing it Out. From Labour Opposition to Labour Government", 
  in «Policy Studies», 19, 3-4, inverno 1998, p.p. 191-198.
  N. 49. N. Dennis et al., "Zero Tolerance. Policing a Free Society", 
  Institut for Economic Affairs, London 1997. La dichiarazione di Tony Blair è 
  riportata da «The Guardian» del 10 aprile 1997 (ringrazio Richard 
  Sparks, professore di criminologia all'università di Keele, Staffordshire, 
  per le preziose informazioni che mi ha fornito su tali sviluppi).
  N. 50. In «Times Literary Supplement», 4919, 11 luglio 1997, p. 
  25. Nello stesso articolo si reclamizza anche un libro dal titolo" Arming 
  the British Police".
  N. 51. In occasione del convegno di Villepinte sul tema «Città 
  sicure per cittadini liberi», organizzato dal governo di Lionel Jospin, 
  il ministro degli Interni Jean-Pierre Chevènement tracciava un audace 
  parallelo tra la politica dell'istruzione e quella dell'ordine pubblico: «Lasciando 
  vagare l'immaginazione, mi piace pensare, sull'esempio del piano Università 
  2000, a un piano quinquennale Sicurezza di prossimità 2002, volto ad 
  accelerare la costruzione dei commissariati di prossimità nei quartieri 
  a rischio» (Atti del convegno, disponibili sul sito Internet del ministero 
  degli Interni).
  N. 52. Le espressioni fra virgolette sono di Beaumont e Tocqueville: "Système 
  pénitentiaire aux Etats-Unis et son application en France", in Alexis 
  de Tocqueville, "Oeuvres complètes", IV, "Ecrits sur le 
  système pénitentiaire en France et à l'étranger", 
  Gallimard, Paris 1984, p. 11.
  N. 53. Per fare un esempio, nell'attuale congiuntura politica francese (inizi 
  1999), lo scopo è quello di attirare gli elettori del Front national, 
  in particolare coloro che sono rimasti disorientati dalla scissione del partito. 
  Così può essere interpretata l'improvvisa accelerazione delle 
  misure annunciate dal governo Jospin allo scopo di «ristabilire» 
  l'ordine «repubblicano» e «riconquistare» le "banlieues". 
  E anche la fulminea svolta del primo ministro in favore di un giro di vite penale 
  nei confronti della delinquenza giovanile, trasformata dall'oggi al domani in 
  priorità dell'azione pubblica, mentre un esame rigoroso e disaggregato 
  dei dati statistici disponibili, pubblicati in un'apposita relazione indirizzata 
  al governo (che evidentemente né gli autori né i committenti si 
  sono presi la briga di leggere attentamente), dimostra che contrariamente a 
  quanto affermato dal battage mediatico, non si è verificato alcun aggravamento 
  della situazione (confronta l'appendice statistica del criminologo Bruno Aubusson 
  de Cavarlay, in C. Lazergues, J.-P. Balduyck, "Réponses à 
  la délinquence des mineurs. Mission interministérielle sur la 
  prévention et le traitement de la délinquence des mineurs", 
  La documentation française, Pans 1998, p.p. 263-291; B. Aubusson de Cavarlay, 
  "La mesure de la délinquence juvénile", Cesdip, Paris 
  1998).
  N. 54. S. Body-Gendrot, N. Le Guennec, M. Herrou, "Mission sur les violences 
  urbaines. Rapport au Ministre de l'intérieur", La documentation 
  française, Paris 1998; sull'invenzione burocratica della categoria di 
  «violenza urbana», vista come strumento di riconversione e legittimazione 
  del lavoro di sorveglianza poliziesco: V. Laurent, "Les renseignements 
  généraux à la découverte des quarizers", in 
  «Le Monde diplomatique», 541, aprile 1999, p.p. 26-27.
  N. 55. C. Lazergues, J.-P. Balduyck, "Réponses à la délinquence 
  des mineurs. Mission interministérielle sur la prévention et le 
  traitement de la délinquence des mineurs", cit., p.p. 433-436.
  N. 56. Fra i vari studi quantitativi: W. Ruefle, K. M. Reynolds, "Curefews 
  and Delinquency in MajorAmerican Cities", in «Crime and Delinquency», 
  41, 3, luglio 1995, p.p. 347-363.
  N. 57. J. Damon, recensione a W. Bratton, P. Knobler, "Turnaround. How 
  America's Top Cop Reversed the Crime Epidemic", in «Les cahiers de 
  la sécurité intérieure», 34, 1998, p.p. 263-265. 
  Per un'analisi corrosiva del «tecnocratismo autoritario e razzista» 
  di cui la similautobiografia di William Bratton è un'espressione: H. 
  Otner, A. Pilgram, H. Steinert, a cura di, "Die Null-Lösung. Zero-Tolerance-Politik 
  in New York: Das Ende der urbanen Toleranz?", Nomos Verlag, Baden Baden 
  1998.
  N. 58. In un'opera scritta in collaborazione con un ex ministro dell'Educazione 
  di Ronald Reagan, dal titolo (e dalla retorica militarista) sensazionalista: 
  W. J. Bennet, J. DiIulio, J. P. Walters, "Body Count. Moral Poverty... 
  and How to Win Americas War against Crime and Drugs", Simon and Schuster, 
  New York 1996.
  N. 59. S. Roché, "Tolérance zéro: est-elle applicable 
  en France?", in «Les cahiers de la sécurité intérieure», 
  34, 3, inverno 1998, p.p. 217, 222, 225, 227 (corsivi di L.W.).
  N. 60. A. Bauer, X. Raufer, "Violences et insécurités urbaines", 
  Presses Universitaires de France, nuova edizione, Paris 1999, p.p. 62-65 (corsivo 
  nell'originale). Ringrazio l'associazione Citoyens Unis pour Chatenay-Malabry 
  per avermi segnalato i passaggi più significativi dell'opera.
  N. 61. Institut des hautes études de la sécunté intérieure, 
  "Guide pratique pour les contrats locaux de sécurité", 
  La documentation française, Paris 1997, p.p. 133-134.
  N. 62. S. Body-Gendrot, "Les villes face à l'msécurité. 
  Des ghettos américains aux banlieues françaises", Bayard, 
  Paris 1998. Come tipico del genere, il libro unisce ricerca scientifica (volta 
  a garantire autorevolezza) e reportage giornalistico (per rendersi accessibili 
  ai media), come testimonia il carattere assai vanegato dei riferimenti, che 
  vanno da Jean Baudrillard a William Julius Wilson, dagli articoli di «Science» 
  a quelli dell'«International Herald Tribune», dalle interviste ai 
  giudici agli editoriali di «Le Nouvel Observateur» e ai pamphlet 
  degli ex ministri di Ronald Reagan.
  N. 63. Il comunicato stampa diramato dall'editore Bayard in occasione dell'uscita 
  del libro pone il problema in termini ancora più netti: «Fra le 
  "banlieues" francesi e i ghetti americani "esistono molte affinità": 
  crescita della delinquenza minorile, droga, scontri fra bande ecc. Di conseguenza 
  sorge spontanea una domanda: le massicce politiche di carcerazione condotte 
  con successo negli Stati uniti possono essere applicate anche in Francia?» 
  (corsivo di L. W.).
  N. 64. Le indicazioni di pagina rimandano a B. Aubusson de Cavarlay, "Statistiques", 
  in C. Lazergues, J.-P. Balduyck, "Réponses à la délinquence 
  des mineurs. Mission interminestérielle sur la prévention et le 
  traitement de la délinquence des mineurs", cit, p.p. 263-291.
  N. 65. L. Jospin, "Lettre de mission", in C. Lazergues, J.-P. Balduyck, 
  "Réponses à la délinquence des mineurs. Mission interminestérielle 
  sur la prévention et le traitement de la délinquence des mineurs", 
  cit, p. 9.
  N. 66. La totale assenza di dati statistici sul fenomeno non impedisce all'editorialista 
  di «Libération» (7 gennaio 19991 di scrivere con grande sicurezza: 
  «La situazione che si è venuta a creare è senza precedenti, 
  per la percentuale dei giovani coinvolti, per il grado di violenza che manifestano, 
  ma anche per l'estrema precocità del passaggio all'atto».
  N. 67. "La loi Guigou adoptée en première lecture", 
  in «Libération», 27-28 marzo 1999.
  N. 68. Jean-Pierre Chèvenement le aveva precedentemente commissionato 
  un «Rapporto sulle violenze urbane», mentre la delegazione interministeriale 
  sulla città ha finanziato una «missione» di qualche settimana, 
  che ha permesso alla studiosa di «vivere alcune esperienze sul campo in 
  quartieri degradati» degli Stati uniti (S. Body-Gendrot, "Les villes 
  face à l'insécurité. Des ghettos américains aux 
  banileues françaises", cit., p. 14).
  N. 69. L. Wacquant, "«A Black City Within the White». Rivisiting 
  America's Dark Ghetto", in «Black Renaissance - Renaissance Noire», 
  2, 1, autunno-inverno 1998, p.p. 141-151.
  N. 70. In proposito, si veda il persuasivo studio: K. Beckett, "Making 
  Crime Pay. Law and Order in Contemporary American Politics", Oxford University 
  Press, Oxford 1997.
  N. 71. S. Body-Gendrot, "Les villes face à l'insecurité. 
  Des ghettos américains aux banlieues françaises", cit., p.p. 
  346, 332, 320-321 (corsivi di L. W.). Il libro si chiude con uno slancio a dir 
  poco commovente: «Se la polizia si metterà al servizio dei cittadini, 
  se la scuola diverrà un luogo della vita di quartiere, se i politici 
  svilupperanno innovazioni civiche, se la lotta contro la delinquenza coinvolgerà 
  i residenti, allora nella città si disegnerà un nuovo orizzonte. 
  Detto altrimenti, quando la città, e la vita, sarà bella, allora 
  sarà veramente bella.» (Un analogo paragrafo appare nelle "Monographies 
  de terrain à l'étranger" che danno lustro al rapporto ufficiale 
  della "Mission sur les violences urbaines", cit., p. 136).
  N. 72. Sulla costruzione del concetto di "Washington consensus" all`intersezione 
  dei campi universitario e burocratico: Y. Dezalay, B. Garth, "Le «Washington 
  consensus»: contribution à une sociologie de l'hégémonie 
  du néo-liberalisme", in «Actes de la recherche en sciences 
  sociales», 121-122, marzo 1998, p.p. 2-22.

