La dottrina della «tolleranza zero, strumento della gestione poliziesca 
  e giudiziaria della povertà che crea problemi - quella che si vede, che 
  crea disagio negli spazi pubblici e quindi alimenta un diffuso senso di insicurezza 
  o, più semplicemente, di fastidio e sconvenienza - da New York si è 
  propagata per tutto il globo a velocità impressionante. E con essa la 
  retorica militare della «guerra» al crimine e della «riconquista» 
  dello spazio pubblico, che assimila i delinquenti (reali o immaginari), i senzatetto, 
  i mendicanti e gli altri marginali a "invasori alieni", suggerendo 
  un'associazione con l'immigrazione, sempre redditizia dal punto di vista elettorale.
  Simbolo del «successo» di New York (impropriamente presentata come 
  la metropoli leader della criminalità trasformatasi all'improvviso in 
  capofila delle «città sicure» statunitensi: in realtà 
  non è mai stata né l'una né l'altra) (22), il tema offre 
  ai politici dei paesi importatori l'occasione per rivestire di una patina di 
  «modernità» la paradossale capriola retorica che permette 
  di riaffermare a poco prezzo la determinazione dello stato ad agire nei confronti 
  dei «disordini», liberando nello stesso tempo la dimensione pubblica 
  da ogni responsabilità riguardo la genesi sociale ed economica dell'insicurezza 
  attraverso il richiamo alla responsabilità degli abitanti delle zone 
  «incivili», chiamati a svolgere in prima persona una funzione di 
  controllo sociale di prossimità. Tale concetto è chiaramente espresso 
  dalla seguente dichiarazione, uguale a mille altre, di Henry McLeish, ministro 
  degli Interni scozzese (e neolaburista), apparsa sotto il titolo "La tolleranza 
  zero ripulirà le nostre strade": «Chiedo agli scozzesi di 
  camminare a testa alta. Siamo in guerra, e bisogna combattere una battaglia 
  dopo l'altra. La gente deve riconquistare le strade. Siamo troppo tolleranti 
  riguardo ai servizi pubblici e ai comportamenti incivili delle nostre comunità. 
  Il vandalismo insensato, i graffiti e i rifiuti deturpano le nostre città. 
  Il messaggio è questo: da ora in avanti questi comportamenti non saranno 
  più tollerati. La gente ha il diritto di avere dintorni decenti e di 
  vivere in una comunità decente. Ma sono in troppi a non adempiere alle 
  loro responsabilità» (23).
  L'esperienza di Rudolph Giuliani suscita zelanti emuli in tutti i continenti. 
  Nell'agosto 1998, il presidente messicano lancia una «crociata nazionale 
  contro il crimine» ricorrendo a un complesso di misure preventive, presentato 
  come «il più ambizioso nella storia del paese», volto a «imitare 
  i programmi come la 'tolleranza zero' di New York». Nel settembre 1998, 
  è il ministro della Giustizia e sicurezza di Buenos Aires, Leon Arslanian, 
  ad annunciare che anche la provincia della capitale argentina applicherà 
  «la dottrina elaborata da Giuliani». Inoltre rivela che alcuni capannoni 
  industriali abbandonati, siti alla periferia della città, saranno trasformati 
  in "galpones penitenciarios" (centri di detenzione) per creare i posti 
  necessari ad accogliere l'accresciuta popolazione carceraria. Nel gennaio 1999, 
  in seguito alla visita di due alti funzionari della polizia di New York, il 
  nuovo governatore dello stato di Brasilia, Joaquim Roriz, annuncia l'applicazione 
  della "tolerància zero" grazie al reclutamento immediato di 
  ottocento poliziotti civili e militari supplementari: il tutto in risposta a 
  una delle tante ondate di crimini di sangue che periodicamente interessano la 
  capitale brasiliana. Alle critiche che sottolineano come una simile politica 
  si traduca in un immediato aumento della popolazione carceraria di un sistema 
  penitenziario già in procinto di esplodere, il governatore replica che 
  basterà costruire nuove prigioni.
  Dall'altra parte dell'Atlantico, agli inizi del dicembre 1998, mentre il governo 
  Jospin si appresta a rendere pubblica la svolta repressiva a cui lavora da mesi, 
  l'americanologa Sophie Body-Gendrot, commentatrice ufficiale sulle questioni 
  riguardanti la «violenza urbana» e coautrice, in proposito, di un 
  rapporto consegnato qualche mese prima al ministro degli Interni, nel quale 
  sono ripresi e amplificati tutti gli stereotipi giornalistici in materia, si 
  assume l'onere di spianare il terreno raccomandando a France-Inter, durante 
  la trasmissione "Le téléphone sonne", l'adozione della 
  «tolleranza zero alla francese». E nessuno pare in grado di stabilire 
  in che cosa si tradurrebbe, in questo caso, la specificità francese. 
  Il mese seguente, sull'altra sponda del Reno, la Christlich-Democratische Union 
  (C.D.U.), preoccupata per il rischio di essere sorpassata a destra dalle dichiarazioni 
  di Gerhard Schroeder sul crimine e l'immigrazione (24), conduce nella regione 
  di Francoforte una campagna a tamburo battente sul tema della "Null Toleranz", 
  accompagnata da una raccolta di firme contro la doppia nazionalità. Dopo 
  il successo ottenuto da William Bratton nella tournée dell'autunno precedente 
  - l'ex capo della polizia di New York è stato ricevuto dai più 
  alti dignitari della città come una sorta di messia - la dottrina newyorkese 
  è considerata il rimedio universale, e per di più di semplice 
  applicazione, per tutti i mali della società: la criminalità, 
  il «parassitismo sociale» e... la richiesta della nazionalità 
  tedesca da parte dei residenti stranieri (specialmente turchi), frettolosamente 
  assimilati alla presenza indesiderabile d'immigrati delinquenti («Null 
  Toleranz für straffälige Ausländer»).
  In Italia, la cosiddetta «moda repressiva» firmata Rudolph Giuliani 
  imperversa già dal 1997. La gestione della miseria di strada attraverso 
  la polizia è una ricetta che esercita un certo fascino su un ampio spettro 
  di politici, di destra come di sinistra, sia nella versione originale, sia nella 
  variante edulcorata ed «europeizzata» presentata da Tony Blair e 
  Jack Straw in Inghilterra. In tal modo, quando all'inizio del 1999 una serie 
  di omicidi commessi a Milano scatena il panico mediatico sulla «criminalità 
  degli immigrati», il sindaco del capoluogo lombardo Gabriele Albertini 
  e il suo vice Riccardo De Corato si precipitano a New York, mentre il governo 
  presieduto da Massimo D'Alema adotta una serie di misure repressive ispirate 
  alla recente legislazione britannica (criminalizzazione di alcuni illeciti minori, 
  accrescimento dei poteri della polizia, rimozione del direttore generale degli 
  Istituti di prevenzione e pena Francesco Margara, noto per le sue posizioni 
  favorevoli ai diritti dei detenuti e alle politiche di reinserimento). Il sindaco 
  di Napoli Antonio Bassolino, da parte sua, si appropria della «tolleranza 
  zero» per applicarla non solo alla piccola e media criminalità, 
  ma anche ai pirati della strada. L'esempio ancora una volta è New York, 
  dove dall'inverno del 1998 la guida in stato d'ebbrezza è sanzionata 
  con l'arresto e la confisca immediata e automatica del veicolo.
  Nel febbraio 1999, la municipalità di Città del Capo vara una 
  vasta operazione di «tolleranza zero» volta a contenere un'ondata 
  di violenze di carattere prototerroristico, suscitate dalla corruzione del governo 
  e attribuite a gruppi islamici radicali. (Nell'agosto 1996, William Bratton 
  era giunto a Johannesburg per un «colloquio» con il capo della polizia 
  locale, George Fivaz, in occasione di una visita a cui i media locali e americani 
  avevano garantito ampia copertura, ma che non diede i risultati sperati.) La 
  copia sudafricana aveva di che far impallidire l'originale newyorkese: sbarramenti 
  e posti di blocco fra un quartiere e l'altro, raid spettacolari di commando 
  armati fino ai denti nelle zone povere come Cap Flats, onnipresenza delle forze 
  dell'ordine nelle strade intorno a Water Front, l'enclave ricca e turistica 
  del centro città. In marzo, nel punto opposto del globo, il ministro 
  della Polizia della Nuova Zelanda, rientrato da una visita ufficiale a New York, 
  dichiarava con orgoglio che la polizia del suo paese, tutto considerato, non 
  aveva nulla da invidiare a quella della «Grande mela» in quanto 
  «la polizia neozelandese non è mai stata corrotta» e inoltre 
  «applica la tolleranza zero da sempre». La sua proposta di importare 
  dagli Stati uniti la «responsabilizzazione decentralizzata» e la 
  fissazione di obiettivi stabiliti in termini quantitativi per le forze di polizia 
  impegnate nelle zone ad alta criminalità riceve l'approvazione dei leader 
  delle principali forze politiche.
  Nel frattempo, il capo della polizia di Cleveland, pioniere della «tolleranza 
  zero» in Inghilterra, interviene in Austria davanti al "Polizeiführungsakademie" 
  (Scuola nazionale di polizia) e chiamando in causa il ministro degli Interni 
  britannico Jack Straw magnifica i vantaggi che possono derivare all'Europa dall'adozione 
  dei nuovi metodi americani. La settimana seguente, un convegno nazionale sugli 
  stessi argomenti viene tenuto a Camberra, sotto l'egida dell'Australian Criminological 
  Institute. Nel giugno 1999, dopo che il solito William Bratton è intervenuto 
  in persona per arringare la Commissione sul crimine dell'Ontario, il sindaco 
  di Toronto Mel Lastman può a sua volta annunciare con enfasi il «più 
  grande giro di vite contro il crimine a cui la città abbia mai assistito», 
  sostenendo che la traiettoria criminale della metropoli canadese seguirebbe 
  quella di New York, anche se con due decenni di ritardo, e che comunque per 
  una grande città il fatto di avere una polizia efficiente dipende sempre 
  e ovunque dagli stessi principi, come insegnano gli "international crime 
  consulants" provenienti dalla polizia newyorkese, che vagano per il mondo 
  pontificando dai pulpiti dei seminari di formazione per le forze dell'ordine 
  rivolti ai loro colleghi americani o stranieri. Gli esempi dei paesi in cui 
  le ricette della coppia Bratton-Giuliani sono in corso di esame, di programmazione 
  o applicazione potrebbero infatti essere moltiplicati a piacere.
[Il concetto di «tolleranza zero», in effetti, dall'ambito dell'ordine pubblico e penale si è diffuso come una sorta di metastasi giungendo a designare, volta per volta, l'applicazione rigida del controllo sui figli all'interno della famiglia, l'espulsione automatica degli studenti che hanno introdotto un'arma da fuoco nella loro scuola, la sospensione degli atleti responsabili di violenze al di fuori del campo da gioco, la lotta al traffico di droga all'interno delle prigioni, ma anche la ferma opposizione agli stereotipi razzisti, le severe sanzioni nei confronti degli atti di maleducazione dei passeggeri dei voli, l'intransigenza nei confronti dei bambini che non allacciano la cintura di sicurezza, degli automobilisti che parcheggiano in doppia fila nei viali dello shopping, di chi abbandona i rifiuti nei parchi e nei giardini pubblici].
E' comunque assai paradossale che queste tecniche di sistematica molestia poliziesca 
  si diffondano da un capo all'altro del pianeta proprio nel momento in cui la 
  loro applicazione è oggetto di riconsiderazione a New York, in seguito 
  all'assassinio, nel gennaio del 1999, di Amadou Diallo, un giovane migrante 
  di ventidue anni proveniente dalla Guinea, abbattuto con quarantuno colpi di 
  arma da fuoco (diciannove dei quali andati a segno), mentre sostava tranquillamente 
  sull'entrata di casa, da quattro poliziotti, appartenenti all'Unità per 
  la lotta al crimine di strada, alla ricerca di un presunto violentatore. Questo 
  omicidio imputabile alla polizia, che seguiva di poco la vicenda di Abner Louima, 
  un migrante haitiano vittima l'anno precedente di sevizie sessuali in una stazione 
  di polizia di Manhattan, ha scatenato negli Stati uniti la più vasta 
  campagna di disobbedienza civile degli ultimi tempi. Per due mesi, davanti all'ufficio 
  di direzione della polizia municipale newyorkese si sono svolte manifestazioni 
  quotidiane, durante le quali più di milleduecento pacifici dimostranti 
  - fra i quali si contano un centinaio di eletti afroamericani, in istanze locali 
  o nazionali, come l'ex sindaco di New York David Dinkins, il presidente della 
  National Association for the Advancement of Colored People, nonché numerosi 
  poliziotti neri in pensione - sono stati fermati, ammanettati e accusati di 
  «disturbo dell'ordine pubblico».
  In seguito a questi eventi, le pratiche di questa brigata d'urto formata da 
  trecentottanta uomini (quasi tutti bianchi), che rappresenta la punta di lancia 
  della politica della «tolleranza zero», saranno oggetto di numerose 
  inchieste amministrative e di due indagini giudiziarie promosse dalla procura 
  federale, con l'accusa di procedere ad arresti «discriminatori» 
  ["racial profiling"] e di calpestare sistematicamente i diritti costituzionali 
  delle loro vittime predestinate (25). Secondo la National Urban League, tale 
  brigata, i cui appartenenti circolano su automobili comuni e in abiti borghesi, 
  ha fermato e perquisito sulla strada quarantacinquemila persone, sospettate 
  in base all'abbigliamento, all'atteggiamento, al comportamento e, in primo luogo 
  al colore della pelle. Ben trentasettemila di questi fermi si sono rivelati 
  immotivati, mentre la metà dei restanti ottomila casi non ha avuto alcun 
  seguito in tribunale. Di conseguenza, gli arresti giustificati si attesterebbero 
  intorno ai quattromila: uno su undici. Un'inchiesta condotta dal «New 
  York Daily News» è giunta alla conclusione che circa l'80 percento 
  dei giovani neri o latini della città sono stati fermati e perquisiti 
  almeno una volta dalla forze dell'ordine (26).
  Di fatto, le accuse di abusi rivolte alla polizia sono enormemente aumentate 
  a partire dall'applicazione della politica della «qualità della 
  vita», tanto che il numero di denunce depositate presso il Civilian Complaint 
  Review Board di New York fra il 1992 e il 1994 è aumentato del 60 percento. 
  La maggior parte di esse riguarda «incidenti avvenuti durante semplici 
  attività di pattugliamento», distinte dalle operazioni di polizia 
  giudiziaria, le cui vittime sono nei tre quarti dei casi neri o latinos. Gli 
  afroamericani hanno sporto il 53 percento delle denunce, nonostante rappresentino 
  solo il 20 percento della popolazione della municipalità. Inoltre, l'80 
  percento delle azioni legali contro le violenze e gli abusi della polizia provengono 
  da ventuno dei settantasei distretti più poveri della città (27).
  Recentemente, anche il maggior sindacato della polizia newyorkese ha preso le 
  distanze dalla campagna per la «qualità della vita», in seguito 
  alla messa in stato d'accusa per omicidio degli appartenenti alla brigata di 
  polizia responsabile della morte di Diallo. La Patrolmen's Benevolent Association 
  si è pronunciata all'unanimità, e per la prima volta in centocinque 
  anni di esistenza, per esprimere sfiducia nei confronti del capo della polizia 
  Howard Safir e chiedere ufficialmente la sua rimozione dalla carica. Il presidente 
  del sindacato, da parte sua, richiamava i 27 mila associati allo sciopero bianco, 
  invitandoli a usare tutte le possibili cautele prima di eseguire un arresto 
  per atti di scarsa rilevanza, del tipo l'attraversamento della strada al di 
  fuori delle strisce pedonali, il cane senza guinzaglio, la guida di una bicicletta 
  priva di campanello, come richiederebbe la politica dell'ordine pubblico cittadina. 
  «Adesso che la criminalità è fortemente scesa, si rende 
  necessario un aggiustamento strategico. Se non ristabiliamo l'equilibrio, si 
  porranno le basi per lo stato poliziesco e la tirannia» (28).
  Una della maggiori conseguenze della «tolleranza zero», così 
  com'è praticata quotidianamente - anziché teorizzata dai «pensatori» 
  dei think tanks e dai loro discepoli in campo universitario e politico - è 
  rappresentata dall'abisso di diffidenza che si è aperto fra la comunità 
  afroamericana (in particolare presso i giovani) e le forze dell'ordine, per 
  molti versi analogo a quanto avveniva nel periodo segregazionista. Una recente 
  inchiesta rivela che "la stragrande maggioranza dei neri di New York City 
  considera la polizia una forza ostile e violenta, percepita come pericolosa". 
  Il 72 percento pensa che i poliziotti ricorrano abusivamente all'uso della forza, 
  il 66 percento che gli atti di violenza e brutalità delle forze dell'ordine 
  che hanno per vittime persone di colore siano comuni e abituali (contro, rispettivamente, 
  il 33 e il 24 percento dei bianchi). Per i due terzi, la politica di Giuliani 
  ha incrementato gli abusi polizieschi, mentre solo un terzo sostiene di avere 
  oggi in città una sensazione di maggior sicurezza, nonostante in genere 
  i neri risiedano nei quartieri in cui la diminuzione della violenza criminale, 
  statisticamente, è stata più marcata. I newyorkesi bianchi, da 
  parte loro, sono rispettivamente il 58 e l'87 percento a dichiarare il contrario: 
  elogiano il sindaco per la sua intolleranza verso il crimine e si sentono unanimemente 
  più sicuri nella loro città (29). La «tolleranza zero» 
  presenta quindi due fisionomie diametralmente opposte per gli «obiettivi» 
  (neri) e i «beneficiari» (bianchi), ossia per coloro che si collocano 
  da una parte o dall'altra della barriera di casta che l'ascesa dello stato penale 
  contribuisce a ristabilire e rafforzare.
  L'intasamento senza precedenti dei tribunali è un'altra conseguenza della 
  politica della «qualità delle vita» perseguita dalla polizia 
  newyorkese, un aspetto passato solitamente sotto silenzio dai vari apologeti 
  della «tolleranza zero». Mentre dal 1992 la criminalità registra 
  una costante diminuzione, il numero delle persone arrestate e processate continua 
  ad aumentare. Nel 1998, i settantasette giudici della Corte criminale di New 
  York titolari della giurisdizione per i reati e le infrazioni minori (i semplici 
  "misdeamenors" passibili di meno di un anno di carcerazione) sono 
  stati sommersi da 275 mila 379 istruttorie, ossia più di 3500 a testa, 
  il doppio dei casi del 1993, disponendo più o meno degli stessi effettivi. 
  Per gli accusati che intendono arrivare al giudizio, i tempi di attesa si attestano 
  intorno ai 284 giorni (contro i 208 del 1991), anche per reati banali come il 
  furto in un negozio o l'emissione di assegni a vuoto. Non è raro che 
  nel corso di un'udienza, allo stesso giudice siano sottoposti fino a mille casi, 
  senza che sia possibile giungere ad alcuna sentenza. Le alternative saranno 
  quindi le seguenti: i dibattimenti vengono continuamente rinviati in quanto 
  risulta impossibile fissare, per mancanza di un giudice, la data del processo, 
  l'avvocato d'ufficio non è disponibile (ogni "pubblic defender" 
  mediamente è chiamato a patrocinare, contemporaneamente, un centinaio 
  di casi), o infine gli imputati, esasperati, si rassegnano a dichiararsi colpevoli 
  optando per i benefici del patteggiamento della pena. Alcuni imputati, da parte 
  loro, approfittano dei ripetuti rinvii per ottenere l'eventuale prescrizione 
  dei reati di cui sono accusati. Quanto detto, chiarisce le motivazioni per cui 
  il numero di processi celebrati davanti alla Corte criminale di New York è 
  sceso dai 967 del 1993 ai 758 del 1998 (ossia in media un processo ogni 364 
  casi) e quello dei procedimenti caduti in prescrizione è raddoppiato, 
  passando dai 6700 del 1993 ai 12 mila del 1998. Anche il responsabile della 
  politica penale di Rudolph Giuliani ammette che a causa della mancanza di giudici 
  ogni anno migliaia di delinquenti evitano di incorrere in qualsiasi tipo di 
  sanzione, tanto che «l'impatto del lavoro della polizia volto a far regredire 
  il crimine va spesso potenzialmente perduto» (30).
  L'intasamento dei tribunali è paragonabile a quello dei penitenziari, 
  visto che l'afflusso nei luoghi di detenzione della città è passato 
  da quota 106 mila 900 nel 1993 a 133 mila 300 nel 1997, mentre dieci anni prima 
  superava a malapena 85 mila (cifra comunque già superiore al volume di 
  ingressi in carcere dell'intera Francia). Inoltre, è particolarmente 
  indicativo il fatto che un numero considerevole e sempre crescente di arresti 
  e fermi avvenga senza motivazioni giudiziarie: sui 345 mila 130 arresti operati 
  nel 1998 - cifra che, caso senza precedenti, risulta superiore al totale (326 
  mila 130) dei crimini e reati ufficialmente registrati in quell'anno dalle autorità 
  - 18 mila sono stati annullati dal procuratore prima che le persone coinvolte 
  venissero convocate dal giudice e altri 140 mila sono stati dichiarati ingiustificati 
  dalla corte. La percentuale dei «rilasci» senza alcuna sanzione 
  è cresciuta del 60 percento a partire dal 1993, tanto che lo stesso William 
  Bratton ha pubblicamente criticato la proliferazione di arresti illegittimi 
  e inutili (31). Inoltre, come è facile immaginare, la maggior parte dei 
  dossier rigettati dai tribunali proviene dai quartieri poveri a rischio e riguarda 
  presunte violazioni della legislazione sugli stupefacenti (fino al 40 percento 
  nel distretto di Manhattan) che il più delle volte appaiono come il pretesto 
  per vere e proprie spedizioni punitive poliziesche mosse da motivazioni più 
  politico-mediatiche che giudiziarie.
  Per gli appartenenti alle classi subalterne, sospinti ai margini del mercato 
  del lavoro, abbandonati dallo stato e presi di mira dalla politica della «tolleranza 
  zero», lo squilibrio fra l'attivismo poliziesco, lo sperpero di mezzi 
  che lo supporta e l'intasamento dei tribunali dovuto alla mancanza di risorse 
  assume senza dubbio il volto di una negazione di giustizia organizzata (32).

