I gironi dell'Inferno.
Il 30 giugno 1937 Buchenwald era soltanto ciò che il suo nome designa, 
  una foresta di faggi, una località posta su di una collina dei contrafforti 
  dello Harz, a nove chilometri da Weimar. Vi si accedeva mediante un sentiero 
  impervio e tortuoso. Un giorno, degli uomini vennero in auto fino alla base 
  della collina. Raggiunsero la vetta a piedi, come in escursione. Ispezionarono 
  il luogo attentamente. Uno di essi indicò il folto di un giovane bosco, 
  poi se ne tornarono via dopo aver fatto una buona colazione, ripassando da Weimar.
  - “Unser Führer wird zufrieden werden!” (38), dichiararono.
  Qualche tempo dopo ne vennero altri. Erano incatenati per cinque gli uni agli 
  altri e costituivano un distaccamento di cento unità, inquadrati da una 
  ventina di S.S. con le armi in pugno: non c'era più posto nelle prigioni 
  tedesche. Salirono il sentiero, come poterono, sotto le percosse e le ingiurie. 
  Raggiunta la vetta, estenuati, furono immediatamente messi al lavoro, senza 
  sosta alcuna. Un gruppo di cinquanta si mise subito a montare delle tende per 
  le S.S. mentre l'altro circondava di filo spinato, di altezza tripla, uno spazio 
  circolare avente un raggio di circa cento metri. Il primo giorno non poterono 
  fare altro. Si consumò alla svelta, e quasi senza smettere di lavorare, 
  un magro spuntino, e la sera, molto tardi, ci si addormentò per terra, 
  avvolti in una leggera coperta. L'indomani il primo gruppo di cinquanta scaricò 
  per tutto il giorno dei materiali da costruzione, degli elementi per baracche 
  di legno, che pesanti trattori riuscivano a trasportare fino a metà della 
  salita, su per la collina, e che poi essi portarono sulla schiena fino in cima, 
  all'interno dei fili spinati. Il secondo gruppo abbatté degli alberi 
  per fare uno spiazzo. Quel giorno non si mangiò perché si era 
  partiti con i viveri per un giorno solo, però la notte si dormì 
  meglio, al riparo dei rami e nelle anfrattuosità dei mucchi di tavole.
  Il terzo giorno gli elementi delle baracche cominciarono ad arrivare con ritmo 
  accelerato, accumulandosi a metà della salita. Vi si aggiunsero una batteria 
  da cucina, abiti rigati in buon numero, attrezzi e un po' di viveri. Le S.S. 
  nel loro rapporto quotidiano fecero notare che con soli cento uomini non riuscivano 
  a scaricare il materiale man mano che arrivava: ne furono mandati altri. I viveri 
  divennero insufficienti. Alla fine della settimana una cinquantina di S.S. si 
  dibatteva con un migliaio abbondante di detenuti senza sapere dove farli dormire 
  la notte, potendo appena nutrirli e in mezzo ai quali era nell'incapacità 
  di organizzare il lavoro. E’ vero che avevano formato dei gruppi o Kommando 
  assegnati ognuno ad un compito particolare: prima la cucina delle S.S. e la 
  manutenzione del loro campo; poi la cucina dei detenuti, il montaggio delle 
  baracche, il trasporto dei materiali, l'organizzazione interna, la contabilità. 
  Tutto ciò si chiamava “S.S. Küche, Häftingsküche, 
  Barakenkommando, Bauleitung, Arbeitsstatistik”, eccetera, e sulla carta, 
  nei rapporti, pareva un'organizzazione chiara e metodica. In realtà, 
  però, era una grande confusione, un orribile brulichio di uomini che 
  mangiavano per modo di dire, lavoravano fino allo sfinimento, dormivano coperti 
  appena, frammezzo ad una farragine di tavole di legno e di rami. Poiché 
  era più facile sorvegliarli quando lavoravano che quando dormivano, le 
  giornate erano di dodici, quattordici, sedici ore. I guardiaciurme, che erano 
  in numero insufficiente, erano stati costretti a scegliere sul posto, nella 
  massa dei detenuti, dei coadiutori complementari; e, siccome non si sentivano 
  la coscienza a posto, facevano regnare il terrore a mo' di scusa e di giustificazione. 
  Piovevano non solo le ingiurie e le minacce, ma anche le percosse.
  Il cattivo trattamento, il cibo pessimo e insufficiente, il lavoro sovrumano, 
  l'assenza di medicinali, la polmonite, fecero sì che questa mandria si 
  mettesse a morire ad un ritmo spaventoso e pericoloso per la salute di chi sopravviveva. 
  Si dovette pensare a far sparire i cadaveri in altro modo che con l'inumazione, 
  che richiedeva troppo tempo e che si sarebbe dovuta ripetere troppo spesso: 
  così si ricorse alla cremazione, più rapida e più conforme 
  alle tradizioni germaniche. A sua volta, divenne indispensabile un nuovo Kommando, 
  il “Totenkommando” e la costruzione di un forno crematorio fu inserita 
  nell'elenco dei lavori da fare con l'urgenza imposta dalle circostanze: così 
  avvenne che il posto dove questi uomini dovevano morire lo si costruì 
  prima di quello dove ci si proponeva di permettere loro di vivere. Tutto è 
  concatenato, il male chiama il male, e quando si è presi nell’ingranaggio 
  delle forze malvage...
  Oltretutto, il campo era concepito, nelle intenzioni dello stato maggiore nazional 
  socialista, per essere non soltanto un campo, ma anche una collettività 
  che doveva lavorare, sotto sorveglianza, all'edificazione del Terzo Reich, allo 
  stesso modo degli altri detenuti della comunità tedesca che erano rimasti 
  nella libertà relativa che sappiamo: dopo il crematorio, l'officina, 
  la Guzlow (40). Dal che si vede che l'ordine d'urgenza di tutti gli allestimenti 
  era determinato prima di tutto dalla preoccupazione di tenere sotto buona guardia, 
  poi da quella dell'igiene, in terzo luogo dalle necessità del lavoro 
  produttivo. Infine, e in ultimo luogo, dai diritti “prescrittibili” 
  della persona umana: il guardiaciurma, il crematorio, l'officina, la cucina... 
  Tutto è subordinato all'interesse collettivo, che calpesta l'uomo e lo 
  schiaccia.
  Buchenwald fu dunque, per il periodo dei primi allestimenti, uno “Straflager” 
  (41) dove venivano mandati soltanto i prigionieri considerati incorreggibili, 
  poi, a partire dal momento in cui l'officina, la Guzlow, fu in grado di funzionare, 
  un “Arbeitslager” (42) avente degli “Strafkommando” 
  (43), infine divenne “Konzentrationslager” (44). E tale era quando 
  lo conoscemmo noi, un campo organizzato con tutti i suoi servizi funzionanti, 
  dove erano mandati indistintamente tutti. Da quel momento in poi vi furono dei 
  sottocampi o Kommando esterni che dipendevano da esso e che esso riforniva di 
  materiale umano o di materiale “tout court”. Tutti i campi sono 
  passati per queste tre tappe successive. Purtroppo è accaduto che, essendo 
  sopravvenuta la guerra, i detenuti di tutte le origini e di tutte le condizioni, 
  colpevoli di qualsivoglia infrazione e sottoposti ad una qualsiasi punizione 
  disciplinare, furono in balia del caso, secondo l'umore dei capi o il disordine 
  delle circostanze, indifferentemente avviati allo Straflager, all'Arbeitslager 
  o al Konzentrationslager. Ne risultò uno spaventoso miscuglio di umanità 
  diverse che costituì, all'insegna del frustino di gomma, un gigantesco 
  paniere di granchi sul quale il nazionalsocialismo, così sicuro di sé, 
  così metodico nelle sue manifestazioni, ma soverchiato da tutte le parti 
  dagli avvenimenti che cominciavano a dominarlo, gettò un non meno immenso 
  e gigantesco manto di Noè.
  Dora nacque come filiazione di Buchenwald e nelle stesse condizioni. Crebbe 
  e prosperò seguendo lo stesso itinerario.
  Nel 1903 degli ingegneri e dei chimici tedeschi si erano accorti che in quel 
  luogo la pietra dello Harz era ricca di ammoniaca. Poiché nessuna impresa 
  privata aveva voluto rischiare capitali per estrarla, se ne incaricò 
  lo Stato. Lo Stato tedesco non possedeva, come i suoi vicini, delle colonie 
  tali da mettere a sua disposizione delle Caienne o delle Numea (45): i suoi 
  galeotti, era costretto a tenerli all'interno e li collocava in dati luoghi 
  in cui li impiegava in lavori ingrati. Fu in queste circostanze che una galera 
  simile a tutte le galere del mondo, con alcune sfumature in meglio o in peggio, 
  nacque a Dora. Nel 1910, non si sa bene perché, ma probabilmente perché 
  il rendimento in ammoniaca era assai inferiore al previsto, l'estrazione della 
  pietra cessò. Fu ripresa durante la guerra 1914-18 sotto forma di campo 
  di punizione per prigionieri di guerra, in un periodo in cui la Germania pensava 
  già a sotterrarsi per limitare i danni dei bombardamenti. La cosa fu 
  interrotta dall'armistizio. Nel periodo fra le due guerre Dora fu completamente 
  dimenticata: una vegetazione incolta celò l'ingresso di questo inizio 
  di sotterraneo e, intorno, spuntarono campi immensi di barbabietole per alimentare 
  lo zuccherificio di Nordhausen, a sei chilometri di distanza.
  Fu in questi campi di barbabietole che il lo settembre 1943 Buchenwald rovesciò 
  sotto buona scorta un primo Kommando di duecento uomini: la Germania, sentendo 
  di nuovo il bisogno di cercar rifugio sotto terra, di mettere al sicuro le sue 
  industrie di guerra, aveva ripreso il progetto del 1915. Costruzione del campo 
  S.S., del crematorio, sistemazione del sotterraneo come officina, cucine, docce, 
  Arbeitsstatistik (46) e, in ultimo, il “Revier” o l'infermeria. 
  Dato che c'era questo sotterraneo, vi si continuò il più a lungo 
  possibile a dormire, rimandando sempre a più avanti il lavoro improduttivo 
  di costruzione dei Block per detenuti e dando la preferenza al traforo, sempre 
  progrediente, della galleria, onde poter mettere al riparo le officine che in 
  sempre maggior numero erano minacciate all'aperto.
  Quando arrivammo a Dora il campo era ancora allo stadio di Straflager: noi ne 
  facemmo un Arbeitslager. Quando lo lasciammo, con i suoi 170 Block, la sua infermeria, 
  il suo teatro, il suo bordello, i suoi servizi tutti a posto, il suo “Tunnel” 
  terminato, era sul punto di diventare un Konzentrationslager. Già all'estremità 
  del doppio Tunnel era nato, come sua filiazione, un altro campo, Ellrich, e 
  questo a sua volta era allo stadio di Straflager. Perché non poteva esservi 
  soluzione di continuità nella scala discendente della miseria umana.
  Ma gli angloamericani e i russi avevano deciso diversamente e l'11 aprile 1945 
  vennero a liberarci.
  Da allora il sistema penitenziario della Germania dell'Est è in mano 
  ai russi che non vi hanno cambiato una virgola. Domani, sarà in mano 
  a...
  Perché bisogna che non vi sia soluzione di continuità nemmeno 
  nella storia.
***
Un campo di concentramento, quando è giunto a compimento, è una 
  vera e propria città, isolata dal mondo esterno che l'ha concepita da 
  un recinto di filo di ferro spinato ed elettrificato in cinque file sovrapposte, 
  e lungo a questo recinto, ogni cinquanta metri circa, una torretta accoglie 
  una guardia speciale armata fino ai denti. Perché lo schermo fra il campo 
  e il mondo esterno sia ancora più impenetrabile, vi è interposto 
  anche un campo di S.S. e sentinelle invisibili sono piazzate all'intorno nella 
  periferia del campo fino a cinque o sei chilometri; colui che tentasse di evadere 
  si troverebbe così a dover sormontare un certo numero di ostacoli successivi 
  e tanto vale dire che ogni tentativo è materialmente destinato a sicuro 
  fallimento. Questa città ha le sue proprie leggi, i suoi fenomeni sociali 
  particolari. Le idee che vi nascono, isolatamente o in correnti, vengono a morire 
  contro il filo spinato e il resto del mondo nemmeno le sospetta. Così 
  pure, tutto ciò che avviene all'esterno è ignoto all'interno, 
  ogni interpenetrazione è resa impossibile dallo schermo nel quale non 
  vi è una sola falla (47). Arrivano dei giornali: sono scelti accuratamente 
  e dicono soltanto delle verità stampate appositamente per i campi di 
  concentramento. E’ accaduto che in tempo di guerra le verità per 
  concentrazionari fossero quelle stesse di cui i tedeschi dovevano fare il loro 
  Vangelo, e per questa ragione i giornali furono i medesimi per gli uni e per 
  gli altri, ma è un puro caso. L'ascolto della radio è punito. 
  Ne consegue che la vita del campo, imperniata su altri principi morali e sociologici, 
  prende un orientamento del tutto diverso rispetto alla vita normale e le sue 
  manifestazioni rivestono aspetti tali che essa non può venir giudicata 
  con le unità di misura comuni all'insieme degli uomini. Ma è una 
  città, una città umana.
  All'interno - o all'esterno -, ma in prossimità, un'officina costituisce 
  la ragione di vivere del campo e il suo mezzo di esistenza: a Buchenwald la 
  Guzlow, a Dora il Tunnel. Questa officina è la chiave di volta di tutto 
  l'edificio e le sue necessità, cui si deve provvedere, costituiscono 
  la sua legge bronzea. Il campo è fatto per l'officina, non l'officina 
  per tenere occupato il campo.
  Il primo servizio del campo è l'Arbeitsstatistik, che tiene una contabilità 
  rigorosa di tutta la popolazione, seguendola nel suo lavoro unità per 
  unità, giorno per giorno; all'Arbeitsstatistik si è in grado di 
  dire in qualsiasi momento del giorno a cosa lavora ciascun detenuto e il punto 
  preciso in cui si trova. Questo servizio, come d'altronde tutti gli altri, è 
  espletato dagli stessi detenuti e occupa un personale numeroso e relativamente 
  privilegiato.
  Poi viene il “Politische Abteilung”, il quale tiene la contabilità 
  politica del campo ed è in grado di fornire qualunque informazione sulla 
  vita passata di qualsiasi detenuto, sulla sua moralità, sui motivi del 
  suo arresto, eccetera. E’ l'antropometria del campo, il suo “Sicherheitsdienst”, 
  e occupa soltanto un personale che gode la fiducia delle S.S.: altri privilegiati.
  Poi, la “Verwaltung”, o amministrazione generale, che tiene la contabilità 
  di tutto ciò che entra nel campo: cibo, materiale, vestiario, eccetera. 
  E’ l'intendenza del campo, il sergente maggiore della compagnia. Il personale 
  addetto a un lavoro di ufficio è anch'esso privilegiato.
  Questi tre grandi servizi dominano il campo. Hanno alla loro testa un Kapo che 
  ne assicura il funzionamento sotto la sorveglianza di un ufficiale S.S. o “Rapportführer. 
  C'è un Rapportführer in tutti i servizi chiave e ognuno di essi, 
  ogni sera, fa il suo rapporto al Rapportführer generale del campo, che 
  è un ufficiale, generalmente un “Oberleutnan”t. Questo Rapportführer 
  generale comunica con il campo dei detenuti tramite i suoi subordinati e il 
  “Lagerältester”, o decano dei detenuti, che ha la responsabilità 
  generale del campo e che risponde del suo buon funzionamento anche con la sua 
  stessa vita.
  Parallelamente, i servizi di seconda zona: il “Sanitätdienst”, 
  o servizio di sanità, che comprende i medici, gli infermieri, il servizio 
  di disinfezione, quello dell'infermeria e quello del crematorio; la “Lagerschutzpo1izei”, 
  o polizia del campo; la “Feuerwerk”, o protezione contro gli incendi; 
  il “Bunker”, o prigione per detenuti sorpresi in flagrante delitto 
  di infrazione ai regolamenti del campo; il “Kino-Theater”, o cinema 
  teatro, e il bordello, o “Pouf”. Vi sono ancora la Küche, o 
  cucina, l'Effektenkammer, o magazzino di vestiario, che è collegata alla 
  Verwaltung; la “Häftlingskantine”, o spaccio, che fornisce 
  ai detenuti cibi e bevande supplementari dietro contanti, e la “Bank”, 
  istituto di emissione della moneta speciale che ha corso soltanto all'interno 
  del campo.
  E, ora, la massa dei lavoratori...
  E distribuita nei Block costruiti sullo stesso modello del Buchenwald 48, però 
  in legno, e consistenti soltanto in un piano terreno. Essa ci vive soltanto 
  di notte. Vi arriva la sera, dopo l'appello, verso le 21, e li lascia tutte 
  le mattine prima dell'alba, alle quattro e mezza. E’ inquadrata dai capi 
  Block circondati dai loro Schreiber, “Friseur”, Stubendienst, che 
  sono dei veri satrapi. Il capo-Block controlla la vita del Block sotto la sorveglianza 
  di un soldato S.S., o “Blockführer”, che risponde al Rapportführer 
  generale. I Blockführer non si fanno vedere se non assai di rado: in genere 
  si limitano a fare una visita amichevole al capo del Block nel corso della giornata, 
  vale a dire in assenza dei detenuti, cosicché, tutto sommato, costui 
  finisce per essere il solo giudice e tutte le sue soperchierie sono praticamente 
  senza appello.
  Durante la giornata, cioè al lavoro, i detenuti sono presi nelle maglie 
  di un altro inquadramento. Tutte le mattine quelli che lavorano soltanto il 
  giorno sono suddivisi in Kommando ciascuno dei quali ha alla sua testa un Kapo 
  assistito da uno o più capisquadra o “Vorarbeiter”. Ogni 
  giorno, dalle quattro e trenta in poi, i Kapo e i Vorarbeiter si trovano sul 
  piazzale dell'appello, in un dato punto, sempre lo stesso, e sono loro a costituire 
  i rispettivi Kommando che conducono a passo cadenzato sul luogo del lavoro; 
  qui il “Meister”, o capomastro civile, fa loro conoscere il compito 
  che debbono far svolgere ai loro uomini nella giornata. I Kommando impiegati 
  dall'officina fanno due turni di dodici ore invece di tre di otto ore. Sono 
  suddivisi in due squadre o “Schicht”: c'è la “Tagschicht” 
  (squadra di giorno), che si presenta ai suoi Kapo e Vorarbeiter alle 9 di mattina, 
  e la “Nachtschicht” (squadra di notte), alle 9 di sera. Le due squadre 
  fanno, a turno, una settimana di giorno e una settimana di notte.
  Tale era il Buchenwald che abbiamo conosciuto. La vita vi era sopportabile per 
  i detenuti definitivamente assegnati al campo, un po' più dura per quelli 
  di passaggio, destinati a soggiornarvi soltanto per il periodo di quarantena. 
  In tutti i campi sarebbe potuto essere così. Disgrazia volle che al momento 
  delle deportazioni massicce degli stranieri in Germania vi fossero pochi campi 
  funzionanti, a parte Buchenwald, Dachau e Auschwitz, e così la quasi 
  totalità dei deportati conobbe soltanto dei campi in via di costruzione, 
  degli Straftlager e degli Arbeitslager, e non dei Konzentrationslager.
  Disgrazia volle pure che, anche nei campi che erano a posto, tutte le responsabilità 
  fossero affidate prima ai tedeschi, per la facilità dei rapporti fra 
  la “gens” degli “Häftling” e quella della “Führung”, 
  e poi a degli scampati agli Strafflager e agli Arbeitslager, che non concepivano 
  il “Konzett”, come essi dicevano (48), senza gli orrori che loro 
  stessi vi avevano sofferti, e costoro, molto più delle S.S., costituivano 
  ostacoli alla sua umanizzazione. Il «non fate agli altri quello che non 
  vorreste fosse fatto a voi» è concetto di un altro mondo e non 
  ha corso in questo. «Fate agli altri quello che è stato fatto a 
  voi» è il motto di tutti questi Kapo che hanno passato anni ed 
  anni da Straftlager in Arbeitslager e agli occhi dei quali gli orrori che loro 
  hanno vissuto hanno creato una tradizione che essi, per una deformazione assai 
  comprensibile, credono di avere la missione di perpetuare.
  E se per caso le S.S. dimenticano di maltrattare, questi detenuti si incaricano 
  loro di porre rimedio alla dimenticanza.
***
La popolazione del campo, la sua condizione sociale e la sua origine sono altrettanti 
  elementi che si oppongono anch'essi alla sua umanizzazione. Ho già notato 
  come il nazionalsocialismo non facesse alcuna differenza fra reato politico 
  e reato comune e che, di conseguenza, come in Germania non esistessero né 
  diritto né regime differenziati. Come nella maggioranza delle nazioni 
  civili, perciò, nei campi vi è di tutto: di tutto e, in più, 
  altro ancora. Tutti i detenuti, a qualsiasi categoria appartengano, vivono insieme 
  e sono sottoposti allo stesso regime. Per distinguerli uno dall'altro vi è 
  soltanto il triangolo colorato, che è l'insegna del loro reato.
  I politici portano il triangolo rosso. I prigionieri di diritto comune, il triangolo 
  verde: semplice, per i “Verbrecher” o criminali semplici, con l'aggiunta 
  di una “S” per gli “Schwereverbrecher”, o grandi criminali, 
  e di una “K” per i “Kriegsverbrecher”, criminali di 
  guerra. Così sono graduati i delinquenti comuni dal semplice ladro all’assassino, 
  al truffatore di amministrazione o di magazzino di armamenti.
  Fra i due, tutta una serie di delitti intermedi: il triangolo nero (sabotatori, 
  oziosi di professione); il triangolo rosa (omosessuali); il triangolo giallo 
  fissato a rovescio sul rosso, in modo da formare una stella (ebrei); il triangolo 
  lilla (obiettori di coscienza).
  Coloro che, avendo finito un periodo determinato di prigione, debbono poi scontare 
  quello che noi chiameremmo il raddoppio, o la relegazione a tempo o a vita, 
  portano, invece, in luogo e al posto del triangolo, un cerchio nero su fondo 
  bianco con una grande Z al centro: i liberati della “Zuchthaus”, 
  o casa di pena. Altri, infine, portano il triangolo rosso a punta in su: i responsabili 
  di reati lievi commessi sotto le armi e per i quali una condanna è stata 
  emessa da un consiglio di guerra.
  Vi sarebbe da aggiungere ancora qualche particolarità nelle insegne dei 
  detenuti: il triangolo rosso sormontato da una sbarra trasversale di quelli 
  che sono mandati al Konzett per la seconda o la terza volta; i tre puntini neri 
  su fondo giallo e bianco portati a bracciale per i ciechi, eccetera; infine, 
  quelli che un tempo venivano chiamati “Wifo”: lo stesso cerchio 
  degli Zuchthaus, ma all’interno del quale la “Z” era sostituita 
  da una “W”. Questi ultimi, all'origine, erano dei lavoratori volontari. 
  Erano stati impiegati dalla ditta Wifo che fu la prima a cimentarsi nella realizzazione 
  delle “Verge1ungsfeuer”, le famose V. 1, V. 2, eccetera. Un bel 
  giorno, senza apparente motivo, ricevettero degli abiti a righe e furono messi 
  in campo di concentramento. Il segreto delle V. 1 e V. 2 usciva dalla fase di 
  prova per imboccare la via della produzione intensiva e occorreva che non circolasse 
  liberamente, nemmeno in mezzo alla popolazione tedesca: gli internati per ragion 
  di Stato. I Wifo costituivano la popolazione più miserabile del campo: 
  continuavano a ricevere il salario, del quale veniva loro data la metà 
  al campo stesso, mentre il resto era inviato alle loro famiglie. Avevano il 
  diritto di tenere i capelli lunghi e di scrivere quando volevano, purché 
  non rivelassero nulla della sorte che era toccata loro; e, dato che erano i 
  più fortunati, introdussero il mercato nero nei campi e fecero alzare 
  i prezzi.
  Quanto alla popolazione, i campi di concentramento sono dunque vere e proprie 
  torri di Babele nelle quali le individualità si urtano per le loro differenze 
  di nazionalità, di origine, di condanna e di condizioni sociali precedenti. 
  I comuni odiano i politici senza capirli e questi a loro volta li ripagano dello 
  stesso odio. Gli intellettuali guardano dall'alto in basso gli operai e questi 
  si rallegrano di vedere che quelli «finalmente lavorano». I russi 
  avviluppano nello stesso ferreo disprezzo tutto l'Occidente. I polacchi e i 
  cechi non possono vedere i francesi per via di Monaco, eccetera. Sul piano delle 
  nazionalità, vi sono affinità fra slavi e tedeschi, fra tedeschi 
  e italiani, fra olandesi e belgi, o fra olandesi e tedeschi. I francesi, arrivati 
  per ultimi e che ricevevano meravigliosi pacchi di vettovaglie, sono disprezzati 
  da tutti tranne che dai belgi, che sono dolci, franchi e buoni. La Francia viene 
  considerata come un paese di Cuccagna e i suoi abitanti come sibariti degenerati, 
  incapaci di lavorare, che mangiano bene e si occupano unicamente di far l'amore. 
  A questi rimproveri, gli spagnoli aggiungono i campi di concentramento di Daladier. 
  Mi ricordo di esser stato accolto al Block 24 a Dora con un vigoroso:
  - Ah! Francesi, ora sapete che cosa è il Lager. Benissimo, così 
  imparerete.
  Erano tre spagnoli (ve ne erano in tutto 26 a Dora) che erano stati internati 
  a Gurs nel 1938, inquadrati nelle compagnie di lavoro nel 1939, e mandati a 
  Buchenwald all'indomani di Rethel (49). Essi sostenevano che fra i campi francesi 
  e quelli tedeschi non c'era di differente che il lavoro e che gli altri trattamenti 
  e il cibo erano suppergiù simili in tutto. Aggiungevano perfino che i 
  campi francesi erano più sporchi.
  O Jircszah!
***
Le S.S. vivono in un campo parallelo. In genere sono una compagnia. Al principio, 
  questa compagnia era una compagnia di istruzione per giovani reclute e soltanto 
  i tedeschi ne facevano parte. In seguito, vi fu di tutto nella S.S.: italiani, 
  polacchi, cechi, bulgari, rumeni, greci, eccetera. Poiché le necessità 
  belliche finirono per imporre l'invio al fronte delle giovani reclute, con un'istruzione 
  militare sommaria o anche senza nessuna preparazione speciale, i giovani furono 
  sostituiti dagli anziani, gente che aveva già fatto la guerra '14-18 
  e sulla quale il nazionalsocialismo aveva lasciato appena un'impronta. Questi 
  erano più dolci. Negli ultimi due anni della guerra la S.S. divenne insufficiente 
  e gli scarti della Wermacht e della Luftwaffe, che non potevano essere utilizzati 
  per altro, furono assegnati alla guardia dei campi.
  Tutti i servizi del campo hanno il loro prolungamento nel campo S.S., dove tutto 
  è centralizzato e da dove partono direttamente per Berlino, all'indirizzo 
  dei servizi di Himmler, i rapporti quotidiani o settimanali. Il campo S.S. è 
  dunque, di fatto, l'amministratore dell'altro. All'inizio dei campi, durante 
  il periodo di gestazione, esso amministrava direttamente; in seguito, appena 
  lo poté, amministrò soltanto per l'interposta persona dei detenuti 
  stessi. Si sarebbe potuto credere che ciò fosse fatto per sadismo, e 
  dopo non si è mancato di dirlo: in realtà, era per economia di 
  personale, ed è così in tutte le prigioni, in tutte le galere 
  di tutte le nazioni, e per la medesima ragione. Le S.S. amministrarono e fecero 
  regnare l'ordine interno direttamente soltanto fino a che fu per loro impossibile 
  fare diversamente. Quanto a noi, abbiamo conosciuto soltanto il “Selfgovernment” 
  dei campi. Tutti i vecchi detenuti che hanno subito entrambi i metodi concordano 
  nel riconoscere che quello antico era, in linea di principio, il migliore e 
  il più umano e che, se non lo fu effettivamente, fu perché le 
  circostanze, la necessità di far presto, il precipitare degli eventi 
  non lo permisero. Lo credo anch'io: è meglio aver a che fare con Dio 
  che con i suoi santi.
  Le S.S., dunque, assicurano soltanto la guardia esterna e si può dire 
  che non le si veda mai all'interno del campo, dove si accontentano di passare 
  esigendo il saluto dei detenuti, il famoso: «”Mützen ab”» 
  (50). In questa guardia vengono coadiuvati da una vera compagnia di cani addestrati 
  a meraviglia, sempre pronti a mordere e capaci di andare a cercare anche a decine 
  di chilometri di distanza un detenuto evaso. Tutte le mattine i Kommando che 
  vanno a lavorare all'esterno, spesso a una distanza di cinque, sei chilometri, 
  a piedi (quando si doveva andare più lontano si utilizzava il camion 
  o il treno) sono accompagnati, a seconda della loro importanza, da due o quattro 
  S.S., con l'arma in pugno e tenendo, ognuna, al guinzaglio un cane con la museruola. 
  Questa guardia particolare, che completa l'inquadramento con i Kapo, si limita 
  a sorvegliare e non interviene nel lavoro se non nel caso in cui sia necessario 
  prestare man forte, raramente di propria iniziativa.
  La sera, all'appello per Block, quando tutti sono lì, un fischio, e tutti 
  i Blockfürer si dirigono verso il Block del quale hanno la responsabilità, 
  contano i presenti e tornano indietro a rendere conto. Durante questa operazione, 
  dei sottoufficiali circolano tra i Block facendo rispettare il silenzio e l'immobilità. 
  I Kapo, i capi-Block e i Lagerschutz facilitano loro grandemente il compito 
  in questo senso. Ogni tanto una S.S. si distingue dalle altre per la sua brutalità, 
  ma è raro che ciò avvenga e, comunque, non si mostra mai più 
  inumana dei sunnominati.
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Il problema della “Häftlingsführung” (51) domina la vita 
  dei campi di concentramento e la soluzione che gli viene data condiziona la 
  loro evoluzione, nel senso del peggio o in quello dell'umanizzazione.
  All'inizio di ogni campo, non c'è Häftligsführung: c'è 
  il primo convoglio che arriva sul posto inquadrato dalle sue S.S., le quali 
  assumono esse stesse tutte le responsabilità, direttamente e in ogni 
  dettaglio. Così avviene fino al secondo, al terzo o al quarto. Può 
  andare avanti così per sei settimane, sei mesi, un anno. Ma, appena il 
  campo ha raggiunto una certa estensione, dato che il numero delle S.S. destinatevi 
  non è estensibile all'infinito, queste sono costrette a prendere fra 
  i detenuti il personale complementare necessario alla sorveglianza e all'organizzazione.
  Bisogna avere vissuto la vita dei campi e avere assimilato la loro storia per 
  capire bene questo fenomeno e l'aspetto che esso ha assunto con l'uso.
  Nel momento in cui nascono i campi, nel 1933, lo stato d'animo in Germania è 
  tale che gli avversari del nazionalsocialismo sono considerati come i peggiori 
  banditi. Di qui la facilità con la quale i nuovi padroni sono riusciti 
  a far ammettere che non vi erano dei reati comuni e dei reati politici, ma solo 
  e soltanto dei reati e basta. Erano così simili gli uni agli altri, e 
  anche, in certi casi, c'era così poco da fare per rendere i secondi apparentemente 
  più odiosi dei primi agli occhi di una gioventù fanatizzata, arruolata 
  nelle S.S. e alla quale era stata affidata la realizzazione del progetto! Provate, 
  adesso, a mettervi al posto delle cinquanta S.S. di Buchenwald il giorno in 
  cui, soverchiate del lavoro procurato loro da un migliaio di detenuti e dalla 
  massa enorme del materiale da smaltire, hanno dovuto formare il primo inquadramento 
  delle loro vittime e designare il primo Lagerältester. Fra un Thälmann 
  o un Breitscheid segnalati in modo particolare alla loro attenzione e il primo 
  criminale che poteva capitare, che aveva assassinato la suocera o violentato 
  la propria sorella, ma che era remissivo e docile come si desiderava che fosse, 
  non hanno esitato, hanno scelto il secondo. Questi, a sua volta, ha designato 
  i Kapo e i Blockältester e, per forza di cose, li ha presi nel proprio 
  mondo, cioè fra i delinquenti comuni.
  E’ soltanto quando i campi hanno preso un certo sviluppo, che sono diventati 
  veri centri etnografici e industriali e si sono resi veramente necessari uomini 
  di una certa qualità morale e intellettuale per recare alla “S.S.-Führung” 
  un aiuto efficace. Quest'ultima si è accorta che i delinquenti comuni 
  erano la feccia della popolazione, al campo come altrove, e che erano molto 
  al di sotto dello sforzo che si chiedeva loro. Allora le S.S. fecero ricorso 
  ai politici. Un giorno, fu necessario rimpiazzare un Lagerältester verde 
  con uno rosso, e questi immediatamente cominciò a liquidare, in tutti 
  i posti, i verdi a favore dei rossi. Così nacque la lotta, che assunse 
  rapidamente un carattere permanente, tra i verdi e i rossi. Così si spiega 
  anche perché i vecchi campi, Buchenwald, Dachau, erano in mano ai politici 
  quando noi li abbiamo conosciuti, mentre quelli recenti, ancora nella fase dello 
  Straftlager o dell'Arbeitslager, salvo casi miracolosi erano sempre in mano 
  ai comuni.
  Si è tentato di dire che questa lotta fra i verdi e i rossi, che peraltro 
  dilagò soltanto molto tardi nel contingente tedesco della popolazione 
  dei campi, risultava da un coordinamento degli sforzi dei secondi contro i primi: 
  ciò è inesatto. I politici, diffidenti gli uni verso gli altri, 
  psicologicamente impreparati, avevano tra loro soltanto legami di solidarietà 
  molto vaghi e molto tenui. Ma dalla parte dei verdi, invece, le cose stavano 
  del tutto diversamente: essi formavano un blocco compatto potentemente cementato 
  dalla fiducia istintiva che esiste sempre tra gente di quell'ambiente, pilastri 
  di prigioni o pendagli da forca. Il trionfo dei rossi fu dovuto soltanto al 
  caso, all'incapacità dei verdi e alla sagacia delle S.S.
  Si è anche detto che i politici - e specialmente quelli tedeschi - avevano 
  costituito dei comitati rivoluzionari, che tenevano delle assemblee nei campi, 
  che vi facevano provvista di armi e che, perfino, corrispondevano clandestinamente 
  con l'esterno o da un campo o dall'altro: è una leggenda. Può 
  darsi che una volta un insieme di fortunate circostanze abbia, per caso, permesso 
  ad un individuo di corrispondere con l'esterno, o con un compagno di sventura 
  di un altro campo, in barba alla SS-Führung: un detenuto messo in libertà 
  che con molte precauzioni va a portare notizie di un altro detenuto alla famiglia 
  o ad un amico politico di questi, un nuovo arrivato che fa l'operazione inversa, 
  un trasporto che reca le notizie da un campo all'altro. Ma era estremamente 
  raro, almeno durante la guerra, che un detenuto fosse liberato, e, in quanto 
  ai trasporti, nessuno nel campo, nemmeno la S.S. semplice, conosceva la loro 
  destinazione prima che l'avessero raggiunta. In genere si veniva a sapere che 
  un trasporto effettuato qualche settimana o qualche mese prima era andato a 
  Dora o a Ellrich: lo si veniva a sapere da ammalati che, caso eccezionale, tornavano 
  di là, più spesso dai morti che venivano riportati al campo per 
  esservi cremati e sul petto dei quali si potevano leggere il numero e la provenienza. 
  Dire che questi legami fossero premeditati, organizzati, frequenti, è 
  pura fantasia. E lasciamo perdere le provviste di armi: negli ultimi giorni 
  di Buchenwald, grazie alla confusione del momento, dei detenuti hanno potuto 
  stornare dalla fabbricazione corrente delle componenti separate di armi e perfino 
  delle armi intere, ma da qui a sostenere che si trattasse di una pratica sistematica 
  c'è lo spazio che separa il buon senso dal ridicolo. Lasciamo perdere 
  anche i comitati rivoluzionari e le assemblee che essi tenevano; ho riso di 
  gusto quando, alla liberazione, ho sentito parlare del comitato degli interessi 
  francesi del campo di Buchenwald. Tre o quattro schiamazzatori comunisti: Marcel 
  Paul (52) e il famoso colonnello Manhès in testa, che erano riusciti 
  a sfuggire alle evacuazioni, fecero sorgere dal nulla questo comitato nell'intervallo 
  occorso tra la partenza delle S.S. e l'arrivo degli americani. Sono riusciti 
  a far credere agli altri che si trattava di un comitato creato da lunga data 
  (53), ma è una fandonia pura e semplice e gli americani non l'hanno mai 
  presa sul serio. Il loro primo lavoro, entrando nel campo, è stato quello 
  di pregare i facinorosi di starsene tranquilli, la folla che si accingeva a 
  prestare ascolto ai facinorosi, di rientrare docilmente nei Block, e tutti quanti, 
  di piegarsi in anticipo ad una disciplina della quale essi intendevano restare 
  i soli padroni. Dopo di che si sono occupati degli ammalati, del vettovagliamento 
  e dell'organizzazione dei rimpatri, senza neppure voler prendere conoscenza 
  dei pareri e dei suggerimenti che alcuni divenuti importanti all'ultim'ora invano 
  tentarono di far giungere a loro. Peraltro, questo fu un bene: servì 
  a dare una lezione di umiltà a Marcel Paul e un certo numero di vite 
  hanno potuto essere salvate.
  Infine, è stato detto che i politici, quando avevano il controllo della 
  “H-Führung”, erano più umani degli altri. A prova di 
  ciò si cita Buchenwald: è esatto (54), Buchenwald era, al nostro 
  arrivo, un campo sopportabilissimo per gli indigeni dei luogo, definitivamente 
  sottratti alla minaccia di un trasferimento. Ma lo doveva più al fatto 
  di essere giunto al termine della sua evoluzione che non a quello di avere una 
  H-Führung politica. Negli altri campi, in ritardo rispetto a esso, la differenza 
  fra i rossi e i verdi non era sensibile. Sarebbe potuto succedere che il contatto 
  con i politici moralizzasse i comuni: avvenne il contrario, furono i comuni 
  a guastare i politici.

