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Dei dolori e delle pene 2.
I gironi dell'Inferno.

Il 30 giugno 1937 Buchenwald era soltanto ciò che il suo nome designa, una foresta di faggi, una località posta su di una collina dei contrafforti dello Harz, a nove chilometri da Weimar. Vi si accedeva mediante un sentiero impervio e tortuoso. Un giorno, degli uomini vennero in auto fino alla base della collina. Raggiunsero la vetta a piedi, come in escursione. Ispezionarono il luogo attentamente. Uno di essi indicò il folto di un giovane bosco, poi se ne tornarono via dopo aver fatto una buona colazione, ripassando da Weimar.
- “Unser Führer wird zufrieden werden!” (38), dichiararono.
Qualche tempo dopo ne vennero altri. Erano incatenati per cinque gli uni agli altri e costituivano un distaccamento di cento unità, inquadrati da una ventina di S.S. con le armi in pugno: non c'era più posto nelle prigioni tedesche. Salirono il sentiero, come poterono, sotto le percosse e le ingiurie. Raggiunta la vetta, estenuati, furono immediatamente messi al lavoro, senza sosta alcuna. Un gruppo di cinquanta si mise subito a montare delle tende per le S.S. mentre l'altro circondava di filo spinato, di altezza tripla, uno spazio circolare avente un raggio di circa cento metri. Il primo giorno non poterono fare altro. Si consumò alla svelta, e quasi senza smettere di lavorare, un magro spuntino, e la sera, molto tardi, ci si addormentò per terra, avvolti in una leggera coperta. L'indomani il primo gruppo di cinquanta scaricò per tutto il giorno dei materiali da costruzione, degli elementi per baracche di legno, che pesanti trattori riuscivano a trasportare fino a metà della salita, su per la collina, e che poi essi portarono sulla schiena fino in cima, all'interno dei fili spinati. Il secondo gruppo abbatté degli alberi per fare uno spiazzo. Quel giorno non si mangiò perché si era partiti con i viveri per un giorno solo, però la notte si dormì meglio, al riparo dei rami e nelle anfrattuosità dei mucchi di tavole.
Il terzo giorno gli elementi delle baracche cominciarono ad arrivare con ritmo accelerato, accumulandosi a metà della salita. Vi si aggiunsero una batteria da cucina, abiti rigati in buon numero, attrezzi e un po' di viveri. Le S.S. nel loro rapporto quotidiano fecero notare che con soli cento uomini non riuscivano a scaricare il materiale man mano che arrivava: ne furono mandati altri. I viveri divennero insufficienti. Alla fine della settimana una cinquantina di S.S. si dibatteva con un migliaio abbondante di detenuti senza sapere dove farli dormire la notte, potendo appena nutrirli e in mezzo ai quali era nell'incapacità di organizzare il lavoro. E’ vero che avevano formato dei gruppi o Kommando assegnati ognuno ad un compito particolare: prima la cucina delle S.S. e la manutenzione del loro campo; poi la cucina dei detenuti, il montaggio delle baracche, il trasporto dei materiali, l'organizzazione interna, la contabilità. Tutto ciò si chiamava “S.S. Küche, Häftingsküche, Barakenkommando, Bauleitung, Arbeitsstatistik”, eccetera, e sulla carta, nei rapporti, pareva un'organizzazione chiara e metodica. In realtà, però, era una grande confusione, un orribile brulichio di uomini che mangiavano per modo di dire, lavoravano fino allo sfinimento, dormivano coperti appena, frammezzo ad una farragine di tavole di legno e di rami. Poiché era più facile sorvegliarli quando lavoravano che quando dormivano, le giornate erano di dodici, quattordici, sedici ore. I guardiaciurme, che erano in numero insufficiente, erano stati costretti a scegliere sul posto, nella massa dei detenuti, dei coadiutori complementari; e, siccome non si sentivano la coscienza a posto, facevano regnare il terrore a mo' di scusa e di giustificazione. Piovevano non solo le ingiurie e le minacce, ma anche le percosse.
Il cattivo trattamento, il cibo pessimo e insufficiente, il lavoro sovrumano, l'assenza di medicinali, la polmonite, fecero sì che questa mandria si mettesse a morire ad un ritmo spaventoso e pericoloso per la salute di chi sopravviveva. Si dovette pensare a far sparire i cadaveri in altro modo che con l'inumazione, che richiedeva troppo tempo e che si sarebbe dovuta ripetere troppo spesso: così si ricorse alla cremazione, più rapida e più conforme alle tradizioni germaniche. A sua volta, divenne indispensabile un nuovo Kommando, il “Totenkommando” e la costruzione di un forno crematorio fu inserita nell'elenco dei lavori da fare con l'urgenza imposta dalle circostanze: così avvenne che il posto dove questi uomini dovevano morire lo si costruì prima di quello dove ci si proponeva di permettere loro di vivere. Tutto è concatenato, il male chiama il male, e quando si è presi nell’ingranaggio delle forze malvage...
Oltretutto, il campo era concepito, nelle intenzioni dello stato maggiore nazional socialista, per essere non soltanto un campo, ma anche una collettività che doveva lavorare, sotto sorveglianza, all'edificazione del Terzo Reich, allo stesso modo degli altri detenuti della comunità tedesca che erano rimasti nella libertà relativa che sappiamo: dopo il crematorio, l'officina, la Guzlow (40). Dal che si vede che l'ordine d'urgenza di tutti gli allestimenti era determinato prima di tutto dalla preoccupazione di tenere sotto buona guardia, poi da quella dell'igiene, in terzo luogo dalle necessità del lavoro produttivo. Infine, e in ultimo luogo, dai diritti “prescrittibili” della persona umana: il guardiaciurma, il crematorio, l'officina, la cucina... Tutto è subordinato all'interesse collettivo, che calpesta l'uomo e lo schiaccia.
Buchenwald fu dunque, per il periodo dei primi allestimenti, uno “Straflager” (41) dove venivano mandati soltanto i prigionieri considerati incorreggibili, poi, a partire dal momento in cui l'officina, la Guzlow, fu in grado di funzionare, un “Arbeitslager” (42) avente degli “Strafkommando” (43), infine divenne “Konzentrationslager” (44). E tale era quando lo conoscemmo noi, un campo organizzato con tutti i suoi servizi funzionanti, dove erano mandati indistintamente tutti. Da quel momento in poi vi furono dei sottocampi o Kommando esterni che dipendevano da esso e che esso riforniva di materiale umano o di materiale “tout court”. Tutti i campi sono passati per queste tre tappe successive. Purtroppo è accaduto che, essendo sopravvenuta la guerra, i detenuti di tutte le origini e di tutte le condizioni, colpevoli di qualsivoglia infrazione e sottoposti ad una qualsiasi punizione disciplinare, furono in balia del caso, secondo l'umore dei capi o il disordine delle circostanze, indifferentemente avviati allo Straflager, all'Arbeitslager o al Konzentrationslager. Ne risultò uno spaventoso miscuglio di umanità diverse che costituì, all'insegna del frustino di gomma, un gigantesco paniere di granchi sul quale il nazionalsocialismo, così sicuro di sé, così metodico nelle sue manifestazioni, ma soverchiato da tutte le parti dagli avvenimenti che cominciavano a dominarlo, gettò un non meno immenso e gigantesco manto di Noè.
Dora nacque come filiazione di Buchenwald e nelle stesse condizioni. Crebbe e prosperò seguendo lo stesso itinerario.
Nel 1903 degli ingegneri e dei chimici tedeschi si erano accorti che in quel luogo la pietra dello Harz era ricca di ammoniaca. Poiché nessuna impresa privata aveva voluto rischiare capitali per estrarla, se ne incaricò lo Stato. Lo Stato tedesco non possedeva, come i suoi vicini, delle colonie tali da mettere a sua disposizione delle Caienne o delle Numea (45): i suoi galeotti, era costretto a tenerli all'interno e li collocava in dati luoghi in cui li impiegava in lavori ingrati. Fu in queste circostanze che una galera simile a tutte le galere del mondo, con alcune sfumature in meglio o in peggio, nacque a Dora. Nel 1910, non si sa bene perché, ma probabilmente perché il rendimento in ammoniaca era assai inferiore al previsto, l'estrazione della pietra cessò. Fu ripresa durante la guerra 1914-18 sotto forma di campo di punizione per prigionieri di guerra, in un periodo in cui la Germania pensava già a sotterrarsi per limitare i danni dei bombardamenti. La cosa fu interrotta dall'armistizio. Nel periodo fra le due guerre Dora fu completamente dimenticata: una vegetazione incolta celò l'ingresso di questo inizio di sotterraneo e, intorno, spuntarono campi immensi di barbabietole per alimentare lo zuccherificio di Nordhausen, a sei chilometri di distanza.
Fu in questi campi di barbabietole che il lo settembre 1943 Buchenwald rovesciò sotto buona scorta un primo Kommando di duecento uomini: la Germania, sentendo di nuovo il bisogno di cercar rifugio sotto terra, di mettere al sicuro le sue industrie di guerra, aveva ripreso il progetto del 1915. Costruzione del campo S.S., del crematorio, sistemazione del sotterraneo come officina, cucine, docce, Arbeitsstatistik (46) e, in ultimo, il “Revier” o l'infermeria. Dato che c'era questo sotterraneo, vi si continuò il più a lungo possibile a dormire, rimandando sempre a più avanti il lavoro improduttivo di costruzione dei Block per detenuti e dando la preferenza al traforo, sempre progrediente, della galleria, onde poter mettere al riparo le officine che in sempre maggior numero erano minacciate all'aperto.
Quando arrivammo a Dora il campo era ancora allo stadio di Straflager: noi ne facemmo un Arbeitslager. Quando lo lasciammo, con i suoi 170 Block, la sua infermeria, il suo teatro, il suo bordello, i suoi servizi tutti a posto, il suo “Tunnel” terminato, era sul punto di diventare un Konzentrationslager. Già all'estremità del doppio Tunnel era nato, come sua filiazione, un altro campo, Ellrich, e questo a sua volta era allo stadio di Straflager. Perché non poteva esservi soluzione di continuità nella scala discendente della miseria umana.
Ma gli angloamericani e i russi avevano deciso diversamente e l'11 aprile 1945 vennero a liberarci.
Da allora il sistema penitenziario della Germania dell'Est è in mano ai russi che non vi hanno cambiato una virgola. Domani, sarà in mano a...
Perché bisogna che non vi sia soluzione di continuità nemmeno nella storia.

***

Un campo di concentramento, quando è giunto a compimento, è una vera e propria città, isolata dal mondo esterno che l'ha concepita da un recinto di filo di ferro spinato ed elettrificato in cinque file sovrapposte, e lungo a questo recinto, ogni cinquanta metri circa, una torretta accoglie una guardia speciale armata fino ai denti. Perché lo schermo fra il campo e il mondo esterno sia ancora più impenetrabile, vi è interposto anche un campo di S.S. e sentinelle invisibili sono piazzate all'intorno nella periferia del campo fino a cinque o sei chilometri; colui che tentasse di evadere si troverebbe così a dover sormontare un certo numero di ostacoli successivi e tanto vale dire che ogni tentativo è materialmente destinato a sicuro fallimento. Questa città ha le sue proprie leggi, i suoi fenomeni sociali particolari. Le idee che vi nascono, isolatamente o in correnti, vengono a morire contro il filo spinato e il resto del mondo nemmeno le sospetta. Così pure, tutto ciò che avviene all'esterno è ignoto all'interno, ogni interpenetrazione è resa impossibile dallo schermo nel quale non vi è una sola falla (47). Arrivano dei giornali: sono scelti accuratamente e dicono soltanto delle verità stampate appositamente per i campi di concentramento. E’ accaduto che in tempo di guerra le verità per concentrazionari fossero quelle stesse di cui i tedeschi dovevano fare il loro Vangelo, e per questa ragione i giornali furono i medesimi per gli uni e per gli altri, ma è un puro caso. L'ascolto della radio è punito. Ne consegue che la vita del campo, imperniata su altri principi morali e sociologici, prende un orientamento del tutto diverso rispetto alla vita normale e le sue manifestazioni rivestono aspetti tali che essa non può venir giudicata con le unità di misura comuni all'insieme degli uomini. Ma è una città, una città umana.
All'interno - o all'esterno -, ma in prossimità, un'officina costituisce la ragione di vivere del campo e il suo mezzo di esistenza: a Buchenwald la Guzlow, a Dora il Tunnel. Questa officina è la chiave di volta di tutto l'edificio e le sue necessità, cui si deve provvedere, costituiscono la sua legge bronzea. Il campo è fatto per l'officina, non l'officina per tenere occupato il campo.
Il primo servizio del campo è l'Arbeitsstatistik, che tiene una contabilità rigorosa di tutta la popolazione, seguendola nel suo lavoro unità per unità, giorno per giorno; all'Arbeitsstatistik si è in grado di dire in qualsiasi momento del giorno a cosa lavora ciascun detenuto e il punto preciso in cui si trova. Questo servizio, come d'altronde tutti gli altri, è espletato dagli stessi detenuti e occupa un personale numeroso e relativamente privilegiato.
Poi viene il “Politische Abteilung”, il quale tiene la contabilità politica del campo ed è in grado di fornire qualunque informazione sulla vita passata di qualsiasi detenuto, sulla sua moralità, sui motivi del suo arresto, eccetera. E’ l'antropometria del campo, il suo “Sicherheitsdienst”, e occupa soltanto un personale che gode la fiducia delle S.S.: altri privilegiati.
Poi, la “Verwaltung”, o amministrazione generale, che tiene la contabilità di tutto ciò che entra nel campo: cibo, materiale, vestiario, eccetera. E’ l'intendenza del campo, il sergente maggiore della compagnia. Il personale addetto a un lavoro di ufficio è anch'esso privilegiato.
Questi tre grandi servizi dominano il campo. Hanno alla loro testa un Kapo che ne assicura il funzionamento sotto la sorveglianza di un ufficiale S.S. o “Rapportführer. C'è un Rapportführer in tutti i servizi chiave e ognuno di essi, ogni sera, fa il suo rapporto al Rapportführer generale del campo, che è un ufficiale, generalmente un “Oberleutnan”t. Questo Rapportführer generale comunica con il campo dei detenuti tramite i suoi subordinati e il “Lagerältester”, o decano dei detenuti, che ha la responsabilità generale del campo e che risponde del suo buon funzionamento anche con la sua stessa vita.
Parallelamente, i servizi di seconda zona: il “Sanitätdienst”, o servizio di sanità, che comprende i medici, gli infermieri, il servizio di disinfezione, quello dell'infermeria e quello del crematorio; la “Lagerschutzpo1izei”, o polizia del campo; la “Feuerwerk”, o protezione contro gli incendi; il “Bunker”, o prigione per detenuti sorpresi in flagrante delitto di infrazione ai regolamenti del campo; il “Kino-Theater”, o cinema teatro, e il bordello, o “Pouf”. Vi sono ancora la Küche, o cucina, l'Effektenkammer, o magazzino di vestiario, che è collegata alla Verwaltung; la “Häftlingskantine”, o spaccio, che fornisce ai detenuti cibi e bevande supplementari dietro contanti, e la “Bank”, istituto di emissione della moneta speciale che ha corso soltanto all'interno del campo.
E, ora, la massa dei lavoratori...
E distribuita nei Block costruiti sullo stesso modello del Buchenwald 48, però in legno, e consistenti soltanto in un piano terreno. Essa ci vive soltanto di notte. Vi arriva la sera, dopo l'appello, verso le 21, e li lascia tutte le mattine prima dell'alba, alle quattro e mezza. E’ inquadrata dai capi Block circondati dai loro Schreiber, “Friseur”, Stubendienst, che sono dei veri satrapi. Il capo-Block controlla la vita del Block sotto la sorveglianza di un soldato S.S., o “Blockführer”, che risponde al Rapportführer generale. I Blockführer non si fanno vedere se non assai di rado: in genere si limitano a fare una visita amichevole al capo del Block nel corso della giornata, vale a dire in assenza dei detenuti, cosicché, tutto sommato, costui finisce per essere il solo giudice e tutte le sue soperchierie sono praticamente senza appello.
Durante la giornata, cioè al lavoro, i detenuti sono presi nelle maglie di un altro inquadramento. Tutte le mattine quelli che lavorano soltanto il giorno sono suddivisi in Kommando ciascuno dei quali ha alla sua testa un Kapo assistito da uno o più capisquadra o “Vorarbeiter”. Ogni giorno, dalle quattro e trenta in poi, i Kapo e i Vorarbeiter si trovano sul piazzale dell'appello, in un dato punto, sempre lo stesso, e sono loro a costituire i rispettivi Kommando che conducono a passo cadenzato sul luogo del lavoro; qui il “Meister”, o capomastro civile, fa loro conoscere il compito che debbono far svolgere ai loro uomini nella giornata. I Kommando impiegati dall'officina fanno due turni di dodici ore invece di tre di otto ore. Sono suddivisi in due squadre o “Schicht”: c'è la “Tagschicht” (squadra di giorno), che si presenta ai suoi Kapo e Vorarbeiter alle 9 di mattina, e la “Nachtschicht” (squadra di notte), alle 9 di sera. Le due squadre fanno, a turno, una settimana di giorno e una settimana di notte.
Tale era il Buchenwald che abbiamo conosciuto. La vita vi era sopportabile per i detenuti definitivamente assegnati al campo, un po' più dura per quelli di passaggio, destinati a soggiornarvi soltanto per il periodo di quarantena. In tutti i campi sarebbe potuto essere così. Disgrazia volle che al momento delle deportazioni massicce degli stranieri in Germania vi fossero pochi campi funzionanti, a parte Buchenwald, Dachau e Auschwitz, e così la quasi totalità dei deportati conobbe soltanto dei campi in via di costruzione, degli Straftlager e degli Arbeitslager, e non dei Konzentrationslager.
Disgrazia volle pure che, anche nei campi che erano a posto, tutte le responsabilità fossero affidate prima ai tedeschi, per la facilità dei rapporti fra la “gens” degli “Häftling” e quella della “Führung”, e poi a degli scampati agli Strafflager e agli Arbeitslager, che non concepivano il “Konzett”, come essi dicevano (48), senza gli orrori che loro stessi vi avevano sofferti, e costoro, molto più delle S.S., costituivano ostacoli alla sua umanizzazione. Il «non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi» è concetto di un altro mondo e non ha corso in questo. «Fate agli altri quello che è stato fatto a voi» è il motto di tutti questi Kapo che hanno passato anni ed anni da Straftlager in Arbeitslager e agli occhi dei quali gli orrori che loro hanno vissuto hanno creato una tradizione che essi, per una deformazione assai comprensibile, credono di avere la missione di perpetuare.
E se per caso le S.S. dimenticano di maltrattare, questi detenuti si incaricano loro di porre rimedio alla dimenticanza.

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La popolazione del campo, la sua condizione sociale e la sua origine sono altrettanti elementi che si oppongono anch'essi alla sua umanizzazione. Ho già notato come il nazionalsocialismo non facesse alcuna differenza fra reato politico e reato comune e che, di conseguenza, come in Germania non esistessero né diritto né regime differenziati. Come nella maggioranza delle nazioni civili, perciò, nei campi vi è di tutto: di tutto e, in più, altro ancora. Tutti i detenuti, a qualsiasi categoria appartengano, vivono insieme e sono sottoposti allo stesso regime. Per distinguerli uno dall'altro vi è soltanto il triangolo colorato, che è l'insegna del loro reato.
I politici portano il triangolo rosso. I prigionieri di diritto comune, il triangolo verde: semplice, per i “Verbrecher” o criminali semplici, con l'aggiunta di una “S” per gli “Schwereverbrecher”, o grandi criminali, e di una “K” per i “Kriegsverbrecher”, criminali di guerra. Così sono graduati i delinquenti comuni dal semplice ladro all’assassino, al truffatore di amministrazione o di magazzino di armamenti.
Fra i due, tutta una serie di delitti intermedi: il triangolo nero (sabotatori, oziosi di professione); il triangolo rosa (omosessuali); il triangolo giallo fissato a rovescio sul rosso, in modo da formare una stella (ebrei); il triangolo lilla (obiettori di coscienza).
Coloro che, avendo finito un periodo determinato di prigione, debbono poi scontare quello che noi chiameremmo il raddoppio, o la relegazione a tempo o a vita, portano, invece, in luogo e al posto del triangolo, un cerchio nero su fondo bianco con una grande Z al centro: i liberati della “Zuchthaus”, o casa di pena. Altri, infine, portano il triangolo rosso a punta in su: i responsabili di reati lievi commessi sotto le armi e per i quali una condanna è stata emessa da un consiglio di guerra.
Vi sarebbe da aggiungere ancora qualche particolarità nelle insegne dei detenuti: il triangolo rosso sormontato da una sbarra trasversale di quelli che sono mandati al Konzett per la seconda o la terza volta; i tre puntini neri su fondo giallo e bianco portati a bracciale per i ciechi, eccetera; infine, quelli che un tempo venivano chiamati “Wifo”: lo stesso cerchio degli Zuchthaus, ma all’interno del quale la “Z” era sostituita da una “W”. Questi ultimi, all'origine, erano dei lavoratori volontari. Erano stati impiegati dalla ditta Wifo che fu la prima a cimentarsi nella realizzazione delle “Verge1ungsfeuer”, le famose V. 1, V. 2, eccetera. Un bel giorno, senza apparente motivo, ricevettero degli abiti a righe e furono messi in campo di concentramento. Il segreto delle V. 1 e V. 2 usciva dalla fase di prova per imboccare la via della produzione intensiva e occorreva che non circolasse liberamente, nemmeno in mezzo alla popolazione tedesca: gli internati per ragion di Stato. I Wifo costituivano la popolazione più miserabile del campo: continuavano a ricevere il salario, del quale veniva loro data la metà al campo stesso, mentre il resto era inviato alle loro famiglie. Avevano il diritto di tenere i capelli lunghi e di scrivere quando volevano, purché non rivelassero nulla della sorte che era toccata loro; e, dato che erano i più fortunati, introdussero il mercato nero nei campi e fecero alzare i prezzi.
Quanto alla popolazione, i campi di concentramento sono dunque vere e proprie torri di Babele nelle quali le individualità si urtano per le loro differenze di nazionalità, di origine, di condanna e di condizioni sociali precedenti. I comuni odiano i politici senza capirli e questi a loro volta li ripagano dello stesso odio. Gli intellettuali guardano dall'alto in basso gli operai e questi si rallegrano di vedere che quelli «finalmente lavorano». I russi avviluppano nello stesso ferreo disprezzo tutto l'Occidente. I polacchi e i cechi non possono vedere i francesi per via di Monaco, eccetera. Sul piano delle nazionalità, vi sono affinità fra slavi e tedeschi, fra tedeschi e italiani, fra olandesi e belgi, o fra olandesi e tedeschi. I francesi, arrivati per ultimi e che ricevevano meravigliosi pacchi di vettovaglie, sono disprezzati da tutti tranne che dai belgi, che sono dolci, franchi e buoni. La Francia viene considerata come un paese di Cuccagna e i suoi abitanti come sibariti degenerati, incapaci di lavorare, che mangiano bene e si occupano unicamente di far l'amore. A questi rimproveri, gli spagnoli aggiungono i campi di concentramento di Daladier. Mi ricordo di esser stato accolto al Block 24 a Dora con un vigoroso:
- Ah! Francesi, ora sapete che cosa è il Lager. Benissimo, così imparerete.
Erano tre spagnoli (ve ne erano in tutto 26 a Dora) che erano stati internati a Gurs nel 1938, inquadrati nelle compagnie di lavoro nel 1939, e mandati a Buchenwald all'indomani di Rethel (49). Essi sostenevano che fra i campi francesi e quelli tedeschi non c'era di differente che il lavoro e che gli altri trattamenti e il cibo erano suppergiù simili in tutto. Aggiungevano perfino che i campi francesi erano più sporchi.
O Jircszah!

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Le S.S. vivono in un campo parallelo. In genere sono una compagnia. Al principio, questa compagnia era una compagnia di istruzione per giovani reclute e soltanto i tedeschi ne facevano parte. In seguito, vi fu di tutto nella S.S.: italiani, polacchi, cechi, bulgari, rumeni, greci, eccetera. Poiché le necessità belliche finirono per imporre l'invio al fronte delle giovani reclute, con un'istruzione militare sommaria o anche senza nessuna preparazione speciale, i giovani furono sostituiti dagli anziani, gente che aveva già fatto la guerra '14-18 e sulla quale il nazionalsocialismo aveva lasciato appena un'impronta. Questi erano più dolci. Negli ultimi due anni della guerra la S.S. divenne insufficiente e gli scarti della Wermacht e della Luftwaffe, che non potevano essere utilizzati per altro, furono assegnati alla guardia dei campi.
Tutti i servizi del campo hanno il loro prolungamento nel campo S.S., dove tutto è centralizzato e da dove partono direttamente per Berlino, all'indirizzo dei servizi di Himmler, i rapporti quotidiani o settimanali. Il campo S.S. è dunque, di fatto, l'amministratore dell'altro. All'inizio dei campi, durante il periodo di gestazione, esso amministrava direttamente; in seguito, appena lo poté, amministrò soltanto per l'interposta persona dei detenuti stessi. Si sarebbe potuto credere che ciò fosse fatto per sadismo, e dopo non si è mancato di dirlo: in realtà, era per economia di personale, ed è così in tutte le prigioni, in tutte le galere di tutte le nazioni, e per la medesima ragione. Le S.S. amministrarono e fecero regnare l'ordine interno direttamente soltanto fino a che fu per loro impossibile fare diversamente. Quanto a noi, abbiamo conosciuto soltanto il “Selfgovernment” dei campi. Tutti i vecchi detenuti che hanno subito entrambi i metodi concordano nel riconoscere che quello antico era, in linea di principio, il migliore e il più umano e che, se non lo fu effettivamente, fu perché le circostanze, la necessità di far presto, il precipitare degli eventi non lo permisero. Lo credo anch'io: è meglio aver a che fare con Dio che con i suoi santi.
Le S.S., dunque, assicurano soltanto la guardia esterna e si può dire che non le si veda mai all'interno del campo, dove si accontentano di passare esigendo il saluto dei detenuti, il famoso: «”Mützen ab”» (50). In questa guardia vengono coadiuvati da una vera compagnia di cani addestrati a meraviglia, sempre pronti a mordere e capaci di andare a cercare anche a decine di chilometri di distanza un detenuto evaso. Tutte le mattine i Kommando che vanno a lavorare all'esterno, spesso a una distanza di cinque, sei chilometri, a piedi (quando si doveva andare più lontano si utilizzava il camion o il treno) sono accompagnati, a seconda della loro importanza, da due o quattro S.S., con l'arma in pugno e tenendo, ognuna, al guinzaglio un cane con la museruola. Questa guardia particolare, che completa l'inquadramento con i Kapo, si limita a sorvegliare e non interviene nel lavoro se non nel caso in cui sia necessario prestare man forte, raramente di propria iniziativa.
La sera, all'appello per Block, quando tutti sono lì, un fischio, e tutti i Blockfürer si dirigono verso il Block del quale hanno la responsabilità, contano i presenti e tornano indietro a rendere conto. Durante questa operazione, dei sottoufficiali circolano tra i Block facendo rispettare il silenzio e l'immobilità. I Kapo, i capi-Block e i Lagerschutz facilitano loro grandemente il compito in questo senso. Ogni tanto una S.S. si distingue dalle altre per la sua brutalità, ma è raro che ciò avvenga e, comunque, non si mostra mai più inumana dei sunnominati.

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Il problema della “Häftlingsführung” (51) domina la vita dei campi di concentramento e la soluzione che gli viene data condiziona la loro evoluzione, nel senso del peggio o in quello dell'umanizzazione.
All'inizio di ogni campo, non c'è Häftligsführung: c'è il primo convoglio che arriva sul posto inquadrato dalle sue S.S., le quali assumono esse stesse tutte le responsabilità, direttamente e in ogni dettaglio. Così avviene fino al secondo, al terzo o al quarto. Può andare avanti così per sei settimane, sei mesi, un anno. Ma, appena il campo ha raggiunto una certa estensione, dato che il numero delle S.S. destinatevi non è estensibile all'infinito, queste sono costrette a prendere fra i detenuti il personale complementare necessario alla sorveglianza e all'organizzazione.
Bisogna avere vissuto la vita dei campi e avere assimilato la loro storia per capire bene questo fenomeno e l'aspetto che esso ha assunto con l'uso.
Nel momento in cui nascono i campi, nel 1933, lo stato d'animo in Germania è tale che gli avversari del nazionalsocialismo sono considerati come i peggiori banditi. Di qui la facilità con la quale i nuovi padroni sono riusciti a far ammettere che non vi erano dei reati comuni e dei reati politici, ma solo e soltanto dei reati e basta. Erano così simili gli uni agli altri, e anche, in certi casi, c'era così poco da fare per rendere i secondi apparentemente più odiosi dei primi agli occhi di una gioventù fanatizzata, arruolata nelle S.S. e alla quale era stata affidata la realizzazione del progetto! Provate, adesso, a mettervi al posto delle cinquanta S.S. di Buchenwald il giorno in cui, soverchiate del lavoro procurato loro da un migliaio di detenuti e dalla massa enorme del materiale da smaltire, hanno dovuto formare il primo inquadramento delle loro vittime e designare il primo Lagerältester. Fra un Thälmann o un Breitscheid segnalati in modo particolare alla loro attenzione e il primo criminale che poteva capitare, che aveva assassinato la suocera o violentato la propria sorella, ma che era remissivo e docile come si desiderava che fosse, non hanno esitato, hanno scelto il secondo. Questi, a sua volta, ha designato i Kapo e i Blockältester e, per forza di cose, li ha presi nel proprio mondo, cioè fra i delinquenti comuni.
E’ soltanto quando i campi hanno preso un certo sviluppo, che sono diventati veri centri etnografici e industriali e si sono resi veramente necessari uomini di una certa qualità morale e intellettuale per recare alla “S.S.-Führung” un aiuto efficace. Quest'ultima si è accorta che i delinquenti comuni erano la feccia della popolazione, al campo come altrove, e che erano molto al di sotto dello sforzo che si chiedeva loro. Allora le S.S. fecero ricorso ai politici. Un giorno, fu necessario rimpiazzare un Lagerältester verde con uno rosso, e questi immediatamente cominciò a liquidare, in tutti i posti, i verdi a favore dei rossi. Così nacque la lotta, che assunse rapidamente un carattere permanente, tra i verdi e i rossi. Così si spiega anche perché i vecchi campi, Buchenwald, Dachau, erano in mano ai politici quando noi li abbiamo conosciuti, mentre quelli recenti, ancora nella fase dello Straftlager o dell'Arbeitslager, salvo casi miracolosi erano sempre in mano ai comuni.
Si è tentato di dire che questa lotta fra i verdi e i rossi, che peraltro dilagò soltanto molto tardi nel contingente tedesco della popolazione dei campi, risultava da un coordinamento degli sforzi dei secondi contro i primi: ciò è inesatto. I politici, diffidenti gli uni verso gli altri, psicologicamente impreparati, avevano tra loro soltanto legami di solidarietà molto vaghi e molto tenui. Ma dalla parte dei verdi, invece, le cose stavano del tutto diversamente: essi formavano un blocco compatto potentemente cementato dalla fiducia istintiva che esiste sempre tra gente di quell'ambiente, pilastri di prigioni o pendagli da forca. Il trionfo dei rossi fu dovuto soltanto al caso, all'incapacità dei verdi e alla sagacia delle S.S.
Si è anche detto che i politici - e specialmente quelli tedeschi - avevano costituito dei comitati rivoluzionari, che tenevano delle assemblee nei campi, che vi facevano provvista di armi e che, perfino, corrispondevano clandestinamente con l'esterno o da un campo o dall'altro: è una leggenda. Può darsi che una volta un insieme di fortunate circostanze abbia, per caso, permesso ad un individuo di corrispondere con l'esterno, o con un compagno di sventura di un altro campo, in barba alla SS-Führung: un detenuto messo in libertà che con molte precauzioni va a portare notizie di un altro detenuto alla famiglia o ad un amico politico di questi, un nuovo arrivato che fa l'operazione inversa, un trasporto che reca le notizie da un campo all'altro. Ma era estremamente raro, almeno durante la guerra, che un detenuto fosse liberato, e, in quanto ai trasporti, nessuno nel campo, nemmeno la S.S. semplice, conosceva la loro destinazione prima che l'avessero raggiunta. In genere si veniva a sapere che un trasporto effettuato qualche settimana o qualche mese prima era andato a Dora o a Ellrich: lo si veniva a sapere da ammalati che, caso eccezionale, tornavano di là, più spesso dai morti che venivano riportati al campo per esservi cremati e sul petto dei quali si potevano leggere il numero e la provenienza. Dire che questi legami fossero premeditati, organizzati, frequenti, è pura fantasia. E lasciamo perdere le provviste di armi: negli ultimi giorni di Buchenwald, grazie alla confusione del momento, dei detenuti hanno potuto stornare dalla fabbricazione corrente delle componenti separate di armi e perfino delle armi intere, ma da qui a sostenere che si trattasse di una pratica sistematica c'è lo spazio che separa il buon senso dal ridicolo. Lasciamo perdere anche i comitati rivoluzionari e le assemblee che essi tenevano; ho riso di gusto quando, alla liberazione, ho sentito parlare del comitato degli interessi francesi del campo di Buchenwald. Tre o quattro schiamazzatori comunisti: Marcel Paul (52) e il famoso colonnello Manhès in testa, che erano riusciti a sfuggire alle evacuazioni, fecero sorgere dal nulla questo comitato nell'intervallo occorso tra la partenza delle S.S. e l'arrivo degli americani. Sono riusciti a far credere agli altri che si trattava di un comitato creato da lunga data (53), ma è una fandonia pura e semplice e gli americani non l'hanno mai presa sul serio. Il loro primo lavoro, entrando nel campo, è stato quello di pregare i facinorosi di starsene tranquilli, la folla che si accingeva a prestare ascolto ai facinorosi, di rientrare docilmente nei Block, e tutti quanti, di piegarsi in anticipo ad una disciplina della quale essi intendevano restare i soli padroni. Dopo di che si sono occupati degli ammalati, del vettovagliamento e dell'organizzazione dei rimpatri, senza neppure voler prendere conoscenza dei pareri e dei suggerimenti che alcuni divenuti importanti all'ultim'ora invano tentarono di far giungere a loro. Peraltro, questo fu un bene: servì a dare una lezione di umiltà a Marcel Paul e un certo numero di vite hanno potuto essere salvate.
Infine, è stato detto che i politici, quando avevano il controllo della “H-Führung”, erano più umani degli altri. A prova di ciò si cita Buchenwald: è esatto (54), Buchenwald era, al nostro arrivo, un campo sopportabilissimo per gli indigeni dei luogo, definitivamente sottratti alla minaccia di un trasferimento. Ma lo doveva più al fatto di essere giunto al termine della sua evoluzione che non a quello di avere una H-Führung politica. Negli altri campi, in ritardo rispetto a esso, la differenza fra i rossi e i verdi non era sensibile. Sarebbe potuto succedere che il contatto con i politici moralizzasse i comuni: avvenne il contrario, furono i comuni a guastare i politici.


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