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Dei dolori e delle pene LA FASE DEL DEGENTE.


L'ultimo passo della carriera del predegente può corrispondere alla sua presa di coscienza - più o meno giustificata - di essere stato abbandonato dalla società e tagliato fuori da ogni rapporto. E' interessante notare come il paziente - soprattutto se di prima ammissione - tenti di impedirsi di rendersene conto, anche se in realtà si trovi già in un reparto chiuso di un ospedale psichiatrico. Al suo ingresso in ospedale può provare il bisogno violento di non rivelarsi, agli occhi degli altri, come persona capace di ridursi in condizioni tanto degradanti, o di comportarsi così come si è comportato prima del ricovero. Eviterà quindi di parlare; si manterrà per quanto possibile, appartato e perfino "fuori contatto" o "maniaco", per non rischiare di convalidare qualsiasi rapporto gli richieda un ruolo di reciproca cortesia e lo possa esporre a dimostrarsi, agli occhi degli altri, per ciò che è diventato. Quando la "persona di fiducia" si sforza di andarlo a trovare, può essere respinta dal suo mutismo o dal rifiuto di recarsi in «parlatorio». Molto spesso questo tipo di strategia fa supporre quanto il paziente si aggrappi a ciò che resta dell'antico rapporto che lo univa a coloro che facevano parte del suo passato, e di come stia tentando di proteggerne gli ultimi resti dalla distruzione totale, rifiutando di trattare con le persone nuove che essi sono diventati (27).
Di solito finisce per rinunciare a questo sforzo snervante, inteso a mantenere l'anonimato e a negare la sua presenza lì, ed incomincia a cercare, nella comunità ospedaliera, rapporti sociali di tipo convenzionale. Da allora in poi si ritrarrà solo in qualche modo particolare - usando sempre il suo nomignolo, firmando l'articolo nel settimanale dell'ospedale solo con le iniziali, servendosi dell'innocuo indirizzo di «copertura» fornito con tatto da alcuni ospedali; oppure in qualche circostanza particolare - quando un gruppo della scuola infermieri fa un breve giro nel reparto, o quando, nei limiti consentiti dallo spazio ospedaliero, incontra all'improvviso un civile che conosceva prima. Talvolta questo arrendersi viene definito dagli infermieri come un «adattamento». In realtà, esso denota una nuova posizione, presa e sostenuta apertamente dal paziente, che ricorda il processo del "rivelarsi" cui si assiste in altri gruppi (28). Una volta che il predegente abbia incominciato ad "adattarsi", le linee principali del suo destino tendono a seguire quelle di un'intera categoria di segregazioni - prigioni, campi di concentramento, campi di lavoro eccetera, nella cui area l'interi-iato trascorre tutta la vita, vivendo passo passo la sua giornata irreggimentata, a stretto contatto con altri compagni della medesima condizione istituzionale.
Come il neofita in molte di queste «istituzioni totali», il nuovo degente si trova completamente spogliato di ogni convinzione, soddisfazione e difesa abituali, soggetto com'è ad una serie di esperienze mortificanti: impossibilitato a muoversi liberamente se non entro limiti consentiti; costretto ad una vita in comune; sottomesso all'autorità di un'intera squadra di comandanti. E' qui che si incomincia ad apprendere quanto sia limitata l'estensione entro la quale può essere mantenuto il concetto di sé, qualora l'insieme di sostegni abituale venga improvvisamente a mancare.
Nel sottostare a queste esperienze degradanti, il degente impara a muoversi secondo il «sistema del reparto» (29). Negli ospedali psichiatrici pubblici ciò consiste, generalmente, in una serie di livelli di vita che si svolgono attorno ai reparti, nelle unità amministrative chiamate «servizi», negli ambiti entro i quali i pazienti possono essere lasciati liberi. Il livello «peggiore» non offre spesso che panche di legno per sedersi, cibo piuttosto cattivo ed un angolo per dormire. Il livello «migliore» può comprendere una stanza per persona, il privilegio di muoversi nell'area ospedaliera e di andare in città, rapporti non troppo mortificanti con il personale, cibo discreto ed ampie possibilità ricreative. Se disobbedisce alle norme generali dell'istituto, il degente riceverà una severa punizione, tradotta in termini di perdita di privilegi; se invece ubbidisce, gli sarà perfino concesso di godere nuovamente di qualche piccolo piacere che -prima di entrare in ospedale - riteneva ovvio soddisfare.
L'istituzionalizzazione di questi livelli di vita radicalmente diversi, mette in luce l'influenza dell'ambiente sociale sulla formazione del "sé". Ciò significa che il "sé" non trae origine semplicemente da un processo di interazioni significative fra l'io e gli altri, ma anche dal tipo di strutture che gli si organizza intorno.
Difficilmente una persona riconoscerebbe certi ambienti come espressione o estensione di sé. Quando un turista visita i bassifondi, si diverte non tanto nella misura in cui si riconosce nella situazione, quanto piuttosto perché la sente tanto assurdamente lontana. I «salotti» ad esempio possono essere usati come luoghi dove si può influenzare a proprio favore l'opinione degli altri. Altri ambienti, come i posti di lavoro, esprimono il livello professionale del lavoratore, livello sul quale però egli non ha alcun controllo decisivo dato che viene esercitato - seppure con tatto - dal suo datore di lavoro. Gli ospedali psichiatrici sono un esempio limite di quest'ultima possibilità, e ciò è dovuto non solo al livello di vita particolarmente degradante cui sono soggetti i pazienti, ma anche al modo particolare in cui viene qui reso esplicito il valore di sé, e ciò in maniera persistente, penetrante e sistematica.
Una volta che il degente si sia stabilito in un reparto, gli si spiega subito che le restrizioni e le privazioni cui andrà incontro non sono dovute a norme tramandate o a criteri economici - il che non avrebbe niente a che fare con il valore del "sé" - ma fanno parte intenzionale della cura, corrispondono a ciò di cui in quel momento egli ha esattamente bisogno: sono quindi espressione del livello di degradazione cui è arrivato. Avendo tutti i motivi per richiedere un trattamento migliore, se lo fa, gli si risponde che quando lo riterranno «capace di affrontare» o «pronto» per un reparto di livello superiore, allora decideranno il da farsi. Ciò significa che l'assegnazione ad un dato reparto non viene presentata come un premio o una punizione, ma come espressione del grado di socialità e delle condizioni del paziente. Premettendo che i reparti «peggiori» offrono un livello di vita che i malati mentali organici possono sopportare con una certa facilità - e quei minorati sono lì a testimoniarlo - si possono valutare alcuni degli effetti prodotti dall'ospedale (30).
Il sistema del reparto diventa allora un caso limite di come le strutture fisiche di un'istituzione possano venire esplicitamente usate per definire il concetto di sé di una persona. Inoltre lo stesso mandato psichiatrico dell'ospedale contribuisce ad incidere con aggressioni, anche più dirette e più violente, sul modo in cui il malato concepisce se stesso. Quanto più «medico» e moderno è un ospedale psichiatrico - quanto più cerca di assolvere la sua funzione terapeutica, rifiutando di limitarsi alla sola custodia - tanto più il malato si troverà di fronte ad uno staff altamente qualificato che gli dimostrerà come il suo passato sia stato un fallimento; che la causa è dentro di lui, che il suo atteggiamento verso la vita è sbagliato e che se vuole essere un uomo, dovrà mutare il tipo di rapporti che instaura e l'immagine che ha di se stesso. Spesso il valore morale di queste aggressioni verbali gli verrà imposto attraverso la richiesta di esercitarsi ad accettare l'interpretazione psichiatrica data su di lui, durante le periodiche confessioni organizzate sia in corso di psicoterapia individuale, che di gruppo.
Si può ora puntualizzare, nella carriera morale dei ricoverati, un fenomeno generale che si riscontra in molte carriere morali. Dato il grado raggiunto in qualsiasi carriera, si nota che ci si costruisce un'immagine della propria vita - passato, presente, futuro - selezionando, scegliendo e distorcendo i fatti per fornire un quadro di noi stessi, tale da poter essere vantaggiosamente presentato nella vita quotidiana. Generalmente il criterio difensivo che si segue per ciò che riguarda il "sé" porta ad allinearsi con i valori fondamentali della società in cui si vive, nel qual caso si parlerà di un'"apologia". Qualora si sia in grado di fornire un quadro della situazione quotidiana nel quale possano evidenziarsi qualità personali espresse nel passato, ed un destino favorevole che ci attende, questa potrà essere una "storia di successo". Nel caso invece il passato e il presente siano terribilmente cupi, sarà meglio che la persona dimostri di non essere responsabile di ciò che è successo e il termine "una storia triste" sarà perfettamente adatto al caso. E' piuttosto interessante notare come, quanto più il passato ha fatto deviare la persona dall'apparente allineamento con i valori morali fondamentali, tanto più spesso sembra costretta a raccontare - in qualsiasi compagnia si trovi - la sua triste storia. Il che forse risponde, in parte, al bisogno che avverte negli altri di non vedere insultato il significato della propria vita. Comunque, è soprattutto fra carcerati, alcolisti e prostitute che si trovano sempre pronte le storie più tristi (31). Ora vorrei prendere in esame le vicende della "triste storia" del malato mentale.
Nell'ospedale psichiatrico le strutture e le regole dell'istituto contribuiscono a convincere il malato che - in fondo - . un caso mentale, che ha sofferto di una sorta di collasso sociale avendo completamente fallito: la sua presenza in quel luogo ha quindi uno scarso peso sociale, poiché egli sarebbe difficilmente in grado di comportarsi da persona normale. Un tale tipo di umiliazioni è probabilmente avvertito più acutamente da malati borghesi, dato che la loro precedente condizione di vita li immunizza scarsamente contro questo tipo di offese; pure, tutti i pazienti avvertono una qualche degradazione. Esattamente come qualunque persona del medesimo livello subculturale, spesso il paziente reagisce a questa situazione, raccontando una triste storia, nel tentativo di dimostrare di non essere «malato», che i «piccoli guai» in cui è incorso sono stati, in verità, causati da altri, che la sua vita passata era retta ed onorata e che perciò l'ospedale è ingiusto ad imporgli la condizione di malato mentale. Questa tendenza al mantenimento della propria dignità agli occhi degli altri è fortemente istituzionalizzata nella comunità dei malati, dove i contatti sociali si conservano generalmente entro i limiti di una semplice informazione volontaria sulla sistemazione nel reparto e sulla durata del soggiorno, senza arrivare mai a dare spiegazioni sul motivo della loro presenza lì - il che è, del resto, abituale nelle normali conversazioni superficiali (32). Una volta familiarizzati, in genere i pazienti forniscono spontaneamente una versione relativamente accettabile del loro ricovero, accettando a loro volta - senza domande indiscrete - le versioni fornite dagli altri. Vengono, ad esempio, raccontate e apertamente accettate storie come queste:

"Frequentavo la scuola serale perché volevo laurearmi e, contemporaneamente, lavoravo. L'impegno è stato troppo per me".

"Gli altri qui sono malati di mente. Ma io ho solo un esaurimento nervoso ed è per questo che ho queste fobie".

"Sono qui per errore, a causa di una diagnosi di diabete e sarò dimesso in un paio di giorni. [Il paziente era in ospedale da sette settimane]".

"Fallii come bambino e più tardi, con mia moglie, cercai un rapporto di dipendenza".

"Il mio guaio è che non posso lavorare. Questo è il motivo per cui sono qui. Avevo due lavori, una bella casa e tutto il denaro che volevo" (33).

A volte il degente sottolinea queste storie fornendo una rappresentazione ottimistica del tipo di occupazione cui si dedicava: se era riuscito ad ottenere un'audizione per annunciatori radio, si atteggia a radio-annunciatore; se aveva lavorato alcuni mesi come fattorino in un giornale, essendogli stato assegnato un lavoro di reporter da cui fu licenziato tre settimane dopo, si definisce reporter.
Sulla base di queste finzioni reciprocamente sostenute, è possibile costruire un intero ruolo sociale nella comunità dei malati, dato che tali convenevoli reciproci sono generalmente confermati anche dalle chiacchiere fatte alle spalle che - rispetto alle versioni originali - si avvicinano soltanto di un grado ai «fatti obiettivi». Il che ricorda, tuttavia, una delle classiche funzioni sociali dei rapporti informali fra persone dello stesso livello, rapporti che servono da auditorio reciproco per storie costruite a sostegno della propria rappresentazione di sé.
Tuttavia, l'"apologia" del degente viene menzionata solo in circostanze particolari, poiché poche altre situazioni possono essere altrettanto lesive nei confronti della rappresentazione di sé data dal malato, come quella manicomiale; ammenocché non si tratti, naturalmente, di una versione costruita secondo criteri psichiatrici. Questa capacità distruttiva dell'istituto si fonda comunque su qualche cosa di più del documento che dichiara il paziente insano di mente, pericoloso a sé e agli altri - anche se tale attestazione sembra già incidere profondamente sull'orgoglio del degente e sulla sua possibilità di averne.
Le stesse condizioni degradanti dell'ambiente ospedaliero contribuiscono, naturalmente, a smascherare molte di queste rappresentazioni ottimistiche di sé proposte dai pazienti: il che è del resto confermato dal fatto stesso che i protagonisti sono ricoverati in un ospedale psichiatrico. Inoltre, non sempre c'è, fra i degenti, un grado di solidarietà sufficiente ad impedire che l'uno discrediti l'altro; esattamente come non c'è sempre un numero sufficiente di infermieri con ruoli professionali, tale da impedire che uno di questi screditi un paziente. Un paziente chiedeva ripetutamente ad un compagno:

«Se sei così in gamba, come mai sei capitato qui?»

Tuttavia gli ordinamenti ospedalieri hanno un potere ancor più lesivo. Il personale ha tutto da guadagnare screditando la versione raccontata dal degente, qualunque sia il motivo che lo spinga a farlo. Se la finalità dell'ospedale e riuscire a controllare la situazione giornaliera senza lamentele o richieste da parte del degente, risulterà utile fargli notare che i diritti che reclama e sui quali razionalizza le sue pretese, sono falsi; che egli non è ciò che dice di essere, e che in effetti non è altro che un fallito. Se i medici vogliono convincere il paziente della loro interpretazione psichiatrica sul suo bisogno di mascherarsi di fronte agli altri, devono essere in grado di dimostrare dettagliatamente come la versione da loro data del passato e del carattere del paziente, sia molto più reale della sua (34). Se gli infermieri addetti alla custodia e lo staff addetto alla cura vogliono farlo cooperare al trattamento necessario, risulterà utile che lo distolgano dall'idea che egli si è fatta circa i loro scopi e gli facciano capire che sanno quello che fanno e che fanno esattamente il meglio. Le complicazioni causate da un paziente sono dunque strettamente legate alla versione che egli dà di ciò che gli è accaduto, e se si vuole che sia collaborativo è necessario che questa versione venga screditata. Il degente deve arrivare a convincersi «interiormente» di accettare e di far accettare il giudizio che l'ospedale ha su di lui.
Il personale dispone poi di mezzi ideologici - oltre all'influenza dell'ambiente - per rifiutare le ragioni del degente. L'attuale dottrina psichiatrica definisce il disordine mentale come qualcosa che può avere le sue radici nei primi anni del paziente; che mostra i segni della sua presenza nell'intero corso della vita e invade quasi ogni settore della sua attività. Nessun punto particolare del passato o del presente viene così a trovarsi fuori della giurisdizione psichiatrica. Gli ospedali psichiatrici istituzionalizzano burocraticamente questo mandato così vasto, basando la cura del malato essenzialmente sulla formulazione della diagnosi e sull'interpretazione psichiatrica del suo passato, che da una tale diagnosi proviene.
La cartella clinica lo evidenzia chiaramente. Si tratta infatti di un dossier dove non si registrano mai le circostanze in cui il paziente ha dimostrato di essere in grado di affrontare dignitosamente e con successo difficili situazioni di vita, né vi si segnala la media di comportamento della sua condotta passata. Uno dei suoi scopi è dimostrare i diversi modi in cui il paziente è «malato» e la ragione per la quale era giusto rinchiuderlo in ospedale ed è tuttora giusto tenervelo rinchiuso. Il che viene attuato ricavando dal corso di tutta la sua vita un elenco di quei fatti che hanno o potrebbero aver avuto un valore «sintomatico» (35). Vengono citate le disavventure dei genitori o dei fratelli che potrebbero far pensare ad una tara familiare. Vengono segnalati fatti precedenti in cui il paziente dimostrò un «disturbo di giudizio» o qualche alterazione emotiva; si descrivono situazioni in cui agì in modo strano, tale da poter essere giudicato da un profano come un immorale, un pervertito sessuale, debole, infantile, sconsiderato, impulsivo, pazzo. E' probabile vi si riportino dettagliatamente scorrettezze fatte dal paziente che qualcuno considerò come l'ultima goccia, causa di provvedimenti immediati nei suoi confronti. Vi sarà descritto, inoltre, lo stato al momento del suo ingresso in ospedale - momento non certo facile e calmo per lui. Potranno esservi riferite risposte devianti date dal paziente a domande imbarazzanti, facendolo apparire come persona che presenta e fa affermazioni in evidente contrasto con i fatti:

"Asserisce di vivere con la figlia maggiore o con le sorelle soltanto quando è ammalata e bisognosa di cure; altrimenti con il marito - ma il marito stesso afferma di non vivere con lei da dodici anni".

"Contrariamente a quanto riferisce il personale, egli asserisce di non sbattere più sul pavimento o di gridare al mattino".

"... nasconde il fatto di essere stata isterectomizzata, pretende di avere ancora le mestruazioni".

"Dapprima negò di aver avuto esperienze sessuali prematrimoniali, ma quando le fu chiesto di Jim, disse di averlo dimenticato perché la cosa era stata spiacevole" (36).

Qualora l'autore della documentazione non conosca fatti negativi, la loro eventuale presenza viene scrupolosamente annotata come possibile:

"La paziente negò ogni esperienza eterosessuale, non si riuscì neppure a farle ammettere di essere stata incinta o di aver fatto qualsiasi tipo di esperienza sessuale, negando pure la masturbazione".

"Anche sottoposta a considerevoli pressioni, non risultò disposta ad impegnarsi in proiezioni di meccanismi paranoici".

"Nessun contenuto psicotico poté essere allora dedotto" (36).

In mancanza di fatti più precisi, appaiono spesso note di scredito nelle descrizioni del comportamento generale del paziente in ospedale:

"Quando veniva interrogato si mostrava mite, apparentemente sicuro di sé e, parlando, faceva affermazioni di carattere generale, gratuite e altisonanti".

"Di aspetto pulito, baffetti alla Hitler ben curati, quest'uomo di quarantacinque anni, che ha passato gli ultimi cinque o più ricoverato, è riuscito ad adattarsi alla vita ospedaliera dimostrandosi un uomo allegro ed elegante che non solo supera intellettualmente i compagni, ma è anche molto virile con le donne. Il suo discorso è pieno di parole multisillabe che usa generalmente a proposito, ma se parla un po' a lungo appare chiaro che, completamente perso nella sua diarrea verbale, ciò che dice risulta quasi del tutto privo di senso" (36).

I fatti registrati nella cartella clinica sono dunque esattamente quelli che il profano considererebbe calunniosi, diffamatori, portatori di discredito. Si deve anche precisare che il personale ospedaliero, a tutti i livelli, non riesce in genere a trattare questo materiale con la neutralità morale proclamata necessaria in dichiarazioni mediche e diagnosi psichiatriche, ma partecipa invece con il tono e con i gesti (se non con altri mezzi) alla reazione tipica dei profani verso questi atti. Ciò accade sia nel rapporto personale-paziente, che in quello fra i diversi membri dello staff in assenza del paziente.
In alcuni ospedali psichiatrici l'accesso alle documentazioni cliniche è tecnicamente limitato ai medici e agli infermieri più qualificati; tuttavia il personale di grado inferiore può avervi accesso - se pur non ufficiale - ed ottenere nuove informazioni (37). Inoltre si riconosce comunemente al personale dei reparti il diritto di essere informato sugli aspetti della vita passata del paziente che - sommati alla situazione in atto - rendono possibile il trattarlo opportunamente, a suo vantaggio e a minor rischio degli altri. I diversi livelli dello staff hanno poi accesso alle note giornaliere tenute dagli infermieri del reparto sul corso della malattia e del comportamento del paziente; note che forniscono, per il presente, il tipo di informazioni che le cartelle cliniche dànno per il passato.
Ritengo che la maggior parte delle informazioni raccolte nelle cartelle cliniche sia esatta, per quanto si potrebbe obiettare che nella vita di ciascuno di noi può essere riscontrato un numero sufficiente di fatti negativi la cui documentazione potrebbe giustificare il ricovero. Comunque non voglio soffermarmi qui sull'opportunità di mantenere la documentazione dei casi, o sui motivi che lo staff ha di conservarla. Il punto è che - nella misura in cui questi f atti relativi al paziente sono veri - egli non potrà certo sottrarsi alla normale pressione culturale che lo spinge a nasconderli, e si sentirà forse maggiormente minacciato nel sapere che essi sono a disposizione di altri e che egli non è in grado di avere alcun controllo su chi ne viene a conoscienza (38). Un giovane - dall'aspetto virile - reagisce al richiamo alle armi scappando dalla caserma e nascondendosi nell'armadio di una stanza d'albergo, dove la madre lo trova in lacrime; una donna viaggia dallo Utah a Washington per avvisare il presidente dell'incombente giudizio universale; un uomo si spoglia davanti a tre ragazze; un ragazzo chiude la sorella fuori dalla porta e le rompe due denti quando tenta di rientrare dalla finestra. Ognuna di queste persone ha fatto qualcosa che vorrà, ovviamente, nascondere agli altri ed avrà motivi per mentire al riguardo.
Il tipo di comunicazioni che mantiene collegati i membri dello staff tende poi ad ampliare le notizie già divulgate dalle cartelle cliniche. Un atto che screditi il degente, accaduto in un momento della giornata e in un settore della comunità ospedaliera, sarà probabilmente riferito a chi controlla altri settori della sua vita ed il paziente si troverà costretto a negare di aver potuto agire in quel modo.
Significativa - come del resto in altre istituzioni sociali - è l'abitudine sempre più frequente di organizzare riunioni a tutti i livelli dello staff, riunioni nelle quali si espongono i diversi punti di vista sui pazienti e si concorda collegialmente la linea di condotta da far loro seguire e quella dello staff nei loro confronti. Un paziente che instauri un rapporto «personale» con un infermiere o che lo renda ansioso accusandolo insistentemente di imperizia, può essere rimesso al suo posto per mezzo della riunione del personale, dove si fa presente e si conferma all'infermiere il fatto che il degente è «malato». In questo senso l'immagine differenziale di sé che ciascuno vede riflessa in coloro che - a vari livelli - gli stanno attorno, viene qui ad essere unificata dietro le quinte, in un unico tipo di approccio: è facile quindi che il paziente si trovi, in questa situazione, come di fronte ad una sorta di coalizione contro di lui, anche se si ritiene sinceramente di fare tutto per il suo bene.
Si aggiunge poi il fatto che il trasferimento formale di un paziente da un reparto o servizio ad un altro, avviene abitualmente trasmettendone - in modo informale - le note caratteristiche, e ciò per semplificare il lavoro di colui al quale il paziente viene affidato. Infine, le conversazioni del personale durante il pranzo o la sosta per il caffè, spesso vertono - al più informale dei livelli - sulle ultime prodezze del paziente, dato che qui il pettegolezzo, tipico di ogni istituzione sociale, è intensificato dal fatto che tutto quanto concerne il paziente riguarda, in qualche modo, il personale dell'ospedale. In teoria non dovrebbe esservi ragione alcuna perché tale pettegolezzo non abbia a presentare una visione migliore, piuttosto che peggiore, della persona di cui si parla, a meno che non si affermi che tutto ciò che si dice alle spalle degli assenti, tende sempre ad essere una critica, al fine di mantenere l'integrità e il prestigio della cerchia di persone con cui si sta parlando. Anche se chi parla sembra animato dalle migliori intenzioni, il discorso implica, inevitabilmente, il fatto che il malato non è un uomo "completo". Per esempio, un coscienzioso terapista di gruppo, veramente partecipe ai problemi dei pazienti, così raccontava ad un gruppo di colleghi al bar:

"Ho avuto all'incirca tre elementi negativi per l'integrazione del gruppo. Uno in particolare, un avvocato [sotto voce] James Wilson - veramente intelligente, che mi rendeva le cose molto penose e che dovevo sempre incalzare a partecipare in qualche modo, a fare qualcosa. Ebbene, stavo proprio disperando quando incontrai il suo terapista che mi spiegò come, dietro a quella sua aria da bluff, avesse un gran bisogno del gruppo: per lui probabilmente il gruppo aveva un significato maggiore di qualsiasi altro beneficio avesse potuto ricavare dall'ospedale. Aveva appunto bisogno di sostegno. Bene, questo mi fece cambiare opinione nei suoi confronti. E adesso è fuori".

In generale, dunque, gli ospedali psichiatrici provvedono sistematicamente a far circolare su ciascun paziente il genere di informazioni che egli cercherebbe di nascondere e che ogni giorno - in modo più o meno dettagliato - vengono usate per frustrarne le pretese. Al momento dell'ammissione o durante i colloqui diagnostici, gli verranno rivolte domande alle quali - se vorrà mantenere il rispetto di sé - non potrà che dare risposte false e allora gli potrebbe venir rinfacciata quella vera. Un infermiere cui il paziente dia una versione personale del suo passato e della causa del ricovero, può sorridere in modo incredulo e dire «Non è così che l'ho sentita», secondo i criteri psichiatrici che tendono a riportare il malato ad un livello di realtà. Nel caso un paziente si avvicini ad un medico o ad un infermiere nel reparto per domandare un favore o chiedere di essere dimesso, gli si risponde con domande cui non può ribattere dicendo la verità, se non richiamando alla memoria un momento del passato in cui ebbe a comportarsi in modo vergognoso. Quando poi interviene alle discussioni durante la psicoterapia di gruppo, il terapista - nella sua qualità di esaminatore - può tentare di disingannarlo circa l'interpretazione che egli dà al fine di salvare il proprio rispetto di sé, incoraggiandolo invece a giudicarsi come persona da biasimare e che deve cambiare. Nel caso sostenga con il personale o con i compagni di sentirsi bene e di non essere mai stato veramente ammalato, vi può essere qualcuno pronto ad illustrargli dettagliatamente il modo in cui - solo un mese prima - se ne andava pavoneggiandosi come una ragazza; o pretendeva di essere Dio o rifiutava di parlare o di mangiare, o metteva gomma nei capelli.
Ogni qual volta lo staff demolisce le rivendicazioni del degente, il giudizio su ciò che dovrebbe essere una persona e ciò che dovrebbero essere le regole su cui si basano i rapporti sociali fra individui dello stesso livello, induce il paziente a ricostruire nuovamente la sua rappresentazione di sé; ma ogni qual volta lo fa, i criteri custodialistici o psichiatrici su cui lo staff si uniforma possono portare a screditargliela nuovamente.
Sotto queste oscillazioni del "sé" del paziente prodotte dal giudizio degli altri, anche la base istituzionale continua a muoversi in modo altrettanto precario. Contrariamente a quanto si pensa, il «sistema del reparto» consente, soprattutto durante il primo anno di ricovero, un notevole grado di mobilità sociale all'interno degli ospedali psichiatrici. In questo primo periodo, il degente può essere stato trasferito una volta da un dipartimento all'altro, tre o quattro volte da un reparto ad un altro e può essergli stato mutato parecchie altre volte il grado di libertà consentitogli; cambiamenti questi che possono venir da lui vissuti come buoni o cattivi. Ognuno di questi movimenti comporta un drastico mutamento del livello di vita e del materiale a disposizione per costruirsi un certo giro di attività, capace di servire da sostegno al "sé" del paziente; il significato di un tale mutamento equivale - per così dire - al passaggio da una classe all'altra in un sistema di classi più ampio. Inoltre i compagni con i quali il degente è parzialmente identificato, si sposteranno in maniera analoga ma in differenti direzioni e a ritmo diverso, il che non può non provocare in lui sentimenti di mutamento sociale, anche quando non ne sia il diretto protagonista. Come si è già detto, gli stessi criteri psichiatrici possono contribuire ad aumentare le fluttuazioni sociali del sistema del reparto. Una corrente psichiatrica attuale considera, infatti, questi sistemi di reparto come una sorta di «serra» sociale, nella quale i pazienti incominciano la loro carriera come infanti sociali, e la finiscono - entro un anno - come adulti risocializzati in un reparto per convalescenti. Questo modo di interpretare la cosa aumenta sensibilmente il grado di merito e di orgoglio con cui il personale può vivere il proprio ruolo e occorre una notevole dose di cecità - specie ai più alti livelli dello staff - per non dare al sistema del reparto significati diversi, riconoscendolo, ad esempio, come un mezzo per disciplinare, attraverso punizioni e ricompense, persone difficili da governare. Ad ogni modo, questa tendenza alla risocializzazione, può trovarsi a dare un'importanza eccessiva al grado in cui i pazienti dei reparti peggiori sono incapaci di un comportamento socializzato, e al livello in cui i pazienti dei reparti migliori sono invece disposti a partecipare al gioco sociale. Dato che il sistema del reparto è qualche cosa di più di una «camera di risocializzazione», i ricoverati hanno modo di trovarvi molte occasioni per «far disordine» o per mettersi nei pasticci, il che significa molte occasioni per essere retrocessi alla condizione dei reparti meno privilegiati. Questi spostamenti possono essere ufficialmente considerati come ricadute di carattere psichiatrico o slittamenti morali, confermando in ciò l'indirizzo dell'ospedale tendente alla risocializzazione. Secondo un'interpretazione di tal tipo, una semplice infrazione alle regole, con conseguente degradazione sociale, viene dunque vista come l'espressione diretta delle condizioni psichiche del paziente. Analogamente le promozioni - imputabili a sovraffollamento del reparto, al bisogno in un altro reparto di un «paziente-lavoratore», o ad altri motivi irrilevanti dal punto di vista psichiatrico - possono trasformarsi in qualche cosa che risulti come l'espressione profonda delle condizioni psichiche del paziente. Inoltre, lo staff può in qualche modo pretendere che il paziente stesso si sforzi, in modo personale, di guarire in meno di un anno, così che sarà da lui costantemente stimolato a pensare in termini di successo o di fallimento (39).
In questo contesto i ricoverati possono scoprire che, nella loro condizione, le degradazioni morali non sono poi così terribili come avevano immaginato. Dopotutto, infrazioni in grado di provocare un tal tipo di retrocessione, non possono accompagnarsi a sanzioni legali o alla riduzione allo stato di malato mentale, dato che questa è già appunto la loro condizione presente. Inoltre nessun delitto, passato o presente, sembra tanto orrido da far estromettere un malato dalla comunità dei malati. E' per questo che i fallimenti rispetto ad una condotta normale vengono qui a perdere parte del loro significato stigmatizzante (40). Infine, accettando la versione data dall'ospedale sulla sua caduta in disgrazia, il degente può decidere di «ravvedersi» ed ottenere così simpatia, privilegi ed indulgenza da parte dello staff che vuole incoraggiarlo in questa sua decisione.
Imparare a vivere costantemente soggetto a smascheramenti e ad oscillazioni su ciò che è il proprio valore (con scarsa possibilità di controllo quando un tale valore gli venga riconosciuto e quando negato) è un passo molto importante nel processo di socializzazione del degente, tale da poter dire qualcosa di veramente significativo su ciò che è un ricoverato in un ospedale psichiatrico. Il fatto di avere i propri errori passati e la situazione presente sotto costante critica morale, sembra richiedere un adattamento particolare che consiste in un atteggiamento - meno morale - verso gli «ideali dell'io». I propri errori e i propri successi diventano un problema troppo centrale e continuamente contraddetto per permettere che ci si possa preoccupare - in modo normale - del punto di vista degli altri al proposito. Non è molto consigliabile tentare di reclamare qualche fondato diritto personale. Il degente tende ad imparare che non bisogna dare troppo peso alla propria degradazione e alla ricostruzione del proprio valore apprendendo - insieme - che il personale ed i ricoverati sono disposti a guardare con una certa indifferenza all'espandersi e al restringersi del "sé" di un individuo. Apprende che un'immagine giustificabile di sé può essere considerata come qualcosa di estraneo alla persona stessa, qualcosa che può essere costruita, perduta, ricostruita, e tutto ciò con grande rapidità ed una certa indifferenza. Impara così il modo per arrivare ad assumere un punto di vista - e quindi un sé - al di fuori di quello che l'ospedale può dargli e togliergli.
L'ambiente sembra allora generare una sorta di sofisticazione cosmopolita, di apatia civica. In questo contesto morale, non «serio» anche se assurdamente esagerato, il fatto di costruirsi un'immagine di sé o di vedersela distruggere, diventa parte di un gioco privo di pudori e l'imparare a considerare questo processo - che pure è così vitale un gioco, sembra favorire un certo scadimento morale. In ospedale il degente può, dunque, apprendere che il "sé" non è una fortezza, quanto piuttosto una cittadella aperta e può disgustarsi di dover continuare a mostrarsi felice quando è nelle mani delle sue truppe, e addolorarsi quando è nelle mani del nemico. Una volta imparato cosa significhi essere definito dalla società come persona che manca di un "sé" vitale, questa minacciosa definizione - minacciosa nella misura in cui è in grado di spingere le persone ad aderire al "sé" che la società concede loro - diventa più debole. Il paziente sembra aver raggiunto un nuovo livello di equilibrio quando ha imparato che può sopravvivere se agisce in un modo che la società giudica lesivo per lui stesso.
Si potrebbero dare qui alcuni esempi di scadimento e di rilassamento morale. Negli ospedali psichiatrici di stato sembra comunemente accettata, da parte dei degenti, e più o meno tollerata dal personale, una sorta di «moratoria matrimoniale». Se un paziente «corteggia» contemporaneamente più di un partner, si può assistere ad una certa pressione informale nei suoi confronti da parte dei compagni; ma lo stringere una relazione, temporaneamente costante, con un membro dell'altro sesso, sembra provocare solo scarsa disapprovazione, anche se si sa che entrambi sono sposati, hanno figli e perfino ricevono regolarmente le visite dei coniugi. Negli ospedali psichiatrici, insomma, c'è la libertà di ricominciare a corteggiarsi, beninteso però che non ne risulti nulla di serio e permanente. Come gli amori che nascono a bordo delle navi o in vacanza, questi legami testimoniano in che modo l'ospedale è tagliato fuori dalla realtà esterna, diventato ormai un mondo a sé, che funziona a beneficio dei suoi stessi cittadini. Indubbiamente un tal tipo di «moratoria» è espressione del distacco e dell'ostilità che i degenti avvertono verso coloro ai quali erano strettamente legati prima del ricovero. Ma, oltre a questo, è anche l'evidenza del rilassamento morale che deriva dal vivere in un mondo all'interno del mondo, in condizioni che rendono difficile riconoscere la piena serietà dei valori, sia dell'uno che dell'altro.
Il secondo esempio riguarda il sistema del reparto, Al livello del reparto peggiore, pare siano frequenti fatti disdicevoli, causati in parte dalla mancanza di opportunità di vita, in parte dagli scherni e dal sarcasmo che sembrano essere la regola su cui si fonda il controllo sociale del personale addetto ai reparti. Nel contempo, la scarsità di attrezzature e di diritti cui rifarsi corrisponde alla limitata possibilità, data al degente, di ricostruirsi un sé. Egli si trova così costantemente sul punto di perdere l'equilibrio, avendo a disposizione uno spazio ristrettissimo dove poter cadere. In alcuni di questi reparti pare si sviluppi una specie di umorismo macabro, con notevole libertà da parte dei degenti di far fronte al personale, rendendo offesa per offesa. Se questi pazienti possono essere puniti, non è infatti altrettanto facile che possano venire ad esempio, disprezzati, dato che godono di ben pochi privilegi per poter essere feriti da qualche offesa sottile. Come per le prostitute in ciò che riguarda il sesso, i ricoverati in questi reparti hanno ben poco da perdere in reputazione e diritti, per cui possono permettersi anche certe libertà. Ma, man mano che si sale a livelli superiori nel sistema dei reparti, il degente può riuscire, a poco a poco, ad evitare gli incidenti che possano frustrare la sua pretesa ad essere uomo, e ad acquistare un numero sempre maggiore di elementi diversi che possano portare alla ricostruzione del rispetto di sé. Ma se infine si troverà a cadere - e questo succede - la caduta lo farà precipitare molto più in basso. Il degente privilegiato, per esempio, vive in una dimensione più ampia di quella definita dai limiti del reparto. E' il mondo costruito dai terapisti addetti alle attività ricreative, i quali possono - su richiesta - concedere dolci, carte da gioco, palline da ping-pong, biglietti per il cinema, carta da lettere. Dato però che questi privilegi non si pagano - e il pagamento è, nel mondo esterno, il mezzo di controllo sociale esercitato da chi ne riceve qualcosa in cambio - il degente corre il rischio che anche un esponente dello staff di buon cuore possa, ad una sua richiesta, umiliarlo dicendogli di aspettare che finisca di parlare, o molestarlo continuando a chiedergli ragione di ciò che ha domandato, o rispondergli con un lungo silenzio e con uno sguardo freddo di valutazione.
Lo spostarsi in un senso o nell'altro all'interno del sistema del reparto, non ha dunque soltanto il significato di una rotazione delle risorse disponibili per costruirsi il "sé", un significato per la condizione che ne deriva, ma anche quello di un cambiamento nel calcolo dei rischi. La valutazione dei rischi su ciò che riguarda il concetto di sé, fa parte dell'esperienza morale di ognuno; ma arrivare a comprendere che un dato livello di rischio non è che un dispositivo sociale, rappresenta un tipo di esperienza più raro, tale da contribuire a disincantare la persona che lo prova.
Un terzo esempio di rilassamento morale lo si nota a proposito delle condizioni in cui spesso il malato si trova al momento della dimissione. Egli viene dimesso sovente sotto il controllo e la responsabilità giuridica della "persona di fiducia" o di un datore di lavoro, scelto appositamente e particolarmente vigile. Se il paziente fa qualcosa che non va mentre si trova sotto la loro protezione, essi potranno ottenerne l'immediata riammissione in ospedale. Ciò significa che il paziente viene a trovarsi sotto il potere speciale di persone che, normalmente, non avrebbero su di lui questo tipo di potere e verso i quali potrebbe, inoltre, aver avuto precedenti motivi di acredine. Tuttavia, per poter uscire dall'ospedale, può nascondere il suo malcontento al riguardo e farsi vedere disposto - almeno finché non sia stato cancellato con certezza dalla lista dei degenti - ad accettare un tal tipo di custodia. Queste procedure per la dimissione forniscono quindi un esempio esplicativo di come si possa assumere in modo esplicito un ruolo, evitando quelle che sono le implicazioni personali dell'accordo; il che sembra aumentare maggiormente la distanza che separa la persona dal mondo che gli altri prendono tanto sul serio.

La carriera morale di un individuo di una data categoria sociale implica un susseguirsi standardizzato di mutamenti nel modo di giudicarsi includendo - in maniera significativa - il modo di concepire il proprio "sé". Questo processo quasi sotterraneo può essere seguito studiando le sue esperienze morali - cioè i fatti che segnano una svolta nel modo in cui egli considera il mondo - sebbene sia difficile stabilire le particolarità di questo modo di concepirlo. Si prende nota di tattiche e strategie evidenti, vale a dire delle posizioni prese dal soggetto in esame, di fronte a determinate altre persone, qualunque sia la natura nascosta e variabile della sua adesione interna a queste posizioni da lui assunte. Prendendo nota di esperienze morali o di prese di posizioni personali apertamente sostenute, si può ottenere un tracciato relativamente obiettivo di questioni relativamente soggettive.
Ogni carriera morale, e, dietro ad essa, ogni sé si svolge entro i confini di un sistema istituzionale, sia esso una istituzione sociale come un ospedale psichiatrico o un complesso di rapporti personali e professionali. Il "sé" può essere quindi visto come qualcosa che risiede nel sistema di accordi che prevale in una società. In questo senso esso non risulta di proprietà della persona cui viene attribuito, ma risiede piuttosto nella dinamica del controllo sociale esercitato su di lei, dalla persona stessa e da coloro che la circondano. Questo tipo particolare di ordinamenti istituzionali, più che servire di sostegno al "sé" lo costituisce.
In questo articolo sono stati presi in considerazione due tipi di ordinamenti istituzionali, per puntualizzare ciò che accade quando queste regole vengono a mancare. Il primo riguarda la fedeltà della "persona di fiducia". Il "sé" del predegente è descritto come una funzione del modo in cui sono messi in relazione tre ruoli, aumentando e diminuendo il tipo di legame che esiste fra la "persona di fiducia" e i mediatori. Il secondo riguarda la protezione necessaria per la costruzione di un'immagine di sé da presentare agli altri e il modo in cui il progressivo venir meno di questa protezione può costituire un aspetto sistematico, se non intenzionale, del funzionamento di un istituto. Desidero sottolineare che questi sono solo due tipi di ordinamenti le cui regole incidono nella formazione del "sé"; altri che non sono stati considerati in questo articolo, sono tuttavia altrettanto importanti.
Nel ciclo normale di socializzazione seguito dall'adulto, ci si aspetta che dopo l'alienazione e la mortificazione, segua un nuovo insieme di credenze riguardo al mondo ed un nuovo modo di concepire se stessi. Nel caso del degente dell'ospedale psichiatrico, questa rinascita avviene qualche volta prendendo la forma di una incrollabile fiducia nelle prospettive psichiatriche o, almeno per qualche tempo, nell'impegno sociale a trovare un trattamento migliore per il malato mentale. La sua carriera ha, tuttavia, un interesse unico poiché può evidenziare la possibilità che il malato - nello spogliarsi dell'abito del vecchio sé, o nel vederselo strappare - non ne abbia a cercare uno nuovo e non debba adoperarsi per trovare un nuovo pubblico di fronte al quale nascondersi. Può, al contrario, imparare, almeno per un certo tempo, a praticare di fronte a tutti i gruppi l'arte amorale della spudoratezza.


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