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Dei dolori e delle pene LA CARRIERA MORALE DEL MALATO MENTALE.

[Questo saggio è ristampato da «Psychiatry: Journal for the Study of Interpersonal Processes», XX, n. 2, maggio 1959. Copyright 1959 William Alanson White Psychiatric Foundation, Inc.]


Il termine «carriera» è riservato abitualmente ad un tipo di privilegi goduti da chi progredisce, secondo tappe graduali, in una professione di successo. Si usa tuttavia lo stesso termine, in senso più ampio, per riferirsi ad una sorta di filo conduttore - di carattere sociale - seguito nel ciclo dell'intera vita di una persona. Si adottano qui i metodi delle scienze naturali, tralasciando cioè i singoli risultati particolari, per mettere l'accento sui mutamenti fondamentali che si rivelano comuni, nel tempo, ai membri di una categoria sociale, pur verificandosi in modo indipendente. E' dunque evidente che una carriera, intesa in tal senso, non può essere ritenuta né brillante né deludente, né un successo né un fallimento e appunto, sotto questa luce, intendo avvicinare il malato mentale.
Uno dei vantaggi del concetto di carriera è che presenta, contemporaneamente, due facce. L'una si ricollega a meccanismi interni, gelosamente custoditi, come l'immagine di "sé" ed il sentimento di identità; l'altra riguarda invece la posizione ufficiale, la figura giuridica, lo stile di vita e fa parte di un complesso istituzionale che proviene dall'esterno. Un tale concetto permette di passare dal personale al pubblico e viceversa, senza dover ricorrere, per la raccolta dei dati, all'immagine di sé che ogni persona si costruisce.
Questo articolo è un saggio sullo studio del "sé" nell'ambito di un istituto e concerne, soprattutto, gli aspetti morali della carriera che in esso si svolge - vale a dire l'insieme di mutamenti regolari nel "sé" e nell'immagine di sé di una persona, così come nel giudizio di sé e degli altri che tale carriera comporta (1).
La categoria dei «malati mentali» è qui intesa in senso strettamente sociologico. In questa prospettiva la valutazione psichiatrica di una persona assume significato solo nel momento in cui essa ne alteri il destino sociale - alterazione che diventa fondamentale nella nostra società quando, e soltanto quando, la persona viene immessa nel processo di ospedalizzazione (2). Escludo quindi altre categorie affini: i possibili candidati che sarebbero giudicati «malati» secondo criteri psichiatrici, ma che non arrivano mai al punto di essere ritenuti tali da sé o dagli altri, sebbene possano causare notevoli difficoltà (3); il paziente che lo psichiatra ritiene di poter trattare ambulatoriamente con farmaci o shock; o quello in trattamento psicoterapico. Includo invece chiunque venga preso, in un modo o nell'altro, nel pesante ingranaggio del servizio ospedaliero psichiatrico, indipendentemente dalla sua struttura personale. In questo senso gli effetti derivanti dall'essere trattato come malato mentale, possono essere tenuti distinti da quelli cui va incontro una persona con caratteristiche che un clinico riterrebbe psico-patologiche (4). I malati che si ricoverano negli ospedali psichiatrici variano fra di loro nel tipo di malattia, nel grado di gravità diagnosticato dallo psichiatra e nelle caratteristiche con cui li descriverebbe un profano. Pure, una volta immessi in questa dimensione, si trovano ad affrontare circostanze del tutto analoghe, cui reagiscono in maniera del tutto analoga. Siccome però queste analogie non derivano dalla malattia mentale, si potrebbe dire si verifichino suo malgrado. E' quindi un riconoscimento del potere delle forze sociali il fatto che la condizione uniforme di «malato mentale» sia in grado di determinare in un insieme di persone, un destino e quindi un carattere comune, tenendo anche presente che questo tipo di pressione sociale si verifica sul materiale umano più ostinatamente diverso che si possa raggruppare. Manca qui il frequente costituirsi di una vita protettiva di gruppo fra ex ricoverati, per poter illustrare il ciclo classico di reazioni, attraverso le quali, persone «disadattate» si trovano a costituire, psicodinamicamente, dei sottogruppi nella società.
Questa prospettiva sociologica generale è notevolmente rafforzata da una scoperta cruciale, messa in luce da studiosi di sociologia, nel corso di ricerche in ospedali psichiatrici. Come è stato più volte dimostrato nello studio di società preletterate, il disgusto, il disagio e l'impressione di barbarie provocati da una cultura estranea alla propria, possono diminuire nella misura in cui lo studioso si familiarizza con la concezione di vita di chi sta esaminando. In modo analogo colui che fa ricerche in un ospedale psichiatrico può scoprire che la follia o il «comportamento malato» attribuito al paziente è, in gran parte, prodotta dalla distanza sociale fra chi giudica e la situazione in cui il paziente si trova e non, principalmente, dalla malattia mentale. Indipendentemente dalla precisione della diagnosi dei vari pazienti, e indipendentemente dai particolari aspetti per cui la vita sociale all'interno dell'ospedale risulta unica, il ricercatore può rendersi conto di partecipare ad una comunità che non differisce in modo significativo da qualsiasi altra abbia studiato. Naturalmente, se vive ristretto nei limiti di un reparto semiaperto, può avere l'impressione - come del resto accade ad alcuni pazienti - che la vita nei reparti chiusi sia invece strana; se si trova in un reparto chiuso di osservazione o convalescenza, può avere l'impressione che i reparti per cronici siano luoghi socialmente assurdi. Basta però che partecipi direttamente alla vita dei reparti «peggiori» dell'ospedale, per mettere anche questi socialmente a fuoco come un mondo vivo e pieno di sempre nuovi significati. Il che non esclude tuttavia che possa trovare, in ogni reparto o gruppo di pazienti, una minoranza che continua ad apparirgli come incapace di seguire le regole di un'organizzazione sociale; oppure che l'adattamento alle regole della comunità sia reso, in parte, possibile da misure strategiche che si sono istituzionalizzate negli ospedali psichiatrici.
La carriera del malato mentale comprende, come si sa, tre fasi principali: il periodo che precede l'ospedalizzazione che chiamerò la fase del "predegente"; il periodo del ricovero, cioè la fase del "degente"; e il periodo successivo alla dimissione dall'ospedale, se questa avviene, cioè la fase dell'"ex degente" (5). Questo articolo si limiterà all'analisi delle due prime fasi.


LA FASE DEL PREDEGENTE.


Un numero relativamente piccolo di predegenti entra in ospedale psichiatrico spontaneamente, perché lo ritiene utile o perché concorda appieno con le decisioni dei familiari. E' probabile che queste reclute si siano trovate ad agire in modo da dimostrare a se stesse che stavano perdendo il senno o il controllo di sé. Nella nostra società, questo modo di vedersi, di giudicarsi, sembra una delle più gravi minacce che possa colpire il sé, specialmente perché è facile sopravvenga quando la persona è già abbastanza turbata per rivelare il tipo di sintomi che essa stessa è in grado di giudicare. Sullivan così lo descrive:

"Ciò che scopriamo nel sistema del sé di una persona che cade vittima di un'evoluzione schizofrenica o di un processo schizofrenico è, dunque, nella sua forma più semplice, una perplessità fortemente caratterizzata da un sentimento di timore, che consiste nell'uso di processi di pensiero piuttosto generalizzati e per nulla perfezionati; processi cui si ricorre nel tentativo di far fronte all'incapacità di essere uomo - all'incapacità, cioè, di essere qualcosa che possa venire rispettata come degna di esistere" (6).

Alla necessità di ricostruire la propria disintegrazione si associa - in chi ne soffre - la necessità, quasi altrettanto opprimente, di nascondere agli altri quelli che ritiene dei mutamenti fondamentali avvenuti in lui, e di tentare di scoprire se anche gli altri se ne sono accorti (7). Ciò che intendo dire è che la percezione di perdere il senno è legata a stereotipi culturali e sociali che riconoscono grande importanza a sintomi quali l'udire voci, perdere l'orientamento spazio-temporale, avere la sensazione d'essere inseguiti; sintomi che, in realtà, sono spesso psichiatricamente ritenuti un semplice e temporaneo sconvolgimento emotivo in una situazione stressante, per quanto terrificante possa risultare una tale esperienza per chi la vive. Analogamente, l'ansia scatenata da questa percezione di sé e le strategie adottate per ridurla, non sono di per sé anormali, ma corrispondono esattamente a quelle che manifesterebbe chiunque appartenesse alla nostra cultura ed avvertisse di essere sul punto di perdere il senno. E' interessante notare come le varie subculture nella società americana differiscano palesemente nella quantità di stereotipi e nel tipo di incitamento che offrono per una tale visione di sé, cosi che si riscontrano livelli diversi di "autodenunce". Comunque, questa capacità di giudicare il grado della propria disintegrazione, senza alcun intervento da parte di psichiatri, sembra uno dei privilegi culturali - alquanto discutibile - delle classi superiori (8).
Per colui il quale sia giunto a considerarsi - in modo più o meno giustificato - come mentalmente squilibrato, l'entrata in ospedale psichiatrico può talvolta portare sollievo, forse, in parte, a causa della rapida trasformazione del suo status sociale: invece di essere, ai propri occhi, una persona discutibile che tenta di conservare il ruolo di persona integra, diventa una persona ufficialmente discussa ma che, ai propri occhi, non lo è poi tanto. In altri casi invece l'ospedalizzazione può peggiorare lo stato del malato che si ricovera spontaneamente, nel suo riconoscere confermato, in una situazione obiettiva, ciò che era stato prima solo un'esperienza personale.
Una volta entrato in ospedale, il malato che si ricovera spontaneamente viene immesso nella stessa routine di esperienze di chi viene ricoverato a forza. E' comunque a quest'ultimo tipo che voglio riferirmi, dato che attualmente in America esso costituisce il gruppo di gran lunga più numeroso (9). L'ingresso dei pazienti nell'ospedale può avvenire secondo tre forme classiche: perché supplicati dai familiari o sotto la minaccia di perdere i legami con la famiglia qualora rifiutino di entrare «spontaneamente»; con la forza, accompagnati dalla polizia; a loro insaputa, indotti con sotterfugi da altri, caso quest'ultimo limitato soprattutto ai giovani.
La carriera del predegente può essere ritenuta un modello di esclusione: egli si presenta come un uomo dotato di diritti e di legami con il mondo, di cui già all'inizio del suo soggiorno in ospedale, non rivela quasi più traccia. Gli aspetti morali di tale carriera incominciano quindi, di solito, con un'esperienza di abbandono, di slealtà e di amarezza, sia che siano gli altri a ritenere necessario il ricovero, sia che il malato stesso, una volta entrato in ospedale, concordi con una tale soluzione.
La storia della maggior parte dei pazienti mentali presenta casi di trasgressione alle norme del vivere sociale - nel proprio ambiente familiare, nel posto di lavoro, in una organizzazione semipubblica come una chiesa o un grande magazzino, in zone pubbliche come strade o parchi. Spesso la cosa viene riferita da un "accusatore" che risulta così colui che ha dato l'avvio al ciclo che porterà l'accusato alla ospedalizzazione. Costui può anche non essere quello che fa il primo passo, ma quello che ha portato alla prima azione determinante. E' qui che comincia "socialmente" la carriera del paziente, e ciò prescindendo dal momento in cui può collocarsi l'inizio psicologico della sua malattia mentale.
I tipi di trasgressione che portano all'ospedalizzazione sono socialmente vissuti in modo diverso da quelli che portano ad altri esempi di esclusione - detenzione, divorzio, perdita del lavoro, ripudio, esilio, trattamento psichiatrico non istituzionale eccetera. Ben poco si sa però sui fattori che determinerebbero tali differenze e quando si studiano i fatti relativi ad un internamento, risulta spesso evIdente che sarebbe stato possibile trovare anche altre soluzioni. Appare vero, inoltre, che per ogni tipo di trasgressione che porti ad una denuncia, ve ne sono molte altre - simili dal punto di vista psichiatrico - che tuttavia non portano alle medesime conseguenze. Nessuna azione viene intrapresa; oppure viene intrapresa un'azione che porta ad altro tipo di esclusione; oppure l'azione intrapresa non ha effetti determinanti dato che serve a tranquillizzare l'accusatore o a farlo desistere dalla denuncia. Così, come Clausen e Yarrow hanno dimostrato, anche trasgressori delle norme che, alla fine, vengono ospedalizzati, spesso sono già stati oggetto di una serie di azioni intraprese contro di loro, senza risultato (10).
Separando le trasgressioni che avrebbero potuto essere prese come giustificazione al ricovero, da quelle che sono effettivamente usate a questo scopo, si trova un gran numero di ciò che gli studiosi dell'occupazione e del lavoro chiamano «contingenze di carriera» (11). Alcune di queste contingenze nella carriera del malato mentale sono già state indicate, se non proprio indagate: la condizione economica, la clamorosità della trasgressione, la vicinanza di un ospedale psichiatrico, la possibilità di trattamento, l'opinione della comunità sul tipo di trattamento attuato negli ospedali disponibili e così via (12). Per ulteriori informazioni su altre serie di contingenze ci si può riferire a f atti di cronaca: uno psicotico è tollerato dalla moglie fino a quando non si sia trovata un amico, o dai figli adulti finché non si siano trasferiti in un altro appartamento; un alcolista viene inviato in ospedale psichiatrico perché non c'è posto in prigione; un tossicomane perché rifiuta un trattamento psichiatrico ambulatoriale; una adolescente ribelle perché non viene più tollerata in famiglia in seguito ad una relazione con un uomo non adatto, eccetera. In corrispondenza ad esse, esiste tuttavia una serie di contingenze opposte, altrettanto importanti, che consentono di evitare questo destino. Quando poi il predegente entra in ospedale, sarà ancora una serie di contingenze che contribuirà a determinare il momento della dimissione: il desiderio della famiglia di riaverlo in casa, la possibilità di trovare un lavoro adatto e così via. Il fatto dunque che la società ritenga, ufficialmente, che i ricoverati negli ospedali psichiatrici si trovino in quella situazione perché sono dei malati mentali, non pare corrisponda alla realtà. Se si pensa che i «malati di mente» che vivono liberamente fuori dagli ospedali si avvicinano, come numero - se addirittura non lo superano - a quelli che sono invece ricoverati, si potrebbe concludere che ciò che distingue i secondi dai primi non è il tipo di malattia, quanto piuttosto un certo numero di contingenze.
Le contingenze di carriera si verificano, per il predegente, associate ad un altro elemento: il circuito di agenti e di enti che influiscono sul suo destino nel passaggio dallo status civile a quello di degente (13). Si ha qui un esempio di quell'importante insieme del sistema sociale, costituito appunto da agenti ed enti, che convergono nell'occuparsi
della stessa persona, spingendola verso l'ospedale. E' il caso di citare alcuni di questi ruoli di agente, tenendo conto che in ogni insieme, un ruolo può essere coperto più di una volta, e che una persona può coprirne più d'uno.
Primo, la «"persona di fiducia"» (next-of-relation), colui che il malato considera il più accessibile e disponibile in caso di bisogno: l'ultimo a metterne in dubbio lo stato di salute mentale e il primo disposto a fare il possibile per salvarlo dal destino che gli si prepara. Si tratta di solito di un parente stretto, ma ho qui preferito usare questo termine specifico, perché non è detto che lo debba essere sempre. In secondo luogo c'è l'"accusatore", quello che per primo ha dato l'avvio alla serie di contingenze che portano il paziente all'ospedalizzazione. Ultimi i "mediatori", l'insieme di agenti ed enti cui il predegente viene segnalato e che lo segue nel suo procedere verso l'ospedale: polizia, clero, medici generici, psichiatri, personale di cliniche, legali, assistenti sociali, insegnanti scolastici, eccetera. Solo uno di questi personaggi avrà il mandato legale di consegnare il paziente all'ospedale, mentre gli altri avranno soltanto partecipato ad un processo le cui conseguenze non erano ancora definite. Quando i mediatori escono dalla scena, è allora che il predegente diventa un degente, affidato ad un unico agente che è il direttore dell'ospedale.
L'accusatore non agisce, abitualmente, in veste professionale ma come cittadino, come datore di lavoro, come vicino di casa o parente del paziente; mentre i mediatori sono, per lo più, specialisti che presentano una notevole distanza dall'oggetto di cui si occupano: hanno un'esperienza cui riferirsi nel trattare i problemi e quindi un certo distacco professionale. Ad eccezione dei poliziotti e forse di una parte del clero, essi tendono a formarsi un orientamento psichiatrico così da poter diagnosticare - più di quanto non possa fare il profano - quando si presenta la necessità di un trattamento (14).
Un aspetto interessante è dato dagli effetti del reciproco interagire dei ruoli. Ad esempio i sentimenti del paziente possono essere diversamente influenzati a seconda che colui che esercita il ruolo di accusatore abbia, più o meno, anche quello di "persona di fiducia", combinazione alquanto imbarazzante che si verifica più di frequente nelle classi superiori che in quelle inferiori (15). Consideriamo ora alcuni degli effetti che ne derivano (16).
Nel cammino che da casa lo conduce all'ospedale, il paziente può viversi come l'oggetto di ciò che ritiene una sorta di coalizione "alienante". La "persona di fiducia" fa pressione su di lui perché vada a discutere a fondo la cosa con un medico, uno psichiatra, o comunque un competente. Se rifiuta di farlo, si minaccia di abbandonarlo e di ricorrere ad azioni legali; oppure gli si assicura che si tratta di un incontro di carattere puramente interlocutorio. Nel frattempo però la "persona di fiducia" si sarà preoccupata di predisporre la visita scegliendo il professionista, stabilendo l'appuntamento, illustrandone già prima il caso: passi questi che tendono, in effetti, a definire la posizione della "persona di fiducia" come la responsabile cui si può comunicare i risultati dell'incontro, e la posizione dell'altro, come quella di un malato. Spesso il predegente va a farsi visitare presumendo di essere esattamente allo stesso livello del suo accompagnatore, cui è legato tanto intimamente da non supporre che una terza persona sia in grado di interferire fra di loro su questioni fondamentali (il che del resto è uno dei modi in cui vengono definiti i legami profondi nella nostra società). Pure, non appena entra nell'ambulatorio, il predegente scopre che a lui e alla "persona di fiducia" che lo accompagna non sono riconosciuti gli stessi ruoli; che una evidente, precedente intesa lega il suo accompagnatore al professionista, e ciò a suo danno. Spesso il professionista può intrattenersi prima con il paziente da solo - per formulare una diagnosi - e successivamente con fa "persona di fiducia" per darle un responso, evitando accuratamente di discutere la cosa seriamente in presenza di entrambi (17). Anche nei casi in cui non si tratta, in realtà, di una consultazione, quanto piuttosto di un'azione di forza intesa a strappare il malato alla famiglia che vorrebbe tenerlo con sé, la "persona di fiducia" è spesso indotta a prender parte all'azione generale, per cui il predegente si sente oggetto di una sorta di "coalizione alienante" organizzata contro di lui.
La percezione di essere l'oggetto di una congiura di tal tipo può amareggiare il predegente, soprattutto per il fatto che i disturbi di cui soffre lo hanno già portato - è probabile - ad un certo distacco dalla "persona di fiducia". Tuttavia, dopo il suo ingresso in ospedale, il fatto che la "persona di fiducia" venga a visitarlo spesso, può dargli la consapevolezza che tutto sia stato fatto nel suo interesse; mentre le prime visite lo potranno rinforzare, temporaneamente, nella convinzione di essere stato abbandonato. Accade allora facilmente che il paziente implori l'amico di farlo uscire di là, di fargli almeno ottenere qualche privilegio o di capire la mostruosità della sua situazione - al che l'amico non può che rispondere incitandolo a sperare, non «dando seguito» alle sue richieste, oppure rassicurandolo sulle capacità tecniche dei sanitari che faranno il loro meglio per curarlo. Tuttavia, a questo punto, il visitatore se ne va, ritornando - semplicemente - nel mondo che il paziente sa, ricco di libertà e privilegi, mentre a lui resta il sospetto che l'amico stia solo tentando di stendere un velo di pietà su un caso palese di abbandono e di tradimento.
Questo amaro sentimento può essere aggravato, inoltre, dalla presenza di un estraneo che agisce come testimone della sua posizione; fattore, quest'ultimo, che ha grande importanza in molte situazioni a tre. E' facile infatti che una persona offesa si comporti con tolleranza ed accondiscendenza verso chi l'ha offesa, qualora i due contendenti siano soli, anteponendo il quieto vivere alla giustizia. La presenza di un testimone sembra, invece, aggiungere un significato particolare all'offesa, perché non è più in potere dell'offeso e dell'offensore, dimenticare, cancellare e rimuovere l'accaduto: l'offesa è diventata un fatto sociale, un avvenimento pubblico (18). Se poi - come talvolta succede - il testimone di un tale tradimento sia la commissione giuridica di igiene mentale, la cosa assume allora il carattere di una «cerimonia di degradazione» (19). In questo caso il paziente offeso può sentire la necessità di un ampio atto riparatorio, per ristabilire il suo onore ed il suo valore sociale.
Sono da ricordare altri due elementi impliciti nel sentimento di tradimento. Primo, il fatto che coloro i quali hanno spinto il malato al ricovero è probabile non gli abbiano dato una visione realistica di quanto la cosa possa incidere in lui. Spesso gli viene solo detto che lì potrà avere il trattamento medico di cui ha bisogno ed un periodo di riposo: potrà dunque uscire in pochi mesi. In alcuni casi chi lo incita al ricovero nasconde al malato ciò che sa, ma penso, in generale, dicano quello che credono sia vero. In realtà, c'è una differenza notevole fra il punto di vista del degente e quello dei mediatori professionali. I "mediatori", più di quanto non faccia il pubblico in genere, non giudicano gli ospedali psichiatrici luoghi di esilio forzato, ma istituzioni sanitarie per degenze a breve scadenza, nelle quali si può ottenere la cura e il riposo necessari. Quando però il predegente entra in ospedale, impara molto rapidamente che le cose sono ben diverse e scopre allora che le informazioni avute sulla vita dell'ospedale sono servite soltanto a fargli opporre meno resistenza al suo ricovero, di quanta ne avrebbe opposta se realmente avesse saputo come stavano le cose. Così, quali che fossero le intenzioni di coloro che hanno contribuito al suo passaggio dal ruolo di persona a quello di paziente, non può vivere la nuova esperienza che come un inganno, che l'ha condotto alla sua attuale penosa situazione.
Ciò che intendo dire è che il predegente inizia la sua carriera con almeno una parte di diritti, libertà, soddisfazioni propri di un civile, e finisce in un reparto psichiatrico, spogliato quasi completamente di tutto. Il problema è ora il "modo" in cui questo accade, ed è il secondo aspetto del tradimento che voglio considerare.
Così come lo può vedere il predegente, il cerchio di figure determinanti nella sua carriera assume, ai suoi occhi, il significato di una sorta di «vortice degli inganni». Il passaggio dal ruolo di persona a quello di degente può, infatti, avvenire attraverso una serie di fasi collegate, ciascuna controllata da un agente diverso. Mentre ogni fase tende a portare una netta diminuzione nello status di persona libera del predegente, ogni agente può tentare di fingere che non ci saranno ulteriori diminuzioni e può perfino riuscire ad indirizzare il predegente all'agente successivo, mantenendo una tale finzione. Inoltre ogni agente richiede implicitamente al predegente - con parole, cenni gesti - di intrattenersi con lui in una conversazione superficiale ed educata evitando, con tatto, di toccare certi aspetti amministrativi della situazione; conversazione che va facendosi gradualmente sempre più irreale, in netto contrasto con la situazione concreta. La moglie preferisce non dover piangere per convincere il marito a farsi visitare dallo psichiatra; lo psichiatra preferisce evitare scene clamorose nel momento in cui il predegente capisce che dovrà essere visitato separatamente dalla moglie, e in modo diverso; la polizia raramente porta un predegente all'ospedale in camicia di forza: trova più comodo offrirgli sigarette, dirgli parole gentili e dargli la possibilità di rilassarsi sul sedile posteriore dell'automobile; lo stesso psichiatra addetto all'accettazione dei malati trova più conveniente fare il suo lavoro nella quiete e nell'eleganza del suo studio, dove ci siano segni, indicazioni puramente accidentali, che possano far ritenere l'ospedale come un luogo veramente confortevole. Se il predegente presta ascolto a queste implicite richieste e si comporta nel complesso discretamente, può percorrere l'intero ciclo da casa all'ospedale, senza costringere chi gli sta attorno a rendersi conto di quello che sta realmente succedendo, evitandogli quindi di affrontare la cruda emozione che la drammatica situazione potrebbe fargli esprimere. Il suo tenere in considerazione quelli che lo spingono verso l'ospedale, consente loro di tenerlo, a sua volta, in considerazione, con il risultato che queste interazioni riescono a sostenersi sulla base dell'armonia protettiva, tipica dei normali rapporti amichevoli che intercorrono fra due persone. Ma, se appena il nuovo degente ripercorre con la mente la sequenza dei passi che l'hanno portato all'ospedale, può avvertire che ci si è dati da f are per mantenere in equilibrio il benessere momentaneo di tutti, a scapito del suo benessere futuro, e una tale scoperta può costituire un'esperienza morale che lo separa ulteriormente dal mondo «di fuori» (20).
Ora considererò l'insieme degli agenti partecipanti alla carriera del malato, dal loro punto di vista. I "mediatori" che partecipano al suo passaggio dallo status civile a quello di degente - così come coloro che ne curano la custodia una volta ricoverato - hanno interesse a stabilire che la "persona di fiducia" responsabile assuma, nei confronti del degente, il ruolo di tutore o di "guardiano"; ove non ci fosse un candidato naturale per questo ruolo, se ne può trovare uno e persuaderlo ad accettare l'incarico. In questo modo, mentre l'uno si trasforma gradualmente in paziente, l'altro si trasforma in guardiano. Con un guardiano sulla scena, l'intero processo di transizione può "mantenersi pulito". Il "guardiano" dovrebbe occuparsi delle implicazioni civili e degli interessi del predegente, collegandone i fili smarriti che, altrimenti, potrebbero imbrogliare le cose nella vita dell'ospedale. Alcuni dei diritti civili abrogati al paziente possono venire trasferiti a lui, aiutando così a mantenere, agli occhi del degente, la finzione legale secondo cui, pur trovandosi egli nella condizione di non avere più alcun diritto effettivo, in qualche modo non li ha completamente perduti tutti.
Normalmente i degenti - almeno per qualche tempo - vivono il ricovero come una grave, ingiusta privazione e talvolta riescono a convincere in questo senso anche persone del mondo esterno. In questo caso può risultare spesso utile per coloro che sono ritenuti responsabili - anche se in maniera giustificata - di queste privazioni, riuscire ad accordarsi e a contare sulla collaborazione di qualcuno il cui legame con il paziente lo metta al di là di ogni sospetto, essendo chiaramente colui che ha veramente a cuore i suoi interessi. Se il "guardiano" è soddisfatto di come vanno le cose al nuovo paziente, pure la società dovrebbe esserlo (21).
Ora sembrerebbe che quanto maggiore interesse personale e legittimo abbia una parte nei confronti dell'altra, tanto più possa assumerne il ruolo di "guardiano". Ma socialmente gli atti legali che sanciscono la fusione ufficiale degli interessi di due persone, comportano altre conseguenze. Perché la persona cui il paziente ricorre per essere aiutato e difeso dal pericolo di venire imprigionato, è la medesima cui mediatori ed amministratori dell'ospedale si rivolgono per averne l'autorizzazione al ricovero. E' quindi comprensibile come i pazienti avvertano, almeno per un periodo, che il fatto di essere parenti o intimamente legati a qualcuno, non ne garantisce la fedeltà.
Ci sono altri effetti funzionali derivanti da questa complementarietà dei ruoli. Se e quando la "persona di fiducia" chiede aiuto ai "mediatori", per far fronte alle difficoltà che incontra con il predegente, può - in effetti - non pensare all'ospedalizzazione. Anzi, può addirittura non considerare il predegente come un malato mentale o, se lo fa, il suo può non essere ancora un giudizio definitivo (22). E' l'insieme dei mediatori - con la loro preparazione psichiatrica e la loro certezza circa il carattere medico degli ospedali psichiatrici - che spesso definisce la situazione alla "persona di fiducia", assicurandole che l'ospedalizzazione può essere una soluzione, che essa non comporta alcun tradimento nei confronti del malato dato che si tratta solo di un'azione medica, decisa per il suo bene. E' ora che il familiare impari che, per fare il suo dovere verso il predegente, è facile ne perda la fiducia e che, per questo, il malato può arrivare anche ad odiarlo. Ma già il fatto che la cosa sia stata suggerita e proposta da professionisti e che sia stata da loro definita come un dovere morale, scarica in parte il senso di colpa che la "persona di fiducia" avverte nei confronti del malato (23). E' un fatto doloroso che un figlio o una figlia adulti siano qualche volta spinti al ruolo di mediatori, dato che l'ostilità che altrimenti si sarebbe riversata sul coniuge, viene scaricata su di loro (24).
Una volta ricoverato il malato, lo stesso sentimento di colpa nei suoi confronti vissuto dalla "persona di fiducia", può diventare un elemento significativo su cui lo staff può agire (25). Le spiegazioni che lo scagionino dall'aver tradito il paziente - anche se il paziente continua a pensarlo - possono servirgli, in seguito, come una linea di difesa da seguire al prossimo incontro con il malato in ospedale e come la garanzia che il rapporto con lui possa venire ristabilito, dopo il periodo del ricovero. Naturalmente, qualora la cosa sia percepita dal paziente, può fornire ai suoi occhi delle attenuanti per la "persona di fiducia" nel caso gliele chieda (26).
Così, mentre la "persona di fiducia" può svolgere funzioni importanti per i mediatori, e gli amministratori dell'ospedale, essi stessi possono, a loro volta, svolgerne altre importanti per lei. Dal che si può vedere emergere un complesso di scambi e di reciprocità senza alcuna intenzionalità, dato che questo tipo di funzioni è spesso non intenzionale.
Il punto finale che voglio ora considerare nella carriera del predegente è il suo particolare carattere "retroattivo". Finché una persona non entra effettivamente in ospedale, in genere non pare vi sia modo di prevedere con certezza il suo destino in tal senso, tenendo contò del ruolo determinante che qui giocano le contingenze di carriera. Oltre al fatto che, finché non ha varcato la soglia dell'istituto, il predegente è ancora nella possibilità di non considerarsi e di non essere considerato dagli altri una persona che sta per diventare un malato mentale. Tuttavia, poiché egli sarà trattenuto in ospedale contro la sua volontà, la "persona di fiducia" e lo staff ospedaliero avranno bisogno di razionalizzare le difficoltà di rapporto che devono affrontare e, fra il personale, i medici necessiteranno di prove capaci di testimoniare che si tratta di un paziente della loro specialità. Questi problemi sono ridotti - indubbiamente senza intenzione - dall'anamnesi del caso: essa si basa sulla ricostruzione del passato del paziente e ciò con l'effetto di dimostrare che già da molto tempo si stava ammalando, che infine si è ammalato seriamente, e che cose ben peggiori gli sarebbero accadute se non fosse stato ricoverato in ospedale - il che, naturalmente, può anche essere vero. Per inciso, se il paziente vuole ricavare un senso dal suo soggiorno in ospedale e se - come già suggerito -vuole mantenere viva la possibilità di riabilitare al suoi occhi la "persona di fiducia" come degna di rispetto e le cui intenzioni non possono essere messe in dubbio, anch'egli si troverà a dover credere a qualche rielaborazione psichiatrica del suo passato.
Questo è un momento cruciale per l'analisi sociologica della carriera. Un elemento importantissimo di ogni carriera è l'idea che ci si costruisce, quando ci si volta a guardare il cammino percorso. E purtuttavia, in un certo senso, l'intera carriera del predegente deriva da questa ricostruzione. L'aver avuto una carriera di predegente, incominciata in seguito ad un'accusa reale, diventa un elemento determinante per quello che sarà il malato mentale; ma il fatto che un tale elemento entri in gioco soltanto dopo il ricovero, prova che ciò che il paziente aveva - e non ha più - è una carriera di predegente.


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