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Il capro espiatorio 14.
SATANA DIVISO CONTRO SE STESSO.


L'analisi dei testi evangelici non può rivelare niente sulle guarigioni miracolose (1). Essa può fondarsi soltanto sul linguaggio in cui sono descritte, e i Vangeli parlano il linguaggio del loro universo. Sembra dunque che facciano di Gesù un guaritore tra i guaritori, pur dicendo allo stesso tempo che il Messia è un'altra cosa. Il testo di Gerasa dà loro ragione in questo, che esso descrive la distruzione di tutti i demoni e del loro universo, quello stesso universo che fornisce agli evangelisti il linguaggio della loro descrizione, il linguaggio dei demoni e della loro espulsione. Si tratta dunque di un'espulsione... dell'espulsione stessa, ossia della molla costitutiva di questo mondo, si tratta di farla finita per sempre con i demoni e con il demoniaco. In alcuni rari passi dei Vangeli lo stesso Gesù ricorre al linguaggio dell'espulsione e della demonologia. Il passo più importante si presenta come un dibattito con interlocutori ostili. Si tratta di un testo capitale, che appare nei tre Vangeli sinottici. Eccolo nella versione più ricca, quella di Matteo. Gesù ha appena guarito un posseduto. La folla è in ammirazione ma i membri dell'élite religiosa, i «farisei» per Matteo, gli «scribi» nel testo di Marco, giudicano questa guarigione sospetta.

«E tutta la folla sbalordita diceva: 'Non è forse costui il figlio di Davide?'. Ma i farisei, sentendo questo, dissero: 'Costui scaccia i demoni soltanto per mezzo di Beelzebùl, il principe dei demoni'.
«Egli, conoscendo i loro sentimenti, disse loro: 'Ogni regno diviso contro se stesso va verso la rovina, e nessuna città, nessuna casa, divisa contro se stessa può reggersi. Ora, se Satana scaccia Satana, vuol dire che è diviso contro se stesso; ma allora, come potrà reggersi il suo regno? E se io scaccio i demoni per mezzo di Beelzebùl, i vostri adepti per mezzo di chi li scacciano? Così loro stessi saranno i vostri giudici. Ma se io scaccio i demoni grazie allo Spirito di Dio, allora per voi è giunto il Regno di Dio'» (Matteo, 12, 23-28).

E' impossibile leggere in una sola volta questo testo. La lettura immediata sfocia in una lettura mediata, più profonda. Cominciamo con la lettura immediata. Nella prima frase vediamo dapprima soltanto un principio indiscutibile ma banale, quello che la saggezza delle nazioni ha conservato. La lingua inglese ne ha fatto una specie di massima: "Every kingdom divided against itself... shall not stand".
La frase successiva appare dapprima come un'applicazione dello stesso principio: "Ora, se Satana scaccia Satana, vuol dire che è diviso contro se stesso; ma allora, come potrà reggersi il suo regno?" Gesù non risponde, ma la risposta è evidente. Se è diviso contro se stesso, il regno di Satana non si reggerà. Se i farisei sono veramente ostili a Satana, non dovrebbero rimproverare a Gesù di scacciare Satana per mezzo di Satana; anche se avessero ragione, ciò che Gesù ha appena fatto contribuirebbe alla distruzione finale di Satana.
Ma ecco adesso un'altra supposizione e un'altra domanda: "E se io scaccio i demoni per mezzo di Beelzebùl, i vostri adepti per mezzo di chi li scacciano?"... Se la mia azione viene dal diavolo, da dove viene la vostra e quella dei vostri adepti, dei vostri figli spirituali? Gesù ritorce l'accusa sui suoi critici: sono loro che scacciano "per mezzo di Satana", mentre lui rivendica per se stesso un tipo di espulsione radicalmente diverso, un'espulsione per mezzo dello Spirito di Dio: "Ma se io scaccio i demoni grazie allo Spirito di Dio, allora per voi è giunto il Regno di Dio".
Gesù sembra impegnato in un rilancio polemico necessariamente sterile. Tra guaritori rivali, ognuno pretende di essere l'unico a praticare la 'giusta espulsione', quella più efficace, più ortodossa, quella che viene da Dio, mentre tutti gli altri praticano quella che viene dal diavolo. Ci troviamo in un gioco di concorrenza mimetica dove ciascuno, appunto, espelle l'altro, un po' come Edipo e Tiresia, i profeti rivali nell'"Edipo re" di Sofocle. La violenza è quindi dovunque, e tutto si riduce a una questione di forza. Proprio questo suggerisce il seguito del brano che non ho ancora citato, dove i rapporti tra le due espulsioni sono rappresentati in modo caricaturalmente violento:

«O ancora come potrebbe qualcuno penetrare nella casa di un uomo forte e rapirgli le sue cose, se prima non lo lega? Allora soltanto gli potrà saccheggiare la casa» (Matteo, 12, 29).

Il primo uomo forte, qui, è il diavolo presentato come il proprietario legittimo o perlomeno il primo occupante della dimora. L'uomo ancora più forte che domina il primo è Dio. Questo non è il modo di vedere di Gesù. Dio non è un volgare scassinatore. Gesù adotta il linguaggio dei suoi interlocutori, il linguaggio delle espulsioni rivali per metterne in evidenza il sistema, quello della violenza e del sacro. Dio è certamente più forte di Satana, ma se lo è nel senso qui indicato, è soltanto un altro Satana.
I Geraseni danno proprio questo tipo di interpretazione dell'azione clamorosa di Gesù nella loro comunità. Hanno con sé un uomo forte, la Legione demoniaca. Questo proprietario rende loro la vita dura, ma mantiene una specie di ordine. Ecco adesso Gesù, che deve essere ancora più forte perché riduce il loro uomo forte all'impotenza. I Geraseni hanno paura che Gesù si impadronisca di tutti i loro beni. Per questo gli chiedono senza esitazione di andarsene. Non hanno voglia di scambiare un primo padrone tirannico con un secondo più tirannico ancora.
Gesù adotta il linguaggio del suo universo, che d'altronde è spesso il linguaggio degli stessi Vangeli. Gli evangelisti non sanno molto bene a che punto si trovano. Il loro testo è straordinariamente ellittico, forse mutilato, tuttavia Matteo intuisce chiaramente che non bisogna prendere tutto alla lettera. Nelle parole che abbiamo appena letto c'è tutta un'ironia che deve essere liberata, tutto un carico di senso che sfugge al livello polemico più immediatamente visibile, probabilmente l'unico che gli interlocutori di Gesù, e oggigiorno la maggior parte dei lettori, percepiscono. Matteo fa precedere la citazione da un avvertimento significativo: "conoscendo i loro sentimenti, [Gesù] disse loro"...
Marco non mette così in guardia, ma ha un avvertimento ancor più rivelatore; ci avverte che si tratta di una parabola (Marco, 3, 23). Penso che il passo sia importante anche per la definizione dello stile delle parabole. Si tratta di un discorso indiretto che può ricorrere a elementi narrativi, ma non necessariamente, giacché qui non ce ne sono. L'essenza della parabola, nell'uso evangelico, è il rinchiudersi volontario da parte di Gesù nella rappresentazione persecutoria a beneficio di persone che non possono intendere altro, essendovi loro stesse rinchiuse. Gesù utilizza le risorse del sistema in modo tale da avvertire gli uomini di ciò che li aspetta nell'unico linguaggio che capiscono e, così facendo, rivela sia la fine prossima del sistema in questione, sia le incoerenze, le contraddizioni interne dei loro discorsi. Contemporaneamente egli spera di far vacillare il sistema nella mente dell'ascoltatore e di portare quest'ultimo a conferire alle sue parole un secondo senso, più vero ma più difficile perché estraneo alla violenza persecutoria, il senso che questa violenza rivela e l'effetto di chiusura che essa produce in ciascuno di noi.
Alla luce delle nostre analisi, vediamo facilmente che l'idea di un secondo senso non è illusoria. Il testo dice veramente molte più cose di quelle che finora ne abbiamo tratte. Riassume l'essenziale dei nostri risultati e formula chiaramente il principio che io stesso ho messo in evidenza, quello della violenza che si autoespelle, mediante la violenza, per fondare tutte le società umane.
A prima vista, l'ho appena detto, l'idea che ogni comunità divisa contro se stessa corra verso la propria perdizione, appare veridica, ma si tratta di un luogo comune. Per avviare il dibattito, Gesù enuncia una proposizione sulla quale chiunque è d'accordo.
La seconda frase appare allora come un caso particolare della prima. Ciò che è vero per ogni regno, per ogni città, per ogni casa, deve essere vero per il regno di Satana.
Ma il regno di Satana non è un regno come gli altri. I Vangeli affermano espressamente che Satana è il principio di ogni regno. In quale modo Satana può essere questo principio? Come principio dell'espulsione violenta e della menzogna che ne risulta. Il regno di Satana non è altro che la violenza che si autoespelle, in tutti i riti e gli esorcismi ai quali i farisei hanno appena fatto allusione, ma anche e più originariamente nell'azione fondatrice e nascosta che serve da modello a tutti quei riti, l'assassinio unanime e spontaneo di un capro espiatorio. La seconda frase ci porta dunque la definizione complessa e completa del regno di Satana. Non enuncia soltanto ciò che un giorno finirà col distruggere Satana, ma ciò che lo fa nascere e ne instaura il potere, il suo principio costitutivo. Lo strano, naturalmente, è il fatto che il principio costitutivo e il principio della distruzione ultima siano un tutt'uno. C'è di che sconcertare gli ignoranti, ma niente che possa sconcertare noi. Noi infatti sappiamo con certezza che il principio del desiderio mimetico, delle sue rivalità, delle divisioni interne che suscita, è tutt'uno con il principio dell'unificazione sociale, anch'esso mimetico, il principio del capro espiatorio.
Si tratta di quello stesso processo a cui abbiamo già assistito più volte. Ecco perché all'inizio dell'assassinio di Giovanni Battista c'è una lite tra fratelli nemici, come ce n'è una all'inizio di un'infinità di miti. Un fratello finisce normalmente con l'uccidere l'altro, per dare agli uomini una norma.
Invece di essere la semplice applicazione di un principio posto nella prima frase, la seconda frase pone il principio di cui la prima enuncia le applicazioni. Bisogna invertire l'ordine delle frasi e rileggere il testo cominciando dalla fine. Si capirà allora perché la prima frase rimane presente nella memoria dei popoli. In essa c'è in verità qualcosa di insolito che suggerisce qualcosa al di là della saggezza banale che per prima balza agli occhi. La "Bible de Jérusalem" mal suggerisce questo al di là, perché non ripete l'aggettivo iniziale ogni che appare due volte nell'originale greco. "Ogni regno diviso contro se stesso va verso la rovina, e ogni città, divisa contro se stessa..." La ripetizione di "ogni" accentua l'impressione di simmetria tra tutte le forme di comunità qui menzionate. Il testo enumera tutte le società umane dalla più grande alla più piccola, il regno, la città, la casa. Per ragioni che dapprima ci sfuggono, si preoccupa di non ometterne nessuna e la ripetizione di "ogni" accentua questa volontà di cui non vediamo il significato a livello di senso immediato. Eppure non si tratta di qualcosa di fortuito o di un effetto dello stile, senza conseguenze sul senso. Vi è un secondo significato che non può sfuggirci.
Ciò che il testo suggerisce con insistenza è il fatto che tutti i regni, tutte le città e tutte le case sono effettivamente divise contro se stesse. In altri termini, tutte le comunità umane senza eccezione dipendono dallo stesso principio, simultaneamente edificatore e distruttore, posto nella seconda frase: sono tutti esempi del regno di Satana, e questo regno di Satana, ovvero questo regno della violenza, non è certo un esempio qualsiasi di società, nell'accezione empirica dei nostri sociologi.
Le prime due frasi sono dunque più ricche di quanto non sembri; in esse si riassume un'intera sociologia, un'intera antropologia fondamentale. Ma non è tutto qui. Grazie a questa luce iniziale si illuminano parimenti la terza e soprattutto la quarta frase, apparentemente la più enigmatica: "E se io scaccio i demoni per mezzo di Beelzebùl, i vostri adepti per mezzo di chi li scacciano? Così loro stessi saranno i vostri giudici".
L'originale greco non dice adepti, ma figli. Perché mai i figli spirituali, ossia i discepoli, gli imitatori, diventerebbero i giudici dei loro maestri e modelli? In greco, giudici è "kritai", una parola che evoca l'idea di crisi e di divisione. Sotto l'effetto dei rilanci mimetici, la divisione interna di ogni comunità 'satanica' si acuisce; la differenza tra violenza legittima e violenza illegittima si affievolisce, le espulsioni diventano reciproche; i figli riproducono e rafforzano le violenze dei loro padri con risultati sempre più deplorevoli per tutti; finiscono dunque col capire quanto c'era di nefasto nell'esempio paterno e maledicono i loro padri. Danno su tutto ciò che li precede, come noi stessi facciamo oggi, un giudizio negativo anch'esso egualmente implicito nella parola "kritai".
A prima vista sembra che dal nostro testo emerga l'idea che esista una violenza divina e che essa sia la più forte di tutte; è un'idea addirittura esplicita, qui come nel racconto del miracolo di Gerasa, ma al di là di una certa soglia la lettura si inverte e ci accorgiamo che non c'è affatto espulsione divina, o piuttosto che essa c'è unicamente per la rappresentazione persecutoria, per lo spirito di accusa reciproca, ossia per Satana stesso. La forza d'espulsione viene sempre da Satana e Dio non ha niente a che vedere con essa: questa forza è più che sufficiente per porre fine al «regno di Satana». Sono gli uomini divisi dal loro mimetismo, 'posseduti' da Satana, che si espellono reciprocamente fino all'estinzione totale.
Ma se la divisione contro se stessi (la rivalità mimetica) e l'espulsione dell'espulsione (il meccanismo del capro espiatorio) non sono soltanto princìpi di decomposizione per le società umane, ma anche princìpi di composizione, perché Gesù non tiene in nessun conto questo secondo aspetto alla fine delle sue frasi, tutte annunciatrici di distruzione soltanto, tutte puramente apocalittiche? Non mi sarò forse sbagliato credendo di individuare in questo testo il paradosso della violenza mimetica, fonte sia di ordine sia di disordine? Il testo non sarà forse grossolanamente polemico, inconsciamente mimetico e bassamente dualista come la lettura immediata suggerisce, quella che la pigrizia malevola adotta subito e non cerca mai di superare?
Satana non finisce mai, a quanto sembra, di espellere Satana e non c'è ragione perché debba finire in un avvenire prevedibile. Gesù parla come se il principio satanico avesse esaurito la sua potenza di ordine, come se ogni ordine sociale dovesse ormai soccombere al proprio disordine. Il principio d'ordine figura senz'altro nelle nostre due frasi, ma allo stato di semplice allusione, per un effetto di stile, come se si trattasse di una cosa più o meno compiuta, condannata dalla corsa alla distruzione che costituisce qui il solo messaggio esplicito, l'unico accessibile alla maggior parte dei lettori.
Il significato di ordine è certo presente, ma e questa presenza, appunto, che determina il carattere propriamente vestigiale del trattamento di cui è oggetto. Perché? Perché l'ordine violento della cultura rivelato dappertutto nei Vangeli, principalmente nella passione ma anche in tutti i testi che abbiamo letto e infine in questo, non può sopravvivere alla propria rivelazione.
Il meccanismo fondatore rivelato, il meccanismo del capro espiatorio - l'espulsione della violenza mediante la violenza - è reso caduco dalla sua rivelazione. Non ha più molto interesse. Ciò che interessa i Vangeli è l'avvenire aperto all'umanità da questa rivelazione, dalla fine del meccanismo satanico. Se i capri espiatorii non possono più salvare gli uomini, se la rappresentazione persecutoria crolla, se la verità brilla nelle prigioni, non è una cattiva, ma una buona notizia: non c'è un Dio violento; il vero Dio non ha niente a che vedere con la violenza e non si rivolge più a noi tramite lontani intermediari, bensì direttamente. Il Figlio che egli ci invia è tutt'uno con lui. L'ora del Regno di Dio è suonata.
Se io scaccio i demoni grazie allo Spirito di Dio, allora per voi è giunto il Regno di Dio. Il Regno di Dio non ha niente in comune con il regno di Satana e con i regni di questo mondo fondati sul principio satanico della divisione contro se stessi e dell'espulsione. Il Regno di Dio non pratica nessuna espulsione.
Gesù accetta di discutere il suo agire in termini di espulsione e di violenza perché questi sono gli unici termini che i suoi interlocutori sono capaci di intendere. Ma lo fa per comunicare loro un evento che non è misurabile con questo stesso linguaggio. Se io scaccio i demoni grazie allo Spirito di Dio, allora presto non si parlerà più né di demoni né di espulsioni perché il regno della violenza e dell'espulsione va verso la sua rovina ora, nell'immediato: l'attesa è finita. "Per voi" è giunto il Regno di Dio. Gli ascoltatori sono coinvolti direttamente. Il Regno arriva come il fulmine. Ha tardato a lungo, come lo sposo delle vergini folli e delle vergini sagge, ma tutto a un tratto eccolo qui.
Il Regno di Dio è giunto per voi che mi ascoltate in questo momento, ma non ancora per quei Geraseni che ho lasciato senza dire loro niente, perché non sono al vostro stesso livello. Gesù interviene quando "i tempi sono maturi"; in altri termini, quando la violenza non può più espellere la violenza, e quando la divisione contro se stessi tocca il punto critico, ossia il punto della vittima espiatoria, che diventa questa volta il punto di non-ritorno perché, anche se questa vittima riporta apparentemente e per un certo tempo un antico ordine, in realtà lo distrugge per sempre, senza minimamente espellerlo, facendosi al contrario espellere da esso e rivelando agli uomini il mistero di questa espulsione, il segreto che Satana non si sarebbe dovuto lasciar sfuggire: su questo segreto infatti poggia la dimensione positiva del suo potere, la potenza ordinatrice della violenza.
Sempre attento agli aspetti storici della rivelazione, Matteo fa fare ai suoi due posseduti, nel racconto di Gerasa, discorsi che compaiono soltanto nel suo testo e che indicano uno scarto temporale tra l'universo sottomesso alla legge e gli universi che non lo sono: "Che cosa vuoi da noi, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?" (Matteo, 8, 29).
Questo lamento è significativo, nel contesto delle nostre analisi. La folla di Gerasa, come dicevo, è meno folla rispetto alle folle senza pastore alle quali Gesù è abituato a predicare. La comunità resta più 'strutturata'. E lo deve al suo paganesimo. Non si tratta naturalmente di esaltare il paganesimo a spese dell'ebraismo, bensì di indicare che quest'ultimo non è giunto allo stesso punto critico della sua evoluzione.
La crisi ultima che determina la rivelazione ultima è specifica e non lo è. Nel suo principio non si distingue dall'usura di tutti i sistemi sacrificali fondati sull'espulsione 'satanica' della violenza mediante la violenza. La rivelazione biblica, poi evangelica, rende questa crisi irrimediabile, nel bene e nel male. Svelando il segreto della rappresentazione persecutoria impedisce, alla lunga, al meccanismo vittimario di funzionare e di generare, nel parossismo del disordine mimetico, un nuovo ordine di espulsione rituale suscettibile di sostituire quello che si è decomposto.
Presto o tardi, il fermento evangelico deve provocare il crollo della società ove penetra e di tutte le società analoghe, anche di quelle che sembrano a prima vista dipendere esclusivamente dalla sua rivelazione, le cosiddette società cristiane, che effettivamente dipendono da questo fermento ma in modo ambiguo e grazie a un malinteso parziale, un malinteso necessariamente sacrificale, radicato nella somiglianza ingannevole dei Vangeli con tutti i testi religiosi mitologici. "Le case crollano l'una sull'altra", ci dice Marco, ma questo crollo non è un'espulsione più forte perché venuta da Dio o da Gesù, è al contrario la fine di ogni espulsione. Proprio per questo l'avvento del Regno di Dio è distruzione per coloro che non intendono altro che distruzione, e riconciliazione per coloro che cercano di riconciliarsi.
La logica del regno che non regge se si divide continuamente contro se stesso è stata sempre vera nell'assoluto, ma non è mai stata vera nella storia reale grazie al meccanismo dissimulato della vittima espiatoria, che ne ha sempre allontanato la scadenza restituendo vigore alla differenza sacrificale, all'espulsione violenta della violenza. Ecco che adesso essa si verifica nella realtà storica, dapprima per gli Ebrei, che sono i primi a intendere Gesù e poi per i pagani, i Geraseni del mondo moderno, che si sono sempre comportati con Gesù un po' come quelli del Vangelo nel momento stesso in cui fanno ufficialmente appello a lui. Essi si rallegrano nel vedere che non succede niente di irrimediabile alle loro comunità, e pensano di aver provato che i Vangeli peccano di catastrofismo immaginario.

Una prima lettura dei demoni di Gerasa ci dà l'impressione che tutto poggi sulla logica della doppia espulsione. La prima espulsione non raggiunge mai risultati decisivi: è il piccolo intrigo dei demoni e dei loro Geraseni, che in fondo si intendono a meraviglia. La seconda è quella di Gesù, un ripulisti così radicale che finisce col portarsi via anche la casa, oltre i suoi abitanti. Questa doppia espulsione, l'una interna al sistema e che lo stabilizza, l'altra esterna a questo stesso sistema e che lo distrugge, appare esplicitamente nel testo che abbiamo appena letto: "Se io scaccio i demoni per mezzo di Beelzebùl... se li scaccio grazie allo Spirito di Dio..." Una comprensione più profonda mostra che la potenza divina non è distruttrice; essa non espelle nessuno. E' la verità offerta agli uomini a scatenare le forze sataniche, il mimetismo distruttivo, privandolo del suo potere di autoregolazione. L'equivoco fondamentale di Satana porta con sé un equivoco superficiale e spiegabile dell'azione divina. Gesù porta la guerra nell'universo satanico sdoppiato, perché fondamentalmente porta la pace. Gli uomini non capiscono, oppure fanno finta di non capire. Il nostro testo è mirabilmente costruito per adattarsi simultaneamente ai lettori che capiscono e a quelli che non capiscono. Le frasi sui gruppi umani, tutti quanti divisi contro se stessi, e su Satana che scaccia Satana significano sia il potere di autoregolazione del mimetismo satanico sia la perdita di questo potere. Il testo non enuncia esplicitamente l'identità del principio dell'ordine con il principio del disordine, la "realizza" in frasi a doppio senso, con un potere di fascinazione inesauribile perché presentano in chiaroscuro una verità sulla quale non bisogna attirare troppo l'attenzione per farla funzionare nel testo esattamente come funziona nella realtà. Se non la si vede, si è nell'universo satanico e si resta al livello della prima lettura, si crede che esista una violenza divina, rivale della violenza di Satana: si resta dunque prigionieri della rappresentazione persecutoria. Se la si vede, si comprende che il regno satanico va verso la perdizione per il fatto stesso che questa verità è rivelata, e si sfugge alla rappresentazione persecutoria.
Si comprende allora che cosa sia il Regno di Dio, e perché non rappresenti per gli uomini un beneficio senza contropartita. Esso non ha niente a che vedere con la sistemazione di una mandria di mucche in un pascolo eternamente verdeggiante. Impegna gli uomini nel confronto più difficile della loro storia. Rispetto a noi, la gente di Gerasa ha qualcosa di onesto e di simpatico. Non si comporta ancora come usufruttuaria prepotente della società dei consumi. Ammette che avrebbe difficoltà a vivere senza capri espiatorii e demoni.
In tutti i testi che abbiamo letto, sussiste ancora la prospettiva demonologica, ma essa si scardina da sola. Per completare la sua disfatta, basta estendere un po' la giurisdizione di questo "skandalon", che lo stesso Gesù teorizza e la cui prodigiosa potenza operativa abbiamo constatato ovunque. I testi che ho commentato sono rappresentativi, credo, di tutto ciò che si trova nei Vangeli sinottici.
Per completare, insomma, la disfatta del demonio, basta orientare il testo nella direzione che Gesù stesso raccomanda, quella dello "skandalon" e di tutto ciò che questo termine esprime, ossia la problematica del mimetismo e delle sue espulsioni.
Non è dunque senza ragione che Marco e Matteo ci avvertono di non fermarci alla lettera, davanti al più grande di tutti i testi demonologici messi in bocca a Gesù. Basta consultare un dizionario per constatare che la distorsione operata in questo testo sul significato corrente della nozione di parabola deve pur riallacciarsi a ciò che fa di esso una specie di concessione alla rappresentazione mitologica e violenta, quella che viene dall'assassinio collettivo del capro espiatorio.
Aprite il vostro vocabolario greco a "paraballo". Il primo significato del verbo dimostra subito quanto abbiamo detto, giacché ci riporta appunto all'assassinio collettivo. "Paraballo" significa gettare qualcosa in pasto alla folla per placare la sua sete di violenza, preferibilmente una vittima, un condannato a morte: è così, evidentemente, che ci si tira fuori da una situazione spinosa. Per impedire alla folla di rivoltarsi contro l'oratore, questi ricorre alla parabola, ossia alla metafora. Non c'è discorso che, al limite, non sia una parabola: anzi, il linguaggio umano nel suo complesso, insieme alle altre istituzioni culturali, non può non derivare dall'assassinio collettivo. Del resto, dopo le parabole più sferzanti di Gesù, quelle che fanno più colpo, la folla minaccia talvolta di reagire con la violenza, alla quale tuttavia egli sfugge perché la sua ora non è ancora venuta.
Avvertire i lettori che Gesù si esprime in parabole significa annunciare loro la distorsione persecutoria, perché ne tengano conto. Significa cioè metterli in guardia contro il linguaggio dell'espulsione. Non c'è alternativa. Non vedere la dimensione 'parabolica' dell'espulsione significa restare ingannati dalla violenza, significa dunque fare il tipo di lettura che lo stesso Gesù ci avverte di evitare, pur dichiarando allo stesso tempo che è pressoché inevitabile: «I discepoli gli si avvicinarono e gli chiesero: 'Perché parli loro in parabole?'. 'Perché a voi è dato conoscere i misteri del Regno dei Cieli' egli rispose 'mentre a costoro non è dato [...]. Io parlo loro in parabole perché pur vedendo non vedono e pur udendo non odono e non comprendono'» (Matteo, 13, 10-13).
Su questo punto Marco ancor più strettamente di Matteo lega la parabola al sistema di rappresentazione che i Vangeli combattono. A coloro che vivono in questo sistema, egli scrive, tutto "avviene" in parabole. Di conseguenza, lungi dal tirarci fuori da questo sistema, la parabola, presa alla lettera, consolida i muri della prigione. E' questo che le seguenti frasi significano. Sarebbe inesatto dedurne che la parabola non si pone come scopo la conversione dell'ascoltatore. Anche qui Gesù si rivolge ai suoi discepoli: «A voi è stato confidato il mistero del Regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto avviene in parabole, affinché essi "abbiano un bel guardare e non vedano, abbiano un bel sentire e non capiscano, per paura che si convertano"» (Is., 6, 9-10; in corsivo, Marco, 4, 10-12).

Anche nei testi generalmente definiti 'arcaici', la credenza nei demoni che sembra ancora fiorente tende incessantemente ad annullarsi. E' il caso del dialogo sull'espulsione che abbiamo appena letto, e anche il caso del miracolo di Gerasa. Questo processo di annullamento ci sfugge perché si esprime nel linguaggio contraddittorio dell'espulsione espulsa e del demone scacciato. Il demone è respinto in un nulla che in qualche modo gli è 'consustanziale', il nulla della sua esistenza.
E' proprio questo ciò che significa, in bocca a Gesù, un'espressione quale "ho visto Satana cadere come un lampo". C'è una sola trascendenza nei Vangeli, quella dell'amore divino che trionfa su tutte le manifestazioni della violenza e del sacro, rivelandone il nulla. L'esame dei Vangeli mostra che Gesù preferisce il linguaggio dello "skandalon" a quello del demoniaco, ma nei discepoli e nei redattori dei Vangeli avviene il contrario. Non bisogna dunque sorprendersi nel constatare un certo scarto tra le parole attribuite a Gesù, quasi sempre folgoranti ma presentate in un ordine non sempre molto coerente, e i passi narrativi, in particolare i racconti dei miracoli, meglio organizzati dal punto di vista letterario ma leggermente indietro rispetto al pensiero che emerge dalle citazioni dirette. Tutto questo si spiegherebbe se i discepoli fossero stati veramente come ci sono descritti nei Vangeli, attenti e pieni di buona volontà ma non sempre capaci di intendere pienamente ciò che il loro maestro dice. Il racconto del rinnegamento di Pietro mi ha già portato in questa direzione. Si può pensare che l'elaborazione dei passi narrativi dipenda più direttamente dai discepoli che non la trascrizione delle parole di Gesù.
Gesù è l'unico a padroneggiare il linguaggio dello "skandalon": i passi più significativi rivelano chiaramente che i due linguaggi si applicano agli stessi oggetti e ci mostrano Gesù intento a tradurre il "logos" demoniaco in termini di scandalo mimetico. Proprio questo compie la famosa apostrofe a Pietro, già citata: "Indietreggia, Satana! tu mi scandalizzi [mi sei di ostacolo] perché i tuoi pensieri non sono quelli di Dio, ma quelli degli uomini". Forse che, in questo istante Gesù vede in Pietro il posseduto da Satana, nel senso in cui i cacciatori di streghe usavano questa espressione? La prova che così non è ce la dà ciò che segue e che rende il comportamento di Pietro tipicamente umano: "i tuoi pensieri sono quelli degli uomini e non quelli di Dio".
Il linguaggio dello "skandalon" sostituisce alla paura delle potenze infernali sicuramente salutare ma cieca, un'analisi delle ragioni che spingono gli uomini a cadere nella trappola della circolarità mimetica. Esponendo Gesù al contagio tentatore del proprio desiderio mondano, Pietro trasforma la missione divina in un'impresa mondana, necessariamente destinata a scontrarsi con le ambizioni rivali che non può non suscitare o che l'hanno suscitata, a cominciare da quella di Pietro. Questi, dunque, ha qui il ruolo di supporto, "suppositus", di Satana, il modello-ostacolo del desiderio mimetico.
Esiste una corrispondenza rigorosa tra ciò che i Vangeli ci dicono dei demoni e la verità dei rapporti mimetici quale fu formulata da Gesù, e quale ci è stata rivelata da alcuni nostri capolavori letterari o, oggi, da un'analisi teorica di questi rapporti. Diverso è il caso per quasi tutti i testi che riflettono una credenza nei demoni, ma la maggior parte dei nostri commentatori non vede questa distinzione e fa d'ogni erba un fascio. Qualsiasi testo che documenti questo genere di credenza sembra loro portatore della stessa superstizione e per ciò stesso viene sdegnosamente rifiutato. In verità, non lo leggono nemmeno.
Invece, i Vangeli non sono superiori soltanto a tutti i testi che recano ancora l'impronta del pensiero magico: sono superiori anche alle interpretazioni moderne proposte da psicologi e psicoanalisti, da etnologi e sociologi, e da ogni altro specialista di scienze umane. E sono superiori sia nella concezione mimetica sia nella capacità di combinare mimetismo e demonologia, come abbiamo visto a proposito dell'episodio dei demoni di Gerasa. La visione demonologica associa l'unità e la diversità di certi atteggiamenti individuali e sociali a una potenza che ci resta inaccessibile. Per questo tanti grandi scrittori, come Shakespeare, Dostoevskij o, ai nostri giorni, Bernanos, hanno dovuto fare ricorso al linguaggio dei demoni per sfuggire alla piattezza inefficace del sapere pseudo-scientifico della loro epoca e della nostra.
Affermare l'esistenza del demonio significa innanzitutto riconoscere che negli uomini opera una certa forza di desiderio e di odio, di invidia e di gelosia, molto più insidiosa e astuta nei suoi effetti, più paradossale e subitanea nei suoi rovesciamenti e nelle sue metamorfosi, più complessa nelle sue conseguenze e più semplice nel suo principio, o persino più semplicistica se vogliamo - il demonio è insieme molto intelligente e molto stupido - di tutto ciò che ha potuto concepire, da allora, l'accanimento di certi uomini nel rendere conto degli stessi comportamenti umani senza intervento sovrannaturale. La natura mimetica del demonio è esplicita perché, tra l'altro, egli è la scimmia di Dio. Affermando il carattere uniformemente 'demoniaco' della trance, della possessione rituale, della crisi isterica e dell'ipnosi, la tradizione afferma un'unità di tutti questi fenomeni che è reale e, se si vuole veramente far progredire la psichiatria, occorrerà scoprirne il fondamento comune. Jean-Michel Oughourlian intende dimostrare quale sia questo fondamento: il mimetismo conflittuale.
C'è un punto, tuttavia, nel quale il tema demoniaco rivela la sua superiorità: nella sua capacità, finora ineguagliabile, di riunire in un'unica entità sia la forza di divisione - "diabolos" -, gli 'effetti perversi', la potenza generatrice di ogni disordine, a tutti i livelli nei rapporti umani sia la potenza di unione, la potenza ordinatrice del sociale. Questo tema compie senza sforzo ciò che sociologia, antropologia, psicoanalisi, come pure ogni teoria della cultura, cercano di compiere senza mai riuscirci. I Vangeli sono portatori del principio che permette di distinguere la trascendenza sociale dall'immanenza delle relazioni individuali e, simultaneamente, di unificarle, ossia di dominare il rapporto tra ciò che la psicoanalisi francese chiama oggi il "simbolico" e l'"immaginario".
Il demoniaco rende giustizia da un lato a tutte le tendenze al conflitto nei rapporti umani, a tutte le forze centrifughe in seno alla comunità, e dall'altro alla forza centripeta che riunisce gli uomini, il cemento misterioso di questa stessa comunità. Per trasformare questa demonologia in un vero sapere, bisogna seguire la strada indicata dai Vangeli e portare a termine l'opera che essi hanno iniziata. Ci si accorgerà allora che si tratta proprio della stessa forza, che nelle rivalità mimetiche divide e nel mimetismo unanime del capro espiatorio riunisce.
Giovanni parla evidentemente di "questo", quando presenta Satana come "bugiardo e padre della menzogna nella sua veste di omicida fin dall'inizio" (Giov., 8, 44). E' proprio questa menzogna che la passione scredita, mostrando l'innocenza della vittima. Se la disfatta di Satana è stata localizzata con estrema precisione nell'istante stesso della passione, è perché il racconto veridico di questo evento fornisce agli uomini ciò di cui hanno bisogno per sfuggire all'eterna menzogna, per riconoscere la calunnia di cui la vittima è oggetto. E' grazie alla sua ben nota abilità mimetica che Satana riesce ad accreditare la menzogna di una vittima colpevole. Satana in ebraico significa "l'accusatore". Tutti i significati, tutti i simboli si incastrano rigorosamente per costruire un unico edificio di una razionalità senza aporie. Dovremmo dunque credere che si tratti di pure coincidenze? Come può un esercito di ricercatori appassionati di comparatismo e di strutture che si incastrino fra loro restare insensibile a questa perfezione?
Man mano che la crisi mimetica si aggrava, che il desiderio e i suoi conflitti diventano immateriali e privi di oggetto, l'evoluzione si fa sempre più 'perversa', incoraggiando così la credenza in un mimetismo puro, cioè la tendenza inevitabile a trasformare rapporti sempre più ossessivi in una entità relativamente autonoma. La prova che la demonologia non si è fatta ingannare del tutto da questa autonomia è che essa ha da sempre rivelato il bisogno assoluto che hanno i demoni di possedere un essere vivente per perpetuarsi. Il demonio non ha essere sufficiente per esistere al di fuori di questa possessione. Ma meno gli uomini resistono alle sollecitazioni mimetiche - la grande scena della tentazione nel deserto ne enumera le modalità principali - più il demonio acquista esistenza e vigore. La modalità più significativa è l'ultima, quella che ci mostra Satana desideroso di sostituirsi a Dio come oggetto di adorazione, cioè come modello di un'imitazione necessariamente ostacolata. La prova che questa imitazione fa di Satana lo "skandalon" mimetico è nella risposta di Gesù, quasi identica a quella che riceve Pietro quando questi si fa trattare da Satana: è lo stesso verbo greco, "hypage", «indietreggia», che appare in entrambi i casi e indica l'ostacolo scandaloso. Adorare Satana significa aspirare alla dominazione del mondo, cioè a entrare con l'altro in rapporti di idolatria e di odio reciproci, rapporti che porteranno necessariamente ai falsi dèi della violenza e del sacro finché gli uomini potranno perpetuarne l'illusione, e alla distruzione totale il giorno in cui questa illusione non sarà più possibile:

«Il diavolo conduce di nuovo [Gesù] sopra un monte altissimo, gli mostra tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli dice: 'Tutto questo io te lo darò, se tu cadrai ai miei piedi e mi adorerai'. Allora Gesù gli risponde: 'Indietreggia, Satana! Perché sta scritto:
Adorerai il Signore Dio tuo
E a lui solo renderai culto'» (Matteo, 4, 8-10).


NOTE AL CAPITOLO 14.

(1). Sui miracoli e le guarigioni miracolose, si veda Xavier Léon-Dufour, "Etudes d'Evangile", Seuil, Paris, 1965 [trad. it. "Studi sul Vangelo", Edizioni Paoline, Torino, 1974]. Si veda anche, sempre dello stesso autore, "Face à la mort. Jésus et Paul", Paris, 1979 [trad. it. "Di fronte alla morte. Gesù e Paolo", Elle Di Ci, Torino, 1982], in particolare sulla lettura sacrificale della passione.

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