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Dei dolori e delle pene 3.
Della coscienza e dell'amore

44. Un'ipotesi, un passo indietro...
Riconsiderando quanto detto fin qui a partire da questo fulcro non-detto, l'attacco alla coscienza amorosa, vien da dire che è praticamente un errore situare la nascita del penitenziario verso la fine del '700. Con questo nuovo sguardo possiamo infatti aggiungere e precisare che già nel '200 l'ortodossia cristiana userà a volte la segregazione, fino all'ergastolo, contro gli eretici, come punizione essa stessa in alternativa alla massima pena corporale, la morte. E si dovrà notare altresì come la lotta contro il movimento del "Libero Spirito" - in particolare - sia una repressione tanto di donne che di uomini i quali spesso chiamavano Dio, Amore. A quell'epoca ci sono molte eresie ma noi ora ci limitiamo a considerare il Libero Spirito perché è un movimento trasversale e oltre le singole eresie (spesso nuove ortodossie), magari cresciuto in quelle comunità di beghinaggio sorte per far fronte a situazioni di povertà, e che possiamo tranquillamente definire come un movimento di liberazione della sessualità, unito a una chiara coscienza dei suoi appartenenti (ricchi o poveri che fossero di provenienza) della necessità di superare il possesso di beni, ovvero lo stesso concetto di proprietà privata. Il Libero Spirito è esplicitamente dalla parte dei poveri contro i ricchi nella libertà del dono e, da qui, sviluppa un'estrema tensione per la libertà d'amare, libertà che è condizione per la autenticità dell'amore e che va a far coincidere la visione del dio con un divino interiore all'essere umano.
Non siamo certo in grado di ricostruire quel periodo come si dovrebbe (io poi meno che mai, se non altro per il posto in cui mi trovo), dato che possediamo soprattutto tenui tracce lasciateci dai torturatori delle confessioni dei torturati. Rimando, per chi vuole approfondire l'argomento, alla lettura del libro di Raoul Vaneigem, Il Movimento del Libero Spirito. Ma mi sembra di poter dedurre senza ombra di dubbio che la segregazione sorga "ufficialmente" come alternativa alla pena capitale proprio in quel periodo, come necessità delle chiese di ribadire una visione mercantile dei rapporti umani che invece gli esaltatori dell'amore e della dignità degli umili e delle donne consideravano come il peggior male. La visione mercantile dei rapporti umani trionfa infatti quando c'è corruzione della coscienza dell'individuo. "L'amore tra uomo e donna? - essa dice grosso modo - la virtù dei poveri? Tutte balle: pensa a te". Orbene, a quei tempi era già un premio essere strangolati per morire immediatamente invece di soffrire i supplizi del rogo (senza contare gli eventuali sofisticati sovrappiù spettacolari che potevano precederlo). Inoltre, tutta la prassi eresiologica diventa la prima prassi giuridica moderna perché si fonda sulla confessione estorta mediante tortura: a meno che non si ceda ...spontaneamente. La segregazione come politica penitenziaria nasce dunque, con la stessa logica del non ricorso alla tortura, come premio in alternativa alla morte, concesso in cambio della confessione (e conseguente delazione).
Alla lunga molti eretici e liberi pensatori trovarono naturale far finta di pentirsi per evitare la tortura e la morte. A volte la cosa riusciva ed essi riprendevano la loro attività, magari ricorrendo a qualche astuzia come lo spostarsi di luogo. Un'astuzia ricorrente era il ricorso a un linguaggio dal doppio significato, apparentemente ortodosso per l'ascoltatore esterno e al limite per il novizio e chiaro invece per l'iniziato. Il riferimento ad Amore, per esempio, può essere inteso astrattamente al primo livello e assumere invece tutta la sua concretezza nel secondo.

45. Si può forse dire che all'inizio della storia dei movimenti iniziatici medievali tale doppiezza non venisse affatto interpretata come una prudenziale astuzia ma come un'inevitabile constatazione dei diversi gradi di coscienza esistenti, ovvero tra un poco e un di più da intendere all'inizio o alla fine del rapporto del novizio con l'iniziato, più che come una diversità di livelli di comprensione a compartimenti stagni. Margherita di Porete per esempio, morta sul rogo il primo giugno 1310 in Place de Grève a Parigi, dà per scontato che molti non possano intendere il suo "affinato amore":

"Amico, che diranno beghine e religiosi,
Quando udranno l'eccellenza della vostra divina canzone?
Dicono che io sbaglio beghine, preti, chierici e predicatori,
Agostiniani, e carmelitani e frati minori,
Per ciò che scrivo dell'essere dell'Amore affinato.
Non faccio salva la loro ragione, che gli fa dire a me simili cose.
Desiderio, Volere e Timore tolgon loro la conoscenza...
... La forza egli [il divino Amore] mi ha dato
D'un amico che ho in amore,
A cui sono votata,
Che vuole ch'io l'ami,
E che dunque amerò".
(Da Lo specchio dei semplici di Margherita Porete, in Vaneigem, op. cit.)

Coerentemente con tale pensiero Margherita di Porete rifiuta di prestare giuramento all'inquisitore di Francia nel 1307 perché si ritiene fedele a "quell'anima libera [che] non risponde a nessuno se non lo vuole".
Due secoli dopo, ad Anversa per esempio, le cose sono cambiate parecchio e anche il Libero Spirito pare meno libero. Ad Eloi Pruystinck il copritetti va bene una prima volta nel 1526: arrestato finge di pentirsi e riprende la sua attività; ma verrà ripreso dopo una nuova denuncia e bruciato il 25 ottobre 1544 dopo aver confessato sotto tortura. Dall'alto, se possiamo dire, della posizione ormai disinteressata del condannato a morte, egli cerca allora di scagionare coloro che sono stati accusati di essere i suoi complici.
Non solo l'atteggiamento verso il potere di Eloi è diverso da quello di Margherita; lo è anche la sua posizione in tema d'amore. Costei rivendicava l'elevatezza dell'amore, quest'ultimo all'opposto sembra limitarsi a rivendicare, in una modernissima logica "trasgressiva" e consumista, la non colpevolezza della... animalità, stando almeno a quanto ci riferiscono delle sue parole i suoi torturatori:

"La componente animale dell'uomo è infedele alla legge divina. Essa disobbedisce e persegue la voluttà. Per contro, la componente interiore, creata a immagine di Dio e nata da Dio, non approva mai le opere della carne. Essa le combatte senza tregua, soffre di questa ribellione della carne e deplora la propria infelice schiavitù, che le impedisce di agire secondo i propri intendimenti.
E' per questo che lo spirito non commette mai peccato, anche se la carne pecca. E, allo stesso modo, come la carne non può non peccare, così lo spirito non può peccare, poiché proviene da Dio. Per questo esso è costretto ad invocare: "Misero me, chi mi libererà da questo corpo che mi vota alla morte (Epistola di Paolo ai Romani, VII, 24)?"" (in Vaneigem, op. cit.).

L'illusoria astuzia di Eloi ha ormai a che fare con l'involontaria accettazione di una nuova cultura generale. Nella lotta all'eresia, sui banchi di tortura del Duecento, si forma infatti il moderno pensiero giuridico; ma quest'ultimo è anche all'origine di una nuova filosofia, di una visione dell'essere umano che - ad onta delle pretese dei filosofi, dunque - è di fonte tribunalesca: la concezione mercantile dell'essere umano porta a considerare l'individuo quale soggetto degli eventi.

46. La vuota presunzione individualista non è altro che lo sviluppo del crollo psicologico di un povero torturato. E' lui, l'individuo che vende i suoi legami davanti al banco della tortura, o li ricompra una volta libero o messo a morte, che deve illudersi, illudersi che la sua responsabilità personale è al centro della spiegazione degli eventi, della "verità". In questo modo egli rinnega ogni concezione olistica, "trans-individuale", e assolve e maschera quel potere che, attraverso la sofferenza, agisce sulla sua interiorità.
Da allora, l'infinità realtà che forma un essere umano, al di là della sua stessa coscienza, invece di essere la nostra "trascendenza" o il nostro "elementare" da capire, da studiare (e da rispettare) diventa la nostra irrazionalità.
L'accettazione di questo terreno di confronto da parte dell'eretico sotto il peso della tortura è un rinnegamento della visione reale dell'essere umano che si riduce a essere una compravendita dei rapporti umani sul futuro terreno giuridico della confessione, onde chiudere intorno al concetto di "reato" ogni possibile comprensione e soluzione del conflitto che fu alla base di quel reato. L'astuzia di Eloi è l'accettazione della colpevolizzazione dell'individuo in alternativa alla comprensione del conflitto, la unilaterale responsabilizzazione del singolo per la spiegazione di eventi che vedono sì la sua scelta, ma che in realtà pure lo trascendono.

47. Si sta parlando ormai a questo punto di un meccanismo che ha già aperto la via al massacro civile e il cui unico vero scopo (decisamente diseconomico, verrebbe da dire) è che l'ortodosso si convinca che tutto prosegue bene, non certo riuscire a risolvere la contraddizione che l'ortodossia dichiara di combattere.
Ma, indubbiamente, l'aspetto della contraddizione si modifica poiché si modifica la comprensione che se ne ha. Il Libero Spirito subisce sconfitte: l'inevitabile, confusa ma generosa lotta della coscienza amorosa indietreggia. La differenza che passa tra la ricca e rigorosa purezza di Margherita Porete e la povera astuzia di Eloi Pruystinck, tra il '200 e il '500, è l'eco di questo indietreggiamento. A partire dal '400 l'ortodossia può perciò attaccare sempre meno gli eretici, ormai indeboliti, e dedicarsi alle "streghe", al grande massacro. Ogni Libero Spirito sconfitto è una diga che si rompe consentendo alle acque ortodosse di travolgere migliaia di innocenti attaccati ora più per quello che sono che non per quel che pensano: le donne che non sanno stare ancora al nuovo posto loro assegnato. Così la lotta contro gli eretici condotta da inquisitori eresiologi diventa progressivamente guerra contro il demonio condotta da inquisitori esorcisti. Il nemico è ora anche l'inconscio, non solo la coscienza critica; l'eretico va lasciando il posto alla donna che difende la sua femminilità, il sapere della medicina popolare e del parto o anche più semplicemente la sua autonomia di persona. Buttata nell'irrazionalità da secoli di feroce persecuzione, la coscienza amorosa viene confinata nell'inconscio della sessualità, e da qui stanata per essere reinterpretata secondo i criteri dell'ortodossia. Il Diavolo non è altro che il divino Amore rovesciato nel senso letterale del termine: ha perso testa e cuore e, nel ragionare, si ritrova solo all'altezza dei genitali. Così almeno appare nella mente degli esorcisti e così deve apparire in quella delle indemoniate: per esempio in quel primo esempio di carcere super-premiale a intenso programma di trattamento per il recupero che furono i seicenteschi conventi di Loudun o di Auxonne in Francia (cfr. I diavoli di Loudun di Aldous Huxley).
La coscienza e l'estasi di Margherita lasciano il posto all'isteria delle infelici suore il cui principale sintomo - rivelatore di presenza diabolica - è il furor uterinus. Le crisi sono essenzialmente simulazioni dell'atto sessuale col diavolo, l'unico momento cioè in cui la sessualità trova uno spazio autorizzato per esprimersi, uno spazio lontano dalla coscienza. La pratica degli inquisitori non è da meno quanto a fantasia orgiastica, anzitutto con lo spettacolo voyeuristico dei suoi riti, ma anche con l'ambiguità degli atti ai quali si ricorre per cacciare i demoni dalle donne con fruste e clisteri.
L'orgia immaginaria, teatro della confessione con cui le suore sfogano la sessualità repressa, ottiene in cambio un potere tremendo: la denuncia di chi si è fatto agente del diavolo perché fossero concupite. A Loudun la priora manda a morte un prete che non è mai entrato in quel convento, non l'ha mai conosciuta, ma che si sarebbe fatto vivo lo stesso in apparizione. E' facile immaginare quali vendette personali e quali vasti intrighi di potere si possano innestare su meccanismi simili - infatti l'intera vicenda venne usata spregiudicatamente da Richelieu. Il convento di Loudun ci ricorda in grande quelle caserme dalle quali alcuni anni fa dei "pentiti" organizzarono durante i loro banchetti denunce e ricatti su persone che spesso neppure conoscevano. Nel 1995 c'è stato un po' di scandalo perché una brigatista rossa pentita partecipò a un talk show televisivo. (Naturalmente, non si protestò perché era una "pentita", ossia per il suo presente, ma perché era una "terrorista": tutto ciò che attiene alla coscienza oggi non ha più importanza, neanche quand'è falsificato). Nel Seicento lo spettacolo del pentimento era usato ancora più alla grande. La priora di Loudun, Jeanne des Anges, fu osannata dalla classe dirigente dell'epoca come eroina e santa. Presentata di paese in paese, venne ricevuta a corte, assisté al parto della regina, scrisse molte lettere come consigliera spirituale e esperta di miracoli.

48. Abbiamo perciò già conosciuto secoli fa, in vitro e grazie alla Chiesa, sia il carcere moderno sia il suo ultimo sviluppo in carcere premiale che forma pentiti.
E grazie a questa storia della reclusione potremo constatare una caratteristica dell'essere umano: nel quale vi è in un bisogno costante di andare oltre se stesso - una "autotrascendenza" lo chiama A. Huxley - che non si può eliminare ma che, tolto alla sua naturalezza, sottratto a una libera elaborazione, si può facilmente deviare verso il basso, il subcosciente, il subumano. La prima manifestazione di questa autotrascendenza è nel cercare un legame con l'altro, la sua base è l'attrazione naturale fra uomini e donne, la sua elaborazione culturale si chiama amore. Quando questa energia viene repressa, non abbiamo la sua scomparsa ma il suo dirottamento verso esiti catastrofici, parodie del possibile che ci condannano a essere l'anello mancante tra l'animale e l'essere veramente umano. Procediamo ancora come quegli animali che si riproducono come larve, in una condizione di neotenia, e rimandiamo sempre la metamorfosi proiettandola nel regno separato di un al di là che è appannaggio delle élites del sacro, con le religioni e i misticismi che fungono da oppio per le masse. Diciamo che quel che non si può ottenere con le buone, lo si ottiene con le cattive: secondo W. Reich l'inibizione della sessualità, della naturale attrazione fra uomini e donne che subiamo fin da bambini, si tramuta nel duplice aspetto del bisogno di autorità: ubbidienza verso l'alto e volontà di dominio verso il basso. L'accettazione di una vita fondata sulle relazioni di potere proverrebbe da una deviazione della sessualità di tipo sado-masochista (Reich, Psicologia di massa del fascismo). Ogni nostra volontà di cambiamento è allora viziata alla base, ignora il sostrato dell'immaturità di massa per la libertà, rinnova ogni volta le forme del dominio, costruisce l'ingenuo, risentito e ingannevole mito della "rivoluzione tradita".
In genere è nell'infanzia che assimiliamo il processo diseducativo alla libertà fondato sulla repressione della sessualità affinché permanga in noi un bisogno degli altri fatto di dipendenza e di strumentalità anziché di coscienza e d'amore. Ma che cos'è il carcere se non una seconda violenta ondata diseducativa inflitta all'adulto attraverso la castrazione degli affetti?
Abolizioniste della pena dovrebbero essere anzitutto le donne, indidividuando nel carcere il più alto monumento della misoginia eretto dalla civiltà attuale, costruzione che getta la sua ombra su molti luoghi ormai impensati.

49. Un Monumento non è semplicemente una Struttura: è un Simbolo; qualcosa dunque che contribuisce a formare una cultura, a orientare la percezione degli eventi. Abbiamo ascoltato molte critiche alla struttura, ma esse serviranno solo a rinnovare la politica delle pene finché non si sarà riusciti a cogliere il ruolo della reclusione sul piano simbolico. Il simbolo - il divieto d'amare - è lo zoccolo duro della struttura - della reclusione come pena.
In molti paesi, libertà sessuale e libertà materiale sono concetti in parte distinti e vi sono perciò dei momenti per la vita affettiva in carcere. Con mille problemi, dato che l'affettività è di fatto considerata una piccola parentesi all'interno della vita reclusa, consentendo allora forme di discriminazione a seconda del carcere in cui ci si trova eccetera. Così la vita affettiva diventa spesso uno spazio confinato nel disprezzo e nel consumo del sesso, qualcosa di umiliato piuttosto che il residuo di una resistenza preziosa. Resta comunque il fatto che questi paesi sono più civili di quelli come l'Italia. Qui, in carcere, non sono previsti incontri con i familiari in condizione di riservatezza (senza controlli visivi), gli affetti sono esclusivamente legati all'uscita dal carcere attraverso le licenze premio: questione ignorata in quanto tale e implicitamente subordinata alla liberazione individuale, gli affetti diventano così l'oggetto di una politica di prostituzione dei sentimenti che trasforma le persone amate in premi.
Il simbolo funziona rispetto alla struttura come carcere nel carcere, come istituzione invisibile che guida quella visibile - il penitenziario - creando un'inferno delle coscienze che neppure Kafka avrebbe potuto rappresentare nei suoi romanzi.

50. Finché questo "carcere nel carcere" non verrà affrontato come prima questione, limitando per quanto possibile il carcere visibile alla sola limitazione della libertà individuale, non vi sarà nessun efficace movimento abolizionista: tutto sarà vanificato a monte, nel non-detto. Si tratta anzitutto di ottenere, per degli esseri umani, un diritto che è già stato concesso agli animali negli zoo.

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