Libro bianco

testimonianze dei lucchesi sui fatti di Genova


 Testimonianza di Beatrice Lera

Genova 21 luglio 2001, parlarne non è certo facile. Non sono stata direttamente coinvolta nello scontro, perché con altri siamo scappati, in tempo, da quella parte del corteo che poco dopo sarebbe stata pestata dalla polizia. Accecati dai lacrimogeni che ormai saturano l'aria, all'altezza di piazzale Kennedy usciamo dal corteo con le mani alzate, gli occhi annebbiati dalle lacrime e il respiro affannoso. Corriamo per andare il più lontano possibile dal piazzale che durante la mattina ci aveva accolti, caldo e colorato. Al di fuori dei cordoni del corteo ci troviamo nel limbo, nel caos più totale: gruppetti di black bloc indisturbati armati fino ai denti, alcuni ci fermano rompendo il nostro piccolo gruppo, ci provocano ma tutto finisce velocemente; i segni della devastazione dei giorni precedenti, ragazzi vestiti da manifestanti che parlano ai cellulari con aria troppo tranquilla per essere dei nostri e nemmeno un poliziotto che tuteli il corteo. Continuiamo la nostra frenetica maratona, cercando di stare, almeno noi, il più uniti e vicini possibile, fino a che non rientriamo nel corteo, in Legambiente, dove ci sentiamo più al sicuro. E' in quel momento che il paradosso prende corpo, nel momento in cui ci rendiamo conto di essere all'interno di un corteo gioioso, bellissimo. Ci togliamo le mascherine e i bandana dalla bocca, ricominciamo a respirare; apriamo gli occhi, il sole ci abbaglia con tutto il suo splendore, iniziamo ad assaporare la gioia della manifestazione che sarebbe dovuta essere. I genovesi dall'alto dei palazzi ci tirano l'acqua per alleviare il gran caldo ed è bellissimo il coro che aspetta che cada l'acqua, la cascata che si polverizza fino a venirci ad abbracciare, i genovesi che ci battono le mani, che hanno steso le mutande alle finestre e lo striscione con su scritto "Citizen of the world" ci commuove. Ma è lì che veniamo a sapere che la polizia ha caricato la parte di corteo da cui siamo scappati, quella parte in cui si trovano i nostri compagni; e l'angoscia sale, la discrasia tra le cose che stiamo vedendo e ciò che sta succedendo a pochi metri da noi si fa largo. Sul palco Agnoletto ed altri esponenti di associazioni giunte a Genova da tutto il mondo, applausi, commozione, Carlo Giuliani, ma anche lì tutto è molto veloce, furtivo, gli scontri si stanno avvicinando al palco. Ci invitano ad andare velocemente verso i pullman. Al parcheggio tutto è quieto, stiamo aspettando i nostri compagni, ne arrivano alcuni a piccoli gruppi, ci raccontano che cosa è successo; alcuni sono reduci dagli scontri, sono stanchi, stravolti e poi di nuovo l'inferno. Io e altre due mie amiche ci allontaniamo un attimo dai pullman, per vedere cosa sta succedendo ai margini del piazzale e d'improvviso di nuovo i lacrimogeni, forse portati dal vento dagli scontri che si trovavano appena dietro, al carcere di Marassi, forse sparati dagli elicotteri. Confusione, caos, gente che corre ovunque, pullman che accendono i motori e iniziano a muoversi, non riusciamo più a trovare i nostri. Appena li ritroviamo il dilemma: salire e andare o aspettare gli altri? Saliamo per sfinimento con il cuore in gola per chi abbiamo lasciato là e solo quando torniamo a prendere i reduci, due ore dopo, la tensione inizia sciogliersi appena. Dire che tutto questo è vergognoso, che non esiste più lo stato di diritto; dire che Carlo Giuliani è stato freddato da un colpo di pistola sparato da un carabiniere, che i ragazzi arrestati sono stati picchiati e umiliati in carcere, che la polizia ha massacrato indistintamente manifestanti pacifici di ogni età è poca cosa dal momento che a distanza di poco più di un mese stanno cercando di insabbiare tutto. L'unica cosa che posso dire è che non ci arrenderemo e continueremo a lottare.

Beatrice Lera

 

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