Libro bianco

testimonianze dei lucchesi sui fatti di Genova


 Testimonianza di Alice Pollicardo

E' mattina presto, che ancora il sonno preoccupato stenta a scolorire, e ci troviamo ai pullman, quasi tutti estranei, ma lo stesso compagni perché al fondo di ognuno si è risvegliato un comune senso d ingiustizia. Durante il viaggio qualcuno dorme, qualcuno parla, altri ridono, ma non c'è allegria, non c'è serenità: siamo responsabilizzati dalla morte dei giorno precedente. Nessuno ne parla apertamente, ma 'è come se stessimo andando a Genova anche per Carlo che è morto sbagliando e per sbaglio, per Carlo ed una violenza che soprattutto dopo la sua morte rende necessari il sorriso, l'unione, la presenza. Arriviamo a Genova che ci accoglie in silenzio e spoglia, stento a riconoscere questa città che ho visitato tante altre volte, stento a riconoscerla dicevo, perché è come rintanata, un animale timoroso che si nasconde.11 pullman ci accompagna a Piazzale Kennedy e si dilegua. Nell'aria e, è ancora una strana calma assonnata di fine di notte e di notte bianca, quasi dolente. Entriamo nel Piazzale del Gsf, io e le mie amiche intendo. d'un tratto è come essere al centro dei mondo, risucchiate da una Babele ordinata e brulicante che ci accoglie con partecipata indifferenza. Finalmente arriva Lucca 'è teso, stanco,, sporco,, mi sembra cresciuto ... lo guardo ancora un attimo e so che non c'è più tempo per ridere. Usciamo dal piazzale per cercare delle sigarette e la città ci - scorre ai lati come il set di un film. Le vetrine infrante, i negozi blindati, le finestre chiuse, mi sembrano i fiori di un giardino di morte che solo alla fine del giorno avrò davvero capito. Incontriamo alcuni genovesi con i quali parliamo poco, perché poco sembra ci sia da dirci; sono gentili, ma sembrano intimoriti dalla nostra presenza ... ho sempre meno voglia di ridere. Iniziamo a sfilare. Sono serena, contenta di guardarmi attorno ed incontrare volti che mi piacciono, persone sconosciute con le quali avere idee comuni; mi sento come parte di un motore nascosto che di rado mostra i propri ingranaggi. Potrei commuovermi per tutte le parole che mi vengono alla bocca lasciandomi muta, resto in silenzio quindi, e cammino piano. Entriamo in corteo confusamente; il gruppo di Lucca si divide, noi siamo accolti dall'Arci di Parma, gli altri non so. Questa confusione mi agita, penso velocemente che saremo dovuti restare tutti insieme. Trovarmi in mezzo a visi ignoti mi fa sentire a disagio. Piano piano la confusione si compone in un assetto diverso dalla sicurezza che avevo immaginato. Sono tesa. Conosco persone nuove che mi danno notizie allarmanti sulla sorte dei centri sociali. Continuiamo a camminare e stare fermi, a urlare e fischiare. Neanche un poliziotto a proteggere il corteo. Il primo incontro con la polizia lo abbiamo davanti alla caserma; ci accolgono in assetto da guerra trincerati dietro gli scudi, i caschi, dietro i cancelli... non avevo mai visto uno schieramento dì uomini così armati. Mi fanno paura così concentrati e carichi come sono; intanto il corteo si è fermato e urla "assassini", anch'io urlo e alzo il dito al cielo .Grido perché ho paura, perché la voce dei corteo vinca il rumore rombante degli elicotteri bassi, grido per la rabbia e la consapevolezza che se vogliono i più forti sono loro. La Rete Lilliput fa un cordone simbolico davanti alla caserma, ci sono anche dei bambini, la banda suona, poi lentamente ricominciamo a camminare. Dopo pochi minuti vediamo in lontananza il fumo davanti a Piazzale Kennedy, già il fumo dei lacrimogeni e delle auto incendiate ... in un istante la gioia finisce. Siamo tutti tesi; sono preoccupataci sediamo mani in alto, qualcuno urla "siamo in troppi non possono farci niente", ma le pale rumorose disperdono la sua voce. Alcuni telefonano ai figli, agli amici, altri bagnano i fazzoletti, io non so cosa fare sento solo che è iniziato davvero il pericolo e mi sembra pazzesco. Ci rialziamo per camminare lentamente, tutti uniti, nessuno parlate uniche voci sono quelle dei capo gruppo che gridano stentate "più veloci, state uniti, non perdiamoci" ... dopo poco è fumo, è guerra, sono immagini veloci che rivedo come diapositive, sono le tute bianche che ci fanno passare, è adrenalina, è la mano stritolata dalla stretta delle mie amiche, è paura e confusione e paura. Luca urla, ci fa correre e correre ancora fino anche non raggiungiamo il primo troncone del corteo, quello indenne ... siamo solo una trentina il resto dei gruppo è definitivamente perso. Ho paura. L'ansia cresce perché accanto ci si muovono black block con lunghe spranghe, perché non riusciamo a telefonare agli amici, perché siamo soli senza poliziotti a difenderci. Lega Ambiente ci fa entrare in corteo, continuiamo con loro; a poco a poco scende l'adrenalina ed è di nuovo festa. Festa di persone che urlano "Genova libera", di anziani alle finestre che ci salutano sorridenti, di uomini e donne che ci rinfrescano con l'acqua, di noi che dal basso della strada gridiamo "acqua" .Mi sento meglio, ma in fondo ho ancora paura per tutti i visi noti che non vedo e che non so dove sono. La marcia si ultima sulle parole di Agnoletto che dal palco ci invita ad andare ai pullman "bisogna mantenere l'ordine dice, "ci sono scontri in città". Sono stanca, ho paura, vorrei tornare dagli altri, andare a cercare gli amici, ad aiutare chi ne ha bisogno ... mi sembra di essere in guerra. Siamo in terra davanti ai pullman quando torna Giulio, è rosso, gonfio, trema anche, salto in piedi "come stai", "cosa è successo", poche frasi, i suoi racconti allucinanti ... non riesco a crederci: io ero ad una festa, mentre qualche metro più in là, i miei compagni, erano dentro una guerra ... una guerra vera e inaspettata tra la polizia e le idee, tra le armi, i lacrimogeni e le mani alzate, le parole ... vorrei piangere. Sì, vorrei piangere perché dentro di me in un istante si 'è rotto tutto, ma ora non ha senso, non c è tempo: bisogna organizzare i rientri, diminuire la confusione. Non ce tempo perché qualche stronzo attacca il carcere e gli elicotteri bassi nebulizzano urticanti e non so più dove sono non vedo più niente. Bisogna partire adesso, solo qualcuno resta al parcheggio ad aspettare gli altri ... Sui pullman si parla poco; piano qualcuno racconta degli inseguimenti, delle manganellate senza motivo, delle teste rotte, dei rifugi per miracolo ... nessuno ride, nessuno ne ha più voglia. Chiamiamo Luca e Giulio: le persone di Lucca sono tornate tutte, "tra poco partiamo anche noi". Sono un po' più sollevata; ma ancora vorrei piangere. Torniamo a casa e nessuno di noi è più la persona che era prima dei corteo, non c'è più spazio per l'illusione ... la realtà di una guerra che vuole soffocare le idee ci capovolge più della guerra stessa.

Alice Pollicardo

 

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