Libro bianco

testimonianze dei lucchesi sui fatti di Genova


 Testimonianza di Vladimiro

Sapevamo bene che non sarebbe stata una giornata tranquilla. Dopo la gioiosa manifestazione di giovedì 20 e la tempesta di pioggia nella notte, che non ha comunque impedito all'elicottero della polizia di svolazzare sopra il campeggio, nell'assemblea di venerdì mattina tutti sapevano che non sarebbe stata una passeggiata, la piazza tematica sul conflitto capitale lavoro e poi il tentativo di sfondamento della zona rossa. Tutti o quasi, ci aspettavamo gli scontri con i bardatissimi tutori della fortezza blindata per la passerella degli 8 criminali più fetenti del mondo. Ma in pochi forse erano consapevoli della violenza con cui il tallone di ferro sarebbe stato pronto a fronteggiarci... Alle 10 prendiamo l'autobus di fronte al campeggio per raggiungere piazza Paolo da Novi, luogo del concentramento del Network per i diritti globali per la piazza tematica sul conflitto capitale-lavoro: il sit-in, il comizio con vari interventi previsti tra i quali avrebbe dovuto esserci anche la star Bovè, la merenda offerta dai compagni dei cobas agricoltura e quindi il tentativo di violazione della zona rossa, che dista appena un paio di isolati dalla piazza… Quando scendiamo dall'autobus la tensione è alle stelle, si respira nell'aria e la leggo negli sguardi che si incrociano fugacemente. Siamo sul viale alberato parallelo alla piazza, a cinquanta metri dal concentramento. Capiamo subito che c'è qualcuno che è arrivato prima di noi e che si sta già preparando allo scontro con la polizia. I compagni, appena in strada, preparano le maschere e si infilano il casco. Nel frattempo ci sono altri che raccolgono i cassonetti dell'immondizia ai lati della strada che esce dalla piazza. Altri ancora, con delle aste di ferro raccolte in un cantiere distante pochi metri, stanno spaccando il selciato della strada e delle aiuole per raccogliere pietre di dimensioni maneggevoli. Sto aiutando un compagno a fasciarsi il torace e la schiena con la gommapiuma, gli tremano le mani, ha la fronte perlata di sudore come la mia, mi si stringe lo stomaco quando sento la sua tensione e quella del braccio di * che mi trascina verso la piazza, per raggiungere il nostro gruppo che si è avviato dietro lo striscione. Con il casco, la maschera e gli occhialini ci riconosciamo con difficoltà. Ho il tempo di constatare l'imponente numero di sbirri che ci attendono, un paio di isolati più avanti, schierati di fronte a tre-quattro file di camionette intraversate per chiudere la strada che conduce alla zona rossa, di cui s'intravedono solo le assurde fortificazioni di metallo alte cinque metri,. Poi, la concitazione, ci muoviamo nella piazza seguendo lo striscione che viene tirato di qua e di là senza mai riuscire a dispiegarsi in tutta la sua larghezza. Una voce: "Tutti dietro al camion dei Cobas, usciamo dalla piazza, qui tra poco caricano!". Torniamo indietro verso il viale alberato. Mi concentro per cercare di non perdere d'occhio i compagni e lo striscione. Siamo sul viale alberato, ci muoviamo lentamente in direzione del mare, ma all'incrocio di fronte a noi si vedono i fumi dei primi lacrimogeni. Sono le 10,30, partono le cariche della polizia. Vanno in frantumi le vetrine di una banca e di un'agenzia immobiliare con un fragore che è un sussulto sui muscoli già tesi come una corda di violino. Adesso siamo fermi, un compagno dei Cobas corre per richiamarci in direzione della strada che esce dalla piazza, dove si sta muovendo il grosso del corteo. Seguiamo le sue indicazioni e ci ritroviamo stretti su questa via con alle spalle la piazza, ormai persa, da cui partono i lacrimogeni che piovono sul corteo. Riusciamo un minimo a ricomporci, a stendere lo striscione, a passarci un po' di limone sulle parti del corpo scoperte che bruciano per il gas. Dietro di noi dei compagni anarchici hanno rovesciato un automobile in mezzo alla strada, è una "fiat uno" e lì per lì questa cosa mi fa incazzare di brutto perché penso al proprietario, non certo un ricco borghese… Poi vedo un'altra macchina che sta per fare la stessa fine e sopra, alle finestre dei piani dei palazzi, una quantità di macchine fotografiche e telecamere con annesso digossino. Nel frattempo continuano ad arrivare i lacrimogeni, stiamo per raggiungere un'altra piazza, quando un tipo parte per andare a fracassare un distributore della Ip lì accanto: prima le urla che gli chiedono di fermarsi, poi tre compagni partono come delle belve e lo riportano con la forza all'interno del corteo. Siamo ora in una grande piazza dominata da una lunga scalinata, affollata dal corteo che la risale. Qualcuno è fermo e sfrutta la posizione panoramica per vedere quello che succede in basso. Mi passa di fianco la banda nera con gli sbandieratori della A cerchiata, i colpi cupi delle gran casse fanno eco a quelli sordi dei lacrimogeni e preparano la scena per lo spettacolo delle azioni dirette contro i simboli del capitalismo. A vederli e sentirli fanno un po' impressione: sembrano dei mutoidi che suonano e danzano con funerea eleganza nel mezzo alla tensione delle cariche e degli scontri con la polizia. In cima alla scalinata c'è parecchia confusione, non sappiamo più da che parte andare, il corteo si è frantumato in mille pezzi, colonne di fumo delle auto incendiate si levano sopra i tetti dei palazzoni intorno alla piazza, le parabole di quei pochi lacrimogeni non sparati ad altezza d'uomo si fanno sempre più minacciose. Lo striscione dei toscani d'un tratto si muove verso destra, per allontanarsi da quel caos e cercare di raggiungere una zona più tranquilla. Alla testa c'è il trattore dei cobas del latte con la bandiera della mucca Ercolina. Andiamo di passo veloce, in maniera un po' disordinata, pur provando a formare dei cordoni, ma la mente non è abbastanza lucida per tenersi d'occhio tutti, mi devo ancora riprendere dallo shock delle prime cariche, credo che per gli altri sia la stessa cosa. Siamo tutti un po' incazzati con i neri che hanno incominciato con le loro azioni prima di darci il tempo di prendere possesso della piazza. In molti sarebbero dovuti arrivare in piazza Paolo da Novi più tardi, il concentramento era appena all'inizio quando sono partite le prime cariche. La piazza tematica è fallita, così come l'assalto alla zona rossa… lo squilibrio tra le forze in campo è troppo grande e troppo violento e determinato è stato il primo attacco delle forze nemiche che ci hanno sgomberato dalla piazza. Adesso stiamo cercando di raggiungere piazzale Kennedy, per vedere se possiamo riunirci ad altri spezzoni del corteo che sono stati spinti in altri luoghi della città. Tutto è calmo fino all'arrivo nel grande piazzale sul lungomare, assegnato al Genoa social forum, dove c'è il palco per i comizi finali, lo stesso palco del concerto di Manu Chao di due sere prima; dove ci sono i tendoni con gli stand delle associazioni, i tendoni dell'accoglienza e della ristorazione. Entro nel recinto del piazzale convinto di essere al sicuro, di potermi rilassare nell'attesa degli altri compagni che prima o poi sarebbero arrivati. Penso anche di poter andare a mangiare qualcosa, ma poco dopo arriva lo spezzone dei neri che ci avevano fatto saltare la piazza con non poca incazzatura da parte della maggioranza dei compagni. Si decide di non farli entrare nel piazzale e ci si organizza con un paio di cordoni all'ingresso. Vola qualche spintone e qualche parola grossa, ma alla fine il cordone tiene senza il bisogno di doversi menare tra compagni. Perché i neri compagni restano, anche se hanno approfittato della copertura del corteo per compiere le loro azioni, senza preoccuparsi troppo della sicurezza di tutti e del raggiungimento dell'obiettivo politico che ci si era posti nella giornata. Fuori dal piazzale, di fronte ai nostri cordoni, compare uno schieramento enorme di celerini con alle spalle camionette e mezzi blindati. I neri si sono dileguati, la polizia sta fronteggiando solo noialtri compagni del network raccolti nel piazzale che ci è stato assegnato dal comune e dalla provincia di Genova. Non riesco a pensare che ci possano caricare all'interno di una zona franca, dello spazio principale tra quelli assegnati al Gsf. Pensano più svelti di me quelli che stavano nel cordone all'ingresso del piazzale: chiudono il cancello e preparano le barricate per resistere all'imminente aggressione del nemico. I lacrimogeni incominciano a piovere nel piazzale; gli si risponde con dei sassi, ma senza successo perché lo schieramento della polizia è abbastanza vicino da farci andare fuori di testa, ma abbastanza lontano da non farsi raggiungere dai nostri sassi. Arriva l'ultimatum, che non prevede condizioni per la resa: tra cinque minuti, la carica, la polizia vuole entrare nel piazzale e spazzarci via. L'unica possibilità che abbiamo è quella di abbandonare mestamente anche questo piazzale passando sugli scogli. Faccio un giro del piazzale insieme ad altri "messaggeri" per richiamare tutti quelli che vedo ed avvertirli dell'imminente attacco. In molti non riescono a crederci e vorrebbero rimanere a fronteggiare lo schieramento degli sbirri, da dietro le barricate, per provare a tenere la piazza. Alla fine, ci muoviamo tutti verso gli scogli, l'incredulità e la rabbia lasciano il posto ad una sensazione d'impotenza nei confronti delle forze del disordine, che per oggi hanno deciso di non lasciarci alcuno spazio per la protesta contro gli otto grandi delinquenti, il messaggio è chiaro ed inequivocabile, anche se difficile da accettare. In fila per uno, camminiamo in bilico sul sentiero che passa sopra gli scogli ed un breve tratto di spiaggia e dopo qualche centinaio di metri risaliamo verso il viale del lungomare. I finanzieri ci osservano beffardamente e ci tengono sotto il tiro dei lacrimogeni dalla balaustra lassù in cima, sopra un muraglione alto una ventina di metri. Gli immancabili digossini continuano a lavorare per i loro filmini. Vengo a sapere che poco più avanti c'è un altro spezzone di corteo che ci sta aspettando, per fare cosa non lo so a questo punto, ma è comunque una buona notizia, perché più siamo e meglio è, qualsiasi cosa si decida di fare. Raggiunti i compagni dello Slai Cobas, decidiamo di proseguire comunque sul lungomare, per ritornare al campeggio... sono le 14 e 30, avremmo dovuto ancora essere in piazza Paolo da Novi per l'assedio alla zona rossa... Drin, Drin, mi squilla il cellulare. E' il mio amico * cameramen prestato ad indymedia, è proprio in piazzale Kennedy e mi sta raccontando una scena veramente difficile da immaginare: i blindati della polizia stanno sfondando le barricate per entrare nel piazzale. Con la voce concitata mi saluta e ci auguriamo di risentirci al più presto. La stanchezza, intanto, comincia a farsi sentire, così come la sete e la fame. Giungiamo in fondo al viale del lungomare e sulla destra, prima che la strada svolti verso l'interno, c'è una chiesetta dipinta di giallo e tapezzata di cartelli che in tutte le lingue del mondo chiedono la cancellazione del debito dei paesi poveri. Di fronte alla chiesa ci sono un paio di tavolini con il materiale informativo della campagna "drop the debt". I tipi al tavolino, senza dir nulla, tirano fuori una quantità di pacchi d'acqua. Mi fermo e mi avvento su due o tre bottigliette, si sembra dei maratoneti in sosta per i rifornimenti, un attimo di tranquillità, una sorpresa positiva in una giornata allucinante. Riprendiamo a camminare più tranquilli sull'ampio viale che prosegue verso l'interno, pensando che ormai sarebbe stata una passeggiata arrivare al campeggio. Stiamo ancora passandoci le bottigliette d'acqua, quando da una traversa sulla sinistra sopraggiungono a tutta velocità due camionette dei carabinieri, si fermano a venti metri dal corteo con una gran frenata e mentre dal tettino partono un paio di lacrimogeni gli sbirri scendono in strada e prendono posizione in riga dietro ai loro scudi. Il panico provocato dall'attacco improvviso e dai lacrimogeni rischia di spezzare in due il corteo, visto che una parte ha già superato la traversa, ma dietro si cammina in ordine sparso e la coda è ancora nei pressi della chiesa, un centinaio di metri più indietro. Io mi trovo proprio all'altezza della traversa ed il primo istinto mi spinge ad affrettare il passo in direzione della testa, con me in molti altri si affrettano per ricompattare il corteo. Ma poi una voce che in un attimo diventa un grido di battaglia di centinaia di compagni che partono all'arrembaggio: "Andiamo a fargli il culoooo!!!". Sono in pochi gli sbirri e stavolta rischiano grosso, la rabbia accumulata nel corso della giornata è tanta e chi è ancora nei pressi delle via traversa non rinuncia a difendersi e ad assaltare le camionette con una fitta sassaiola, che fa arretrare i caramba. Io sono già più avanti, ma dopo pochi istanti cessa la pioggia di lacrimogeni, sento un urlo liberatorio, gli sbirri scappano via a bordo delle camionette ed il corteo si ricompatta più forte di prima… finalmente siamo riusciti a difenderci ed a respingere il tentativo di carica. Un compagno mi dice che ora che ha tirato un sasso si sente un po' meglio, un altro ride sotto la mascherina: "Li abbiamo inseguiti fin sulle camionette, si son fatti una bella smaltita quelle merde… è stato un piacere vederli scappare con la coda tra le gambe!". Proseguiamo a diritto per una strada in salita che attraversa un quartiere residenziale. Camminiamo con calma, con i piedi che fanno male, la pelle, gli occhi e la gola che bruciano ancora un po' a causa dei gas, il cui effetto è stato solo attenuato dagli strumenti di protezione più o meno improvvisati che ognuno si porta addosso. D'un tratto l'elicottero della polizia spunta poco sopra alle nostre teste, a lambire i tetti dei palazzi e le cime degli alberi. Non ci vogliono proprio lasciare in pace: quella con l'elicottero è una guerra psicologica che fa sentire sempre tutti sotto tiro, sotto lo sguardo minaccioso della macchina repressiva messa in campo per colpire la contestazione a quelle merde che se la spassano dentro la fortezza… Il clima nel corteo si fa un po' più teso, in coda vengono rovesciati i cassonetti per evitare di subire le cariche da dietro, ma comunque si prosegue con una certa tranquillità, pensando di essere ormai prossimi al campeggio. C'è un compagno che si sente male: ha il viso in fiamme, non riesce a tenere gli occhi aperti e si sente svenire. Nello scontro con i carabinieri di poco fa si è beccato una spruzzata di pepper gas in pieno volto ed ora avrebbe bisogno di un medico. Ci troviamo di nuovo ad un incrocio, io sono quasi alla testa del corteo e mentre si fa correre la voce che c'è bisogno di un medico per il compagno gassato, alcuni dicono che bisogna svoltare a destra, giù in discesa, per ricongiungerci con un altro pezzo di corteo che si trova in quella direzione. Scendiamo per circa due-trecento metri su una strada stretta a destra dal muraglione di recinzione di un parco ed a sinistra da una balaustra che protegge i pedoni da un dislivello di diversi metri con i giardini sottostanti. La strada sarà larga sì e no sei metri, è in piena ombra ed è un sollievo dopo aver camminato a lungo sotto il sole. Poco più avanti, alla testa, vedo i primi compagni che stanno raggiungendo una curva; la strada prosegue in basso a sinistra dietro le case. Improvvisamente suonano delle sirene, capisco che si stanno avvicinando: "Fate largo, arriva un'ambulanza!", gridano quelli che erano in prossimità della curva, spostandosi verso i due lati della strada. La voce viene rimbalzata da altri ed il corteo si apre per lasciar passare una delle tante ambulanze che abbiamo incrociato, magari, dico io, questa sta arrivando per il compagno con il viso bruciato. E' un attimo, vedo due camionette blu e i compagni più avanti che si voltano affannati e si mettono a correre, in salita, per evitare di essere investiti dagli sbirri che arrivano a tutta velocità. Mi volto anch'io e mi metto a correre, cercando di non perder d'occhio i miei compagni, ma è difficilissimo, perché nonostante qualcuno urli nel tentativo di organizzare dei cordoni per respingere la carica, o come minimo per fuggire in maniera ordinata, gli occhi bruciano troppo, mentre corro devo ancora infilarmi gli occhialini, respiro a fatica per lo schifo e per la maschera che mi sto tirando su prima di mettermi il casco chè ci tengo alla mia testaccia… ormai sono il panico e la stanchezza a dominare i nostri corpi che si spingono e si accalcano gli uni sugli altri nel tentativo di mettersi in salvo risalendo per l'unica via di fuga. Passano un minuto o forse due prima che la corsa diventi una marcia veloce, ma continuo ad essere preoccupato perché non so dove stiamo andando, mi balena nella mente il pensiero che ci abbiano teso una trappola e che tra poco arriveranno a sbarrarci la strada che stiamo percorrendo con la polizia alle calcagna, per rinchiuderci in questo stretto budello e massacrarci di botte. Perché? Che cosa vogliono? Non gli basta di averci cacciato dal centro e convinti a ritornare mestamente al campo base? Mentre queste domande serpeggiano nelle poche parole che la maschera e l'affanno ci consentono di proferire, arriviamo ad un incrocio, alla fine della salita. Qualcuno sta già proseguendo a diritto in discesa lungo la stessa via, mentre altri insistono per svoltare a destra, anche lì in discesa, in una direzione che sembra più adatta per andare verso la nostra destinazione. Non faccio a tempo a richiamare i miei compagni che sento di nuovo il rombo del motore delle camionette accompagnato dalle urla dei pochi che sono poco più indietro… mi volto ed in un secondo gli sbirri ci sono addosso con la solita manovra folle da tentata strage da parte degli autisti che conducono gli automezzi fino a ridosso dei compagni che chiudono il corteo, poi parte un nugolo di lacrimogeni e la carica dei picchiatori con il manganello. Mi fiondo per la discesa di fronte, mentre vedo altri che svoltano a destra. Corro più veloce che posso sulle spalle di quelli che ho davanti, cercando di evitare gli ostacoli rovesciati in mezzo alla strada da quelli più avanti, cercando di evitare le automobili ed i motorini che se ne stanno tranquillamente parcheggiati su ambo i lati, cercando di attutire le spinte di chi si appoggia sulle mie di spalle. D'un tratto mi rendo conto di essere rimasto tra gli ultimi, sento gli scoppi ed i sibili dei lacrimogeni che mi sfiorano, cerco di correre più veloce ma ora c'è la pensilina d'una fermata dell'autobus ad ostacolarmi… mi dico tra me e me: "ecco, son fottuto! Ora mi beccano!" e d'istinto preparo i muscoli della schiena alla botta del manganello. Con la coda dell'occhio vedo però il robocop che avevo alle spalle dal'altra parte della pensilina, con il braccio teso ed allungato per colpire un compagno. Mi volto immediatamente per proseguire la corsa, ma non abbastanza in fretta per riuscire a tirar su una compagna che è stramazzata a terra sul selciato ricoperto dalle bottiglie di una campana per la raccolta del vetro rovesciata per fare le barricate; riesco soltanto a scavalcarla e ad evitare che la compagna accanto a me le cada addosso, sollevandola per i fianchi. Dall'altra parte della strada vedo un tipo senza casco con la testa insanguinata, sostenuto da tre compagni che lo trascinano in avanti. Ancora 10, 20, 30, 50, 100 metri e la strada fa una curva verso sinistra, non si sentono più gli scoppi dei larimogeni e le barricate alle nostre spalle sono ora abbastanza confortanti per difenderci dalla fanteria che dev'essere rientrata nei ranghi, o forse si accaniscono con quelli che sono riusciti a prendere: "cazzo! quella compagna caduta la massacrano!". Ho un nodo alla gola al pensiero di chi non ce l'ha fatta a fuggire. "Quei bastardi!" sento gridare da altri compagni che scoppiano dalla rabbia verso le merde vestite di blu ed i criminali che le comandano. E adesso? Dove andiamo a finire? Dove ci porta questa discesa? Ancora una volta nelle fauci del nemico? Pare che ci stiamo avvicinando al centro, dove sicuramente la situazione non è tranquilla. Era circolata la voce che anche il corteo dei disobbedienti e le altre piazze tematiche fossero state attaccate dalle forze del disordine. La discesa finisce in un larghissimo vialone con due carreggiate: è deserto, è quello che conduce alla stazione di Brignole, dove da ore vanno avanti gli scontri tra le tute bianche e la polizia, come ci confermano le ambulanze che spezzano il silenzio surreale che ci circonda. Abbiamo attraversato il vialone e ci raggruppiamo sotto l'ombra degli alberi all'inizio di una strada dritta, perpendicolare al vialone. Con grande gioia ritrovo una buona parte dei miei compagni che temevo fossero finiti nelle grinfie degli sbirri o dispersi chissà dove dalla carica appena subita, la più dura e pericolosa della giornata. Nella concitazione, c'è da decidere la direzione da prendere. L'elicottero ci è di nuovo sopra la testa e non è certo di buon auspicio. Alcuni insistono per raggiungere la piazza Brignole ed unirsi a quello che è rimasto dello spezzone dei disobbedienti. Sono le 17,15, è da stamani alle 10 che subiamo le violente cariche della polizia senza riuscire a sostenerle, senza mai essere riusciti a respingerle, in balia del panico, dell'impreparazione e soprattutto della disorganizzazione. E' ora di cercare di riportare il culetto a casa, c'è ancora tempo per manifestare domani e per resistere c'è tutta la vita che ho davanti. Preferisco incamminarmi nella direzione opposta, verso il campeggio, insieme alla maggior parte dei compagni rimasti, sperando di non trovare ulteriori brutte sorprese lungo il vialone che conduce alla meta. Sono circa le 18. Finalmente, eccoci al campeggio. Il sollievo per aver raggiunto l'agognata meta che vuol dire potersi sdraiare, rilassarsi e bere una birra prima dell'assemblea per discutere di quello che è successo oggi, muta subito in disperazione. I volti dei compagni al cancello sono tesi e scuri… hanno ammazzato due compagni nel corso delle manifestazioni di oggi. Hanno ammazzato due compagni, porcoddio! Gli sbirri hanno ammazzato due compagni! Circola la voce che un ragazzo sia stato ucciso dagli sbirri con dei colpi d'arma da fuoco mentre pare che una ragazza sia stata investita da un mezzo della polizia. Il dolore mi fa passare la voglia di discutere di quello che è successo nel corso della giornata e credo che questo sia il sentimento che coglie un po' tutti, l'atmosfera nel campeggio è cupa e silenziosa; c'è confusione solo nella stanzina dell'assistenza legale, dove si fa la fila per comunicare agli avvocati i nomi dei compagni dei quali non si hanno più notizie. Purtroppo tocca anche a noi chiedere l'assistenza per un compagno disperso nel corso della giornata: l'unica cosa che possiamo fare è lasciare il suo nome agli avvocati perché né dalla questura né dagli ospedali arrivano notizie sui fermati. La compagna avvocata che tiene il registro dei dipersi è sconsolata, non sono stati fatti avvicinare nemmeno i feriti più gravi, gli ospedali sono presidiati dalla polizia; allarga le braccia dicendoci che non sa quando potremo conoscere la lista dei fermati nelle questure e nelle caserme. Mi sento male al pensiero delle botte che si prenderanno i detenuti…

Vladimiro

 

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