Libro bianco

testimonianze dei lucchesi sui fatti di Genova


 Testimonianza di M. R.

[trascrizione di un racconto orale]

Nel momento in cui scrivo sono passati quasi due mesi da Genova ma ancora, nei momenti più diversi, torna alla mente come un flash un episodio, uno dei tanti, di venerdì 20 luglio. Stiamo ritornando verso il campeggio, dopo aver subito varie cariche ed esserci fatti disperdere più volte, siamo uno spezzone relativamente piccolo, ma ancora inquadrato. Stanchi, delusi per la mancata riuscita della "piazza tematica", camminiamo su uno dei tanti saliscendi di Genova. All'improvviso dal fondo della strada sbucano un paio di blindati al seguito di non so quanti carabinieri. Non c'è neanche il tempo di capire cosa sta succedendo o perché, nessuno sta spaccando niente, eppure questi pazzi, neri come scarafaggi, senza un centimetrodi pelle visibile, cominciano a sparare lacrimogeni ad altezza uomo, mentre i blindati si lanciano contro il corteo. Un compagno vicino a me si accascia, colpito in pieno volto da un lacrimogeno che continua a fumargli accanto. Io sono lì, gli sbirri stanno arrivando, i compagni stanno risalendo di corsa per trovare scampo. Non so che fare, ingenuamente alzo le mani verso quei disgraziati gridando: "FERMI! FERMI! C'E' UN FERITO!" (ripensandoci mi viene un sorriso sarcastico). Continuano ad avanzare e sparare, ormai sono a meno di dieci metri da me, e il compagno ancora a terra, stordito, una maschera di sangue, e io non ho nemmeno la prontezza di allontanare il lacrimogeno. Vorrei rialzare il compagno ma non ci riesco, ha gli occhi aperti ma non so se sia in grado di riprendersi e in mezzo a quel fumo terribile negli occhi e nella gola sento un compagno gridare il mio nome : "Vieni viaaa!!", e finalmente mi rendo conto che sono a meno di tre metri da me, che se non mi muovo mi arrestano, ed è allora che, alla faccia dell'asma, scattano risorse podistiche inaspettate, corro senza guardarmi indietro, ho paura di quel che potrei vedere, ancora non capisco perché, ma non importa. Piango di paura e di rimorso, l'ho lasciato a terra, indifeso e svenuto, chissà che gli faranno… Il senso di colpa mi rimane addosso fino alla sera, quando dopo interminabili chilometri raggiungiamo il campeggio, cerchiamo i compagni che mancano; alcuni arrivano poco dopo, di altri purtroppo non riusciamo a sapere niente. E' allora che arriva la notizia della morte, in un'atmosfera già tesa la delusione diventa dolore rabbioso e collettivo. Chissà cos' ha pensato mentre stava morendo. Finisco qui, a tutt'oggi ben consapevole che molti compagni hanno subito molto più che qualche carica. Con la speranza di rivedere alle prossime manifestazioni il compagno che ho lasciato a terra.

M.R

 

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