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Convegno di Zurigo


Intervento di Antonino Mele, detenuto ("fine pena mai") presso la casa circondariale di Bergamo

Compagne e compagni, "unu saludu sardu, e forza paris contra sa tirannia". Una tirannia che diventa sempre più spietata.
Se ieri si era in tanti a combattere contro "sos prinzipales" oggi si è ancora più numerosi, ma con una coscienza confusa e per nulla organizzata a combattere i papaveri della ricchezza che relegano nella miseria la stragrande maggioranza della popolazione del mondo.

Un poeta sardo cantava:

"Tancas serradasa a muru, fattas a sa ferra ferra, si su chelu vidi la terra laiana serradu puru".
[pascoli chiusi con dei recinti, requisiti con l'arraffa arraffa, se il cielo fosse in terra, avrebbero chiuso anche lui]

I padroni di ieri non sono diversi da quelli di oggi. Sono i poveri che nella loro miseria non sempre riescono a raggiungere quella coscienza necessaria a coltivare una lotta di lunga durata, che porti finalmente a condizioni di vita paritarie e dignitose per tutti.
Negli anni scorsi i banchieri del potere si sono accorti, anche in Italia, che si stava sviluppando intorno a loro una coscienza che procedeva in una direzione diversa da quella da loro stessi programmata. Una coscienza, cioè, che stava esprimendo una precisa volontà di lotta nei confronti di una classe politica massonica e corrotta.
La risposta della classe dominante è stata quella della repressione.
Più volte si è sentito discutere di quegli anni, bollati per lo più come una sorta di follia collettiva. Si è tentato di mistificarli, spazzando via così tanti anni di contestazione che aveva invece avuto origine di massima trasparenza.
I più agguerriti in questo senso furono e sono rimasti gli ex DC e gli ex PCI.
Ricordiamo bene gli appelli dei "salvatori della patria" affinché la repressione venisse organizzata appieno su tutto il territorio nazionale. Si diede carta bianca alle squadre della morte, si diede carta bianca ai servizi speciali. I quali, intanto che si adoperavano contro la rivoluzione, non si sono lasciati sfuggire l'occasione per schedare e mettere sotto controllo l'intera società, classe politica compresa.
Il capitalismo stenta a venir fuori da una crisi profonda.
La classe politica galleggia sulla bava delle parole, preoccupata principalmente di mettersi in salvo, di difendere i propri interessi.
Non è un caso se in prima fila, a ergersi a "paladini e salvatori della povera gente", ci troviamo i Berlusconi, i Di Pietro, i Cossiga, i Violante, i Prodi, i Mancino.
Sarebbero costoro quelli che dovrebbero occuparsi dei problemi della fame nel mondo? della creazione di una società davvero multietnica? di una società basata sul principio di uguaglianza, liberata dallo schema devianza-pena?
Assolutamente no. Non sono loro che possono lavorare attorno a un modello di società diverso, che preveda reciproche garanzie di benessere.
L'ipotesi di una parità globale, alla quale si è sempre teso, viene scartata come pura utopia.
Se ci sta bene, possiamo pure continuare ad assistere allo spettacolo della miseria che quotidianamente ci viene ammannito dai media con immagini provenienti da ogni parte del mondo, Italia compresa.
Se ci sta bene, continuiamo pure a credere allo spettacolo della giustizia schierata in difesa del "più debole" e garante di civiltà.
È proprio di questo, della giustizia e delle sue strategie di potere, che siamo chiamati a discutere oggi, in questo convegno.
Io dico che non può esserci nessuna giustizia giusta finche il capitalismo e la sua borghesia forcaiola sono al timone delle nostre vite.
Non si è mai voluto affrontare il discorso della detenzione in termini concreti.
Quanto viene a costare, per esempio, il personale in organico a tutti i livelli nelle carceri? Quanto costa il personale dei palazzi di giustizia, tutti i pilastri impiegatizi che lo reggono?
Altro che colosso FIAT!
Io dico che tutti gli investimenti indirizzati al mantenimento dell'ordine pubblico darebbero maggiori risultati se venissero impiegati in strutture educative, volte a formare una società culturalmente ed economicamente migliore.
Invece ogni risorsa viene attualmente destinata a reprimere malesseri di varia natura che crescono e si sviluppano nella società.
Via libera, allora, all'individuazione di reati sempre nuovi. Via libera allora agli illuministi impegnati nella ricerca di nuove formule per far scontare "più civilmente" le pene.
Si dice che un Paese civile non può continuare a contemplare nel suo codice penale la condanna all'ergastolo. Come se 33 anni di galera significassero "civiltà"!
Da qualche parte si prende spunto e si copia il modello americano.
E tutti sono concordi nel ritenere gli Stati Uniti un Paese civile. Malgrado vi sia la pena di morte.
Ma la pena di morte esiste anche in altre parti del mondo, compresi quei Paesi che si definiscono comunisti.
Secondo me non potranno esserci spazi di alcun genere se prima gli uomini non ricominceranno a guardarsi in faccia seriamente gli uni con gli altri.
Rosa Luxemburg non aveva tutti i torti quando diceva che non valeva la pena di continuare a definirsi comunista se poi anche i comunisti, una volta al potere, esprimevano gli stessi comportamenti del nemico appena sconfitto.
L'uomo che lotta per la libertà economica deve lottare anche per la libertà reale, che non potrà mai essere se non totale. E che non potrà mai essere finché nella struttura della società continueranno a esistere gli apparati militari.
La vera liberazione del mondo può aver luogo soltanto con la smilitarizzazione degli eserciti, con la distruzione di tutti gli armamenti usati fin ora per difendere le ricchezze dei padroni.
Se la rivoluzione che viene fatta per sconfiggere il nemico non si libera delle armi, queste stesse armi e questi stessi uomini diventeranno a loro volta controllori e guardie degli ex rivoluzionari.
Resta solo la speranza di una grande rivoluzione che demolisca gli arsenali, che metta a nudo i militari, che cancelli le frontiere, che distrugga il controllo economico del mercato globale.
Problemi che devono farci riflettere e così facilitarci a capire ancor di più quello di cui siamo chiamati a parlare oggi, cioè il nodo giustizia-pena-carcere.
Sebbene in Italia vi siano alcuni politici benintenzionati, anche loro devono fare i conti con il "militare", della cui presenza non sono e non saranno mai disposti, esattamente come gli altri, a fare a meno.
Sarebbe stato importante, per esempio, uscire dal linguaggio militare: disciplina- premio.
La premialità in questi casi, assomiglia alla rottamazione.
"Riciclarlo", "darlo in prova", "liberarlo a metà", "licenza premio"... Tutte formule inventate per prorogare in eterno la prigionia dei detenuti.
Mentre scrivo si parla della riforma carceraria che dovrebbe entrare in vigore in primavera. Mi scuso per il mio essere ripetitivo - ma da noi il ripetersi è inevitabile: quale nuova riforma può venire presentata, quando all'interno delle carceri non vi è stata nessuna modifica sostanziale e le competenze delle guardie sono rimaste immutate?
Provate a immaginare cosa potrebbe succedere nel caso in cui l'amore fisico con la propria/il proprio partner venisse gestito dai carcerieri... Visto che la premialità non è mai stata messa in discussione, ci troveremmo di fronte alla gestione dell'affettività con i propri cari da parte dell'amministrazione penitenziaria. A seconda che si sia ritenuti "meritevoli" o meno. È importante, perciò, lavorare a fondo sulla premialità. Prima e dopo la pena.
Anche il fenomeno del pentitismo è frutto della premialità.
Il mio pensiero è rivolto a una società senza galere, senza pene, a una società dove "il delinquere" venga prevenuto.
Per l'immediato è indispensabile, però, pensare a introdurre nel sistema penale dei dispositivi automatici. È necessario cominciare subito, da qui, per evitare che il carcere produca ulteriore degradazione.
Il nostro attuale sistema penale si basa ancora sulla comminazione di pene - più o meno anni di galera - in riferimento al tipo di reato commesso.
Non solo: le leggi consentono di arrestare prima di avere le prove relative ai capi di imputazione. E intanto ai malcapitati accade magari di scontare in anticipo più anni di carcere di quanti non ne preveda il codice per il reato contestato.
Nei processi non vi sono molte alternative per l'imputato.
Gli avvocati sono diventati un "pro forma".
Da anni vado ripetendo che dentro le carceri, al posto dei secondini, dovrebbe esserci personale più preparato, soprattutto personale civile.
Non so quanta acqua dovrà scorrere nei nostri fiumi prima che una riforma di questo genere possa vedere la luce. E neppure sarà facile scalzare dagli scranni del potere i magistrati.
Personalmente credo che non sarebbe male se a consigliare fattivamente i giudici fossero dei ricercatori, degli studiosi più aperti, meno coercitivi di chi amministra attualmente la giustizia.
Ho visto moltissime persone condannate al carcere quando si sarebbe potuto evitarglielo.
Probabilmente una maggior presenza di ricercatori e studiosi consentirebbe anche un diverso approccio agli imputati, nel senso di una presa in considerazione effettiva dei loro diritti.
Oggi come oggi si procede così: "Tu hai compiuto tale reato, il codice prevede tanti anni di carcere". E basta. Non importa quasi a nessuno conoscere il motivo che ha spinto l'imputato in questione a "delinquere".
I processi dovrebbero orientarsi a un recupero di chi ha sbagliato e dovrebbero orientarsi a condanne alternative al carcere. Una diversa impostazione del diritto e l'introduzione di automatismi sarebbero elementi propulsori di una società migliore, sicuramente più disposta a interrogarsi sulla genesi di alcune "devianze".
Bisogna lavorare alla costruzione di una società più tollerante, non solo abolizionista.
Occorre mettere un freno alla decimazione di giovani intrappolati nel consumo di stupefacenti. La liberalizzazione della droga consentirebbe il dimezzamento dei reati in breve tempo. Invece, malgrado non ci voglia chissà quale intelligenza per capire che non è certo con il proibizionismo che si risolve il problema droga, si continua a investire giganteschi capitali nella repressione, col risultato di amplificare sia il fenomeno droga sia altre forme di illegalità che il Sistema cataloga sotto nuove diciture.
Con gli anni di carcerazione che mi ritrovo sulle spalle avrei potuto dettagliare meglio l'attuarsi di certe dinamiche all'interno dei penitenziari, ma questo avrebbe significato entrare nel personale. Raccontarsi.
Mi è sembrato più opportuno, invece, soffermarmi sinteticamente su alcuni passaggi che personalmente ritengo importanti, passaggi che dovranno essere ulteriormente sviluppati e discussi per non scordarci di quella società verso la quale non dobbiamo mai smettere di tendere.
Per continuare a crederci.

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