PER UN ITINERARIO DI AUTOEDUCAZIONE DEMOCRATICA
ovvero: SEMINARI PER L’INTERVENTO IN PUBBLICO


Le premesse – Alcuni anni or sono vi è stata in Italia un’esperienza di libera università – dove ‘università’ riacquistava qui il senso etimologico originario, di luogo e comunità universale di studio e di passaggio delle conoscenze – che è poco conosciuta ma che varrebbe la pena in qualche modo di riprendere. Aveva il nome di LUMHi, Libera Università di Milano e del suo Hinterland «Franco Fortini», promossa da Sergio Bologna e animata da un gruppo di intellettuali di prestigio, solo una parte dei quali impegnati nel lavoro universitario. Tra le realizzazioni più visibili, LUMHi ha anche pubblicato alcuni volumi per una propria collana in associazione con manifestolibri: un’antologia di saggi sulla figura di Franco Fortini, un volume sul revisionismo storico, un terzo su nazismo e classe operaia. Tuttavia il tema forte, nucleo centrale di un intenso e importante lavoro interdisciplinare tra 1995 e ’97, è stato quello del “lavoro autonomo di seconda generazione”, che ha portato tra l’altro ad un’ulteriore importante pubblicazione .
Sebbene abbia sollevato questioni che rimangono cruciali, l’esperimento della LUMHi è stato in sostanza ignorato nel dibattito politico durante la stagione del governo del centrosinistra, e si è poi arenato soprattutto di fronte all’impossibilità di accedere a canali di finanziamento pubblici. Ha però avuto il merito, tra il disinteresse delle istituzioni accademiche e l’ostilità di quegli ambienti ancora organizzati dalla sinistra, di segnalare che un grande spazio culturale si è aperto: è lo spazio della ricerca “libera” nella scelta dei temi e dei metodi, capace di creare e trasmettere conoscenza attraverso modalità che siano, oltre che non autoritarie, esse stesse elementi di educazione alla democrazia e all’intervento nel dibattito intorno alla cosa pubblica, e che contengano (o partano da) una critica in profondità delle prassi con cui oggi circolano le informazioni e del loro impiego quali strumenti per l’organizzazione del “consenso forzato” piuttosto che di formazione del libero convincimento e della critica.

Il progetto L’iniziativa che qui si presenta si potrebbe anche chiamare “Seminario per l’intervento in pubblico”: non perché voglia orientare ad intervenire pubblicamente chi ancora non lo fa, ma perché si rivolge a coloro che già – in occasioni di movimento, o come rappresentanti sindacali o di o.n.g. o di gruppi locali ecc. – si sono trovati ad affrontare dibattiti, a confrontarsi con le autorità, a organizzare forme di protesta. Come si vedrà, non è un progetto privo di ambizioni, e dunque per essere avviato necessita di grandi energie, di mezzi finanziari e di supporto.
Ma, tra le tante ragioni che lo rendono urgente – a cominciare dalla constatazione di quali sono oggi i modelli di formazione delle classi dirigenti –, c’è soprattutto l’enorme vuoto di riflessione attorno ai fondamenti delle nostre società, in particolare quelli culturali con le loro implicazioni immediatamente materiali, economiche, di potere. Oggi, in Italia ma non solo, è il grave incrinarsi del sistema della rappresentatività democratica a dirci quanto siano matur i i tempi per raccogliere questa sfida, e per approntare un progetto “autoeducativo” anche (proprio) in assenza di sponsor politici o istituzionali.
Finalità – (Ri)prendere questa via significa innanzi tutto attrezzarsi per un lavoro culturale di lungo periodo e che abbia ricadute di movimento solo indirette, se e quando si presenteranno le occasioni e nelle forme ancora poco prevedibili in cui potranno presentarsi.

Nella fase di avvio l’enfasi andrebbe posta sulla formazione e sulla strumentazione intellettuale dei piccoli gruppi locali, quelli più motivati e già presenti sul campo, nella prospettiva non già di accrescere la dimensione del loro intervento pubblico (la militanza) quanto di qualificare il profilo personale degli attori come irreversibilmente democratico e culturalmente attrezzato, e lo stile di lavoro come inevitabilmente collettivo e di per sé “a rete”. In questo senso l’acquisizione e la pratica di strumenti e metodi è dunque già contenuto stesso del percorso culturale che qui si propone.
Il punto decisivo, tuttavia, sta nel riprendere l’analisi della crisi del modello produttivo fordista, e quindi la sostanza di un prezioso lavoro interdisciplinare compiuto negli anni novanta, tra il disinteresse delle istituzioni accademiche e l’ostilità di quegli ambienti ancora organizzati dalla sinistra. Bisogna cioè partire dalla consapevolezza che – in quanto basate proprio sul fordismo – le forme tradizionali del conflitto politico (partitiche e sindacali) sia della socialdemocrazia che del comunismo sono armi spuntate contro il neoliberismo, e che un ceto politico “di sinistra” che non trovi forme alternative finisce non solo per appiattirsi sulla globalizzazione a senso unico ma per divenirne il battistrada, del tutto incapace di difendere le nuove figure già presenti (nel mercato del lavoro, nel lavoro intellettuale, nella società ...) così come quelle tradizionali.
In questo senso bisogna avere l’ambizione di mettere in discussione non solo lo statuto del lavoro, ma lo stesso statuto dei saperi (delle singole discipline di cui si compone “il” sapere) e della trasmissione dei saperi. Bisogna insomma ritornare sempre a porsi e a rispondere a domande come: chi è il destinatario e fruitore della ricerca e della cultura? quali sono le leve su cui premere per far saltare il conservatorismo delle caste deputate a governare i saperi? perché e in che modo qualcuno di noi sente il privilegio e accetta il dovere di esprimersi pubblicamente?

I contenuti – Gli strumenti privilegiati per svolgere i primi passi di un itinerario di autoeducazione in grado di orientare e sostenere le pratiche dell’intervento politico sono innanzi tutto, propedeuticamente, quello storico e quello geografico. Storia intesa come coscienza storica, come percezione del tempo vissuto e comprensione di quello passato; storia come base fondamentale del sistema culturale della politica. Geografia come attualizzazione del discorso storico, e come tecnica di rappresentazione e rielaborazione organica dei problemi che riguardano l’organizzazione del territorio, cioè degli insediamenti, del popolamento, delle realtà regionali, dell’equilibrio ambientale ecc.
I contenuti su cui provare l’efficacia di un progetto di questo genere dovrebbero ruotare attorno a due grandi nessi tematici
- il rifiuto della guerra
- ambiente e sostenibilità
da articolare e declinare in ciascun ciclo seminariale in modo da individuare e fissare soprattutto le categorie generali di una critica economica e politica, e utilizzando prevalentemente un metodo storico.
In queste fasi costitutive si sono fatte numerose proposte di più specifici temi di approfondimento: dalle nuove forme del lavoro all’antiamericanismo; dalle prospettive dell’agricoltura europea alla critica della geopolitica; ed altri ancora che avrebbero potuto di per sé essere degni di approfondimenti specifici, concernenti l’economia, il diritto, la filosofia, la letteratura, la religione. Se nella scelta dei main themes si è pensato di accogliere lo spunto dell’attualità, non è solo per favorire aggregazione ma per ribadire come non vi sia in realtà urgenza di intervenire quanto di sviluppare e organizzare profondità di riflessione. Dunque, i temi accantonati ma in grado di stimolare dibattito e curiosità conoscitiva, torneranno utili come trama trasversale per il lavoro di gruppo.

I contenitori – La forma con cui sperimentare l’efficacia di questo itinerario didattico sui generis è quella dei “seminari locali”, cioè da rivolgere a realtà locali di microaggregazione, già esistenti.
Forma seminariale significa utilizzare in modo progressivo tanto la consueta “lezione” introduttiva e il ricorso all’intervento qualificato dell’esperto esterno, quanto contemporaneamente la produzione di approfondimenti “interni” (comprensivi della loro esposizione pubblica) e la critica di tutti i materiali, gli interventi, le sollecitazioni proposte.
Per queste caratteristiche, il lavoro seminariale non dovrebbe coinvolgere più di un trentina di persone per sessione, pre-selezionate non solo sulla base delle singole motivazioni e inclinazioni personali ma anche su un’attenta diversificazione delle esperienze di partenza, su una dis-omogeneità del gruppo: per formazione scolastica, per figure professionali, per provenienze sociali, per sesso. A correggere le tendenze “localistiche” potrebbero bastare la scelta di un tema generale, nonché forme – preferibilmente conclusive – di “esportazione” del seminario in altre realtà locali, o in situazioni “nazionali” dettate dal momento (assemblee, forum, convegni, manifestazioni ecc.), o di “seminario itinerante”.
Esiste già, inoltre, l’appoggio di una “rete di riferimento culturale”, una sorta di comitato scientifico di garanzia, composto da intellettuali ed esperti in qualche modo associabili all’iniziativa con cui interscambiare periodicamente sollecitazioni, risultati, proposte e anche verifiche e confronti interne all’itinerario seminariale. Ad esso dovrebbe riferirsi il comitato organizzatore dei seminari anche in fase preliminare

Lo schema organizzativo – Più in concreto, le fasi di formazione e di avvio del seminario dovrebbero essere le seguenti:
1. la “rete italiana” recepisce o sollecita le esigenze di autoaggiornamento di una situazione locale e attiva un’iniziativa seminariale, dimensionando l’impegno a seconda delle necessità, ma con cadenze ravvicinate. Ad esempio un ciclo di media durata dovrebbe contare su almeno 6 “riunioni” settimanali, per 6 settimane consecutive
2. il ciclo dovrebbe essere proposto con un contributo economico dei partecipanti in una misura semi-simbolica (25-30 €)
3. le sedi proposte dovrebbero essere in grado di offrire, oltre all’ambiente di riunione, anche il supporto logistico-organizzativo ai partecipanti, con un minimo di attrezzature a disposizione. Nella primissima fase possono essere individuate come sedi Lodi e Bologna
4. la pubblicità “ufficiale” all’iniziativa dovrebbe essere a carico della “rete italiana”, ma naturalmente saranno importanti anche i canali locali e personali mobilitabili, intendendo l’iniziativa come la più aperta possibile a scala nazionale o interregionale
5. orientativamente si dovrebbe formare un gruppo di 25-30 partecipanti, d’età media inferiore ai 30 anni, sulla base di quei criteri di disomogeneità a cui si è accennato sopra
6. al momento dell’”iscrizione” i partecipanti dovrebbero compilare un questionario mirato a stabilire il profilo individuale, la rispondenza ai criteri generali di selezione, le esperienze, le aspettative e la potenzialità di intervento di ciascuno nel lavoro seminariale. La discussione collettiva, ma attentamente guidata, del profilo del gruppo impegnerebbe la prima riunione di lavoro
7. tra la prima e la seconda riunione andrebbero attribuiti i compiti di primo approfondimento del tema: letture individuali, relazioni scritte, circolazione di materiale
8. la terza riunione andrebbe dedicata al colloquio/confronto con un “esperto” invitato (con compenso) a tenere una “lezione” di forma abbastanza convenzionale ma con ampia disponibilità di intervento e riattribuzione dei compiti di approfondimento
9. la quarta e la quinta riunione dovrebbero essere quelle della riflessione comune, p.es. effettuata con il metodo dell’”intervento pubblico” preparato da ciascuno (a rotazione) dei partecipanti, di fronte alla “platea” degli astanti: a questi dovrebbe essere attribuito il compito di una “verifica” (anch’essa guidata, p.es. sulla base di un questionario) della qualità dell’intervento
10. alla sesta riunione andrebbe il compito di ripercorrere i risultati, le questioni rimaste aperte, eventualmente il lavoro da compiere (perfezionando ed estendendo il metodo impiegato) verso altre realtà od occasioni di intervento pubblico. A questa riunione finale potrebbe essere invitato l’”esperto” già noto o un componente del comitato scientifico.

Il finanziamento – Nella forma ipotizzata, cioè calcolando a costo zero il lavoro logistico-organizzativo ciascun seminario può contare per le proprie necessità minime su un fondo spese di 600-900 €.
Valutando il compenso all’esperto invitato in 250 € per lezione (500 € per seminario), il restante potrebbe essere destinato alle spese di trasferimento e riproduzione del materiale.

Milano, 2 marzo 2003

LETTURE FINO QUI PROPOSTE:

Franco Fortini PROPOSTE PER UNA ORGANIZZAZIONE DELLA CULTURA MARXISTA ITALIANA da Ragionamenti 1956

«Fiat, sconfitta annunciata» Un manager deluso racconta

di Mario Rosso

IL GIOCO DEL MONDO uno scritto di Hannah Arendt del 1975 tradotto da un nostro amico

INTERVISTA A YANN MOULIER BOUTANG – 7 LUGLIO 2001

VACARME : L’art de la fugue
entretien avec Yann Moulier Boutang in francese

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