Guarire dalla guerra
«Vengono da un anno senza alcol e senza sesso Devono imparare a reinserirsi nella vita civile»
di Marino Smiderle
Al teatro della caserma Ederle c’è una signora tanto burbera quanto simpatica che sta tenendo una lezione a un centinaio di soldati appena tornati dall’Afghanistan. Si chiama Ann Campbell, è una civile («Ma sono cresciuta in una famiglia di militari») e sta parlando dei problemi legati all’abuso di alcol. Non lesina esempi drammatici, per far capire a questi giovanotti che non è il caso di esagerare con vino, birra e whisky.
«Era appena tornato dall’Iraq - racconta la Campbell - e dopo aver bevuto un pochino si era preso la moto, la sua vera passione. Poco dopo si è schiantato, perdendo la vita. Hanno suonato al campanello della madre, felicissima perché suo figlio era appena tornato, e le hanno dato la tragica notizia».
In sala ci sono molti soldati che rigirano tra le dita una pallina azzurra antistress. Il discorso fa effetto, perché cose del genere sono successe anche qui, a Vicenza. Pensiamo a quel giovane che ha perso la vita sotto a un treno, o ancora ai diversi episodi che hanno avuto come protagonisti negativi i reduci dall’Iraq o dall’Afghanistan. Lo zio Sam è molto più duro dei giudici italiani, ma nello stesso tempo ha deciso che bisogna investire molti soldi per prevenire questi spiacevoli episodi.
Con l’aiuto del col. Jerry O’Hara, ieri mattina è stato possibile verificare in cosa consiste questo programma di assistenza in vista del ritorno alla vita civile. Ormai sono rientrati tutti dall’Afghanistan, e tutti sono stati obbligati a seguire un particolare percorso di reintegrazione. Percorso che tocca tutti i temi sensibili, oltre che quelli burocratici e organizzativi. Sette giorni di decompressione, prima di essere lasciati liberi di riassaporare il gusto della vita normale. Già, la normalità, un ingrediente di cui ormai avevano perso le tracce.
«Vengono da un anno in cui sono abituati a vivere in stato di continua agitazione e allerta - spiega Campbell - e, nello stesso tempo, da un anno senza un goccio di alcol, senza sesso. È intuibile che il reingresso nella comunità vicentina non sia così semplice. Noi qui cerchiamo di spiegare che è giusto cercare di godersi la vita, ma con criterio. Alcol sì, ma con moderazione. Perché questi giovani tornano con un bel po’ di soldi a disposizione e vogliono subito darci dentro. Qui cerchiamo in tutti i modi di evitarlo».
Già, anche i soldi. Un soldato semplice guadagna, come paga base, circa 2.500 dollari. Mentre è in missione ne guadagna altri 1.500 a titolo di indennità speciale. Sono oltre duemila i "vicentini" che sono tornati dall’Afghanistan. «Per quanto strano possa sembrare - racconta Michael Gabel - il mio principale problema è stato quello di riadattarmi al cibo. Quello che vorrei fare adesso? Trovare una ragazza carina con cui stare».
«Io ho trovato i miei genitori, arrivati a Vicenza dal New Jersey apposta per il mio ritorno - rivela Brain Kennedy, 23 anni -. E la prima cosa che ho fatto da reduce è stata una cena festosa in famiglia. La mia principale preoccupazione, invece, riguarda i miei uomini: spero che si possano reinserire senza problemi».
Jolly Miller, vicentina con passaporto americano, è la responsabile del progetto di assistenza alle famiglie. «Diamo tutta l’assistenza possibile - dice - e chiunque incontri dei problemi può rivolgersi a noi. Questo programma di reinserimento sta dando buoni risultati e contiamo di fare sempre meglio».
La vita, in caserma, è tornata alla normalità. Il ritorno dei soldati ha dato colore a questa città nella città. I cartelli "welcome home", benvenuti a casa, non si contano. E dai piani alti dell’esercito americano arriva la notizia del prossimo cambio della guardia. Al posto del gen. Jason Kamiya, anch’egli fresco reduce dall’Afghanistan, arriverà il gen. Frank G. Helmick. Troverà una macchina che gira a meraviglia e che sta per installare... un motore più grosso. Arriveranno altri duemila soldati, la 173ª Brigata diventerà un combat team leggero, rapidamente impiegabile. Anche se tutti sperano che non ci sia più bisogno di altre missioni.
La caserma Ederle si è rifatta il trucco
Le due palazzine “a cinque stelle” sono made in Italy
(ma.sm.) Una caserma a cinque stelle. Le due ultime barracks, palazzine, costruite all’interno della Ederle danno l’idea di come gli americani trattino i propri soldati all’estero: con i guanti bianchi. Salvo poi mandarli in missione, per cause di forza maggiore, nelle zone più calde del pianeta.
Il col. O’Hara fa strada, apre la porta d’ingresso della palazzina, irrompe nella privacy di un soldato e fa scoprire la qualità del tutto. Per inciso, sono due le palazzine di questo tipo costruite all’interno della Ederle: qualità ai massimi grazie al lavoro eseguito dalle imprese locali che si sono aggiudicate la commessa (totale: 20 milioni di euro).
È solo l’aperitivo di quello che sarà l’allargamento vero e proprio del contingente americano a Vicenza, previsto per i prossimi mesi, quando dalla Germania arriveranno altre 2000 soldati, con relative famiglie. Per allora dovrà essere stato risolto il caso-Dal Molin: gli americani hanno ottenuto da tempo l’impegno del governo italiano a trasferire gli attuali reparti dell’aeronautica militare e lasciare l’aeroporto (con le relative strutture logistiche) ai militari Usa.
Dopo le elezioni si saprà se le promesse del governo potranno essere mantenute o se, invece, ci saranno dei cambiamenti di programma.
Nel mirino il depuratore di Montebello e la discarica di Zermeghedo
di Ivano Tolettini
Il depuratore di Montebello, verso il quale sono convogliati gli scarichi di 40 concerie e quelli civili dei comuni di Zermeghedo, Gambellara e del paese, non funzionerebbe secondo i parametri di legge. Sarebbe una sorta di bomba ambientale perché i reflui ancora inquinati sono scaricati verso Lonigo e da lì, tramite il canale Fratta-Gorzone, nel Veronese. Ma anche la discarica di Zermeghedo avrebbe grossi problemi di tenuta, tanto che i pozzetti spia sarebbero lavati sistematicamente prima dei controlli per non far trovare gli inquinanti.
Sono le premesse investigative, peraltro tutte da dimostrare con i riscontri di laboratorio, che ieri mattina alle 7.30 hanno fatto scattare il blitz, clamoroso per le conseguenze penali e civili che potrebbe avere, compiuto da una cinquantina di agenti della polstrada di Verona Sud e Vicenza, nonché dell’Arpav vicentina con i consulenti dello stesso ente di Milano.
A dirigere il traffico degli investigatori il procuratore capo Ivano Nelson Salvarani e il sostituto Angela Barbaglio, che hanno firmato una decina di perquisizioni. Da un anno stanno conducendo una delle più complesse e ramificate inchieste per la salvaguardia dell’ambiente condotte negli ultimi vent’anni nel Vicentino.
Le ispezioni per raccogliere le prove sono avvenute in contemporanea sull’asse Montebello, Zermeghedo e Arzignano nelle sedi della Medio Chiampo spa, negli uffici del depuratore e della discarica, oltre che alla Elidra in via Vigazzolo 116 a Montebello.
Sono sei gli avvisi di garanzia per la presunta violazione del decreto Ronchi consegnati dai poliziotti di Verona Sud diretti dal primo dirigente Michele Giocondi e dal commissario Antonio Di Ruzza. I primi tre hanno raggiunto il presidente della società Medio Chiampo, di cui sono proprietari al 50% i comuni di Montebello e Zermeghedo, Piergiorgio Rigon, il direttore generale Luigi Culpo e il manager tecnico Stefano Paccanaro.
La società pubblica è proprietaria della discarica di Zermeghedo e del depuratore di Montebello, i quali hanno una gestione separata. Al primo provvede la stessa Medio Chiampo con il responsabile tecnico Lanfranco Vitale (anch’egli indagato), mentre l’impianto di trattamento dei reflui è gestito dalla società Elidra, che è partecipata al 75% dalla Finavi, controllata dalla famiglia di Franco ed Eugenia Tarocco per il 33% e per il rimanente 67% dalla società di diritto straniero (con sede in un paradiso fiscale?) Hanska Limited. I coniugi Tarocco non sono indagati.
Non così l’amministratore unico di Finavi, Tiziana Piras, pure lei finita sotto inchiesta per la presunta violazione ambientale, così come il direttore tecnico Davide Zannato, mentre estraneo a fatti penalmente rilevanti risulterebbe il responsabile tecnico e socio di Elidra Giorgio Bronzi.
Da osservare che le informazioni di garanzia in questa fase, si pensi a quella inviata a Piergiorgio Rigon, hanno un valore di atto dovuto per consentire agli indagati di nominare propri consulenti da affiancare ai tecnici della procura. Toccherà al prosieguo dell’inchiesta valutare le singole, eventuali responsabilità, destinate magari ad allargarsi.
Gli investigatori si sono presentati in discarica e al depuratore con tre esperti del calibro dell’ing. Santo Cozzupoli, direttore del dipartimento Arpav di Milano, e dei suoi collaboratori Macellari e Ardemagni. Perquisizioni sono state svolte anche all’Assocogen di Arzignano da parte della polstrada di Vicenza coordinata dal vicequestore Antonio Macagnino e in alcune abitazioni degli indagati, che complessivamente sarebbero una decina.
I sospetti cardine che saranno rinforzati o demoliti dalle indagini di laboratorio riguardano il funzionamento di depuratore e discarica. Gli inquirenti hanno informazioni di prima mano molto riservate - qualche gola profonda? - che li portano a ritenere che entrambi gli impianti inquinano.
Il problema del depuratore sarebbe che è sotttodimensionato rispetto al carico quotidiano di 10 milioni di litri di fanghi da trattare. Essendo soprattutto scarti di conceria sono molto salati. Così per far rientrare nei parametri di legge i reflui all’uscita dell’impianto sarebbero diluiti con 10 milioni di litri acqua di sorgente, mentre la società Elidra sarebbe autorizzata a prelevare in falda soltanto per quantità più modeste per il raffreddamento degli impianti. Se così fosse le sostanze inquinanti anziché essere smaltite finirebbero, sebbene grandemente diluite, nel canale di collegamento che già a partire da Lonigo confluiscono in vari corsi d’acqua con ripercussioni ambientali. Questa potrebbe essere una delle risposte al fatto che in diverse zone, al confine tra il Vicentino e il Veronese, i parametri dei campioni prelevati in falda non sono buoni. Ma per ora è una tesi da convalidare.
L’altro aspetto preoccupante riguarda quello che c’è sotto la discarica di Zermeghedo. I pozzetti spia che devono monitorare l’infiltrazione del percolato dal deposito di rifiuti sarebbero puliti ogni volta che sono previste le analisi per non far rilevare il reale valore degli inquinanti. Per certi aspetti, se ciò fosse confermato, sarebbe il problema più grave sotto il profilo dell’inquinamento.
Per adesso resta il dato oggettivo che, almeno in questa fase, prevalgono i “se” delle ipotesi, possibili di smentita. Per farsi prova ci vorranno i riscontri di laboratorio. Soltanto allora si capirà se tra Zermeghedo e Montebello da anni risuonano inascoltati i ticchettii di una bomba ambientale ad orologeria oppure se la situazione è preoccupante, ma ugualmente sotto controllo.
Oggi conferenza tra amministratori ad Arzignano
Sindaci all’oscuro di tutto «È un atto gravissimo Sono saltati i controlli»
di Eugenio Marzotto
Ieri sera un incontro a Zermeghedo per fare il punto della situazione alla luce delle notizie raccolte in giornata. Stamattina alle 12, una conferenza dei sindaci dell’Aato in sede del Consorzio Acque del Chiampo, per ritornare sulla questione della depurazione e delle verifiche. Lunedì un consiglio comunale straordinario in municipio a Zermeghedo per informare forze politiche, economiche e popolazione su quello che è accaduto ieri dopo le verifiche degli inquirenti sulla discarica di Zermeghedo e il depuratore di Montebello.
Le amministrazioni comunali puntano sulla chiarezza per far fronte allo tsunami che potrebbe travolgere un intero sistema industriale.
Intanto il consiglio d’amministrazione di “Medio Chiampo” cerca di fare quadrato in attesa di sviluppi. Antonio Sterluti, vice presidente spiega che «i dati sugli agenti inquinanti finora pervenuti erano confortanti. Siamo allibiti da quanto appreso».
E sul rapporto tra controllori, (consiglio d’amministrazione) e controllati (staff tecnico di Medio Chiampo), Sterluti chiarisce: «Dei tecnici ci si fida così come ci si fida del meccanico quando si porta l’auto alla revisione».
Il presidente della spa, Piergiorgio Rigon si dice «esterefatto, dobbiamo attendere lo sviluppo delle indagini».
Indignati e sorpresi. Si sentono così i sindaci di Zermeghedo e Montebello, soci al 50% della “Medio Chiampo”, la spa che gestisce l’impianto di depurazione di Montebello e la discarica di Zermeghedo per conto dei due comuni, fornendo il servizio ad un distretto da 40 aziende conciarie.
E c’è chi come il sindaco Giuseppe Castaman è pronto a prendere provvedimenti legali «nel caso fossero accertate irregolarità. Perché qui la parte lesa siamo noi. I soci. Bisognerà capire fin da subito quanto hanno funzionato i meccanismi di controllo a tutti i livelli».
La preoccupazione è palpabile. Da Montebello il sindaco Fabio Cisco spiega di «essere in attesa di avere risposte ufficiali, ma va detto che la gestione della “Medio Chiampo” è privata, le amministrazioni comunali non sono al corrente del lavoro fatto all’interno degli impianti».
Il sindaco di Montebello, Fabio Cisco, ha appreso della notizia della perquisizione delle forze dell’ordine nella sede della spa a metà mattinata. «Quello che posso dire sulle questioni ambientali - prosegue Cisco - è che i parametri sono sempre stati entro i limiti di legge, secondo quanto riportato dall’Arpav».
Ed è proprio questo il punto. L’Arpav infatti monitora la situazione dell’acqua nella parte finale del collettore, la parte cioè che scarica ai confini con la provincia veronese, sul Rio Acquetta, e quindi all’esterno delle mura sia della discarica che del depuratore.
Quale sia la gestione interna degli impianti, sindaci e amministratori spiegano in sostanza di non saperlo. E non lo sa neppure l’Arpav. «Il nostro è un controllo di tipo amministrativo, che guarda ai bilanci», insiste il sindaco di Montebello.
È stato avvertito alle 9,30 di ieri mattina Giuseppe Castaman, sindaco di Zermeghedo, della perquisizione fatta dalla polizia e dall’Arpav nella discarica di fanghi da conceria. «Se fosse accertato quello che per ora sembra solo un’ipotesi - sarebbe un atto di gravità estrema. Le presunte irregolarità ci hanno tutti colto di sorpresa ma se qualcuno ha delle responsabilità dovrà pagare. Lo dico fin dall’inizio, in questa storia se sarà avvallata dai fatti, la parte lesa siamo noi, sindaci di Zermeghedo e Montebello»
«Mobilitazione generale» Comune e sindacati uniti sul futuro della Marzotto
(m. sc.) «Serve una mobilitazione che parta dal sindacato e dalla fabbrica, ma che si estenda a tutto il territorio della valle dell’Agno». Sono concordi, in questo, sindacato ed amministrazione comunale, che sul caso Marzotto sono pronti a dare battaglia. Fianco a fianco. Lo hanno affermato l’altra sera, in una sala Marzottini gremita, durante l’assemblea pubblica convocata dalla Cgil e alla quale ha partecipato anche il sindaco Alberto Neri.
«Se l’azienda non rivedrà il suo piano industriale, serve una mobilitazione generale - ha detto il primo cittadino -. È un impegno che la città deve assumersi verso i lavoratori e verso sè stessa: è in gioco il nostro futuro». Ha poi sottolineato la necessità di riutilizzare gli spazi vuoti della Fabbrica, sia dal punto di vista produttivo che formativo.
Dopo l’introduzione di Maurizio Ferron, rappresentante territoriale della Cgil Filtea, sono intervenuti il segretario provinciale Oscar Mancini e quello regionale dei tessili Claudio Zaccarin. Tutti concordi sostenere la «necessità di una mobilitazione, perché il territorio non può prescindere dalla Marzotto», sia per la «quantità di occupati» che per le sue caratteristiche di «grande azienda, capace di stimolare la ricerca e l’indotto».
Il piano aziendale, come noto, prevede la delocalizzazione di tintoria, mistificio e filatura. Una scelta che comporterebbe il taglio di 146 posti di lavoro. Secondo il sindacato, questo cozza con l’accordo siglato al Ministero e indebolisce lo stabilimento valdagnese perché “spezza” il ciclo delle lavorazioni. La dirigenza Marzotto ha ribadito nei giorni scorsi che non è in discussione «il ruolo strategico dello stabilimento Tessuti Marzotto di Valdagno, legato alla produzione di una collezione a forte contenuto di ricerca e innovazione». L’incontro tra le parti che era previsto per oggi è slittato a data da definire.