«Le cooperative non sono tutte uguali»
In alcune busta paga al minimo, flessibilità esasperata e formazione inesistente
di Silvia Maria Dubois
Le cooperative non sono tutte uguali. A lanciare l'avvertimento, assieme a qualche decisiva novità di settore, è Franca Porto, segretaria provinciale della Cisl, sindacato da sempre impegnato a sostenere e a favorire l'attività di cooperazione.
- Che rapporto lega il mondo della cooperazione vicentino alla Cisl?
«Fortissimo. Il mondo della cooperazione locale deve molto a noi e noi dobbiamo molto a questo mondo. In passato abbiamo svolto azioni in comune, sia per la costruzione stessa di cooperative, sia per quanto riguarda il lavoro verso una legislazione con normative che consentissero a queste realtà di operare al meglio. Il nostro è un sodalizio forte che prosegue ancora oggi. E poi sono tanti i "cislini" che si trovano impegnati come volontari nella cooperazione».
- Perché considerate così importante il settore delle cooperative sociali?
«Sostanzialmente per due motivi. Per i valori delle persone che vi operano e che scelgono di costruire luoghi in cui lavorando si occupano degli altri, dando un senso alla propria attività e rendendo un servizio alla comunità. E poi per l'attività stessa svolta dalle cooperative: spesso si occupano di persone di cui nessuno si occupa, né la struttura pubblica né il privato, perché si pensa che occuparsi di questi soggetti sia troppo costoso. Parliamo, ovviamente, di persone che hanno sbagliato e che rischiano di stare fuori dal sistema per sempre, o di persone con handicap fisici o psichici che, altrimenti, non potrebbero mai sperare di avere una vita sociale all'esterno della famiglia o di guadagnare qualcosa da vivere. La cooperativa sociale, dunque, è un bell'esempio di come si possa fare impresa combinando insieme diversi fattori umani (e cioè volontariato e lavoratori dipendenti) e diversi fattori di natura economica (soldi pubblici e soldi privati). Un buon mix di tutto questo migliora sicuramente la qualità della vita delle persone e fa risparmiare alla collettività».
- Non c'è proprio nessuna ombra in questo settore?
«Sì, purtroppo ce ne sono. Faccio fatica a considerare cooperative sociali quelle realtà con qualcosa come mille e settecento dipendenti, presenti su tutto il territorio, nate per acquisire appalti pubblici e che hanno una politica del personale dove la retribuzione è al minimo, la flessibilità è esasperata e la formazione adeguata quasi sempre inesistente. Questa modalità di fare cooperazione non mi piace. Scarica interamente sui lavoratori e sulle lavoratrici l'onere di ridurre i costi e, sinceramente, credo che in questo ci sia poco di sociale. In questi casi la costituzione di una cooperativa è solo un modo per sfuggire a taluni vincoli legislativi o fiscali inerenti al mondo economico e della produzione. Credo che alle "vere" cooperative sociali convenga, anche attraverso la contrattazione sindacale, rendere ben esplicita la differenza con queste altre realtà».
- Il lavoratore riesce a distinguere le due diverse tipologie di cooperazione?
«Purtroppo è difficile. Quando una persona ha bisogno di lavorare, il suo pensiero principale è quello di inserirsi al più presto nel mercato, guadagnare e combinare gli orari in base alle esigenze della famiglia. Con questi presupposti non c'è tempo per imparare a scegliere. Un esempio? Le cooperative di pulizia che operano negli ospedali cominciano alle 5 del mattino e hanno le giornate dagli orari nettamente spezzati: una madre, però, potrebbe accettarne i ritmi massacranti proprio perché lasciano il tempo di seguire i figli».
- Qual è l'ultima scommessa di settore?
«L'applicazione dell'art.14 della legge 30 che si sta sperimentando proprio qui in Veneto e fortemente voluta dalla Cisl. Riguarda le cooperative con disabili di ordine psichico e la loro possibilità, tramite accordi con le imprese, di inserimento nel mondo lavorativo. Questi soggetti imparano prima a relazionarsi fra loro e negli ambienti, sempre seguiti da un tutor, e poi, se ne sono in grado e se non ci sono traumi, dopo un periodo di stage vengono assunti dalle aziende private. In caso contrario hanno sempre la possibilità di rimanere in cooperativa».
- Recentemente i sindacati si sono ulteriormente attivati per "proteggere" la posizione del lavoratore della cooperativa. Di cosa si tratta?
«Il 17 settembre Cgil, Cisl e Uil hanno firmato un contratto regionale per le cooperative. Fra i punti principali si distinguono i 400 euro come elemento retributivo territoriale, i 40 euro al giorno di indennità per chi accompagna in soggiorni montani o balneari soggetti da assistere e il rimborso minimo di un quinto della benzina impiegata per l'assistenza. Non solo: a chiunque lavori in cooperativa vengono riconosciuti tutti i diritti sindacali e almeno cento ore di formazione pagate».
- E le istituzioni?
«Con la Provincia si sta discutendo appunto dell'art. 14 e della creazione di una commissione provinciale che controlli i passaggi concreti. Stiamo realizzando un buon esempio di collaborazione fra pubblico e privato, come vede».
- Qual è il punto di forza delle cooperative sociali vicentine?
«Nella nostra provincia ci sono almeno un centinaio di cooperative sociali che coinvolgono un migliaio di lavoratori. Sono da considerarsi a pieno titolo, ancora una volta, straordinari esempi del nostro modo di fare impresa, dove i vicentini hanno saputo dimostrare tutta la loro creatività e il loro impegno. Non solo: la cooperativa sociale sta diventando sempre più il luogo dove risiede l'opportunità migliore di accompagnamento al mondo del lavoro. Un'opportunità a cui hanno diritto tutti e che sta facendosi strada come modello vincente sia di sviluppo economico che di assistenza. Un modello che è emerso negli ultimi 15 anni, grazie soprattutto a tanti giovani che, ad un certo punto della loro vita, hanno deciso di realizzare i propri sogni, sperimentando un'organizzazione diversa da quelle che si vedevano attorno e non aspettando che il mondo cambiasse per loro».