Tre militari della Ederle denunciati dopo una rissa
Si erano imbufaliti dopo un’ingiuria al presidente George W. Bush
Padova. Avevano scambiato tre militari di colore della caserma Ederle di Vicenza per nigeriani e li avevano insultati. Poi, scoperto che si trattava di un gruppo di statunitensi se la sono presa con il presidente degli Stati Uniti George W. Bush, definendolo un “pezzo di...”. In realtà, non si sa se sotto i fumi dell’alcol o meno, avevano solo voglia di attaccar brighe. E così è stato. Rissa l’altra notte in un piazzale davanti ad una discoteca di Padova.
Tra magrebini e tre soldati americani sono stati denunciati, un militare è anche finito all’ospedale con una ferita alla fronte guaribile in otto giorni. Il parapiglia si è verificato l’altra notte e ha costretto tre pattuglie dei carabinieri e una squadra della polizia militare statunitense ad accorrere sul posto. Oltre alle denunce potrebbe anche scattare un provvedimento di chiusura nei confronti del locale pubblico: il questore, infatti, sta esaminando gli atti per verificare se vi siano delle responsabilità del gestore, sebbene la rissa sia scoppiata all'esterno del locale, dopo che i protagonisti erano stati invitati ad uscire dai dipendenti.
Tutto comincia verso le 3.45. I tre militari statunitensi di colore (due di 23 e uno di 22 anni) sono in compagnia di tre ragazze padovane (due di 22 anni e una di 16) all’interno del “Mitiko”. Il gruppetto decide di uscire per fumare. Ma prima di guadagnare l’uscita incrociano i tre nordafricani (due di 21 e uno di 27 anni) che vedendo i militari li apostrofano con un: “Sporchi africani”. I tre spiegano di essere americani e la risposta e immediata: “Bush è un pezzo di...”. A questo punto gli animi di surriscaldano. I gestori invitano i sei ad uscire poi chiamano i carabinieri. Che al loro arrivo trovano i giovani che si stanno spintonando. E scattano le denunce. Un militare viene trasportato al pronto soccorso, poi i tre nordamericani vengono presi in consegna dalla polizia militare statunitense. I tre magrebini, invece, vengono denunciati a piede libero.
Cantiere-teatro, continua il presidio però in Consiglio non se ne discute
La maggioranza fa mancare il numero legale
(c. r.) Ieri la Cgil ha distribuito 150 euro ad ogni lavoratore licenziato in attesa che l’amministratore delegato della Cogi, l’impresa fiorentina che ha vinto l’appalto per la costruzione del teatro in viale Mazzini, decida quando e come retribuire i lavoratori che ha licenziato una decina di giorni fa perché avevano manifestato in consiglio comunale in seguito alla mancata retribuzione che ancora attendono. Dopo il ricorso dei sindacati, il giudice del lavoro Luigi Perina ha fissato l’udienza che si terrà mercoledì prossimo; nel frattempo in un comunicato la Cgil sottolinea che « l’arroganza di Coccimiglio non ha limiti e continua a non volersi assumere le proprie responsabilità. Al suo tentativo di scaricare sui lavoratori il peso del blocco dei lavori del cantiere, rispondiamo con la richiesta della riassunzione immediata dei lavoratori licenziati, il pagamento delle spettanze a tutti i lavoratori (licenziati e non); la ripresa immediata del lavoro ».
« L’altra sera insieme ai lavoratori del cantiere, siamo stati nuovamente in Consiglio - ribadiscono Andriollo e Toniolo - e abbiamo dovuto rilevare per l’ennesima volta l’insensibilità dell’Amministrazione e della maggioranza che la s ostiene rispetto alla sempre più pesante situazione che stanno subendo i lavoratori della Cogi. Non solo non hanno deciso di discutere subito di questo argomento, ma al momento in cui, seguendo l’ordine dei lavori, era giunta alla discussione un’interrogazione sul teatro, larga parte della maggioranza ha abbandonato l’aula, facendo mancare il numero legale. Chiediamo a costoro di rispondere ai lavoratori e alla città, che ancora una volta si dimostra migliore di coloro che la governano, con grandi e piccoli segni di appoggio solidale alla lotta dei lavoratori ».
Infine la Cgil fa sapere di avere dato disposizione ai legali « vista la mancata risposta ad una lettera precedentemente inviata ». I legali, infatti, hanno predisposto una richiesta formale da inviare al responsabile del procedimento e al sindaco, affinché vengano tempestivamente esercitati i poteri che permettono al primo cittadino di erogare direttamente i salari arretrati.
Dall’Unione degli studenti volantinaggio pro operai
(an. ma.) Si sono muniti di volantini e hanno deciso di esprimere la loro solidarietà agli operai della Cogi, l’impresa edile impegnata nella costruzione del teatro in viale Mazzini, da qualche settimana nell’occhio del ciclone per inadempienze nei confronti dei dipendenti. Così ieri pomeriggio una rappresentanza di studenti dell’Uds si è data appuntamento al cantiere per distribuire i volantini ai lavoratori e ribadire, come recita il comunicato firmato da Taddeo Mauro coordinatore dell’Uds, che «la situazione verificatasi nell’ultimo mese è vergognosa. Siamo convinti, come afferma la Costituzione, che lo sciopero e il salario siano diritti inviolabili. Purtroppo ci siamo resi conto che non sempre è così. Assistiamo infatti ad uno spettacolo indegno, oltre che ad una logica repressiva, vale a dire il licenziamento di lavoratori che protestano perché non vengono pagati». L’Unione degli Studenti, prosegue la nota, «si sta inoltre impegnando per sensibilizzare sulla questione teatro tutto il mondo studentesco, anche attraverso un volantinaggio che verrà organizzato nelle singole scuole, a difesa dello sciopero come diritto inviolabile».
«Coca per finanziare la lotta»
L’ipotesi della procura: i proventi dello spaccio per acquistare armi
di Diego Neri
Cedere cocaina per acquistare armi. Non direttamente, ma spedendo i guadagni dello smercio ai terroristi impegnati nella lotta del gruppo salafita in Tunisia. È questa l’ipotesi degli inquirenti che hanno unificato due indagini, la prima contro lo spaccio, la seconda per snidare i collegamenti di alcuni magrebini residenti nel Vicentino col mondo sovversivo islamico. Un’ipotesi inquietante, che ha portato finora ad 11 perquisizioni.
I carabinieri del reparto operativo di Vicenza col tenente colonnello Fabrizio Clementi da tempo lavoravano per sgominare una banda specializzata nello spaccio di “neve”. L’operazione “Velvet underground” era stata avviata dagli investigatori del tenente Graziano Ghinelli e del luogotenente Marco Ferrante nel maggio dell’anno scorso. I militari avevano scoperto un sospetto via vai di giovani da un negozio di abbigliamento di contrà Riale; avevano atteso al varco il titolare ed un paio di amici che erano stati arrestati all’uscita dal casello di Vicenza est con della droga in macchina. L’ipotesi era che il terzetto smerciasse a giovani residenti in centro città.
Dai tre vicentini i carabinieri avevano individuato i loro fornitori, e quindi avevano seguito varie piste che avevano portato ad ammanettare altre 13 persone, fra cui nove tunisini, due algerini e una vicentina. L’inchiesta aveva portato a sequestrare, fra maggio e settembre, alcune decine di grammi di cocaina destinata ai consumatori del Vicentino.
L’indagine, coordinata dal pm Monica Mazza, pareva essersi esaurita. In realtà i detective avevano scoperto, grazie ad appostamenti e soprattutto intercettazioni telefoniche, che alcuni dei tunisini che erano sospettati di portare la cocaina in Veneto avevano contatti con il mondo terroristico legato ad Al Qaeda. Per questo il fascicolo era passato nelle mani del pm Luca Marini della procura distrettuale antimafia di Venezia, che ha ordinato le perquisizioni compiute dal reparto operativo e dai Ros di Padova fra la sera di mercoledì e l’alba di giovedì. I militari - in una delle operazioni più ampie in tutto il Veneto - hanno fatto irruzione in 11 locali di Vicenza, Schio, Malo, Piovene, Marano e Bassano. È stata visitata la moschea di Schio, blitz anche in due kebab della città, in viale S. Lazzaro e in via Legione Antonini. Nella disponibilità di dieci tunisini sono stati sequestrati volumi, documenti e altro materiale religioso. Tutta merce che adesso è al vaglio degli inquirenti che dovranno tradurre quanto scritto e verificare se vi siano riferimenti al gruppo salafita tunisino.
Da parte loro, gli indagati si difendono assicurando di non capire i motivi delle perquisizioni. «Siamo tranquilli», assicurano.
Ma le indagini dei carabinieri sono circostanziate. Non tutti i tunisini perquisiti sarebbero coinvolti nel giro di cocaina che veniva fatta arrivare dal Nord Africa per essere venduta soprattutto a Padova, nella zona di via Anelli. Un mercato comunque in grado di garantire guadagni molto ingenti, poiché la richiesta di “neve” in Veneto è molto elevata, in particolare da chi frequenta i locali notturni.
Gli inquirenti vogliono verificare dove finissero i proventi dello smercio. Gran parte dei sospettati, peraltro, dopo i sedici arresti del 2004 avevano dato una brusca frenata alla loro attività illecita, per evitare il rischio di essere ammanettati. C’è da chiarire il ruolo di ciascuno sia nell’ambito dello spaccio di stupefacente, sia soprattutto il rapporto con i salafiti di cui sarebbero fiancheggiatori. Quello che è certo è che nè la moschea, nè i kebab, siano stati al centro del passaggio di stupefacente.
Con i soldi della cocaina i terroristi avrebbero acquistato armi e materiale esplosivo da utilizzare per gli attentati in terra mediorientale ma anche per organizzare la lotta armata in Occidente. È possibile che la guerra santa degli islamici sia stata finanziata dai figli di papà che hanno deciso di sniffare per rendere più movimentato il sabato sera? Gli inquirenti ne sono convinti, anche se attendono il passaggio fondamentale dello studio del materiale sequestrato.
«I carabinieri controllino pure ma noi ormai siamo scledensi»
Fouad, scrittore e mediatore culturale per il Comune di Schio «Sappiamo che i Cc fanno il loro lavoro, ma questa comunità vive serenamente»
di Paolo Rolli
Schio . «Noi siamo oramai scledensi, e siamo i primi a volere che qui non accada mai nulla di brutto, anche perché se dovesse succedere, rischieremmo di restarne coinvolti anche noi, le nostre famiglie, i nostri figli».
Chaki Fouad è marocchino, vive a Schio da 15 anni, ed affianca al suo lavoro di responsabile commerciale di un’azienda l’impegno come mediatore culturale per il Comune. È anche uno scrittore che ha vinto premi letterari, una persona di cultura che affronta con equilibrio il tema dell’integrazione. Anche lui frequenta la moschea di via Venezia, quella che l’altra mattina all’alba è stata perquisita dai carabinieri, e che ieri, in occasione della preghiera del venerdì, era affollata da una quarantina di fedeli.
«Non sapevo nulla di quel che era accaduto - spiega - e sono stati i miei amici a raccontarmelo, così come ha fatto l’imam al termine della preghiera rivolgendosi a quanti erano intervenuti. Qui, comunque, siamo tutti gente tranquilla, e sono sicuro che i carabinieri non avranno trovato nulla di particolare. Del resto, anche a noi fa piacere che i carabinieri facciano il loro lavoro: noi oramai siamo perfettamente integrati e vogliamo vivere tranquillamente».
Non tutti gli immigrati di religione islamica, però, hanno preso allo stesso modo l’operazione che i carabinieri hanno effettuato la scorsa notte, perquisendo nell’Altovicentino una decina di abitazioni e la moschea di via Venezia. «Tutti pensano che Islam e terrorismo siano la stessa cosa, ma non è così - affermano bruscamente due nordafricani interpellati in centro città, prima di allontanarsi stizziti - non è vero che tutti i musulmani sono terroristi, sarebbe come dire che tutti gli italiani sono mafiosi, ma non è così».
«In generale, comunque, non ho sentito commenti particolari riguardo alla perquisizione dei carabinieri - spiega ancora con pacatezza Chaki Fouad - tutti noi sappiamo che fanno il loro lavoro, ed è giusto così, perché non abbiamo di che preoccuparci. Certo, soprattutto dopo l’11 settembre, il rischio che la gente semplifichi le cose affermando che musulmani è uguale a terroristi esiste, ma serve fare tutto il possibile perché ciò non accada. Capire le cose richiede impegno, ma speriamo che presto o tardi tutti capiscano. A Schio si sta bene, la comunità islamica continua a vivere serenamente e tranquillamente, e quel che è accaduto l’altro giorno non ci preoccupa, perché siamo sicuri che tutto si risolverà nel migliore dei modi».