28 OTTOBRE 2005

dal Giornale di Vicenza

Fusinieri, è caos da orari
Rauti al ristorante ricorda il 28 ottobre
«Ha violentato l’amica ballerina» Arrestato impiegato della Ederle
SCHIO.Lanerossi, la fine morbida

Da due giorni studenti in autogestione contro la decisione di terminare le lezioni alle 13.45
Fusinieri, è caos da orari
«È troppo tardi». Il preside: «Farò un sondaggio»

di Anna Madron

Aria di protesta dalle parti del Fusinieri. Ieri mattina, per il secondo giorno consecutivo, gli studenti hanno deciso di “autogestirsi”, disertando le lezioni e radunandosi tra il cortile e la palestra dove sono stati organizzati dibattiti, proiezioni di film e un’assemblea per discutere dell’orario scolastico, argomento spinoso che da settimane divide e alimenta polemiche. Motivo? Alcune modifiche apportate dal preside dell’istituto, Lorenzo Gaggino, in base alle quali la prima campanella suona alle 8.10 e l’ultima alle 13.45, quest’ultima dieci minuti più tardi rispetto allo scorso anno, quando le lezioni cominciavano alle 8.15 e terminavano alle 13.35. Dieci minuti che però, a detta dei ragazzi, fanno la differenza, dato che «molti - spiega Piero Vianello, candidato alla rappresentanza di istituto - arrivano a casa tardissimo. Alcuni, soprattutto chi è costretto a viaggiare in treno sobbarcandosi decine di chilometri, addirittura alle 18». Quando le ore di lezione sono passate da 50 a 55 minuti «come nella maggior parte delle scuole - precisa Gaggino - e in linea con l’attuale normativa» e la durata della ricreazione è stata accorciata da 20 a 15 minuti, per l’esattezza dieci minuti al termine delle prime due ore di lezione e altri cinque dopo le seconde due. Tutto questo ha inevitabilmente prodotto un allungamento del tempo scuola che si protrae fino alle 13.45. «Orario impossibile - prosegue Vianello -: il 50 per cento degli studenti del Fusinieri proviene infatti da fuori città e per alcuni il disagio è enorme. Chi per esempio prendeva il treno che parte dalla stazione alle 13.42, ora lo perde regolarmente e quello successivo passa esattamente un’ora dopo». Insomma orari e trasporti fanno a pugni e rischiano di diventare una spina nel fianco non solo degli studenti, ma anche dei presidi, alle prese da un lato con la normativa da rispettare, dall’altro con le legittime lamentele di centinaia di ragazzi. Vie d’uscita? Nell’assemblea di ieri mattina si è discusso a lungo, cercando di trovare una soluzione che metta gli animi in pace e soprattutto consenta agli alunni di rincasare ad un orario accettabile. «Avvierò subito un’indagine tra gli studenti e le loro famiglie - spiega Gaggino - per verificare le loro preferenze in materia di orari. Dopodichè valuteremo il da farsi e non è escluso che si possa anticipare l’orario di ingresso a scuola, iniziando le lezioni alle 7.45, passando cioè dalla seconda alla prima fascia che probabilmente è anche la più servita dal punto di vista dei trasporti». Favorevole la maggior parte dei docenti interpellati, mentre ad arricciare il naso saranno Aim e Ftv, oltre all’assessore alla mobilità Cicero che aveva tentato di far entrare il 50 per cento degli istituti in prima fascia e l’altro 50 per cento in seconda, percentuali che in realtà non sono mai state rispettate, dal momento che le scuole che fanno suonare la campanella dopo le 8 sono solo due, Quadri e Fusinieri. Ognuno, anche in virtù dell’autonomia, fa insomma ciò che gli pare. E le contraddizioni non mancano. Al Piovene, l’altro istituto tecnico commerciale della città, dislocato a duecento metri dal Fusinieri, la campana suona alle 7.45. In un clima di deregulation, «non saranno i 600 alunni del Fusinieri a scombinare i piani», conclude Gaggino che fa notare come in materia di calendario alla fine un accordo tra dirigenti sia invece stato raggiunto, con il risultato che le date di avvio dell’anno scolastico, così come quelle di ponti e festività varie, coincidano nella maggior parte delle scuole. Resta il tormentone degli orari e dei trasporti, binomio impossibile che al Fusinieri ha fatto esplodere l’autogestione, e le proteste di chi non accetta di tornare a casa a metà pomeriggio. E magari doversi anche preparare per un compito il giorno dopo.


La marcia su Roma celebrata da “Zemin”
Rauti al ristorante ricorda il 28 ottobre

Il 28 ottobre è data che fa battere i cuori a destra: 83 anni fa la marcia su Roma portava al potere Benito Mussolini e avviava il ventennio di dittatura che si sarebbe concluso nella guerra mondiale. Movimenti, partiti e partitini di discendenza post-fascista non mancano la chiamata dei militanti. Ognun per sè. L’appuntamento-clou è come tradizione a tavola, al ristorante Zemin di Monteviale, organizzato da "camerati e amici" all’insegna del fascio modello 1922 e della commemorazione del duce che «vive ancora nel cuore di ogni italiano» della sua parte politica. Davanti a un tris di risotto con zucca, pasticcio alla boscaiola e caserecci col radicchio, e aspettando il bis di arista ai funghi e scaloppina alle erbette, la serata «cameratesca e virile» in contrapposizione ai «deliranti e antistorici valori marxisti» avrà ospite d’onore Pino Rauti, presidente del Mis, ultima ala frazionista della destra non raccoltasi nella federazione di Alessandra Mussolini. Cena in camicia nera anche a Malo, organizzata proprio dai mussoliniani di Azione sociale (facente parte di Alternativa sociale) che sempre «cameratescamente» si convocano per ricordare «ciò che i nostri padri hanno sostenuto con l’epopea degli uomini di Mussolini». Dell’avvento della dittatura fascista non fa cenno - nella data fatidica - Alleanza nazionale. Ma una casualità datata venerdì 28 ottobre ha fatto programmare proprio per oggi la presentazione di future iniziative di Azione giovani, il movimento degli juniores del partito. «In un momento delicato come questo, ove è sempre più evidente l’aspetto intransigente, antidemocratico e prepotente della coalizione di centrosinistra - sostiene una nota che replica alle accuse da sinistra contro la nuova legge elettorale e la devolution in via di approvazione dal Parlamento, oltre che alle iniziative dell’opposzione in materia di scuola a cultura - An e Azione giovani sentono più che mai forte il dovere di prendere una posizione decisa a sostegno delle istituzioni e dei valori fondanti la nostra società». Per sostenere questi valori (istruzione libera, identità del popolo-nazione, tutela della famiglia) Azione giovani allestirà gazebi per volnatinaggio e organizzerà in dicembre un convegno a Vicenza.


I carabinieri della Setaf hanno accompagnato in cella l’americano accusato di stupro
«Ha violentato l’amica ballerina» Arrestato impiegato della Ederle
Dopo essere stato interrogato, ieri pomeriggio ha ottenuto i domiciliari

di Ivano Tolettini

La notte brava con una ballerina slovacca, finita con una torcida violenta a luci rosse a casa di lei, gli ha spalancato le porte del carcere. Ha voglia l’impiegato statunitense Cristopher Johnson a protestarsi innocente e vittima della vendetta di una bella ragazza dell’Est che «dopo esserci stata», l’ha denunciato di essere stata stuprata. Per adesso gli inquirenti non gli credono. L’americano è stato fermato l’altro giorno dai carabinieri della Setaf che l’hanno accompagnato al San Pio X, da dove è uscito ieri per l’interrogatorio di garanzia. Si proclama innocente e pur essendosi avvalso della facoltà di non rispondere, il gip Benatti, accogliendo la richiesta del suo avvocato Antonio Marchesini, gli ha concesso gli arresti domiciliari nella sua abitazione di via Dal Molin. La turbolenta notte va in onda il 5 ottobre. Cristopher Johnson, 22 anni, con un connazionale si reca in una discoteca dove conosce una seducente e comunicativa slovacca. Tra l’americano e Vera, nome di fantasia, di 23 anni scocca la scintilla della simpatia reciproca e cominciano a parlare. Lui le racconta dell’America e dei suoi progetti, lei l’ascolta e immagina. Al terzetto si unisce anche un’amica e la serata si conclude a casa della ballerina a Torri di Quartesolo, dove i quattro bevono qualcosa e chiacchierano ancora. Sono quattro ragazzi più o meno della stessa età. Anche per questo Vera si fida, come racconta quando le verrà chiesto perché ha accettato di portarsi uno sconosciuto a casa. Il patatrac accade quando è ormai tardi. Le ore sono piccole e i programmi a questo punto divergono. L’amica di Vera e il conoscente di Johnson tolgono il disturbo, mentre i due rimangono ancora qualche momento assieme a chiacchierare. A questo punto, denuncia la giovane ai carabinieri, «io gli ho detto che ero stanca e che andavo a dormire». I due ragazzi disegnano un affresco dello squallido epilogo con circostanze e fatti opposti. A chi legge gli atti sembra di assistere a due cortometraggi agli antipodi. Del resto, è sempre così. L’una accusa, l’altro si difende e replica. Ma lei è ferma nel ribadire che gli aveva fatto capire che era meglio che togliesse il disturbo. «Ascolto un cd, quindi torno a casa», sarebbe stata la scusa del ragazzo per rimanere. Invece, dopo averla «immobilizzata e minacciata di morte» le sarebbe saltato addosso, con tutto quello che è seguito. La violenza è stata ripetuta. Fin qui la denuncia di quello che si sarebbe trasformato in uno stupro. «Non è vero, lei era consenziente, non è stato un amore estorto», si è difeso l’impiegato quando è stato ascoltato dai carabinieri del maggiore Spolaore. Questa versione, però, sarebbe smentita da una serie di elementi che sono stati delineati in questi giorni dagli investigatori. Sono state raccolte le testimonianze delle persone coinvolte, a cominciare dall’amica della ballerina. Ha riferito che Vera le ha telefonato all’alba in lacrime dicendo che quel ragazzo americano aveva abusato di lei. Quindi si è rivolta ai carabinieri, che nell’arco di un paio di settimane hanno sistemato tutti i tasselli della ipotetica violenza e hanno fatto scattare le manette. Ieri Johnson è tornato a casa, sebbene agli arresti domestici, dopo ventiquattr’ore trascorse in prigione.


L’azienda ha ipotizzato il reimpiego di alcuni lavoratori in esubero a Valdagno
Lanerossi, la fine morbida
Due anni di cassa integrazione e ricollocazioni

di Marco Scorzato

La nave Lanerossi è ormai affondata, non resta che mettere in salvo l’equipaggio. È in quest’ottica che ieri, a palazzo Bonin Longare a Vicenza, azienda e sindacati si sono incontrati per l’ennesimo vertice-fiume. Se da un lato la dirigenza ha ribadito che il sito produttivo scledense è da considerarsi chiuso, dall’altra è spuntata l’ipotesi di ricollocazione per alcuni lavoratori in mobilità. Riguarderebbe solo poche unità dei 125 esuberi, ma è pur sempre uno spiraglio che fin qui non s’era visto. L’azienda ha raccolto inoltre la richiesta sindacale di due anni di cassa integrazione speciale. Dieci giorni fa, era questa l’ipotesi avanzata al tavolo del viceministro Sacconi. Ora è ormai una certezza. Per questi motivi, «si è fatto un passo avanti», dicono i sindacati. All’incontro di ieri erano presenti come al solito i segretari nazionali di settore, Teresa Bellanova della Cgil, Sergio Spiller della Cisl, e Pasquale Rossetti della Uil, oltre ai rispettivi delegati territoriali Renato Omenetto, Mario Siviero e Antonio Visonà. Al loro fianco le Rsu di Schio e Valdagno, dall’altra parte Stefano Sassi e Massimo Lolli, in rappresentanza della Marzotto. «È importante che l’azienda abbia ipotizzato per la prima volta la ricollocazione di alcuni dipendenti all’interno di altri stabilimenti del gruppo - afferma Omenetto -, Valdagno è la prima opzione». Quanti saranno? «Qualche unità - spiega Siviero - ma non è stato precisato. Potrebbero anche trovare impiego a Maglio, anche se ora quello stabilimento non fa più parte del gruppo Marzotto, ma è pur sempre guidato dallo stesso gruppo dirigente». La vera boccata d’ossigeno che riguarda tutti i lavoratori in mobilità è la cassa integrazione speciale per due anni. Il secondo anno è vincolato al rispetto di un piano di formazione e ricollocazione delle maestranze durante i primi dodici mesi. L’altra importante novità è la bozza di piano industriale che per la prima volta l’azienda ha messo sul tavolo dopo la richiesta dei sindacati. Di numeri veri e propri - dicono i sindacati - non ce ne sono, ma sono stati delineati i possibili investimenti. Così, al centro delle trattative è finita la questione occupazionale a Valdagno. L’azienda ha ribadito che intende puntare su quel sito. Ma di garanzie messe nero su bianco ancora nessuna. «Chiediamo che non si proceda ad aperture di mobilità - spiegano Omenetto e Mario Siviero - ma l’azienda non intende “legarsi le mani” in tal senso». Le eventuali ristrutturazioni in riva all’Agno dipenderanno dall’andamento dei mercati nei prossimi mesi. «Senza garanzie non siamo tranquilli dal punto di vista dell’occupazione - conclude Omenetto -. Resta positiva la discussione sul piano industriale e sugli ammortizzatori sociali per quanto concerne Schio. Sulle queste basi si possono costruire accordi dignitosi». Il 10 novembre le parti si incontreranno un’altra volta. Poi, entro fine mese, ci sarà il passaggio al ministero per formalizzare il secondo anno di cassa integrazione