27 OTTOBRE 2006

Sì alla base Usa: finisce 21 a 17
Ai “Cantieri” uno sportello legale per stranieri
SCHIO.Contro i nomadi ecco le trincee

Consiglio comunale dei record: il più “internazionale” e il più blindato della storia La maggioranza di Hüllweck vince la partita in sala Bernarda 2-0: bocciato il voto sul referendum
Sì alla base Usa: finisce 21 a 17

di Antonio Trentin

21 a 17. Più due consigliere che si astengono. Più un assente da calcolare per chiudere il conto dei 41. In sala Bernarda è finita come doveva finire, senza sorprese. Risicata ma compatta, la maggioranza di centrodestra ha votato il suo “via libera” alla super-caserma Usa al Dal Molin e ha ributtato nella metà campo romano la palla della decisione finale. Un assist impagabile e imperdonabile, secondo chi non vuole la base Usa a Vicenza. Un’astuzia che rovinerà i sonni al centrosinistra vicentino, secondo lo schema sussurrato tra stanze e corridoi della Casa delle libertà, dove i più hanno oltretutto votato ben convinti sulla sostanza filo-americana del Sì.
Okay agitato mai in dubbio
Si è trattato di un okay agitato nelle forme per arrivarci, ma politicamente assestato nelle convinzioni di quella “metà consiglio più uno” che è sbucata tal quale era già settimane e settimane fa. La coalizione l’ha dato perdendo per strada i pezzi previsti - le quattro consigliere che sono da mesi tanto o parecchio critiche, Bettenzoli e Equizi, Dal Zotto e Garbin, due No e due astensioni - ma confermando la tenuta delle quattro sigle FI-An-Lega-Udc. L’ha dato con tanti “se” (quelli legati alle condizioni chieste a Roma) e però scavalcando il doppio “ma” tornato ad aleggiare negli interventi dell’opposizione: «Ma se fra qualche anno gli Usa chiederanno anche le piste dell’aeroporto? Ma se né loro né il governo italiano pagheranno tutto quello che Vicenza richiede?». L’ha dato - questo okay al raddoppio della Ederle con una nuova cittadella a Stelle & Strisce in viale Sant’Antonino - affidandosi a due cose: le rassicurazioni dei generali statunitensi e del capo di gabinetto del ministero della Difesa sull’intangibilità dell’aeroporto civile; e le sensazioni riportate a Vicenza dal sindaco Enrico Hùllweck, dopo l’incontro nella capitale con Arturo Parisi. Soprattutto l’ha dato proteggendosi dietro lo scudo su cui sta scritto: «Noi diamo solo un parere, a decidere sarà il governo, che comunque dirà Sì per rispettare gli obblighi di alleato e le convenienze nei rapporti con gli Stati Uniti».
Referendum bocciato
Incastrato da questo ragionamento - che le prudenze romane di Parisi non hanno mai smentito - oltre che dai numeri perdenti in sala Bernarda, il centrosinistra (dove mancava per malattia Vincenzo Riboni) ha tentato di spostare in avanti la resa dei conti: «Serve un referendum, solo così il parere di Vicenza sarà completo su un tema che non è mai stato scritto nei programmi elettorali di nessuno». Una linea condivisa dalle consigliere dissenzienti. Il centrodestra - che teme l’esito del voto popolare e l’ha detto chiaro nelle scorse settimane proprio con Hùllweck – ha avuto tre reazioni. Prima ha temuto se stesso e un eventuale sbandamento, formulando sotterranee ipotesi di mandare tutti a casa appena approvato il documento pro-Sì messo a punto dal sindaco con i leader dei partiti. Poi ha tentato di schivare lo scontro per via burocratica e procedurale, facendo annullare dal presidente consiliare Sante Sarracco – in applicazione di una strategia studiata con il segretario generale Angelo Macchia – il documento con cui era richiesta la consultazione della città. Alla fine si è rassegnato a discutere, dopo una clamorosa frana al momento di dare ragione a Sarracco e a Macchia. Ma la discussione e il voto ottenuti dall’Unione sono serviti solo per far decidere al centrodestra – con il ricompattamento della coalizione - che il referendum non si deve fare. A notte fondissima, mentre i microfoni ancora scottavano, il risultato era: due a zero per Hùllweck & C. e partita in consiglio chiusa.
Il consiglio dei record
Il “via libera” politico alla base americana è arrivato in una serata di record per il consiglio comunale. L’unico nella storia cittadina convocato apposta per discutere esclusivamente di un ordine del giorno di portata internazionale. Il più blindato con trecento in divisa a separare i fronti e a impedire l’accesso a Palazzo. Il primo a svolgersi con un pubblico a invito per questioni di ordine e sicurezza: metà spazio ai dipendenti della Setaf preoccupati dei posti di lavoro e al loro Comitato del Sì, che in Corso aveva un paio di centinaia di manifestanti; l’altra metà ai Comitati del No che hanno disertato le loro venti sedie lasciandoci sopra il cartello «Non siamo qui perché la città vera è fuori». Il consiglio più contestato, infine, a colpi di decibel spediti al piano nobile della loggia del Capitaniato da un migliaio scarso di oppositori che hanno colorato la piazza dei Signori con le tinte dei gruppi antagonisti e con le bandiere della Cgil (che non ha iscritti tra il personale della Ederle) e, più rare, dei partiti dell’Unione. Gli ingredienti del menù consiliare sono stati quelli della ricetta dettata in cinque mesi di improvvisi riflettori sui passati occultamenti, di incertezze informative e clamorose scoperte, di allarmi para-bellici lanciati dalla stampa nazionale e smentiti da Usa e governo italiano, di tentennamenti incrociati tra Roma e Vicenza. Quindi: anti-americanismo e filo-americanismo ideologici, qualche volta esibiti, spesso sottointesi; dichiarati timori per un futuro vicentino nel mirino del terrorismo e auspicate convenienze economiche da sfruttare al Dal Molin americanizzato; preoccupazioni urbanistiche pressanti, a partire dalla saturazione della zona di viale Dal Verme e dalla sorte dell’edilizia a Laghetto, e contrapposta convinzione che l’arrivo della 173. Aerobrigata da Combattimento non solo non distorcerà, ma addirittura sanerà la viabilità a nord della città.
Una data eccezionale
Centrodestra per il Sì - in prosecuzione del favore che l’Amministrazione Hùllweck aveva garantito per due anni all’operazione, nata con il governo Berlusconi - e andato al voto senza aver potuto scrivere nel suo documento nessuna certezza su quello che avverrà davvero in città. Centrosinistra per il No, anche a costo di avviarsi a cozzare contro la (possibile o probabile?) futura decisione di Parisi e del governo Prodi, e quindi schierato alla cieca rispetto a quanto potrà essere calato su Vicenza da Roma “per mano amica”. Se ne sono andate così otto ore di confronto su un copione finalmente andato in scena, ma sostanzialmente già scritto tutto ai primi di settembre: dalle non-garanzie ottenibili dal Comune in questa fase ai dissensi solo limitatissimi dentro la maggioranza, dall’arroccamento sul No dell’opposizione (cinque mesi fa partita col piede del dubbio) al pressing a vuoto per aprire seggi e urne referendarie. Tornando ai “se” e ai “ma” e chiudendo il discorso: è stata una data eccezionale, quella di ieri in Comune, da segnare e da tornare a considerare tra qualche anno. Se davvero, come sono convinti il sindaco e la sua maggioranza, il Sì vicentino è solo il dettaglio di una scelta già fatta a Roma – e se davvero un No non avrebbe fermato una decisione già presa da Parisi, secondo quanto ha capito e riferito Hùllweck – varrà la pena di rispolverare (nel 2010 data prevista per la base funzionante? nel 2016 per aspettare il canonico decennio di ogni opera pubblica?) le cronache di questi giorni. Per misurare quanto i “se” avranno avuto risposta concreta: nessun costo di nessun genere a carico della città per la base, piccola e grande viabilità costruita, urbanistica migliorata. E per verificare che un “ma” («la Ederle 2 c’è, ma il resto dov’è?» ) non sia diventato un problema per Vicenza e dintorni.

«Li abbiamo accolti 50 anni fa» E Vicenza decide di farlo ancora
Il sindaco Hüllweck è tra coloro che firmano il parere favorevole alla base Usa

di Gian Marco Mancassola

E alla fine, il sindaco con il nome tedesco disse sì agli americani. Lo avevano chiamato “signor Tentenna”, come il protagonista della canzone di Carmen Consoli: la citazione era risuonata addirittura in parlamento, a settembre, dai banchi dell’Ulivo. Più di un anno fa, a margine di un question time in consiglio comunale proprio sul Dal Molin, Enrico Hüllweck accennava ai grandi vantaggi economici che sarebbero stati imbarcati nel carro della nuova caserma da Zio Sam. A fine maggio, travolto dall’inattesa ondata di proteste dopo la pubblicazione dei dettagli progettuali, aveva vagheggiato l’ipotesi di indire un referendum. A settembre, mentre infuriava la tempesta mediatica sui presunti armamenti che si paventava sarebbero stati stoccati nella nuova caserma, disse davanti a una decina di microfoni: «A queste condizioni non ci sto. Se non si fa chiarezza, sono più contrario che favorevole», per poi aggiungere, di lì a poco: «Non sarò certo io a fare da ventunesimo, se il voto sarà sul filo». Poi capita che i voti favorevoli certi siano proprio 21, calligrafati uno dietro l’altro sotto un ordine del giorno che esprime il Sì condizionato, ancorché privo di valore legale, elaborato e proposto proprio da lui, dal sindaco figlio di un ufficiale tedesco che nella seconda guerra mondiale era stato tratto in manette proprio dai “liberators”. Così è toccato sempre a lui, alle 17.40, prendere la parola per primo, parlando per 9 minuti e spiccioli di questi cinque travagliati mesi: «Quegli americani che 50 anni fa abbiamo accolto a Vicenza nel segno della libertà e della democrazia, negli anni hanno avuto una presenza di militari anche superiore rispetto ai numeri attuali e forse futuri. Sotto i nostri piedi abbiamo avuto per anni armamenti pesanti, missili compresi. Nel tempo hanno presentato numerose richieste, alcune delle quali sono decadute». Fra queste c’è anche il progetto di ampliare la Ederle, rimediando mezzo milione di metri quadrati nel fazzoletto verde del Dal Molin: «Umanamente è comprensibile che il nuovo Governo pensasse che la realizzazione del progetto fosse nella fase operativa in funzione di accordi sottoscritti dal precedente Governo di centrodestra - avverte Hüllweck -. Forse per questo alcuni si sono buttati in questa faccenda delicata e difficile con demagogia, attaccando Silvio Berlusconi e Enrico Hüllweck per aver venduto agli americani il Dal Molin. Immaginate lo scorno per queste persone quando si è saputo che nessun accordo era stato sottoscritto, né a livello nazionale né tantomeno locale». «Mi rendo conto della richiesta di corresponsabilizzazione del Comune di Vicenza in questa scelta indubbiamente difficile - ha proseguito il sindaco - ma non era pensabile scaricare le colpe su questa amministrazione comunale». Hüllweck ha poi narrato, ancora una volta, le fatiche bibliche per ottenere risposte e garanzie da Roma: in ballo c’era la necessità di farsi dire che la pista non verrà mai utilizzata per voli militari, che verranno costruite strade e infrastrutture, ma che i costi non ricadranno sui vicentini; che vanno salvati i campi da rugby; che per imbastire il cantiere si ricorra a professionalità di marca vicentina. «Vicenza non è una meretrice», ha detto il sindaco, una meretrice che va a letto con il primo che sventola un pacchetto di profumati dollaroni; Vicenza è una donna prima di concedersi vuol vedere un po’ più in là del proprio naso. Per intendersi, «voleva sapere se la caserma è di interesse nazionale». Queste assicurazioni Hüllweck dice di averle ricevute dal ministro della Difesa Arturo Parisi, uno che dovrebbe essere avversario politico, e che ora, dopo la chiacchierata romana, viene descritto come un gentiluomo «dalla correttezza esemplare». Il numero uno della Difesa nazionale deve aver dato garanzie davvero convincenti, prima assicurando che il progetto Usa è coerente, compatibile e rispondente con l’alleanza fra Roma e Washington; poi «collocando l’intero problema in un superiore livello di interesse nazionale», per usare le parole del sindaco. Il gentleman ha allora convinto la vecchia Signora, quella Vicenza spaccata in due come una grande mela. E ha persuaso il suo sindaco, che alla fine ha messo il suo nome in testa ai 21 che hanno detto Sì. E il consiglio, a maggioranza davvero risicata, ha stabilito che il matrimonio tra Vicenza e i suoi yankee s’ha da fare: prendendo a prestito le parole di chi ha offerto il suo voto a favore, se non è solo sesso per soldi, è un sentimento che assomiglia tanto all’amore.

Una quarantina di “penne” accreditate a palazzo Trissino
La Sala Bernarda al centro di una “tempesta mediatica”
BBC, Sky, Rai e giornalisti da tutta Italia per seguire le votazioni

(g. m. m.) Sull’attenti, c’è la Bbc di sua maestà. “London calling”, cantavano i Clash. E proprio Londra ha chiamato ieri mattina a palazzo Trissino: dall’altra parte della linea, una segretaria della più autorevole televisione pubblica europea, che in un italiano con l’accento dello Yorkshire ha umilmente avanzato la richiesta di poter intervistare telefonicamente il sindaco Enrico Hüllweck. “Unbelieveble”, cose da non credere. Il number one di palazzo Trissino è però stato irremovibile: nessuna dichiarazione fino alla fine del consiglio comunale. Quindi “European Word”, il programma più visto del pomeriggio via satellite della Bbc International, ha ripiegato sul capogruppo forzista Andrea Pellizzari, voce del Sì abbinata ad altre voci del No: Vicenza in diretta da Londra, quando più ricapita? Il caso Dal Molin ieri ha impegnato una quarantina di giornalisti, di testate venete e nazionali, e altrettanti fra fotografi e operatori televisivi. In piazza dei Signori c’erano i furgoni della Rai e di Sky. La voce dei consiglieri berici è stata udita nel format radiofonico di culto “Caterpillar” o dalle frequenze di Radio24, dove argomentava le sue teorie il già ambasciatore Sergio Romano. La Ederle e il progetto del suo ampliamento sono diventati protagonisti anche di Repubblica, Unità, Corriere della Sera, SkyTg24, Veneto Sat. Senza contare che mentre andava in scena il consiglio comunale del secolo, su Rai2 andava in onda Michele Santoro, con il suo Anno Zero dedicato a Vicenza, alla protesta anti-Finanziaria e al Dal Molin, con una passerella senza precedenti di facce e smorfie in salsa berica. E se ancora non basta, un altro indicatore dell’attenzione e della pressione sull’affaire Dal Molin lo ha dato il sito Internet di Radio Rva, che ieri sera aveva immesso in rete la diretta e che ben presto è andato in tilt per l’eccessivo numero di contatti.

Cronaca di un dibattito acceso e appassionante. Quaresimin: «Buttati via miliardi». Pellizzari: «Sì al progetto Usa». E Morsoletto fa cruciverba
Lotta a muso duro fra tanti distinguo
La Dal Lago: «Voterei no per vedere la faccia di D’Alema». Asproso: «È dittatura»

(g. m. m.) «Se fossimo un po’ più scafati e un po’ meno seri, mi verrebbe da dire al mio gruppo di votare contro la base. Vorrei vedere la faccia del ministro degli Esteri Massimo D’Alema mentre lo comunica alla sua amica Condoleeza Rice». Manuela Dal Lago, capogruppo leghista, concede un briciolo di illusoria speranza al fronte del No. Ma è solo una provocazione, la fotografia della saponetta su cui rischia di scivolare il Governo Prodi. Erano tutti presenti, meno uno, Vincenzo Riboni, assente giustificato, i concorrenti della solenne maratona in sala Bernarda: una appassionante gara politica, ripresa in diretta da Rai2 in prima serata, con momenti di autentico furore misurato dal fonometro e pause dialettiche da sbadiglio, come certificato dal “16 orizzontale” del cruciverba a cui ha lavorato indefesso l’assessore allo Sport Gianfranco Morsoletto. A lungo la tensione si tagliava col coltello, con un picco al momento del voto, mentre dalla piazza saliva un frastuono senza sosta e nell’aula il presidente Sante Saracco se la prendeva con consiglieri di opposizione come Antonio Dalla Pozza e Carla Zuin che cercavano di esporre manifesti e cartelli inneggianti al No. L’ex sindaco Marino Quaresimin, capogruppo della Margherita, è andato subito al sodo per esplicitare il suo voto contrario: «Non sono antiamericano, io penso al disegno della città che vogliamo e alla vivibilità. E questo progetto va dalla parte opposta. L’aeroporto verrà smantellato, dopo che sono stati spesi 2 miliardi e mezzo dei vicentini per farlo funzionare». Mario Bagnara, dell’Udc, critico verso lo stile finto-palladiano degli edifici americani, raccontando un processo decisionale intimamente sofferto, pur dicendosi favorevole, ha ripetuto ancora una volta che nessuno gli ha fornito alcuna ragione valida della scelta di costruire la base sul lato di strada S. Antonino e non al posto dei casermoni dell’Ataf. L’aennista Luca Milani ha attaccato la demagogia con cui la sinistra antiamericana è andata all’assalto dell’operazione statunitense, mentre il diessino Gianni Cristofari si diceva candidamente «antiamericano, contrario alla politica estera». Molti se la sono presa con la Giunta e l’assessore Claudio Cicero per «aver tenuto nascosta la trattativa per due anni». «Questo dibattito - ha detto Ubaldo Alifuoco - avrebbe dovuto tenersi tre anni fa. Oggi è tardi. L’assessore si è assunto una grave responsabilità e non ha fatto un buon servizio alla città». I più acidi con Cicero, però, sono stati i suoi “amici” di An, con Francesco Rucco a riversare tutte le sue critiche per quel confronto che Cicero non ha voluto o saputo intrattenere con le istituzioni cittadine. Il diessino Luigi Poletto ha più volte agitato lo spettro di attentati terroristici: «Vicenza diventerebbe obiettivo sensibile e sarebbe esposta a rischi di attentati vulnerando il diritto dei vicentini a vivere in condizioni di sicurezza». «Da oggi siamo in campagna elettorale per il referendum», annunciava Giovanni Rolando. Andrea Pellizzari ha ribadito «la piena condivisione di Forza Italia al progetto americano, anche per lo spirito di amicizia, responsabilità e coerenza che FI ha dimostrato sempre nei confronti dell’alleato americano». Parole davvero simili a quelle scelte dal ministro della Difesa Arturo Parisi. Per la verità, proprio dal gruppo di Forza Italia sono venute le uniche due astensioni. La prima è di Fiorenza Dal Zotto: «Al momento non abbiamo ricevuto nessuna risposta nero su bianco e non abbiamo alcuna certezza su alcuni aspetti vitali». La seconda è Chiara Garbin, che ha insistito per un sito alternativo, più accettabile e meno problematico. Giovanni Giuliari, di Vicenza capoluogo, ha invocato una Europa capace di autodifendersi, come voleva il presidente americano Eisenhower mezzo secolo fa: «Lo scenario internazionale è completamente cambiato, non è possibile che l’Europa rimanga territorio occupato». Sung Ae Bettenzoli, del Gruppo misto, ha difeso il suo quartiere, S. Bortolo, che avrebbe bisogno di riqualificazione, altro che di una nuova caserma: di qui il voto contrario. Le cannonate più pesanti sono partite dal Verde Ciro Asproso e da Emilio Franzina di Rifondazione comunista. «Dittatura della maggioranza - ha tuonato Asproso -. Vicenza si fa portaerei degli americani». «È una vera sciagura - ha urlato Franzina -: vedo cedere territorio, dignità nazionale e futuro. L’ultima parola tocca al Governo e ai cittadini a cui oggi non è stata data». I saluti finali, mentre a palazzo si spegnevano le luci, sono dell’assessore più bersagliato e contestato, Cicero, che se la cava così: «Tutto è bene quel che finisce bene. Cdv: come dovevasi dimostrare».

I cortei avversari si sono guardati anche in cagnesco a lungo, ma grazie alla presenza delle forze dell’ordine non c’è mai stato alcun contatto fra gli schieramenti
No e Sì: parole, slogan e sfottò. Vince il fair play
I due popoli si confrontano a distanza. Vola qualche epiteto, e c’è chi usa l’applauso come rivalsa

di Roberta Bassan

«Buffoni, buffoni. Vergogna». Francesco Pavin, 27 anni, vita da precario imbraccia un missile di cartapesta di tre metri e, alla testa di cinquanta Disobbedienti, “spara” contro il Comitato del Sì assiepato in piazza Matteotti. Sono solo le 17 di un pomeriggio di fine ottobre da maniche corte, manca mezz’ora all’inizio del consiglio comunale di un palazzo Trissino blindato. Sarà l’unico momento di contatto tra i No e i Sì, tra quelli che la base Usa al Dal Molin non la vogliono manco a morire e quelli che invece la considerano un’opportunità per la città. I Disobbedienti urlano «Vergogna. Siete quattro gatti». Il fronte avverso risponde con un applauso. Si guardano in cagnesco. Potrebbero nascere faville, la tensione cresce. Le forze dell’ordine tengono testa. I ragazzi con i capelli rasta e kefia al collo passano oltre, imboccano il corso e, sempre con il loro missile, raggiungono piazza dei Signori. Benvenuti nella tana dei No. La tensione si scioglie in palloncini gialli, verde, arancio, blu. Spuntano pentole, mestoli, coperchi, tamburi, fischietti. Escono bandiere: Cgil, Rifondazione, Pace, Emergency, Italia dei Valori, Democratici di Sinistra, Margherita, Lega per l’Ambiente, Unione Studenti, Rdb. Rumore, musica, frenesia, frastuono. Tutti con il naso all’insù, verso le finestre del palazzo dove si decidono le sorti del Dal Molin. Come se fosse quello il maxi-schermo. Si tirano fuori litri d’acqua naturale. Si annuncia un lungo bivacco. Ed ecco che, quando mancano pochi minuti alle 17.30 e i No sono ormai tutti in piazza dei Signori, viene dato il via ai Sì che cominciano a muoversi a piedi dal museo Civico. Omero Cecchi, 44 anni, 20 passati alla Ederle come manutentore, tira fuori il fischietto e aiuta gli altri a tenere lo striscione “Dal Molin un progetto una opportunità”. Ancora corso Palladio. Le vie d’accesso a piazza dei Signori sono blindate da cordoni di poliziotti. Il popolo dei Sì si assembra così in uno spazio di qualche metro, nelle vicinanze dell’entrata del Comune. Mentre il lenzuolo con la scritta viene disteso e tenuto da sette persone di fronte al portone d’ingresso. Due popoli diversi, soprattutto nei numeri (un migliaio da una parte, neanche cento dall’altra), due cortei diversi, due assembramenti tenuti a debita distanza. Il questore in impermeabile chiaro, vigila e non transige. L’ordine è stato perentorio: nessun punto di contatto tra le due fazioni. E tra il salotto buono della città e corso Palladio si crea un abisso di idee, di numeri, di opinioni. Non che questo interessi molto a Bianca, tre anni, riccioli d’oro, che batte le manine e guarda le bolle di sapone salire verso il cielo, felice sulle spalle di papà Giorgio Benedetti: «Guardi - premette - sono qui da libero cittadino, non sono schierato per alcun partito. Ma dico di no alla base Usa perchè voglio bene alla mia città e chiedo un futuro migliore per mia figlia. Non una Vicenza legata all’immagine militare, ma alla sua bellezza artistica e paesaggistica. E a persone sorridenti». Fronte avverso: non ci sta Elvi Golin, anche lei ha portato i figli, 6 e 10 anni: «Sostengo gli americani perchè ci hanno sempre aiutato e portato benessere, penso alle famiglie che lavorano alla Ederle con le quali sono solidale, penso ai miei figli e alla loro protezione». Ma quale protezione? Lia Sacchetto, di casa a Laghetto, nonna di due bimbi gira con un cartello al collo: «No base, no inquinamento, no aerei, armi, traffico. Sì alla vita». Sì, ma il lavoro? Leila Alberti, 20 anni passati all'ufficio tecnico della Ederle, calpesta corso Palladio e ribatte a distanza: «Di là sono anti-americani per partito preso, la loro è solo una strumentalizzazione politica. Se gli americani vanno via, non solo perdiamo il posto di lavoro, ma per questa città ci saranno ripercussioni enormi sull'economia, contando anche tutto l'indotto che la caserma movimenta». Sottoscrive Massimiliano Bozzolan, 29 anni, prima dipendente della Cmr di Ferrara, ditta costruttrice per la Ederle, da due anni e mezzo di stanza alla caserma: «Ma lo sapete quante ditte fallirebbero senza la base Usa?». Sono le 18.30, calano le luci, ma i due popoli non mollano la strada. Miriam Z., 16 anni, media del 7 al Quadri, dice di preferire i dibattiti alla discoteca. Come quello sul Dal Molin. E distribuisce volantini per il No rivendicando la sua opinione. Come Lorenzo S., anni 17, faccia pulita: "Gli americani? Vengono qui ad occupare un paese sovrano a 50 anni dalla fine della Guerra. No, non lo vogliamo". E di guerra parla anche Maria Luisa Andrighetto, 72 anni, in mano un cartello, davanti una fotografia: «Avevo 10 anni, era il 18 novembre 1944, gli americani hanno bombardato Vicenza, mia madre è morta davanti ai miei occhi, io ho quattro ferite da scheggia. Non mi parli degli americani. Stasera piazza dei Signori è bellissima». Achille Variati, sindaco per 15 anni della città, alza gli occhi verso le stanze dove si sta votando: «No, non possono decidere il futuro di Vicenza lì dentro. Lavorerò perché si faccia il referendum». Stralunato Shinzu Okabb, è appena arrivato dal Giappone per il suo business di cibo per maiali e mucche e, all’ora di cena, non capisce più nulla: «Yes? No? What is happenig? Cosa succede?» Flash, flash, flash. Dentro a palazzo Trissino intanto si continua a discutere. Fuori la piazza non molla mai un attimo, mentre i Sì si affievoliscono e si disperdono. I No invece tirano fuori panini e piadine. La piccola Bianca non ha sonno. Sono le 21. Arrivano dieci gazzelle della polizia ed escono 50 celerini. Cambio turno, la piazza non va a dormire.

E il fonometro toccò la quota limite dei 90 decibel con Emilio Franzina e il campanello di Sarracco

Fischietti, tamburi, sirene, coperchi di pignatte, secchi e bandoni, e tante urla: la guerra in piazza contro il Sì alla base militare è stata combattuta con il frastuono. Tanto. Imperversante per ore. Rimbalzato dentro sala Bernarda. Ascoltato con fastidio a destra, e si capiva perché, ma anche a sinistra, perché non tutti nei partiti dell’Unione gradivano di confondere il loro No con le tesi dell’estremismo anti-Usa. Rumore forte, ma non abbastanza da spaventare... il fonometro, ultimo ritrovato tecnologico per la prima volta apparso in consiglio comunale. Che ha misurato i decibel, ma non l’intollerabilità sonora della protesta inscenata dagli alternativi anti-Usa e dai comitati del No. C’erano due tecnici dell’Arpav nell’antisala del consiglio a leggere i dati della sonda vicino ai banchi della giunta comunale. Avevano calcolato che fino alla quota di 80 decibel complessivi - tra dentro e fuori - i consiglieri potevano ascoltare e farsi ascoltare, e che con 10 in più la discussione sarebbe stata compromessa nell’inedito sound. La registrazione ha mostrato dati che non sono mai andati sotto quota 70. Ma la soglia dei 90 decibel è stata toccata solo un paio di volte: quando si è scaldato le corde vocali e ha tuonato contro il sindaco e la sua maggioranza Emilio Franzina (Rc); e quando a microfoni, boati dalla piazza e rumorio misto si è aggiunta la scampanellata del presidente consiliare Sante Sarracco che teneva in ordine la discussione.

I sostenitori del raddoppiamento della base stremati dal forcing contrario “armato” di trombe e pentole
La squadra in rosso schiacciante
Quando non passa il referendum si alzano i “vaffa”

di Marco Scorzato

Sotto i portici della basilica, alle 21,30, c’è un bambino di 10 anni con due occhi neri come il petrolio. Si chiama Tarek, è bengalese, e in mano a una decina di rose. Guarda sorpreso la piazza e a momenti avvicina le mani agli orecchi. Il sibilo dei fischietti è incessante. E poi trombe, pentole percosse, coperchi sbattuti come piatti, tubi di gomma trasformati in strumenti a fiato, rullo di tamburi e il gracidare delle raganelle. In aria bandiere che sventolano e quasi toccano le luminarie natalizie: ci sono quelle della Cgil, degli Rdb Cub, dei Ds, di Rifondazione e dei Comunisti Italiani. E tanti vessilli della pace. Se il fonometro fosse in piazza dei Signori, sarebbe probabilmente destinato ad impazzire. Non smette un solo istante, il popolo del No riunito all’ombra della Basilica, di urlare in faccia agli amministratori rinchiusi nel Palazzo la propria contrarietà alla base. Una piazza chiassosa,instancabile. Una piazza pacifica. Ed eterogenea, alla faccia di chi l’aveva dipinta come la culla della sinistra radicale. Certo, ci sono i no global, ma anche i signori in giacca e cravatta. Ci sono bambini ed anziani. E donne, tante. Marcellina Piazzetta ha 79 anni ma la carica di una ragazzina: «Ho voluto portare qui le mie nipotine di 10 anni - racconta - devono vedere quello che sta succedendo in questa città. Il futuro è loro». Il volume non accenna a scendere. Per riposare l’orecchio bisogna andare dall’altra parte, in corso Palladio, dov’è riunito il fronte del Sì. Sul piano dei numeri, tra i due schieramenti, non c’è partita. Non c’era al pomeriggio, figuriamoci alla sera, quando si fa largo la stanchezza, i morsi della fame non danno tregua e i piedi cominciano a fare male, dopo ore a calpestare il corso. Dopo le 21, lì è una cinquantina di dipendenti della Ederle. Sul piano degli argomenti, però, si difendono alla grande: «Se chiudono la base cosa faccio? vado a mangiare a casa di quelli di là che manifestano per il No? - chiede priovocatoria Miriam Stivati, 38 anni, da uno e mezzo dipendente alla Ederle -. Sia chiaro, nessuno di noi vuole i missili, né la guerra. Ma vogliamo un futuro occupazionale. La nostra posizione è per lo sviluppo vero, contro le speculazioni». «Si stanno perdendo di vista le reali questioni in ballo - le fa eco Laura Fanton, anche lei alla Ederle -. Qui non arrivano i missili, ma c’è la possibilità di lavorare. Siamo oltre 700 alla Ederle, vogliamo avere un futuro». Più in giù, lungo il corso, è rimasto un gruppuscolo di militanti dell’estrema destra, capeggiato da Alex Cioni, di Azione Sociale. «La polizia ci ha bloccati qui - spiega - non ci hanno lasciato raggiungere la piazza, monopolizzata dalla sinistra. È un peccato, perché questa doveva essere una battaglia da condurre insieme, senza ideologie». La sera in piazza dei Signori vive di sussulti, determinati dalle mosse dei potenti del Palazzo e dai ritmi scanditi dalla diretta televisiva col programma di Santoro. Quando il giornalista Sandro Ruotolo si collega con “Annozero” è un tripudio di bandiere. Passa Oscar Mancini, segretario della Cgil. È lì dalle 15,30 e ci resterà fino al rompete le righe. «Questa sera si è palesata la frattura tra la città e chi la amministra - afferma -. Ci hanno privato del maxischermo, volevano che stessimo a casa a guardare la diretta tv. Sono state anche evocate violenze e disordini, ma qui si dimostra la civiltà dei cittadini e la professionalità dei tutori dell’ordine pubblico. Questa sera non è un punto d’arrivo, ma di partenza. Spero nel referendum». Si procede così fino alle 23,45. Solo allora si alzano i primi “vaffa”. Il sì alla base e il muro di Hüllweck e dei suoi sul referendum fanno male alla piazza. A qualche signora scappa una lacrima di tristezza e rabbia. I più surriscaldati intonano il coro l’insulto, che subito sfuma in canti e balli. Di là, il fronte del sì è ormai ridotto a una manciata di rappresentanti. «Sono rimasto qui fino alla fine - dice Andrea, anche lui impiegato alla Ederle - anche se so che il futuro della base non dipende da noi». Intanto in piazza dei Signori si comincia a sfollare. Sotto i portici della Basilica, il piccolo Tarek se ne sta ancora con le rose in pugno: «Non ne ho venduta neanche una - si rammarica con mezzo sorriso - stasera la gente pensava ad altro».

Il gruppetto di destra ha acceso un fumogeno in corso Palladio
Cioni (Fn) tuona contro gli Usa Viene spintonato da due esagitati

(r. b.) «Americani, la caserma fatela a casa vostra». Alex Cioni, leader di “Forza Nuova con Alessandra Mussolini” ha appena imbracciato il megafono e ha cominciato ad urlarci dentro: «No agli americani, non li vogliamo». Il fumogeno si è appena spento, ha creato un piccolo fuoco davanti alla vetrina di “Intimissimi” dove le canotte alla moda fanno il loro sfoggio. Un attimo e sono accorsi i poliziotti che hanno presidiato la manifestazione del gruppetto dei dieci militanti di destra con il fumogeno favillante, mentre veniva anche disteso uno striscione. Ma ecco avvicinarsi due ragazzotti con la tuta da ginnastica. «Falso», gridano a Cioni. E lo applaudono provocatoriamente. Questione di attimi, un lampo, due spinte. Il poliziotto in borghese che non ha mai mollato la scena è addosso. Tafferuglio davanti agli occhi del questore e due passi dall’ingresso del Comune dove si continua a discutere il futuro del Dal Molin. Cioni riprende il suo megafono e il suo discorso. Contro gli americani e contro il governo Prodi. Lontano dalla piazza del No e a debita distanza dal fronte del Sì. Mentre i due facinorosi vengono messi con la faccia davanti alla volante ed identificati. Unico momento di tensione, alle 20.30, in corso Palladio. La scena dura pochi minuti. E le manifestazioni continuano.

«Il nostro è un sì, anche se non ha valore»
Il documento approvato dalla maggioranza, con i “se” e i “ma”

di Marino Smiderle

La meravigliosa ottobrata vicentina invita alla festicciola serale, con contorno di caciara di piazza. Fa caldo, tanto caldo, ma a palazzo Trissino bisogna chiudere le finestre. La festa è fuori, mica qui dentro, anche se i consiglieri comunali si divertono come matti a discutere, per una volta, di politica internazionale. Sì, è vero, ufficialmente si parla di strade e viabilità, di collegamenti da fare per il Dal Molin, di parere urbanistico sull’allargamento della Ederle nella sede dell’aeroporto. Però tutti ci danno dentro come forsennati, sentendosi, per una volta, all’Onu. Un altro po’, e da Vicenza partiva la dichiarazione di guerra ad Ahmadinejad. Il sindaco Enrico Hüllweck, in queste situazioni emergenziali, ci sguazza. Riceve di quelle bordate dall’opposizione che metà basterebbero: gli danno del bugiardo, dell’essere da disprezzare, roba da querela. Lui sorride e presenta un ordine del giorno pro-America che gli costa un po’ a livello di viscere. Riconosce al ministro della Difesa, Arturo Parisi, di essersi comportato in maniera ineccepibile con Vicenza. E poi passa a leggere il documento, firmato da 21 consiglieri della maggioranza, che propone per l’approvazione. Approvazione che arriverà dopo le 23, con 21 voti a favore (quelli dei firmatari di FI, An e Udc), due astenuti (le forziste Fiorenza Dal Zotto e Chiara Garbin), e 17 voti contrari (Ds, Margherita, Verdi Prc, Vicenza Capoluogo, mancava solo Vincenzo Riboni, assente giustificato). È un documento che recepisce “l’affermazione del ministro, per il quale tale richiesta appare rispondente allo spirito di amicizia esistente tra Italia e Usa”, ribadisce “l’incompetenza del Consiglio comunale a deliberare in materia”, accoglie l’invito governativo “come richiesta di espressione di un parere giuridicamente non vincolante” e sottolinea “come il parere sia finalizzato alla valutazione degli aspetti di impatto sociale sulla comunità”. Riassumendo: è un documento che non ha alcun valore, e la premessa non pare incoraggiante per il dibattito. Diventa però più corposo nella parte dispositiva. Il succo è: il Consiglio comunale approva «l’accoglimento nel territorio comunale di Vicenza della 173a Brigata Aviotrasportata», che già c’è, ma che verrà quasi raddoppiata dal trasferimento al Dal Molin di due battaglioni dalla Germania. Non è però un sì senza se e senza ma: di sì e di ma ce ne sono cinque ben precisi. Il documento le chiama garanzie, ma sarebbe più corretto definirle condizioni. Che sono: 1. Assenza di voli militari connessi con l’attività dei militari Usa; 2. Esonero dell’Amministrazione comunale da ogni onere economico relativo alla realizzazione delle opere infrastrutturali collegate alla nuova base. 3. Assenza di impatti negativi sull’attività dell’aeroporto civile. 4. Salvaguardia o realizzazione alternativa a carico degli Usa di ogni realtà sportiva (leggi rugby). 5. Impegno degli Usa a utilizzare risorse professionali locali nella realizzazione della nuova base. Tra i più contenti, anche se tra i più contestati, c’è sicuramente l’assessore Claudio Cicero, che vede in questo ordine del giorno la trasformazione in realtà del suo sogno puramente urbanistico-viabilistico. Il suo piano, che piano piano sta assumendo contorni precisi e concreti, era ed è drammaticamente semplice: «Cari americani, vi diamo la base e voi ci fate tutto quel che serve, ma proprio tutto». Ci sono stati momenti di tensione col sindaco, nelle scorse settimane, ma ora tutto sembra appianato. Cicero se ne impippa della politica estera, lui vuole strade e nuove strutture per Vicenza. Che le facciano gli americani o i malgasci, fa poca differenza. Competenze del comune, questo è certo, che vengono però irrorate dagli scenari internazionali di una futura Nato globale: sempre strade, e case, e lavoro, e nuovi clienti per il gas e la corrente di Aim e vogliamo aggiungere altro? «No, il concetto è chiaro», risponde l’interessato. In calce a questa mozione di maggioranza (primo firmatario Enrico Hüllweck) ci sono 21 firme: mancano quelle della carolliana Chiara Garbin e di Fiorenza Dal Zotto. Garbin che, a sua volta, presenta un ordine del giorno alternativo, proponendo di condizionare l’accettazione dell’insediamento di una nuova base americana al suo trasferimento dal Dal Molin all’area di via Aldo Moro, come aveva proposto la Provincia. Siccome però ci sarebbero voluti tempi biblici per superare tutta la montagna di burocrazia amministrativa, l’opzione è stata rigettata. Nel cesellare questo documento apparentemente amministrativo, il centrodestra vicentino ha cercato anche di spruzzare una buona dose di veleno nei palazzi romani del governo di centrosinistra. Alcuni autorevoli, e diabolici, esponenti della maggioranza vicentina avrebbero preferito, dal punto di vista politico, estrarre dal cilindro di palazzo Trissino un parere negativo, convinti di complicare ancor di più la vita a Prodi e a Parisi. Come? Semplice, siccome qui sono tutti convinti che Roma non può dire di no a Washington (anzi, che abbia già detto sì, prima con Berlusconi e ora con Prodi e D’Alema), con un no vicentino Roma si sarebbe trovata nella condizione di dover ribaltare il pronunciamento locale per dare il via libera comunque alla 173a Brigata, con simpatici dibattiti tra comunisti, diessini e margheritini. Luciferino, no? Poi, però, ha preso il sopravvento la scelta ideale, forse con una spintarella decisa proveniente da Arcore, e adesso il governo si dovrà limitare a confermare la decisione già presa e timbrata col sì vicentino. Non sarà comunque agevole farla digerire alla sinistra estrema (ieri in piazza con l’estrema destra) che del governo è parte integrante e che chiederà a Parisi di rimangiarsi l’impegno preso con gli Usa. A palazzo Chigi ci sarà presto la resa dei conti definitiva.

L’opposizione prova a spezzare il fronte ma anche sul referendum viene bocciata
Respinta una serie di documenti che puntava a far passare la linea del no alla base

(ma. sm.) Il Dal Molin non deve essere americano. Questo in primis. E in secundis, infilandoci uno dei tanti latinorum squinternati fioccati in sala Bernarda, che sia data la possibilità ai cittadini di esprimersi direttamente sull’intricata questione. È questa la linea del centrosinistra, che a Vicenza è all’opposizione, mentre a Roma è al governo. Poi, i primis e i secundis sono stati invertiti, nel senso che prima si è cominciato dal referendum. È la linea del Piave di tutta l’opposizione in sala Bernarda che, forte degli ultimi sondaggi presentati da Ilvo Diamanti, considera largamente maggioritario in città il no alla base. Perciò «considera essenziale per il futuro della città, quale l’utilizzo di una vasta area del territorio comunale, dare anche la parola ai cittadini, ritiene che un’ampia consultazione popolare sia attualmente la strada da privilegiare per attestare a certificare i sentimenti e l’opinione dei cittadini di Vicenza e impegna il sindaco a intraprendere tutte le iniziative idonee a ottenere il pronunciamento diretto della popolazione». È ormai notte e da piazza dei Signori continuano ad arrivare i rumori della piazza. Non è facile andare avanti, anche se il fonometro dice che va tutto bene, andare avanti in mezzo alla caciara festosa del popolo del no. Però avanti si va, e ci sono 12 ordini del giorno in scaletta, compreso quello della maggioranza, con tutti che vogliono parlare, precisare, puntualizzare. Vabbè, detto del referendum, su cui molti hanno avanzato dubbi circa l’effettiva possibilità di accoglimento, il documento più corposo dell’opposizione vicentina elencava dieci cause per le quali riteneva doveroso dire no alla base. Nella presentazione dell’ordine del giorno i consiglieri del centrosinistra hanno cura nel tenere il governo fuori dalle rogne («Considerato che da oltre due anni il sindaco e alcuni dei suoi assessori erano stati perfettamente informati dell’intenzione americana di operare un ricongiungimento della 173a Brigata in territorio vicentino e della disponibilità di massima dimostrata dall’allora governo Berlusconi e che anzi frequenti rapporti erano intercorsi tra l’ambasciata statunitense in Italia e esponenti dell’esercito americano da un lato e amministratori del Comune di Vicenza dall’altro al fine di definire tempi e modi della realizzazione del progetto»), e spiegano perché Vicenza dovrebbe dire un no forte e chiaro, per quanto non vincolante. Inaccettabile impatto urbanistico, pesante affaticamento della viabilità, squilibrio nei rapporti sociali, estensione della rete dei sottoservizi, aeroporto civile a rischio, eliminazione degli impianti sportivi, rischio terrorismo, militarizzazione eccessiva: bastano e avanzano queste considerazioni per esprimere parere negativo al progetto Usa. La notte avanza inesorabile ma il pacco degli ordini del giorno è consistente. Ne porta sette Franca Equizi, l’ex leghista che per tutta la serata ha evocato spettri di poteri forti e di manovre occulte, tutti con varie gradazioni di no e di invocazioni al referendum. I consiglieri sono stanchi e stufi, con le orecchie tumefatte dal frastuono che trasforma questa caliente notte di ottobre in una notte bianca. «Li bocceremo tutti», pronostica uno della maggioranza. «Verranno bocciati tutti - concorda un collega della minoranza - ma sta forte e chiaro il nostro dissenso e quello della maggioranza dei cittadini che non potranno esprimersi». Invece no: con un colpo di scena prima vengono esclusi quasi tutti, tra l’arrabbiatura dell’opposizione, e alla fine il voto sul documento "pro referendum" dice no.

Due vigili della Ederle contro la destra L’unico attimo di tensione della serata
Trecento fra poliziotti e carabinieri in centro. Controlli notturni all’aeroporto

di Diego Neri

Quand’è mezzanotte passata da un pezzo e la votazione più importante è andata, restano gli unici ad aver scalfito la tranquillità di una serata di democrazia e di confronto anche duro, ma pacifico. Quei due vicentini, vigili del fuoco della Ederle, che dopo aver alzato un po’ troppo il gomito si sono avventati con fare da ultrà contro la delegazione di Alternativa sociale in corso Palladio, colpevole di inneggiare il No al Dal Molin. Placcati dai poliziotti, uno di loro ha faticato un bel po’ a capire che doveva calmarsi se voleva evitare la denuncia per resistenza. È stato questo uno dei rari casi di intemperanze e di azioni di protesta fuori dalle righe di una giornata che molti vicentini hanno trascorso in strada, fra piazza dei Signori, l’ingresso del municipio e corso Palladio, davanti al Mc Donald. No, sì, no, si potrebbe riassumere, con tanti curiosi che hanno fatto un po’ di fatica a comprendere tutti quegli schieramenti. «Che sta succedendo?», chiede una coppia che passa in bicicletta e che cerca una pizzeria. «Scusi, ma voi dove abitate?». «A Vicenza, perché, così tutta questa confusione?». «Si discute del futuro del Dal Molin». «Quale Dal Molin? Quale futuro?», chiedono di farsi spiegare la questione di cui si dibatte da mesi. Evidentemente, non tutti i vicentini erano sulle spine per il voto in consiglio. E più o meno lo stesso atteggiamento ce l’avevano i tanti ragazzi arrivati in città in divisa. Giovanotti dell’arma o della polizia che giungevano da Padova o Bologna. Uno di loro ha tutto il tempo di chiamare la mamma al cellulare e di raccontarle divertito: «Boh, non ci capisco niente. Qui a Vicenza quelli dei centri sociali e i nazisti stanno dalla stessa parte. Noi siamo qua per dividerli, ma non so perché». In centro sono schierati complessivamente 150 fra poliziotti e carabinieri; una dozzina di vigili urbani stanno all’interno di palazzo Trissino. Numeri che vanno raddoppiati, visto che la seduta è così lunga che servono due turni. A coordinare ci sono comandanti e funzionari di quasi tutti i reparti, e a verificare che tutto fili liscio in corso con il suo autista passeggia il questore Dario Rotondi. Compreso che non ci sono scontri né intenzione di provocarli da nessuna parte - i più accesi sostenitori del No, in piazza dei Signori, si limitano a lanciare aerei di carta - il problema è gestire tutti quei ragazzi arrivati da fuori. I bolognesi alle 21 vengono fatti cenare in caserma e rispediti a casa, i padovani dovranno far notte prima di infilarsi a letto. Ma hanno capito anche loro che non ci sarà da menare manganelli né da alzare gli scudi, e osservano con distacco, tappi nelle orecchie, tutto il can can di slogan, canti e soprattutto il battere di tamburi e pentole. Non c’è clima da Oriazi e Curiazi. «Meglio così», sospira un poliziotto. Comunque vada, sa che andrà a dormire alle tre e che stamattina la sveglia suonerà alle sei. Ci sono da perquisire all’alba le case di alcuni spacciatori. Questo sì che è clima da Oriazi e Curiazi. Il solito, per loro.

I senatori vanno contro il Governo e chiedono il referendum popolare
Presentato un ordine del giorno, inviata una lettera-appello al ministro Parisi

di Federico Ballardin

Poche ore prima del consiglio comunale chiamato a decidere sull’ampliamento della base americana a Vicenza, è cominciato un singolare fuoco incrociato, portato da alcuni senatori dell’Ulivo, Rifondazione Comunista e Verdi-Pdci contro il governo ed un eventuale “si” del Comune al progetto Dal Molin. La prima pallottola è stata sparata da alcuni senatori della maggioranza che in Senato hanno presentato un ordine del giorno con il quale chiedevano al Governo di ignorare un eventuale “sì” alla base espresso dal Comune e di tenere conto della volontà popolare vicentina schierandosi a favore di un referendum popolare sulla questione. Tra i firmatari dell’odg, tutti senatori appartenenti al gruppo dell’Ulivo e Per le Autonomie, c’è anche l’ex ministro vicentino Tiziano Treu. Con lui anche Silvana Amati, Simonetta Rubinato, Anna Serafini, Carlo Pegorer, Enrico Morando, Luigi Lusi, Willer Bordon e Giovanni Nieddu. «Nell’imminenza della seduta del consiglio comunale di Vicenza sull’ampliamento della base militare al Dal Molin - si legge nell’odg - si ritiene che il raddoppio dell’insediamento, nel cuore dei quartieri residenziali di Vicenza, rischi di provocare un impatto ambientale insostenibile per la vita ed il futuro della città, oltre ad apparire anacronistico nel momento in cui in tutti i più grandi paesi europei scelgono la dismissione di basi militari. Per tali motivi si è convinti che la relativa decisione, anche da parte del Governo italiano, non possa prescindere dagli orientamenti della comunità vicentina, espressi non solo nelle sedi istituzionali proprie, ma anche attraverso il coinvolgimento diretto di tutta la comunità cittadina, con lo svolgimento di un referendum consultivo, come richiesto dal quesito già depositato da un gruppo di cittadini». Il documento termina con la richiesta di un pronunciamento chiaro del governo dell’Unione in questa direzione nello spirito del programma presentato agli elettori ed in conformità a quanto dichiarato dal ministro della difesa Parisi. Proprio il ministro è stato il destinatario di un secondo documento ufficiale, un appello firmato da numerosi senatori che riprende (anche nel testo) l’ordine del giorno presentato in senato. In questa lettera i 26 senatori firmatari ammoniscono il governo di cui fanno parte in quanto il raddoppio della base secondo loro “ipoteca” i risultati della seconda conferenza sulle servitù militari, espressamente prevista dal programma dell’Unione. «Questo progetto insensato - si legge nell’appello a Parisi - pattuito all’oscuro delle istituzioni e dei cittadini di Vicenza, dal Governo Berlusconi e dagli amministratori locali, va valutato solo dopo la seconda conferenza delle servitù militari con un pronunciamento chiaro del Governo dell’Unione, nello spirito del programma elettorale». Seguono le firme di Tiziana Valpiana, Lidia Menapace, Francesco Martone, Silvana Pisa, Paolo Brutti, Anna Donati, Armando Cossutta, Magda Negri, Haidi Giuliani, Fosco Giannini, Maria Celeste Nardini, José Luis Del Roio, Giampaolo Silvestri, Loredana De Petris, Milziade Caprili, Rina Gagliardi, Nuccio Iovene, Giuseppe Di Lello, Maria Luisa Boccia, Gianni Confalonieri, Claudio Grassi, Anna Maria Carloni, Fernando Rossi, Stefano Zuccherini, Olimpia Vano, Franco Turigliatto appartenenti ai partiti Rifondazione Comunista, Verdi-Pdci, Ulivo e Per le Autonomie. Con una dichiarazione anche la presidente della commissione difesa della Camera, Roberta Pinotti (Ulivo) si è espressa a favore del referendum popolare: «L’ampliamento della base Dal Molin non può essere affrontato senza ascoltare l’opinione dei cittadini» e ancora: «Qualsiasi decisione prenderà l’amministrazione, non si può prescindere da un coinvolgimento dei vicentini» su un intervento «che avrà ripercussioni sulla città, in particolare, sotto i punti di vista urbanistico, ambientale e della sicurezza». Il senatore dei Verdi-Pdci, Mauro Bulgarelli, si è soffermato sulla mobilitazione di piazza causata dalla questione Dal Molin. «Quella di oggi - ha detto - è l’ennesima dimostrazione che la città di Vicenza è a stragrande maggioranza contro questo progetto dal devastante impatto sociale, ambientale ed urbanistico; una questione così delicata, pertanto, non può essere dibattuta esclusivamente tra le forze politiche e decisa da un voto o due. Bene hanno fatto i Verdi di Vicenza a chiedere che la discussione fosse pubblica». A Bulgarelli, infine, ha fatto eco la vicepresidente dei deputati Verdi, la veneziana Luana Zanella che spara l’ultima cartuccia sul governo: «Credo che sia stato un grave errore da parte del governo scaricare sull’ente locale la responsabilità di questa scelta, mentre sarebbe stato importante un indirizzo politico sulla richiesta da parte degli Stati Uniti, che pretendono di invadere la città con una struttura ad altissimo impatto ambientale e che comporta molti rischi per la sicurezza di tutti».


Montecchio/1
Ai “Cantieri” uno sportello legale per stranieri

(an. fa.) È stato inaugurato lo "Sportello Migranti Cantieri", un servizio di consulenza legale gratuita per i cittadini stranieri, all'interno del circolo culturale Cantieri di Monteciorock. «È una scommessa - spiega Teo Molin Fop, uno dei promotori dell'iniziativa -. Nonostante il nostro sia fondamentalmente un circolo culturale, vorremmo intervenire realmente sul territorio. E dal momento che in zona la presenza di stranieri è molto alta, abbiamo reputato che una consulenza legale potrebbe essere di grande aiuto». L'idea è proprio quella di offrire un supporto agli immigrati per tutto ciò che riguarda la tematica legale, grazie all’apporto concreto di un avvocato, nell'assistenza di disbrigo delle varie pratiche abitative e lavorative. «Intendiamo offrire il nostro supporto per accompagnare gli stranieri nei vari uffici, facendo da tramite nelle traduzioni nel caso in cui non parlino bene l'italiano - continua Molin Fop -. Oppure aiutare nelle pratiche per il ricongiungimento familiare, per il permesso di soggiorno, naturalmente rivolgendoci agli uffici preposti». Gli organizzatori tengono a precisare che il loro intento non è quello di fare concorrenza ad altre strutture preesistenti, come lo sportello legale Asgi di Arzignano, ma si augurano un domani di poter collaborare ed unire le forze per essere più incisivi nel territorio. «Questo progetto - concludono - è il primo di tutta una serie di attività che ci proponiamo di sviluppare in futuro. Il nostro fine, comunque, è quello di fare in modo che un domani lo sportello sia gestito da immigranti per gli immigranti». Lo sportello, sarà aperto il martedì ed il venerdì dalle 10 alle 12 ed il mercoledì ed il giovedì dalle 17 alle 20.


In zona industriale la situazione era divenuta insopportabile: ieri sloggiate ben 17 carovane
Contro i nomadi ecco le trincee
Un fossato ora impedirà l’accesso di camper e roulotte

di Mauro Sartori

Una buca per non far tornare i nomadi in zona industriale. Un’eccezionale operazione di sgombero è stata portata a termine ieri mattina, congiuntamente, dai carabinieri guidati dal luogotenente Sergio Asciolla e dagli agenti di polizia locale, agli ordini del comandante Matteo Maroni. Ben 17 carovane sono state fatte sloggiare: 11 erano accampate in via Lago di Misurina, a ridosso di alcune aziende che da tempo lamentano la scarsa sicurezza della zona e il continuo andirivieni dei nomadi, abbinato ad episodi di microcriminalità e vandalismo. Le altre 6 erano in sosta nel piazzale Pubblici Spettacoli, accanto al palasport Campagnola. Da qualche mese le forze dell’ordine stavano monitorando gli spostamenti delle carovane nel territorio adiacente la zona industriale scledense, sino a rilevare una presenza decisamente esagerata. Lunedì è iniziata l’opera di convincimento, nel tentativo di farle spostare con le buone. Preso atto che i consigli non sono stati ascoltati, l’altro giorno è stata emessa un’ordinanza di sgombero ad effetto immediato, eseguita in due giorni e completata ieri mattina. Carabinieri e vigili hanno invitato i nomadi ad andarsene e subito dopo sono entrate in azione, per la prima volta a Schio, le ruspe comunali che stanno predisponendo un fossato lungo un centinaio di metri, largo un metro e profondo una sessantina di centimetri, sufficiente ad evitare un eventuale ritorno di camper e roulotte. Nel piazzale Pubblici Spettacoli invece, non essendo possibile procedere a scavi, sono stati posizionati dissuasori in plastica. L’unica area che rimane disponibile per le carovane è quella retrostante il discopub XXI Settembre, di proprietà completamente privata e su cui perciò le forze di polizia non possono intervenire se non dietro denuncia. «Finalmente - esclama Massimo Zampieri, portavoce del comitato di sicurezza cittadina nonchè imprenditore con attività in zona industriale -. È un’iniziativa apprezzabile ma è solo l’inizio. Confidiamo che l’operazione di riordino prosegua e non riguardi esclusivamente le zone di accampamento. Purtroppo riceviamo in continuazione lamentele relative a furti, atti vandalici, piccoli ricatti. Qualche mio collega si blinda in fabbrica e non esce. Per questo motivo chiediamo maggiori controlli. Intanto abbiamo avviato, nel portale "portadischio.it", un servizio di informazione e denuncia riservato alle attività commerciali e produttive. Vogliamo agevolare il loro contatto diretto con le forze dell’ordine».