27 OTTOBRE 2004

dal Giornale di Vicenza

Morte da Pm10, allarme dell'Ulss
Teatro: stesso copione, i lavori si fermano.
Un asilo nuovo di zecca per la Ederle.
La firma di Conte sul mega-telescopio.

Inquinamento. Presentato il rapporto sulla qualità dell’aria: «Situazione fuori controllo»
Morti da pm10, allarme dell’Ulss
Nel 2003 cresce il benzene. Mai così alti i valori dell’ozono

di Gian Marco Mancassola

«La situazione dei pm10 appare sempre più fuori controllo. La media annuale è passata da 47 microgrammi per metro cubo d’aria nel 2002 a 54 microgrammi nel 2003, con 89 superamenti contro 102 rispetto allo standard di 60 microgrammi». Sono le parole che chiudono la valutazione sulla qualità dell’aria a Vicenza per il 2003, inviata dal servizio "Igiene e sanità pubblica" dell’Ulss 6. La nota è allegata al rapporto presentato ieri in commissione Territorio dall’assessore all’ecologia Valerio Sorrentino. Ad allarmare gli osservatori è la conferma della correlazione fra l’andamento dei livelli di polveri sottili e i danni alla salute. Nella tabella riportata nella relazione e qui a fianco, viene sottolineato l’eccesso di eventi avversi attribuibili ai pm10 nel 2003 per l’Ulss 6, considerato il valore medio annuo, che è stato di 54 microgrammi nel Quartiere Italia (62 addirittura in via Spalato/viale Milano). In base all’analisi, alla mortalità generale viene attribuito un valore di 1,8 per cento, alla mortalità cardiovascolare di 2,7%, alla mortalità respiratoria di 3,2%, ai ricoveri per malattie respiratorie di 3,4% e ai ricoveri per malattie cardiache di 1,5%. Detto in termini grezzi, in base a quanto elaborato nel rapporto annuale, c’è una correlazione fra gli incrementi delle concentrazioni di micropolveri e l’incremento di morti e ricoveri per problemi cardiovascolari o respiratori.
«Ho chiesto chiarimenti e una relazione più dettagliata», si limita a dire per ora l’assessore Sorrentino, mentre il dibattito in commissione Territorio è stato rinviato alla prossima settimana. Dall’opposizione, il consigliere dei Verdi Ciro Asproso non risparmia le critiche: «Sono dati preoccupanti, che rischiano però di rimanere sulla carta. A mio avviso manca la parte più significativa, vale a dire una strategia per il futuro, mentre si evidenzia il tentativo di scaricare sulla Regione le responsabilità di questa strategia. La realtà è che purtroppo non basta svolgere il proprio compitino di fronte a dati allarmanti che non riguardano solo il pm10. Dalla fotografia che abbiamo in mano si legge un ritorno del benzene e dati poco consolanti sull’ozono, contro il quale si fa ancora meno che contro le polveri». A differenza dell’estate 2002, infatti, caratterizzata da piogge e forti perturbazioni che impedirono la formazione delle condizioni meteo favorevoli all’ozono, l’estate 2003 fu segnata da lunghi periodi di alta pressione, temperature elevate, radiazione solare intensa e scarsa piovosità, trasformandosi nella stagione più critica per le concentrazioni di ozono rilevate nel territorio comunale dal 1997. Per quanto riguarda il benzene, poi, da un lato nell’area urbana del capoluogo viene rispettato l’obiettivo di qualità, ma si registra un aumento, per quanto modesto, rispetto al 2002, anche questo ricollegato alla scarsa piovosità. Nel corso del 2003 è la stazione di Borgo Scroffa a registrare il massimo valore orario di monossido di carbonio, nel mese di gennaio. E comunque le concentrazioni di monossido di carbonio rilevate nel 2003 dalle tre centraline confermano la tendenza alla diminuzione di questo inquinante. Infine, per il biossido di azoto, fatto salvo il valore della media oraria, non è invece stato rispettato il valore per la media annuale nelle rilevazioni di Borgo Scroffa, dove però la centralina è collocata troppo vicina all’incrocio rispetto ai criteri fissati dalla normativa.


In Comune l’ennesima interrogazione firmata dal centrosinistra: «Il sindaco Hüllweck chiarisca perché non vengono rispettate le scadenze contrattuali»
Teatro: stesso copione, i lavori si fermano
Gli operai non vengono pagati dalla Cogi e ieri hanno abbandonato il cantiere

di Chiara Roverotto

Ci risiamo, il copione non cambia. Il cantiere per la costruzione del teatro in viale Mazzini (nella foto a fianco) si è fermato anche ieri pomeriggio. E sempre per lo stesso motivo: gli operai non vengono pagati dalla ditta che ha vinto l’appalto, la Cogi di Firenze. « Gli addetti dovrebbero ritirare lo stipendio il 10 di ogni mese mentre la Cogi liquida il 20, ma non rispetta mai nemmeno questo termine - dicono i sindacati -. Ieri gli operai stranieri, che sono la maggioranza, hanno chiamato ci hanno detto che dopo sei giorni non avevano ancora visto una lira: abbiamo contattato la ditta, quest’ultima ci ha assicurato che i soldi arriveranno domani mattina (oggi ndr), ma gli operai sono stanchi di questi disguidi. Non ci stanno più e ieri pomeriggio se ne sono tornati a casa ». Il tormentone dell’estate ha un’altra puntata, tutta autunnale visto che la situazione non si sblocca. Infatti a luglio la Cogi scrisse una lettera al Comune nella quale assicurava che i ritardi dipendevano da problemi logistici per la consegna degli assegni ai dipendenti. In sostanza, siccome non potevano fare bonifici bancari direttamente dalla sede di Firenze in quanto la maggior parte degli operai, essendo stranieri, non avevano alcun conto corrente con sportelli bancari locali, questo comprometteva i pagamenti. In quell’occasione, Giuseppe Coccimiglio amministratore delegato della Cogi fu chiaro: « confermiamo la nostra volontà e il nostro massimo impegno perché questa situazione non si ripeta nei mesi successivi, evitando così ripercussioni negative, peraltro ingiustificate, sia nei confronti del committente che dell’impresa ». Da quel 30 luglio i problemi sono continuati con ritardi di pochi giorni, ma ora è trascorsa una settimana e gli operai non hanno alcuna intenzione di rimettere piede nel cantiere se prima non vedono i soldi. Del resto, non più tardi di un paio di settimane fa l’opposizione era tornata ad attaccare l’Amministrazione sul fronte teatro, depositando l’ennesima interrogazione (firmata da Alifuoco, Poletto, Rolando, Dalla Pozza, Quaresimin, Guaiti, Cangini ed Emilio Franzina) e nelle premesse tutte le perplessità sull’andamento dei lavori «sei mesi di ritardo rispetto al programma che abbiamo in mano», scrissero allora. Ma ieri sera il centrosinistra è tornato nuovamente all’attacco depositando una nuova interrogazione: « Avevamo chiesto informazioni che non ci sono state fornite - si legge -. Il sindaco chiarisca una volta per tutte il perché delle continue mancanze delle scadenze contrattuali e soprattutto fornisca la documentazione necessaria per consentire ai consiglieri di svolgere il loro mandato ispettivo »


Stelle e strisce. In questi anni sono stati investiti parecchi soldi per migliorare la dotazione di immobili all’interno della caserma vicentina. Per realizzare la struttura che ospiterà circa 150 bambini ci sono voluti quasi un anno di lavoro, 2,6 milioni di dollari e l’esperienza dell’azienda locale "Andriolo". Adesso si attende il prossimo intervento decisivo: il "Dal Molin". E venerdì grande festa di Halloween («Dolcetto o scherzetto?») per i bambini al Villaggio Usa
Un asilo nuovo di zecca per la Ederle

(ma. sm.) La caserma Ederle è diventata piccola. Troppi progetti, troppe costruzioni, al punto che da tempo si sta cercando ad uno sbocco alternativo (vedi Dal Molin), anche in relazione al prossimo arrivo di altri duemila soldati con relative famiglie. Quel che è certo è che, da ieri, la comunità americana di Vicenza ha un asilo nuovo di zecca, bello e accogliente, realizzato da una ditta berica, in grado di venire incontro alle nuove e pressanti esigenze. Inaugurazione in grande stile, con la presenza del generale Jason Kamiya, comandante della Setaf, e con discorso ufficiale del colonnello Donald Drummer, comandante del 22° Gruppo di supporto. Nel cortile, vivaci e colorati, i bambini americani, guidati da Andie Hartwig, hanno intonato una breve canzoncina, prima del rituale taglio del nastro. L’asilo è funzionale, studiato in ogni dettaglio, costruito per ospitare circa 150 bambini. Gli americani non hanno certo lesinato nelle risorse: 2,6 milioni di dollari (5 miliardi delle vecchie lire) sono stati spesi per portare a termine un lavoro iniziato circa un anno fa e concluso dalla ditta vicentina Andriolo con cinque giorni di anticipo rispetto al termine prestabilito. E c’erano anche i responsabili dell’azienda berica, che in questo periodo hanno collaborato con la giovane tenente Ana Franco, l’ingegnere americana che ha coordinato l’impresa. Poi tutti dentro, a visitare le aule accoglienti, la sala giochi che, per l’occasione, è stata trasformata in ristoro, con tanto di deliziosi biscottini che si mangiano senza pensare alle calorie, troppe, che contengono. Proprio di fronte all’asilo, un Tir enorme sta scaricando scatoloni di materiale. Tutta roba italiana che, unita alla commessa conclusa dalla ditta Andriolo, dimostrano, se ce ne fosse bisogno, l’effetto benefico che ha sull’economia locale la presenza degli americani.[il grassetto è nostro, per evidenziare come la stampa comincia a preparare il terreno allo sbarco di altra feccia militare in città] Una presenza, lo si capisce sempre dai lavori in corso all’interno della Ederle, destinata ad aumentare. E a questo proposito tra gli alti in grado della caserma c’è la consegna del silenzio su tutto ciò che riguarda l’aeroporto Dal Molin. Ormai è stato raggiunto l’accordo di massima sulla concessione alle truppe americane delle ex strutture occupate dalla V Ataf della Nato (desolatamente vuote da quando la sede del Caoc si è trasferito a Poggio Renatico, in provincia di Ferrara), ma i dettagli burocratici per passare dalla teoria alla pratica paiono insormontabili perfino ai pragmatici americani; di qui la scelta di mantenere il basso profilo e di non dire più nulla sull’argomento fino a quando non saranno stati ottenuti tutti i timbri necessari. Intanto per venerdì 29 ottobre la tradizionale festa americana di Halloween sarà onorata come si deve al villaggio dove risiede gran parte del personale militare. Dalle 18 alle 20 i bambini dai 12 anni in giù, dipinti e mascherati, procederanno al fatale "trick-or-treating" (dolcetto o scherzetto). Più o meno quel che si è sentito proporre il gen. Kamiya quando ha chiesto la disponibilità degli immobili del Dal Molin.


Le vicende del genio incompreso Conte che ha rotto le palle perfino agli Apache negli Usa...

La firma di Conte sul mega-telescopio
Il deputato lavorò alla struttura dell’impianto
Nel ’95 gli apache fecero sospendere il progetto portato a termine 10 giorni fa in Arizona

di Marino Smiderle

Negli anni 90 Giorgio Conte la politica la guardava col binocolo. O meglio, col telescopio. Lo stesso telescopio che contribuì a realizzare per il Cerro Paranal, un mega osservatorio astronomico situato nel nord del Cile. Poi, per colpa degli apache è saltata la firma del deputato vicentino in calce all’avventura Lbt (Large binocular telescope), il più grande telescopio del mondo, inaugurato dieci giorni fa sul monte Graham, nei pressi di Saffold, Arizona. La storia è un po’ complessa ma va raccontata per restituire la parte di merito che spetta all’attuale parlamentare di An. Di solito si comincia dall’inizio, invece stavolta vale la pena cominciare dal fondo. Il 15 ottobre scorso in Arizona si inaugura in pompa magna l’Lbt, orgoglio scientifico dell’università dell’Arizona e dell’Osservatorio di Arcetri (Firenze). «Realizzato e finanziato da un consorzio internazionale del quale l’Italia, con l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), fa parte insieme a gruppi di ricerca e università statunitensi e tedesche - riportano le cronache di dieci giorni fa - il telescopio è stato realizzato nell’arco di 20 anni con un costo complessivo di 110 milioni di euro. Una spesa alla quale l’Italia ha contribuito per il 25%, cosicché ora potrà gestire un quarto del tempo di osservazione». Giorgio Conte legge i giornali mentre raggiunge Roma, la sua attuale sede di lavoro. Squilla il telefonino: «Ehi Giorgio, ’sti stronzi neanche ci citano. Begli ingrati che sono». È l’ing. Gianfranco Rigato, con inconfondibile accento mestrino, a ridestare nel politico la passione tecnica di un tempo. Da quando, fine anni 80, entra in Zamperla e si fa le ossa come ingegnere strutturista. «Ero giovane e imparai il mestiere studiando progettando la struttura delle giostre destinate al parco Eurodisney di Parigi - ricorda Conte -. Lavorai un anno in Zamperla e, grazie anche a quelle giostre, venni contattato dall’Eie (European industrial engineering), un gruppo specializzato nella realizzazione di impianti di alta tecnologia. Mi raddoppiano lo stipendio e io accetto la proposta, anche se mi tocca trasferirmi a Mestre». L’Eie lo chiama perché ha bisogno di un team capace di progettare la struttura del Very large telescope , un telescopio enorme, da mettere in cima al Cerro Paranal, in Cile. «Quella volta ce la misi tutta - afferma - e proprio Il Giornale di Vicenza uscì con un bell’articolo che raccontava i dettagli del progetto. Il giorno dopo mi chiama l’Eie e mi dice: "Caro ingegnere, si trovi un altro lavoro". Non sapevo che nelle clausole del contratto ci fosse il divieto di qualsiasi forma di divulgazione pubblica del mio lavoro. Ero in preda al panico, ma quattro giorni dopo mi salvò proprio la nuova commessa dell’Arizona: volevano che l’Eie progettasse anche l’Lbt, una concezione rivoluzionaria del telescopio, e non sapevano a chi rivolgersi. "Torni a lavorare con noi", mi dissero». Ci avviciniamo alla metà degli anni 90 e Conte, in team con l’ing. Rigato, lavora come un pazzo allo studio di questa meraviglia dell’astronomia. E, dopo un paio di anni di lavoro, di dati, di prove e di disegni definitivi, gli apache sferrano l’attacco decisivo, ottenendo, tra le altre cose, il licenziamento del gasatissimo tecnico vicentino.
«Quel telescopio binoculare - rammenta Conte - avrebbe dovuto essere installato sul monte Graham, sacro agli indiani apache. Una delegazione di questi indiani d’America venne appositamente in Italia per chiedere al governo di sospendere la collaborazione del nostro Paese a quel progetto sacrilego. Morale della favola, il progetto venne sospeso e il sottoscritto si trovò senza lavoro. All’Eie tagliarono i finanziamenti e io fui costretto a tornare a Vicenza, dove mi aprii uno studio professionale, portandomi dietro tutto l’incartamento relativo al telescopio più grande del mondo. Un progetto di cui andavo molto orgoglioso». Ma quella degli apache è stata una vittoria di Pirro; e quello di Conte un licenziamento privo di efficacia. Nel senso che, stando alle documentate notizie di dieci giorni, il più grande telescopio del mondo è stato montato proprio in cima al monte Graham. Gli oppositori sono stati sistemati con qualche promessa di posti di lavoro e sul terreno sacro ora sorge un mega binocolo capace di leggere il numero di targa di un’ipotetica auto in corsa sulle altrettanto ipotetiche autostrade della luna. Quel binocolone, per onor di giustizia, ha incorporati due anni di studi e di analisi elaborate da Conte e Rigato, prima dell’assalto degli apache. Quelli che hanno rilevato il progetto successivamente, hanno aggiunto dettagli, perfezionato l’impianto; partendo però dalla mole di dati sviluppati dagli ingegneri veneti.
«Per carità, non voglio rivendicare meriti esclusivi - si schermisce Conte - ma è chiaro che quando leggo di telescopi il pensiero corre al mio ex lavoro. Nel mio studio conservo i disegni, i calcoli: un faldone che, a una decina di anni di distanza, trovo realizzato sul monte caro agli apache. E lo so io quali e quanti problemi abbiamo dovuto affrontare per spiattellare la soluzione tecnica adeguata». Lo sanno anche gli apache, per la verità, che non sono più quelli di una volta. Hanno "venduto" il loro monte per un piatto di lenticchie, mentre Conte, l’on. Conte, ora si interessa di politica a Montecitorio. Dove, per vederci chiaro, un binocolo serve sempre.