27 FEBBRAIO 2006

dal Giornale di Vicenza

L’Afghanistan ringrazia i soldati della Ederle
«Massima prudenza sugli Ogm Non conosciamo ancora i rischi»

Dopo un anno di lavoro e sacrifici per consolidare la neonata democrazia la coalizione del generale Kamiya torna a “casa”
L’Afghanistan ringrazia i soldati della Ederle
Ma il ministro della difesa chiede che l’aiuto continui Diciotto i militari Usa della 173ª brigata rimasti uccisi

di Marino Smiderle

Un anno duro, sofferto, costellato da incidenti, vittime e polemiche. Ma, alla fine, anche ricco di soddisfazioni. Questo ha pensato il generale Jason Kamiya quando il ministro della difesa afgano, Rahim Wardak, gli ha stretto la mano in un hangar della base aerea di Bagram. «Non so come trovare le parole adeguate - ha detto Wardak - per esprimere tutta la nostra riconoscenza per gli sforzi e i sacrifici fatti dalle truppe americane. Grazie, grazie e grazie ancora. Quello che hanno fatto il gen. Kamiya e i suoi uomini rimarrà per sempre nei nostri cuori». E mentre il ministro pronunciava queste parole, in pista rullava il C-17 che avrebbe riportato a Vicenza, via Aviano, il generale e gli ultimi collaboratori. Sì, gli americani della caserma Ederle se ne vanno dall’Afghanistan consapevoli di avere centrato l’obiettivo più ambizioso: quello di aver dischiuso le porte al sistema democratico in una terra che, da almeno 25 anni, è martoriata dalla guerra e dalle dittature più crudeli. Kamiya è stato il comandante della Combined Joint Task Force-76, una coalizione che comprendeva quasi 20 mila uomini. Di questi, duemila facevano parte della 173ª Brigata aviotrasportata e della Setaf: 18 non potranno fare ritorno, uccisi in combattimento o da incidenti di percorso in una terra che è ancora insidiosa e che, secondo l’intelligence americana, nasconde i terroristi talebani di Al Qaeda, bin Laden in testa. «Il nostro lavoro, le nostre forze - ha detto Kamiya - hanno fatto la differenza. Da questo punto, chi prende il nostro posto può ripartire con la convinzione di poter raggiungere livelli sempre più alti di convivenza civile e democratica in Afghanistan». Al posto di Kamiya e della 173ª a Bagram sono arrivati il gen. Benjamin Freakley e la 10ª Mountain Division. Le elezioni presidenziali e parlamentari sono state tenute e le immagini dei votanti che escono dal seggio elettorale con le dita sporche d’inchiostro sono ancora impresse nella memoria. Resta ancora molto da fare, perché gli oltre 300 scontri a fuoco avuti con i talebani non sono bastati a stanarli dalla propria roccaforte di Kandahar e dintorni. Nel corso della cerimonia del cambio del comando, il ministro Wardak ha messo in guardia le forze internazionali da un eventuale disimpegno. Parlava a Kamiya, ma voleva che le sue parole arrivassero fino a Bush e agli altri capi di governo dell’alleanza. «La cooperazione e l’aiuto internazionali sono essenziali per garantire un futuro a questo Paese - ha detto -. L’Afghanistan ha sofferto moltissimo negli anni 90, quando era fuori dalle preoccupazioni occidentali. Noi non vogliamo dipendere da voi, non vogliamo essere un fardello eterno. Vogliamo pagare i nostri debiti e diventare un membro responsabile della comunità internazionale. Questo è il nostro intento e il nostro desiderio. E faremo di tutto per raggiungere questo obiettivo». Sulla scia del lavoro svolto da Kamiya, Freakley ha ribadito gli obiettivi del suo contingente. «Il popolo afgano - ha affermato - vive in un paese che è stato in guerra per 25 anni. Si meritano un futuro stabile e prosperoso, non solo per i propri figli, ma per i figli dei propri figli». Kamiya torna a Vicenza con l’orgoglio per la missione svolta, con il dolore per i commilitoni morti («Ma il loro sacrificio servirà a costruire un paese nuovo e migliore») e con il dispetto per qualche polemica (il rogo di alcuni cadaveri di terroristi) che ha tentato di gettare fango sulle truppe “vicentine”. Ora torna a prendere in mano le sorti della Setaf, della caserma Ederle. Piccoli obiettivi, di fronte all’ambizioso scopo di esportare la democrazia. Di certo Vicenza, nelle intenzioni dell’amministrazione americana, dovrà diventare la base più importante del sud Europa e Kamiya dovrà portare a termine un immane lavoro organizzativo intrapreso prima della partenza per l’Afghanistan. In cima all’agenda c’è ancora la questione dell’aeroporto Dal Molin, con annesse strutture logistiche, che dovrebbe entrare a far parte di una nuova cittadella a stelle e strisce. Per uno che fino a ieri ha dato la caccia a bin Laden, questi obiettivi paiono davvero poca cosa.


Approfondimento sulle colture transgeniche con il biologo Gianni Tamino
«Massima prudenza sugli Ogm Non conosciamo ancora i rischi»
«L’Europa preferisce evitare le coltivazioni ma importa prodotti modificati dagli Usa»

di Cherubina Marte

Ogm, questi sconosciuti. Per capire cosa sono gli organismi geneticamente modificati e quali effetti possono avere, è intervenuto Gianni Tamino - laureato in scienze naturali e docente di biologia all’Università di Padova - al terzo appuntamento del corso “Glocal. Le paure, le ragioni, le minacce, le opportunità”, promosso da Alternativa Nord/Sud per il XXI secolo e Cooperativa Unicomondo, con il patrocinio del Centro territoriale servizi scolastici. Gli Ogm ottenuti mediante tecniche di transgenesi - ha spiegato Tamino - possono comportare rischi rilevanti, in quanto non si sa né dove né come il nuovo gene si inserirà nell’altro organismo. Il docente cita in proposito un’importante affermazione del Premio Nobel Dulbecco, secondo il quale «coi metodi oggi a disposizione è possibile determinare il grado di attività di tutti i geni di una cellula; ed è stato dimostrato che introducendo un nuovo gene in una cellula, la funzione di un gran numero di altri geni viene alterata: non è sufficiente introdurre un gene nell’organismo per determinarne l’effetto, che invece dipende da quali altri geni sono già presenti». L’ingegneria genetica quindi opera al buio e introdurre nell’ambiente degli Ogm che non sono stati controllati dai meccanismi di selezione naturale potrebbe avere conseguenze pericolose sia per la biodiversità sia per la salute umana. «In Europa vale il principio di precauzione, cioè si evita la coltivazione di piante transgeniche in base ai rischi potenziali - spiega Tamino - ma anche noi importiamo Ogm da paesi come gli Usa, che li producono. Che fine fanno? Li trasformiamo in mangime per animali e in via indiretta le sostanze transgeniche arrivano comunque sulle nostre tavole. Fino ad oggi si sono verificati casi di allergie, come per la soia, nella quale è stato inserito un gene proveniente dalla noce del Brasile, o per il mais “starlink”, destinato all’alimentazione animale ed entrato, negli Usa, anche in prodotti consumati dall’uomo». Le multinazionali pubblicizzano gli Ogm attraverso scienziati, rappresentanti delle industrie e giornalisti favorevoli ai prodotti transgenici, poiché richiedono meno pesticidi, evitano pericolose malattie e si dice addirittura che in futuro con tali prodotti si sarà in grado di sfamare l’intera umanità. Secondo il relatore questa pubblicità falsa e parziale nasconde la natura controversa degli Ogm, su cui sono assolutamente indispensabili ricerche approfondite per valutare con certezza i possibili effetti.