25 AGOSTO 2005

dal Giornale di Vicenza

Telefonia. Interpellanza in circoscrizione 1 del consigliere Pilan (Ds): «Troppi ripetitori intorno al Pigafetta e al Lioy»
«Le antenne accerchiano i licei»
La segnalazione: ci sono cinque impianti a pochi passi dal Corso

(g. m. m.) Le antenne accerchiano i licei Pigafetta e Lioy, con vista su corso Palladio. Fronte sempre caldo della vita amministrativa cittadina, la telefonia mobile torna protagonista di un’interpellanza, firmata dal consigliere della circoscrizione 1, Mattia Pilan, che milita nei Democratici di sinistra. È la quarta volta nell’ultimo anno che Pilan interviene sul proliferare di ripetitori nel triangolo di vie fra stradella dei Filippini e contrà S. Marcello. «Questa volta - spiega il consigliere - l’occasione è la costruzione durante le vacanze estive di due nuove antenne per la telefonia mobile in stradella dei Filippini, immediatamente a ridosso dei prestigiosi liceo classico Pigafetta e liceo scientifico Lioy. Questi impianti vanno ad aggiungersi alle altre tre antenne già presenti nella zona». L’intervento di Pilan, ancora una volta, nasce da segnalazioni giunte da cittadini. «Ho accertato - racconta - che nel periodo delle vacanze estive, in totale spregio delle deliberazioni del parlamentino del centro storico e degli impegni presi pubblicamente dal sindaco Enrico Hüllweck e dal precedente assessore all'urbanistica, Maurizio Franzina, sono state installate due nuove antenne per la telefonia mobile, da parte delle società Tim e Ericsson, negli edifici prospicienti il liceo Pigafetta (angolo tra stradella dei Filippini e contrà S. Marcello), ove erano già installate e funzionanti altre 3 stazioni radiobase, rispettivamente di proprietà delle società H3G, Wind e Vodafone, per un totale quindi di 5 stazioni radiobase concentrate nella stessa zona». «Queste antenne - prosegue Pilan -, installate in pieno centro storico con vista su corso Palladio, a meno di 10 metri dal liceo Pigafetta, sono in evidente contrasto, per la loro imponenza (visibile ad occhio nudo da contrà S. Marcello e da piazza Castello) e per la strettissima vicinanza ad edifici scolastici, con i criteri adottati nel protocollo d’intesa stipulato tra il Comune e le società di telefonia mobile. La vicinanza con alcuni tra i più frequentati istituti scolastici della città, con conseguente possibile aumento del grado di esposizione quotidiana dei giovani alunni alle onde elettromagnetiche emesse da tali impianti, desta notevoli preoccupazioni per i possibili effetti negativi sulla salute dei soggetti sensibili». Pilan chiede dunque al presidente della zona 1 di rendere conto in consiglio di circoscrizione e chiede di sapere «se la costruzione delle nuove stazioni radiobase sia stata autorizzata con apposita concessione edilizia del Comune e se vi sia stata una verifica preliminare da parte dell'Arpav e della Ulss competente sui valori dei campi elettromagnetici provocati e sugli eventuali effetti dannosi per la salute degli alunni delle scuole». Infine, il consigliere si appella al neoassessore all’urbanistica Marco Zocca perché «provveda ad applicare e far rispettare il protocollo d'intesa mediante la rimozione degli impianti situati in vicinanza di edifici scolastici prima del ritorno in aula». (Nelle immagini Colorfoto le antenne fotografate dal balcone di un edificio di fronte al Pigafetta)


Allarme antrace ieri mattina a palazzo Trissino, rimasto chiuso per oltre un’ora
Una busta blocca il Comune
Polvere bianca in una lettera contro la cena in Corso

di Gian Marco Mancassola

Busta sospetta, polvere misteriosa, allarme antrace. Il copione dell’emergenza negli uffici pubblici si è ripetuto ieri mattina a palazzo Trissino, la sede nobile e di rappresentanza del Comune di Vicenza. Un anno e mezzo dopo l’ultima busta sospetta, lo spettro dell’antrace si è riaffacciato ieri mattina in municipio: la novità è rappresentata da una coincidenza: ieri mattina era programmata una riunione organizzativa per definire i dettagli della cena in corso Palladio dell’8 settembre; e la lettera spruzzata di polvere bianca sparava contro i presunti sprechi legati alla cena sotto le stelle. L’allarme. Mancano pochi minuti alle 10 quando, nella stanza in cui gli uscieri smistano la corrispondenza, Luisa Mercurio inizia a maneggiare una piccola busta, anonimamente indirizzata al sindaco. Immediatamente dalla busta esce uno sbuffo di polvere che imbianca il tagliacarte e i polpastrelli. Accanto c’è la collega Laura Gianello: entrambe restano immobili e segnalano il problema. A quel punto scatta l’allarme e in municipio si presentano due camionette dei vigili del fuoco, che avviano il protocollo “antrace”. Le due donne vengono spogliate della divisa di usciere e invitate a indossare una speciale tuta. La stanza della posta viene sigillata e posta sotto sequestro, e con essa tutta la corrispondenza di ieri, mentre busta sospetta e vestiti vengono presi in consegna dai vigili del fuoco. L’episodio crea un bel po’ di scompiglio a palazzo Trissino, che viene chiuso per oltre un’ora, fino alle 11, quando si concludono le operazioni di messa in sicurezza. Ironia della sorte, a pagare dazio è stata soprattutto la conferenza dei servizi in programma ieri mattina per organizzare la cena in Corso, slittata: metà dei partecipanti, infatti, è rimasta chiusa fuori dal palazzo. La testimonianza. «Era una busta piccola, anonima, indirizzata al sindaco, senza altre indicazioni ed era stata portata a mano - raccontano le due impiegate -. All’interno c’era un foglio di quaderno a righe, datato 18 agosto, scritto a mano: una scrittura incerta, piena di errori. L’autore se la prendeva con la cena in Corso e con i costi, lamentando che i soldi potrebbero essere meglio spesi per le strade o per le famiglie in difficoltà. Appena aperta la busta è uscita una polvere bianca, profumata, che sembrava talco. Altri problemi non ci sono stati: ci è stato detto di stare tranquille e di far sapere se nei prossimi giorni noteremo sintomi particolari». Mitomani. «Ancora una volta i mitomani hanno fatto la loro comparsa negli uffici pubblici secondo una prassi che ormai è diventata stucchevole e quasi esilarante, se non fosse che questi atti sconsiderati provocano danni soprattutto alla cittadinanza in termini di blocco delle attività e di danno economico per tutta la catena di interventi, obbligatori per legge che devono mettere in azione, non solo il personale degli enti di volta in volta colpiti , ma quel che è peggio anche personale di vigili del fuoco e delle strutture ospedaliere». A parlare è il sindaco Enrico Hüllweck, che condanna senza mezzi termini l’episodio: «Il povero mitomane ha sbagliato due volte. Il primo errore consiste nelle motivazioni della protesta. Sembrerebbe infatti che lo pseudo attentatore sia contrario alla cena annuale organizzata l'otto settembre in quanto questa sottrarrebbe ingenti somme ad altri scopi sociali. Incredibilmente dopo sette anni, esiste ancora qualche disinformato che ignora una delle caratteristiche di questa cena e cioè che tutti i commensali pagano di tasca propria. Non esiste, quindi, alcuna sottrazione di soldi alle casse dell'amministrazione comunale. Il secondo errore sta proprio nel fatto che se il suo scopo era quello di ergersi a censore di ipotetiche spese e ipotetici sprechi a danno della collettività, tali spese sono state proprio da lui provocate, non solo sprecando denaro, ma anche tempo prezioso. Certamente meglio uno scherzo stupido che un attentato vero, ma quando gli scherzi stupidi creano danni diventano particolarmente odiosi».


«Vicenza cresce, servono 6 mila alloggi in dieci anni»
Cambia il Veneto produttivo Si sta esaurendo la spinta dello sviluppo continuo dell’economia industriale e anche l’impianto urbano deve sapersi riorganizzare

(p. e.) È cambiata la città, ed è cambiato il Veneto produttivo. Quindi cambia l’urbanistica. «La Regione Veneto con la nuova legge - scrive il documento preliminare del Comune - ha sostanzialmente preso atto del definitivo venire ad esaurimento del lungo ciclo dell’urbanistica sociale - comune a molte se non a tutte le città italiane - centrato sulle politiche dell’abitazione e dei servizi, e sostenuto dalla spesa pubblica oltre che, in senso lato nel caso di Vicenza, dall’intenso sviluppo industriale della città». La realtà oggi, scrivono i tecnici del Comune assieme al prof. Crocioni, è che c’è stato un «graduale esaurirsi del lungo ciclo espansivo dell’economia industriale vicentina», e un parallelo «graduale esaurimento della capacità dell’impianto urbano vicentino, anche nella dimensione sovracomunale». Non solo: si sono aperti «scenari sempre più competitivi, nella rete urbana a scala regionale, padana e comunitaria», sta maturando una nuova fase di costruzione di grandi infrastrutture (strade e ferrovie), emergono crisi ambientali (inquinamento) che costringono a ripensare l’organizzazione urbana. E infine c’è una «diffusa esigenza di una più elevata qualità, e di un più adeguato rendimento sia del sistema dei servizi che del sistema residenziale». Ma anche qui il quadro che traccia il documento del Comune usa toni positivi: la nuova pianificazione si basa «su un soddisfacente equilibrio nel rapporto, sempre delicato, tra domanda sociale e offerta insediativa». La domanda immobiliare c’è, e l’offerta si sta esaurendo. «In sostanza, le linee di tendenza fanno emergere un certo equilibrio tra domanda e offerta, nei processi della crescita urbana. Il mercato immobiliare - valuta il documento del Comune - continua a porre «una domanda relativamente sostenuta», soprattutto perché esige dimensioni e qualità, e invece si trova di fronte «un’offerta non più assicurata dal Prg vigente». La risposta in parte è venuta «con i primi importanti programmi di riuso delle aree produttive dismesse ed anche con le innovazioni introdotte attraverso le varianti urbanistiche e normative del febbraio scorso», ribadisce ancora una volta il documento, chiaramente teso a difendere a spada tratta quanto fatto finora all’urbanistica comunale. Deve cambiare il disegno di città, puntando su nuove organizzazioni di mobilità e su nuovi ’poli di espansione’ come appunto le aree dismesse dove via via trovano spazio le funzioni urbane eccellenti come il Teatro, l’Università e poi attività culturali, espositive-fieristiche, ricettive e di convegnistica, ’cittadelle amministrative’ e attività di servizio alla produzione. Vale a dire tutte quelle funzioni urbane eccellenti di cui Vicenza ha bisogno «per accrescere il suo ruolo di servizio all’ampio hinterland produttivo dell’intera area provinciale». La popolazione crescerà, e ha bisogno di nuove case. Per le domande di abitazioni il documento del Comune non ha dubbi: continuerà ad esserci. Perché si è invertita la tendenza degli anni ’80 quando Vicenza (vedi la tabella nella pagina a fianco) perdeva residenti a vantaggio dei paesi della cintura urbana. Adesso la città è tornata a crescere: «Ad una ulteriore accelerazione dei movimenti migratori verso la città corrisponde anche un cambiamento di segno del saldo nascite-morti. Si tratta di un fenomeno relativamente inedito per Vicenza, che non si verificava dagli anni ’60». Molto è dovuto all’arrivo degli immigrati, ma non c’è solo questo. «La città sembra poter nuovamente evidenziare la sua centralità, il suo ruolo di riferimento e supporto per le dinamiche territoriali». Una produzione di 650 alloggi nuovi ogni anno. La popolazione è tornata ai 113-114 mila residenti, rispetto ai 107 mila degli anni ’90. Non solo: continua a diminuire la dimensione media del nucleo familiare (è calata da 2,6 a 2,35 componenti tra il ’91 e il 2001) e questo ha fatto sì che i nuclei familiari siano cresciuti da 40 mila a 45 mila in dieci anni. Sono numeri che, sostiene il documento, garantiscono che la domanda di abitazioni continuerà ad esserci. «In definitiva, negli ultimi 10-15 anni si è determinata a Vicenza una produzione insediativa media dell’ordine di 650 alloggi annui»: questo è il dato di riferimento anche per i prossimi anni, anche se negli anni ’90 la media era di 700 alloggi l’anno e negli ultimi anni si è calati a 5-600. «L’attività edilizia sui fabbricati non residenziali - prosegue il documento - conferma analoghe linee di tendenza». Ci sarà ancora fame di case: 5-6 mila abitazioni in dieci anni. Anche il patrimonio di abitazioni è cresciuto costantemente, passando dalle 43800 degli anni ’90 alle 50200 registate con il censimento 2001: un dato che combacia esattamente con la media di 650 abitazioni in più all’anno. È probabile che la popolazione crescerà ancora, fino ai 118-120 mila bitanti che ci saranno tra dieci anni o poco più. E se continuerà anche la tendenza a diminuire il numero medio di componenti di ogni nucleo famigliare - in pratica, se saranno ancora in aumento i single (o coppie) che occupano ciascuno un alloggio - il calcolo che il Comune fa suo è che ci vorranno da qui al 2015-2020 circa 6mila abitazioni nuove. In dieci anni occorre garantire 900 mila metri quadri di nuovi alloggi. La media delle abitazioni dei vicentini oggi è salita da 100 metri quadri (il dato è del censimento ’91) a 102 metri quadri (censimento 2001). Insomma, anche se siamo meno numerosi, chiediamo e vogliamo comunque case più ampie. Il che significa che nei prossimi 10 anni i costruttori dovranno mettere a disposizione di Vicenza - è la stima del Comune - 600 mila metri quadri di nuovi alloggi. Ma dato che in genere in una città si perde per strada almeno un terzo della capacità edificatoria che i suoi amministratori hanno segnato sulla carta - così assicura il documento comunale da cui nascerà il nuovo Piano per la città - la cifra magica è 900. Ovvero 900 mila metri quadri di nuovi edifici residenziali da far sorgere (o da recuperare dal patrimonio edilizio esistente) in città. A spanne, 2 milioni e 700 mila metri cubi di edificato. L’espansione edilizia richiesta è di 400-450 mila metri quadri. Dove reperire i 900 mila metri quadri che occorrono? In parte già ci sono, assicura il documento, grazie alle previsioni dei Piani particolareggiati pubblici e privati del vecchio Piano regolatore e grazie alle nuove varianti dei piani Piruea varati in questi mesi. Da questi piani il Comune calcola che possono uscire ancora 300 mila metri quadri di nuove abitazioni. Ma ci sono anche altre aree industriali dismesse da trasformare, rimarca il documento (che in più occasioni punta il dito sull’area dell’Arsenale delle Ferrovie, ai Ferrovieri, come grande comparto per cui pensare un futuro diverso): da lì potranno venire 150-200 mila metri quadri. «Questa dimensione di poco inferiore ai 500 mila metri quadri rappresenta in sostanza quello che potrebbe essere definito il segmento strategico dell’offerta che la nuova strumentazione è in grado di rendere disponibile in modo fin d’ora certo ed evidente», e senza consumare altro territorio. Ma «a fianco di questo nucleo centrale e stategico il nuovo piano dovrà inoltre saper garantire una capacità insediativa ulteriore dell’ordine di circa 400-450 mila metri quadri di superficie utile, per circa 4-4500 nuove abitazioni». Dove far sorgere questi futuri nuovi edifici? Nelle zone Rc-1 (quelle dove i palazzoni possono sorgere al posto di casette), nelle frazioni alla periferia della città, nelle richieste del Bando degli interessi diffusi (vedi a lato). Bisognerà invece limitare al massimo l’utilizzo di ulteriore terreno agricolo. Edilizia pubblica. Curiosamente, il documento ribadisce che occorrerà trovare in tutto questo gli spazi e le soluzioni per l’Edilizia residenziale pubblica, ma non aggiunge nulla di più. Centro storico: più terziario leggero. Per il centro storico, l’obiettivo è tutelare al meglio il valore culturale e artistico. Il fulcro restano i residenti, ma tra questi si deve puntare anche all’essenziale presenza di studenti universitari e turisti, che garantiscono ’vita’ al centro stesso, mentre non si deve spaventarsi se via via che il centro si allarga - come in altre città - ci sarà un certo travaso da alloggi destinati alla residenza a spazi che danno spazio invece al terziario cosiddetto ’leggero’.


La sorpresa
Parola fine sulla Marzotto
Chiusa l’ex Lanerossi, 125 operai in mobilità e 21 vanno a Valdagno

di Marco Scorzato

Al rientro dalle ferie, lunedì scorso, alcuni macchinari dello stabilimento scledense erano già stati rimossi e spostati a Valdagno. È stata l’azienda a comunicarlo ai rappresentanti sindacali, messi di fronte al fatto compiuto: la dismissione totale della produzione nello stabilimento Marzotto, ex Lanerossi, di viale dell’Industria. Scelta drastica, storica, drammatica: a casa, in mobilità, 125 lavoratori della tessitura, trasferiti a Valdagno 21 addetti della tintoria, mentre in riva al Leogra restano in 20 a tenere in piedi il depuratore ed il copertificio. È quanto l’azienda ha spiattellato in faccia ai sindacati, che già prima delle ferie avevano chiesto di incontrare la dirigenza, fiutando aria di smobilitazione. Nessuno, tuttavia, si attendeva uno scenario così sconvolgente. Da prima delle ferie, a Schio è aperta la cassa integrazione per molti lavoratori. E così, la notizia che cambia il destino oltre un centinaio di famiglie è piombata nelle loro case con una telefonata dei colleghi. A quelli non toccati dal passaparola lo “schiaffo” è giunto ieri, durante l’assemblea urgente convocata dalle rappresentanze sindacali. «Metteremo in piedi tutte le iniziative possibili - afferma Giannino Rizzo, segretario provinciale della Uilta - per fare in modo che questa non sia ritenuta una questione definita, ma da definirsi». È vero che la decisione sarà ufficializzata solo martedì prossimo. Tuttavia, il dado è tratto e sarà assai difficile invertire la rotta. Nell’incontro di lunedì, a rappresentare l’azienda c’erano Massimo Lolli, direttore delle risorse umane, Stefano Sassi, direttore generale del settore tessile, Antonio Perin, direttore del personale, e Giorgio Todesco, responsabile della divisione tessuti. Di fronte a loro, ad incassare uno smacco tanto doloroso quanto inaspettato, le Rsu e i delegati provinciali: oltre a Rizzo, c’erano Mario Siviero, segretario della Cisl Femca, e il suo omologo della Cgil Filtea, Graziano Besaggio. «È un disastro - sbotta quest’ultimo -, le difficoltà erano nell’aria, ma ci aspettavamo un ragionamento diverso. La dirigenza afferma che il calo del lavoro ha reso inevitabile la scelta, che mantenere tre tintorie - in Repubblica Ceca, a Valdagno e a Schio - non era possibile, e che nell’ultimo anno c’è stato un ulteriore calo di produzione del 15 per cento, oltre un milione di metri di tessuto in meno negli ultimi 3 anni». Durissima la reazione di Rizzo: «Ci hanno sbattuto in faccia il fatto compiuto - afferma - è intollerabile sia la forma che la sostanza, ci vuole rispetto per i lavoratori. Mai la direzione aziendale ci aveva fatto capire che Schio era a rischio. Questo fatto è gravissimo: non si può dismettere un’attività dall’oggi al domani lasciando a casa centinaia di persone». Nove impiegati e 116 operai, che vanno a rimpinguare una lista di disoccupati già preoccupante, con un mercato del lavoro che non offre alternative. E, per oltre cento di loro, l’età della pensione è tutt’altro che vicina. Insomma, uno scenario drammatico, come riconosce il sindaco Luigi Dalla Via: «Con la fine della produzione nell’ex Lanerossi - osserva - per la città si chiude formalmente un’epoca. È vero che il destino dello stabilimento era segnato da un paio d’anni, ma non ci si aspettava che la questione precipitasse adesso. Ho già contattato Alberto Neri, sindaco di Valdagno, e abbiamo chiesto un incontro all’azienda. Da un lato dobbiamo capire come rispondere al dramma di chi va in mobilità; dall’altro dobbiamo porre il problema del disimpegno di questa azienda dal territorio. La Marzotto, come prima la Lanerossi, ha dato e ricevuto molto da questo territorio. È giunta l’ora di chiedersi come possa ancora contribuire al futuro di questo bacino».